17 A volte ritorna
17
I postumi della festa avevano lasciato la padrona di casa tormentata nel suo letto.
Il fallimento del suo ennesimo progetto, quello di vedere il figlio accasato, l'aveva lasciata scornata e si chiedeva con rammarico quanto fosse caduto in basso il mondo femminile, specialmente dopo la telefonata di scuse da parte della madre di Anthea, che era all'oscuro del gioco della figlia.
- Gianni stai dormendo? - lo scosse leggermente - Gian Maria ci sei? - continuò insistendo sottovoce - se non stai russando significa che sei sveglio - e gli tirò il lenzuolo per vedere una sua qualche reazione.
- Gloria che fai? - il serioso notaio sbadigliò. Osservò la moglie nella penombra della stanza, appoggiò il cuscino e la schiena alla testiera del letto e si preparò comodo per il lungo discorsetto che aveva tenuto in serbo per lei - come mai non dormi - si accarezzò il pizzetto canuto sul mento - c'entrano per caso i Burione? Ho visto che sono scappati con la figlia in lacrime, ne sai qualcosa tu? - la fredda ironia del marito la colpì nel vivo.
- Credevo fosse quella giusta, finalmente - scrollò le spalle - si vede che ho il sesto senso per trovare il marciume intorno a me - e sospirò indifferente.
- Ora sono io che ti dico basta Gloria. La nostra famiglia è sempre stata rispettata e onorata - il tono della voce era basso ma deciso, tanto che la moglie non osò fiatare - è la seconda volta che ti metti in ridicolo e sfiori lo scandalo. Non ti rendevi conto di ciò che stavi facendo, con il rischio di mettere in cattiva luce la carriera e la vita di nostro figlio? I sentimenti non si comprano Gloria, né si contrattano. Da quando in qua ti sei messa in testa di combinare un matrimonio a tuo figlio, è un reato, lo sai vero? Voglio e pretendo che tu la smetta. Quando lo vorrà, sarà lui a farlo e sarà solo perché avrà trovato la donna giusta - la voce si era fatta seria.
- Scusami Gian - sussurrò amaramente - sai che l'ho fatto per il suo bene. Non si farà mai una famiglia, se continua così.
- Non dire sciocchezze. È un uomo arrivato, di trentatré anni, bello, forte, è giusto che si diverta un po', ne ha del tempo per pensare a sposarsi. E tu devi smetterla di fare la Diana Sponsale. Perché non riprendi i tuoi corsi di Burraco, Inglese, Pittura? Ti farebbe bene staccare un po'.
Le prese le mani e gliele baciò, mentre lei, dolcemente, gli posava la testa sul petto con l'intenzione di rimanere così fino al sorgere del sole e farsi perdonare, come faceva da sempre, con un po' di coccole.
**
Elena aprì gli occhi sentendo le note della soneria del suo cellulare che insisteva da qualche parte nella stanza. Si trovò imbrigliata tra le braccia e le gambe del suo Leonardo, che dormiva beato con l'espressione rilassata sul viso. Non riusciva a muovere un muscolo, aveva il corpo intorpidito, ma era felicemente soddisfatta e si sentiva al sicuro. Sarebbe stata in quella posizione per sempre.
Anche quando il cellulare smise di suonare, l'ammasso di muscoli non si mosse di un millimetro, e fissò compiaciuta quel pezzo d'arte, mentre le tornavano alla mente le vicende della sera prima.
A metà festa aveva salutato gli amici, sua madre e la padrona di casa e se l'era data a gambe, seguita dal suo splendido compagno di sventura, lontano da sguardi, intrighi, confusione e stress.
L'aveva accompagnata a casa, e dopo averla scortata nella sua camera da letto, aveva cominciato a coprirla di baci insaziabile, riuscendo ad esplorare ogni centimetro del suo delicato e sensibile corpo a mano a mano che le spiegava l'increscioso equivoco con Anthea: una parola e un bacio, un sussurro e un bacio, un'altra parola e un altro bacio, fino alla fine dell'amara spiegazione.
