12 Tutto torna
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Elena si svegliò intorpidita, aprì un occhio per scrutare il posto in cui si trovava, cercando di associare nella mente le immagini della sera prima.
Scalciò le lenzuola, stava ricordando bene. Aveva passato la notte assieme al suo incubo di passione e in quel momento, appena sveglia, lo avrebbe voluto accanto a sé, e intanto osservava il posto vuoto nel letto.
Si alzò proprio quando, con gradita sorpresa, il suo bellissimo incubo stava uscendo dalla porta del bagno con un piccolo asciugamano attorno alla vita. Uno spettacolo greco, pensò prontamente la ragazza, osservando quel corpo magnifico ancora umido di doccia.
- Buongiorno dormigliona, dove stai andando? - e la guardò con ammirazione - quanto sei bella anche di mattina appena sveglia, vieni qui, fatti vedere.
Elena si avvicinò e il profumo del bagnoschiuma la investì come un treno con tutto il suo seguito e la coinvolse dentro un uragano con tutta la scia. Si sarebbe persa soltanto ad annusarlo, scrutarlo, soppesarlo, misurarlo millimetricamente, come un gesso del Canova.
- Aspettami che arrivo subito - gli sussurrò, non resistendo all'impulso di baciarlo.
E lo baciò con passione e trasporto, perdendosi con la mente tra quelle labbra morbide e dolci. Si sentiva leggera, in un prato verde profumato di serenità e il cielo azzurro a fare da sfondo, mentre la fantasia correva scalza sulle nuvole dei suoi pensieri.
Lavò sotto la doccia l'odore della notte prima e tornò veloce nella camera da letto, dove Leonardo l'aspettava, tranquillamente seduto sulla comoda poltroncina.
- Senti, mia bellissima palombara, ti devo confessare che non posso resistere, se te ne vai in giro così per casa e ti piazzi davanti a me in mutandine di pizzo e il culo che si agita davanti ai miei occhi. Ti conviene venire subito a salutarmi come si deve, se non vuoi essere punita.
In un attimo la prese come un sacco di patate e la buttò letteralmente sul letto, cosa che la fece ridere sguaiatamente. Si sentiva una bambina allegra e spensierata con lui, come non le era più capitato dopo il periodo di apatia e sofferenza degli ultimi due anni.
- Quando sei con me, devi stare con niente addosso - e le tormentava con l'indice il bordo di quel piccolo pezzetto traforato - ti voglio tutta per me, solo per me, ogni centimetro del tuo corpo davanti ai miei occhi e solo per me.
Si alzò di colpo dal letto e si avvicinò alla scrivania, tornando poco dopo con un paio di forbicine recuperate chissà dove e cominciò a tagliare lentamente il pizzo della mutandina all'interno della coscia, dall'inguine in su fino al ventre. Un'agonia per Elena che si elettrizzò nel sentire il freddo dell'acciaio che faceva da contrasto contro il bollore di quella parte di pelle sensibile che tremava eccitata.
- Ferma piccola, non ho finito - e tagliò dalla parte opposta quel piccolo triangolino insignificante, lasciando scoperta la sua parte intima più segreta in bella vista e solo per lui, come voleva lui.
-Leo, proprio queste, mi piacevano troppo - lo sgridò ridendo, come fosse sottoposta ad un solletico forzato, quasi ringraziandolo della sorpresa, una fantasia di gioco che non aveva mai provato prima.
- Ssh, piccola, lasciami lavorare, ti compro il negozio intero, ma sappilo, ogni volta che ti vedrò in mutandine quando sarai a letto con me, te le taglierò con queste stesse forbicine, è una promessa.
Quell'uomo la spiazzava in continuazione. All'inizio lo aveva odiato, poi aveva cominciato a sentire scosse di brividi in tutto il corpo ogni volta che lo vedeva, una sensazione piacevole che non credeva potesse coinvolgerla in quel modo. Le sembrava di stare ricominciando a vivere.
Un dubbio si insinuò nei suoi pensieri. Poteva essere solamente un impulso sessuale, quella voglia famelica di lui? Troppa astinenza la stava portando tra le braccia del primo che le era capitato davanti, pensava, constatando quanto stesse bene tra quelle braccia.
Si ridestò di colpo, realizzando che, probabilmente si era addormentata di nuovo tra le sue braccia e sorrise ricordando proprio quelle braccia che l'avevano avvolta, accarezzandole delicatamente le spalle, appoggiato con il mento sulla sua fronte. E la notte passata a fare tutt'altro che dormire, l'aveva indotta a chiudere gli occhi in quel modo, in quel piacevole momento, in quella sensazione di pace che l'aveva fatta riaddormentare come un bambino.