Sprofondarono avvinghiati nel morbido letto, e il bellissimo abito rosa cipria giaceva in qualche angolo della stanza, non più integro, come le aveva promesso.
"E questo cos'è, l'hai messo per me? Mi farai dare di matto, piccola strega", le sussurrò all'orecchio, mentre osservava, languido, lo striminzito intimo di pizzo nude.
Raggiunse l'insidioso gancetto del reggiseno dietro la schiena, provocandole un brivido freddo sull'intero corpo. Intrufolò il pollice e l'indice tra il bordo delle impercettibili mutandine per poi tirarle e strattonarle, fino a strapparle e buttarle al volo da qualche parte.
I sospiri di Elena lo incitarono a proseguire, sollecitando il piacere di avere quella donna tutta per sé. La voleva così tanto, voleva sentire il suo nome urlato da quelle labbra tumide, vogliose, che sembravano indurlo continuamente al peccato.
Quell'angelo biondo lo stava annientando, gli disintegrava ogni pensiero controllato e controllabile.
Possibile che il cinico Caimano si sciogliesse come burro al sole, alla mercé di una donna?
- Hai bisogno di aiuto con le valigie? - le chiese soddisfatto e sereno - se vuoi ti do un giorno di tempo, non di più. Ho avvisato Luisa e Alfredo del tuo arrivo e ti hanno già sistemato la stanza, più che felici - le fece in sorriso sincero, pensando che avesse stregato pure loro.
Aveva finalmente individuato l'obiettivo principale, e nessun ostacolo lo avrebbe più fermato. Voleva Elena con sé, la voleva nella sua vita, era la sua droga, il suo pane, il suo prossimo futuro, era sua.
Era consapevole del cambiamento che stavano per fare entrambi. Erano maturi da un po' ed era arrivato anche per loro il momento per una decisione così importante. Rabbrividì al pensiero che lei potesse rifiutare. Temeva i suoi "ma" e non avrebbe gradito un "no".
- Sei sicuro di quello che stai facendo? - Elena gli chiese timidamente - in fondo ci conosciamo da poco. E se ti accorgessi che non ti piaccio, e se ti stancassi di me?
- Quindi vuoi dire - l'abbracciò tenendola stretta, assaporando in toto l'esile figura appiccicata al suo petto - che io ti piaccio, ma temi che possa essere io a stancarmi di te? Niente di più sbagliato piccola. Ti voglio con me e al più presto, ne sono più che deciso e più che convinto. Quindi, cogli l'attimo e comincia a tirare fuori le cose che ti servono, quello che mancherà lo compreremo insieme, intanto avvisa chi vuoi tu.
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- Sei serio Leo? - il collega dello studio era ancora incredulo, dopo aver udito la strabiliante notizia del momento, degna di essere messa sul giornale - la palombara isterica che viene ad abitare a casa tua a Tramonte? Non ci posso credere...
- E non chiamare Elena in quel modo Amedeo, solo io posso farlo.
- Ma hai pensato almeno a farle sottoscrivere un precontratto, un qualcosa che ti metta al sicuro da un post-litigio? E se non andrete più d'accordo, se uno dei due si rendesse conto che non sta bene insieme all'altro o che non siete compatibili, potrebbe chiederti...
- Frena scimmione - lo interruppe bruscamente l'avvocato - ho avuto modo di conoscerla in ogni suo lato e se fosse come dici tu, non sarei più in grado di fare questo mestiere, perché avrei perso il mio fiuto nel capire la mente delle persone. Non ho mai sbagliato finora e non lo farò certamente con Elena. Lei starà a casa mia, perché ho deciso così. Stop.
- Spero almeno che lei lo sappia - Amedeo ridacchiò quasi sottovoce, come lo dicesse a una terza persona, mentre una palla di carta stropicciata gli arrivò di colpo dritto alla base della nuca.
- E ora fammi andare - gli strizzò l'occhio - ho una splendida donzella che mi sta aspettando. E guardandoti bene, ti devo confessare che non sei il mio tipo, hai le gambe troppo pelose per i miei gusti.
I due si guardarono e scrollando la testa contemporaneamente si scambiarono un sorriso beffardo, scoppiando poi a ridere, come due amici burloni che non sapevano fare altro. Cosa accaduta raramente in quello studio.
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- Lo sapevo! - Brigitta alzò un pugno in segno di vittoria - sapevo che saresti riuscita a farlo capitolare quel pezzo di manzo. Racconta cosa farete adesso, sarà uno spasso passare le giornate insieme su quel Colle meraviglioso!
- Ti confesso che la cosa mi aveva spaventata, ma ho accettato subito - le rispose rassicurante, come se fosse un'altra Elena a parlare - e non l'ho ancora detto a mia madre.
- Credo sia davvero innamorato di te, altrimenti non ti farebbe stare a casa sua. Ed è così figo da fare schifo. Che culo che hai stronzetta, come ti invidio!
- Sì - intervenne Simone con il vassoio delle birre in mano - è vero, Elena ha un bel culo - e scoppiarono a ridere come i quattro liceali di un tempo.
- Andiamo Simone - le rispose di rimando Brigitta, dando una pacca al fondo schiena dell'amico - anche tu non sei messo male dietro, davanti non so...
- Brigitta, contieniti - Giorgia cercava di mantenere un tono serio, concentrandosi soltanto sui consigli da dare all'amica - sono contenta che abbia accettato il suo invito Elena, saresti al sicuro con lui e anche noi saremo più tranquille piuttosto che saperti a casa da sola.
Elena era tormentata al pensiero di quel nuovo inizio. Avrebbe messo da parte il dolore per il suo Riccardo, ma era una svolta importante, una nuova chance che stava dando alla sua vita, anche se il suo ricordo sarebbe stato eternamente incancellabile.
Sentì un caldo sospiro avvicinarsi al suo collo, e un profumo che conosceva troppo bene la invase, facendole socchiudere gli occhi.
- Buonasera a tutti - Leonardo si sedette accanto ad Elena, dopo averle appoggiato le labbra calde sulle sue per un bacio veloce di saluto.
Le prese le mani stringendole e osservò quel vestitino bianco in fantasia, la gonna corta arricciata, che le dava un tono sbarazzino, i capelli sciolti che lo facevano impazzire, ricordando quanto gli piaceva attorcigliarli in una mano per poi attirarla in un bacio famelico nei momenti intimi, quei tacchi che slanciavano due gambe perfette: era decisamente pazzo di lei.
Gli sguardi delle ragazze si fermarono dietro alle spalle dell'avvocato.
- Ciao Leo, che sorpresa, da quanto tempo! È da un po' che ti stavo cercando.
Leonardo sbiancò al suono di quella voce. Non poteva essere, no, dopo tutto quel tempo e dopo tutta la sofferenza che gli aveva provocato la proprietaria di quella voce.
Si girò, trovandosi davanti ancora una bella donna, ma con il cambiamento sul volto e lo sguardo maturato dagli anni passati in lontananza. Gli sembrò di scorgere un velo di tristezza negli occhi, gli stessi che un tempo aveva amato alla follia.
- Cosa ci fai qui? - le rispose duro. Scusa, ma sono con amici - lasciando intendere che non c'era spazio per lei.
- Ti devo parlare Leo, ho bisogno della tua consulenza, è urgente!
- Ci sono tanti avvocati in giro, io non sono libero.
Elena e le sue amiche spaziavano con gli occhi ora sull'uno, ora sull'altra, in un momento di imbarazzo generale.
La donna insisteva con le richieste e l'avvocato continuava a respingerle.
- Verrò nel tuo studio domani, mi dovrai ascoltare per forza.
E girò i tacchi dando un'occhiata di commiato alle tre regazze, passando lo sguardo indagatore su ognuna di loro, e uscì, lasciando un vuoto di sorpresa e curiosità, a cui nessuno dava segno di volersene interessare.