Si alzò, sperando di trovarlo in cucina. Nessun rumore proveniva dal resto della casa e ricordando le sue parole della sera prima, avrebbe potuto già essere nello studio.
Nessun indizio della sua presenza, solo il ricordo delle sue mani, il suo profumo, lo sguardo profondo, quel corpo caldo sopra il suo che non riusciva a dimenticare, i suoi modi eccitanti, sensuali e s'incantò con uno sguardo ebete, immaginando la scena vissuta con lui qualche ora prima.
Si aggirò per la cucina, il caffè era stato da sempre la sua droga per iniziare la mattinata e sorrise come una scema innamorata, quando lesse il bigliettino lasciato dal suo avvocato, proprio sotto la macchinetta del caffè: "Semplicemente grazie".
E c'era scritto tutto, in quel "grazie".
Si rilassò sotto la cascata massaggiante della sua adorata doccia, la quale era stata una buona compagna in quei due anni di solitudine e pensava, mentre infilava i suoi jeans, alle vicende che si erano susseguite in un lasso di tempo troppo breve. Le era accaduto di tutto in un breve, misero, fottuto mese. L'unico fatto positivo era l'aver conosciuto alcuni amici e un seduttore seriale che sapeva metterla ko soltanto con il suo fascino.
Si passò velocemente con la mano i capelli non ancora spazzolati, dopo aver sentito il campanello di casa. Corse alla porta sentendosi al settimo cielo al pensiero di trovarsi Leonardo davanti, ma il corpo si bloccò subito dopo averla aperta.
- Buongiorno tesoro - la chiamava tesoro, adesso?
- Buongiorno Gisella, cosa fai a casa mia e come fai a sapere il mio indirizzo?
- Tesoro, tu mi hai cercato al lavoro, quindi doveva essere urgente e poi, sono sempre stata a fianco di un avvocato che tra poco sposerò, quindi, trovare un indirizzo non è così difficile. Ma non mi fai entrare? Dovrei dirti alcune cosette.
Elena si trovò tra due fuochi: una donna incinta, anche se poco raccomandabile, innamorata, che voleva difendere il suo amore e il futuro di suo figlio, tutto molto comprensibile. Dall'altra, una donna gelosa che si vedeva usurpare il posto nel cuore dell'amato e quindi disposta a fare di tutto per eliminare la concorrenza, magari anche fisicamente. Perché quello pensò Elena rammentando le parole di Leonardo: "Stiamo indagando su Gisella e crediamo sia implicata anche nel caso delle foto".
La donna si fece spazio, spostando leggermente la padrona di casa ed entrò con un sorriso ambiguo sul volto guardandosi intorno curiosa, forse per scoprire di più sul personaggio che avrebbe dovuto contrastare.
- Ti starai chiedendo cos'ho da dirti, immagino. Sai, la mia dipendente Marika che hai incontrato ieri da me, la conoscevi già, per caso? - Elena negò con la testa, mentre ricordava benissimo come l'aveva incontrata e proprio davanti a casa sua - mi ha detto che mi cercavi ed eccomi qui in persona. Sai - e si avvicinò, facendo irrigidire Elena che aprì gli occhi guardinga, sperando nella telepatia per far arrivare al più presto qualcuno dei suoi amici - sono incinta di Leonardo, puoi ben capire l'importanza della cosa, ti è chiaro il concetto? - Elena accennò un sì con il capo - saremo una famiglia tra poco e con l'aiuto di Gloria ci godremo la nostra vita insieme, finalmente - e si accarezzò il ventre.
Elena pensò di prendere tempo, non riusciva ad inquadrare il personaggio e non sapeva bene come comportarsi con lei. Non aveva dato segni di escandescenza finora, non l'aveva insultata né minacciata, ma aveva un'aria inquietante, un'aura sinistra intorno che la faceva dubitare tenendosi a distanza, mentre cercava di ricordare alcuni concetti base di psicologia applicata che Brigitta le suggeriva di quando in quando.
- Ti posso offrire un caffè Gisella? - cercò di tergiversare.
Sentirono la vibrazione del cellulare sul tavolo e Gisella fu svelta a raccattarlo con la mano.