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La signora Wanda suonò al citofono della figlia. Era raggiante ed elegante nel suo portamento da cantante lirica, ma era andata a trovarla con uno scopo ben preciso: avrebbe voluto sentire dalla sua viva voce cos'era successo alla festa, dopo che l'aveva vista scappare alla chetichella. Più volte aveva cercato di chiamarla al cellulare, senza ottenere alcuna risposta.
- Mamma scusa se non ti ho risposto prima, ma sai, la stanchezza, un bicchiere di più...
- Non preoccuparti tesoro, volevo solo avvisarti che Lorenzo ti cercava, Lidia mi ha detto che sarebbe passato da te nel pomeriggio. E poi volevo sapere cos'era successo alla festa, mi devi un sacco di spiegazioni.
Elena si rabbuiò, non sapendo da che parte cominciare il suo lungo racconto. Era seduta comoda sul divano accanto a sua madre, la sua àncora, il suo bastone d'appoggio, il suo confessore, la sua terapeuta, e cominciò a sciogliersi.
La signora Wanda ogni tanto alzava il sopracciglio preoccupata, alternando uno sguardo amorevole nei confronti della sua amata figlia.
- Tesoro, pensaci bene, non voglio vederti star male. Hai sofferto abbastanza. Quello che ti chiedo è di pensare e ponderare bene su tutto. Quell'avvocato mi sembra un bravo ragazzo, ma è anche un bell'uomo e sa di esserlo. Andare a convivere con lui sarebbe un passo molto importante...
**
Lo sfogo con sua madre le era servito a liberarsi la coscienza ed era sempre più convinta che passare del tempo a casa di Leonardo le avrebbe fatto bene. Avrebbe trovato di sicuro la pace interna che cercava da due anni.
Si guardò intorno, osservò il colore delle pareti che lei e il suo Riccardo avevano scelto con cura, i quadri cercati nei mercatini, abbracciati e innamorati come due sposini persi nel folle amore, ma il pensiero fu interrotto dal suono improvviso del citofono.
- Non ci posso credere! Lorenzo! Come sono felice!
Buttò le braccia attorno al collo dell'amico, riconoscendone il dopobarba dolciastro che le rammentò Londra con nostalgia. Si accorse della sagoma di Filippo alle sue spalle e corse ad abbracciarlo con l'entusiasmo alle stelle e non smetteva di tenerlo schiacciato in un abbraccio soffocante. I suoi fratelli londinesi erano tornati a salutarla.
Era troppo felice.
- Ti stacchi da lei che devo salutarla anch'io?
La voce proveniente alle sue spalle la fece commuovere. George faceva il suo imponente ingresso a casa sua. Impensabile! Capelli raccolti sulla nuca, jeans attillati, camicia arrotolata sugli avambracci tatuati, un aitante vichingo venuto appositamente per salutare lei. Tre bellissime sorprese in una.
- Hi baby! - le tenne la testa attaccata al suo petto, le annusava i capelli morbidi, assaporandone il profumo che lo facevano fantasticare ad occhi chiusi.
Elena si staccò, dopo aver sentito un lieve tossicchiare di Lorenzo e li fece accomodare, felice come una ragazzina al Luna Park.
Tornò con la mente a Londra, passando in rassegna i momenti più intensi e si sentì di ringraziare ancora, e con il cuore in mano, i tre splendidi amici per tutto l'aiuto che le avevano dato in un momento difficile e senza nulla volere in cambio.
- Quindi siete ospiti in casa dai tuoi, Lidia sarà al settimo cielo immagino.
- Hanno intuito subito - intervenne il vichingo sorridendo - vedendo comparire sulla porta tre maschi fichissimi e nessuna femmina. Pensa che sua madre gli ha tenuto il muso per un'ora, poi ha ceduto ed ha cominciato a chiedere informazioni a raffica, seguita dal marito che era sembrato una statua di sale fino ad allora.