- Lasciamolo suonare, stavamo facendo un discorso importante. Dicevamo: Gloria mi ama come fossi sua figlia e faremo di tutto, io e lei, per non fare distrarre Leonardo, capisci cosa intendo, vero? - e intanto controllava il display sul cellulare - ti volevo solamente avvisare che Leonardo è mio, ama solo me, avremo un figlio e saremo marito e moglie tra pochissimo, ti è tutto chiaro?
**
- Non capisco perché non mi risponde - Leonardo si agitava sulla sedia dello studio - Andreina mi chiami subito lo studio Franti e chieda urgentemente del dottor Lucio Soleri, si sbrighi.
L'avvocato si alzò nervosamente e a lunghi passi uscì dallo studio per avvicinarsi alla scrivania della segretaria che stava parlando al telefono. In modo rapido glielo prese dalle mani e alzò la voce a chi stava dall'altro capo.
- Sono l'avvocato De Vittis, mi passi immediatamente il dottor Sileri, veloce - alzò il tono sull'ultimo ordine.
- Calma avvocato - Lucio cercava di stemperare la pressione ansiosa dell'amico - sarà in bagno, in giardino, non preoccuparti, Elena è una ragazza intelligente e forte, ci avviserebbe se si trovasse in difficoltà.
Leonardo aveva la testa carica di informazioni: sulla scrivania un fascicolo di un processo ingarbugliato che aspettava di essere preso in considerazione, sua madre che lo chiamava preoccupata ad ogni ora per avere notizie sul caso Gisella, e la preoccupazione per Elena, dopo che il capitano lo aveva avvisato che la "pedinata" aveva fatto perdere le proprie tracce, come un'esperta criminale.
- È meglio se vai a controllare - gli disse il collega Amedeo, dopo aver visto il Caimano in apprensione, le mani sui capelli, il volto pensieroso - resto io qui. E chiama anche Aureli e se ci sono problemi avvisatemi.
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Leonardo insisteva con il campanello di casa della sua Elena. C'era la sua Porche fuori, ma nessuno veniva ad aprire, mentre il cellulare suonava a vuoto, e un senso di nausea mai provato prima lo stava minando internamente e lo faceva sentire per la prima volta "vulnerabile".
- Aureli muoviti cazzo, io sfondo la porta.
- Non fare mosse avventate Leo, non hai un mandato e non sappiamo chi o cosa ci sia dentro, magari è uscita semplicemente a fare la spesa. Calmati e aspettami che sto arrivando.
Il battito nel petto dell'avvocato era fuori controllo, dopo che furono entrati. In casa non c'era nessuno, nessun oggetto fuori posto, niente che potesse testimoniare un rapimento, una lotta, un costringimento coatto, ma il cellulare sul tavolo della cucina non faceva presagire niente di buono, perché Elena non si sarebbe mai allontanata senza il suo cellulare appresso.
- Cristo! Cosa facciamo adesso? - l'avvocato guardò il suo amico, privo di forza nel pensiero.
La faccenda lo stava annientando, aveva solo il desiderio di fare una dormita e alzarsi il mattino dopo con la consapevolezza che fosse tutto un sogno, tutto un fottutissimo sogno.
Il capitano faceva chiamare la psicologa, continuamente, sul cellulare di Gisella, la quale non rispondeva.
La signora Gloria non aveva più notizie della povera ragazza messa incinta da suo figlio e si teneva costantemente in collegamento con lui e il capitano per seguire gli sviluppi; non poteva credere che una ragazza così gentile potesse avere macchinato una cosa così orrenda, anzi, bisognava aiutarla, era la madre di suo nipote.
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Casa De Vittis era immersa nel silenzio, tranne il salotto che era occupato dalle tre donne che si stavano spiegando, pacatamente, alternando le voci con domande, spiegazioni e considerazioni reciproche.
- Dunque, cara architetto - la signora Gloria si rivolse ad Elena con la voce seria - come diceva Gisella, lei e mio figlio si sposeranno a breve e confido sulla tua serietà, onestà e intelligenza, per lasciare andare mio figlio, cara. Se sono solo faccende di letto sono destinate a finire. Mio nipote avrà una famiglia e sarà per sempre, almeno finché ci sarò io. Ovviamente avrai una cifra depositata a tuo nome per il disturbo arrecato da mio figlio. Prendilo come una liquidazione onorevole, sei giovane e bella, cara, riuscirai a trovare qualcuno di sicuro e presto.
La ragazza si alzò tremando per la situazione assurda, scomoda e imbarazzante in cui si era venuta a trovare. Era stata trattata da sgualdrina. Non avrebbe mai voluto intromettersi né tantomeno rovinare una famiglia, e si accusò mentalmente, vergognandosi come una ladra.