- Siamo qui per invitarti a cena Elena - Lorenzo cambiò discorso - faresti compagnia a mia madre così avrebbe tutto il tempo per digerire la cosa assieme a mio padre, ovvio, insomma li devi distrarre. E poi ti vogliamo assieme al tuo fustacchione - le passò un braccio sulla schiena - ma prima ci devi raccontare se sei felice, non vedo un gran sorriso sulla tua bella bocca, ti ricordo che puoi contare sempre sul nostro aiuto.
Elena era su un altro pianeta. Due anni di tormento e poi, in così poco tempo, si trovava con tre amici in più e un uomo stupendo che sapeva capirla e renderla felice. Sperava solo che non fosse tutto un sogno effimero che potesse svanire il mattino dopo, e addio felicità.
**
Tramonte sembrava "L'Isola che non c'è", immersa nei colori e gli odori che lo spettacolo della natura aveva riservato a quel piccolo pezzetto di mondo dorato.
Alfredo aprì la cancellata per far entrare l'auto del notaio De Vittis e di sua moglie, i quali, una volta alla settimana facevano visita al figlio, che vedevano di rado a causa del suo troppo lavoro.
Con una scusa qualunque la signora Gloria lo controllava e si faceva partecipe nel condividere la compagnia, diceva, per spezzargli la solitudine. Più volte il figlio le aveva fatto capire che non era mai stato da solo, che riempiva da sé tutti gli spazi di tempo libero a suo piacimento, donne comprese. Ma la madre era un martello pneumatico che batteva e batteva, fino allo sfinimento.
- Alfredo, è in casa mio figlio?
- No signora, ma c'è la signorina Elena, se vuole.
- Elena?
La mente della donna cominciò a lavorare ed elaborare. Il suo Leonardo non portava donne a casa, quindi, quella Elena era sicuramente l'architetto che avrebbe dovuto restaurare qualcosa.
Giusto.
Suo figlio aveva apprezzato le abilità di architetto.
Fortunatamente, quella brutta faccenda di Gisella si era conclusa in fretta e senza danni per nessuno. Gloria avrebbe voluto dimenticare tutto, e un po' si vergognava davanti a quella ragazza, ripensando al proprio indegno comportamento.
- Elena che sorpresa, cara - la donna l'abbracciò con due baci sulle guance - mio figlio ti fa lavorare, vedo.
Scommetto che vuole restaurare la parte ovest che è quella più tetra...
Elena era impacciata davanti a quella donna, le evocava momenti dolorosi che avrebbe voluto dimenticare.
- In realtà, signora Gloria, stavo sistemando una stanza degli ospiti.
- Ah ecco!
E sospirò, constatando che aveva visto giusto. Suo figlio l'aveva delegata per un lavoro, magari per la ragazza che le avrebbe presentato, come le aveva promesso.
L'avvocato apparve sulla soglia sorridente, spensierato, jeans e camicia sbottonata e uno scatolone in mano.
- Mamma, papà, cosa ci fate qui?
- Sai tesoro "Se Maometto non va alla montagna...".
- Scusatemi solo un secondo che porto questa roba nella stanza di Elena. Arrivo subito.
I due coniugi cominciarono a guardarsi in faccia l'un l'altro, sorpresi.
- Ha dato il tuo nome ad una stanza, cara? - chiese stupita la donna.
- Oh no signora - intervenne Elena - voleva dire che stava portando i miei vestiti in una delle stanze, perché mi ha offerto di stare qui per un po', sa, per la mia sicurezza.
I due si guardarono e si sedettero contemporaneamente sul divano, senza aver capito fino in fondo le intenzioni del figlio.
- Gloria, che ne dici se li facciamo continuare da soli e li lasciamo alle loro faccende - il notaio si alzò, non volendo disturbare oltre le brighe del figlio.
- Ma Gianni scusa, siamo appena arrivati e non ho ancora parlato con Leonardo.
- Smettila di curiosare Gloria, andiamo - e prese la moglie per un braccio per non mettere in imbarazzo, né la ragazza né il figlio con le possibili e imprevedibili domande della moglie.
E uscirono borbottando con la curiosità in gola: se aveva portato a Tramonte una ragazza e l'aiutava a sistemarsi in una delle stanze, allora era un fatto da segnare assolutamente nell'agenda.
Era meglio non chiedere, per il momento.
Elena ritornò nella stanza, impaziente di stare vicino al suo Leonardo, amava averlo accanto, scoprire ogni suo lato e conoscerlo ogni momento di più.
- Leo, i tuoi se ne sono andati, sarò stata io a spaventarli?
Due braccia forti la sorpresero da dietro facendole uscire un gridolino di sorpresa.
- Vieni qui signorina Weill - la girò con il viso davanti al suo e la osservò da sotto in su non resistendo a baciare quelle labbra che lo invitavano vogliose sulle sue.
- Voglio abituarmi a tutto questo - le tirò indietro i capelli sul capo con entrambe le mani - vederti girovagare per casa, averti ogni momento tutta per me, poterti abbracciare in ogni secondo, sapere che ho in casa una dea da viziare, da coccolare, proteggere, abbracciare, mi fa impazzire solo l'idea.
- Se vuoi proviamo a farlo diventare più che un'idea - gli mise le braccia attorno al collo, entrando nel suo sguardo per poi abbassare gli occhi sulla bocca carnosa - ma a una condizione: che possa terminare il mio quadro in santa pace senza alcun troglodita che mi denunci.
Nessuno era più felice di loro.
Stavano superando, dopo anni di fatica sofferta, la soglia del dolore per abbandono che avevano vissuto entrambi, seppur in modo diverso.
Pervasi da una fiducia reciproca, erano sufficientemente adulti per riconoscere una relazione personale di lavoro o di amicizia, da quella sentimentale.
Era quest'ultimo il loro caso?
Erano due persone intelligenti che si stavano mettendo in gioco con qualcosa di inaspettato.
Era un inizio, un meraviglioso, splendido, futuribile inizio.
**
- Andreina, non mi passi nessuno al telefono per le prossime tre ore, sono indietro con alcuni fascicoli e ho bisogno di concentrazione.
- Sì dottore, le posso portare un caffé?
- La chiamo io nel caso ne avessi bisogno, non ho tempo per il caffé Andreina.
Liquidò la solerte segretaria, sospirando al pensiero di quel caso ostico che lo angustiava e non poteva perdere altro tempo.
Uno stalker violento che tormentava la sua ex, implicato in traffico di droga. Affare complicato e pericoloso. Non aveva ancora incontrato la controparte e aveva bisogno di saperne di più, per poter attuare la miglior strategia.
- Dottore mi scusi - la segretaria entrò dopo aver bussato.
- Le avevo detto di non disturbarmi per nessun motivo...
- Ciao Leo - la donna che era stata il suo tormento entrò titubante, ma fiera - scusa, ho insistito io. Dobbiamo parlare, stai seguendo il caso del mio ex e devo spiegarti alcune cose, prima che il processo vada oltre.
L'avvocato sprofondò sulla sedia, esterrefatto.
- Allora il tuo avvocato ti avrà informata che non puoi parlare del caso con me - cercò di guardarla dritto negli occhi, sfidando se stesso.
- Infatti sono qui come amica...
Leonardo sbatté i palmi delle mani sulla scrivania.
- Ma ti senti? Sei qui come amica? - ribatté stizzito alzandosi con la voglia incontrollabile di sfogarsi con lei, una volta per tutte.
- Senti Leo, mi dispiace per tutto, ok?
Ma ho bisogno di parlarti di mio marito, ex marito.
- Non qui, se vuoi parlarmi da "amica" andiamo a parlare al bar. Questo è un posto serio e non fa per te.
**
Il bar era affollato e rumoroso quella mattina, e le due ragazze si sorpresero, appena entrate per poter degustare il loro caffè quotidiano.
- Brigitta, abbiamo sbagliato mattina, ci sarà qualche sciopero in giro. Ma dove va tutta sta gente!
- Dai mettiamoci là in fondo, mi sembra che ci siano due posti liberi, mi devi dire esattamente quello che avete fatto voi due lassù in collina, non credo abbiate giocato a Monopoli tutta la notte...
Si fermarono entrambe, dopo aver visto una persona dall'aspetto familiare che si abbracciava con una giovane ragazza, bel fisico, jeans attillati e culo in bella vista, tacchi a spillo, capelli lunghi neri, e rimaneva ferma con la testa appoggiata al petto di lui, ben felice di starci. A guardarla bene sembrava proprio la sua ex che avevano visto al pub quella sera.
- Beh! - Brigitta fu la prima a parlare - magari non è quel che sembra, ma abbracciati lo sono, e da un po'.
Elena non voleva sembrare gelosa, aveva fiducia in lui, magari non era quel che sembrava. Certo, vedere che la sua ex gli metteva le braccia al collo e lo baciava, anche se solo sulla guancia, non la faceva stare più tranquilla.
Brigitta consigliò di andarsene e lasciare in pace i due. Elena era sicura che Leonardo glielo avrebbe raccontato serenamente, magari dopo cena sul divano in tutta tranquillità, nel silenzio ciarliero di Tramonte.
O forse no. Quella ragazza poteva essere innamorata, e lui era comunque libero, pensò con amarezza.
**
Quel Colle le dava un senso di pace che la faceva stare bene, come in una Spa. Non era abituata a tutto quel ben di dio che Leonardo le aveva messo a disposizione e che avrebbe voluto condividere con lui. Lo stava aspettando impaziente, voleva sapere, immaginava la sua giornata difficile, ma era pur sempre una donna curiosa del suo uomo. Lo avrebbe ascoltato, capito, coccolato.
A pranzo le aveva telefonato scusandosi, perché non poteva raggiungerla, era troppo indietro con il lavoro, le aveva riferito.
L'orario della cena era passato e non lo aveva più sentito da allora. Era indecisa se chiamarlo o no. Se era a lavoro, non lo avrebbe disturbato, lo avrebbe aspettato e basta.
Il bip del cellulare le fece alzare la testa dal bracciolo del divano su cui si era, prima assopita e poi addormentata, e si rimproverò per non essere riuscita a stare sveglia, mentre scorreva i messaggi che Leonardo le aveva mandato.
Le diceva di cenare senza di lui, perché aveva avuto un problema. "Ti spieghierò quando torno" era l'ultimo messaggio.
Il display segnava le tre di notte.
Si alzò intorpidita e pensò di farsi un caffè. Era ancora una volta da sola, in una grande casa silenziosa, lontana dal resto del mondo. Nemmeno il rumore delle auto che a casa sua, a volte, la svegliavano di notte ed era preoccupata per il suo Leo. Era forse pericoloso il suo lavoro, era sua abitudine lavorare di notte?
E se fosse assieme alla ragazza mora? Era stata importante per lui in passato. E se avesse pranzato e poi cenato con lei, se in quel momento fosse addormentato vicino a lei?
Non riusciva a scacciare l'immagine del bar e le venne da sorridere, pensando alla sua insensata gelosia che la faceva tornare ragazzina, acerba, inesperta, con le pene d'amore che le formicolavano nel petto.
Si avvicinò alla finestra, sollevò un lembo della tenda e osservò il piombo del cielo, perforato da un disco giallo intenso che indorava il verde scuro delle cime frondose nel boschetto di sotto.
Un momento surreale, un effetto ottico che ingannava la realtà. Elena si sentiva dentro un momento lontano nel tempo e la sua anima infantile vagava su Tramonte, temeraria, solitaria, timorosa, avventuriera: una Peter Pan nella sua lontana "Isola che non c'è", completamente immersa nel suo magico mondo.
E come ci stava bene dentro!
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