- Vi chiedo scusa, ma ora che ci siamo chiarite vi lascio alle vostre cose. Mi dovreste chiamare un taxi per favore, non ho il cellulare e non scomodarti ad accompagnarmi Gisella.
E salutò con un leggero tono di voce le due donne che la stavano osservando compiaciute.
Si maledisse, durante tutto il tragitto in taxi, per aver ceduto ancora, come un'adolescente in crisi ormonale e senza ritegno a quel bellissimo pezzo d'uomo, consapevole che ci fosse di mezzo una donna incinta.
Si vergognava a pensarlo e le passarono davanti le raccomandazioni della sua famiglia nei suoi anni di crescita, con tutti i sani princìpi e consigli morali annessi. Li aveva delusi in toto.
**
Il capitano irruppe, assieme al Caimano, in casa De Vittis. La signora Gloria aveva risposto al telefono finalmente, dopo l'ennesimo tentativo di Leonardo, preoccupato per tutte le telefonate mandate alle tre donne e andate a vuoto nelle due ore precedenti.
Trovarono Gisella e Gloria amichevolmente sedute a chiacchierare, come fossero appena tornate da una passeggiata rilassante.
- Buongiorno signorina - intervenne il poliziotto davanti a Gisella, appurato che Elena se n'era andata via in taxi, sana e salva, poco prima - mi presento, sono il capitano Aureli e sono qui per accompagnarla nel mio ufficio a rilasciare una testimonianza molto importante. La prego, mi segua.
-Mi scusi, ma io non ho niente da testimoniare - ribatté prontamente Gisella - son venuta a trovare la mia futura suocera e se non lo sa, sono pure incinta e una donna incinta non può avere traumi, non è vero, tesoro? - si rivolse all'avvocato che non aveva ancora detto una parola, seccato, irritato, con un senso di fastidio solamente a sentire la sua voce e una voglia matta di rincorrere Elena in quel dannato taxi.
- Che lei sia incinta è tutto da vedere signorina - la dichiarazione lasciò di stucco i presenti, compresa lei stessa - è per questo che dovrà venire con me. Ci sono alcune prove che indicano il contrario. E già che ci siamo, dovrà spiegare anche la motivazione che l'ha spinta a far recapitare quelle foto false alla signorina Weill e al dottor De Vittis.
La donna si agitò sulla sedia sbiancando e subito dopo imporporando le guance di vermiglio.
- Gloria, perché non dice niente in mia difesa, lei ha visto la mia ecografia, glielo dica - Gisella alzò la voce con un chiaro sintomo di agitazione.
- Jacopo - intervenne perplessa e scioccata la signora Gloria - che storia è questa, perché tutti contro questa povera ragazza, è vero, ho visto l'ecografia, cosa avete tutti!
- Mamma non intrometterti - la interruppe Leonardo infastidito - siamo tutti curiosi di sapere la verità dalla bocca di Gisella, se vuole continuare la sua vita fuori dal carcere, altrimenti, sa cosa l'aspetterà nel caso fosse implicata in questo imbroglio. Sarebbe accusata di parecchi reati e non le converrebbe mentire, non è vero Gisella? - la guardò infuriato.
- Scusa Leonardo - Gisella girò il capo verso l'avvocato con occhi che sembravano chiedere pietà - potrei parlarti in privato, per favore?
**
Elena si trovò seduta sul letto che aveva ancora l'odore di Leonardo e sentì una fitta dolorosa fin dentro le viscere. Era caduta troppo in basso.
Rammentò il tempo passato con Riccardo, il tempo migliore della sua vita, ricordò il trauma e le conseguenze dolorose della sua scomparsa, rivide la dignità del suo percorso di vita passato tra studio, affetti, amore, felicità. E allora, perché si sentiva sconfitta, umiliata, addolorata, come se avesse perso di nuovo qualcuno di importante?
Si sentiva sola, abbandonata. Aveva evitato di rispondere alle telefonate di Leonardo e dei suoi amici, perché si sentiva vigliacca, avrebbe tanto voluto parlare con lui, come era solita fare quando le si presentavano i problemi, ma sapeva che non avrebbe resistito davanti a lui, non l'avrebbe lasciato andare, lo avrebbe certamente abbracciato e sarebbe stata la sua fine. Ma non sarebbe stato giusto nei confronti di quel bambino innocente che doveva ancora nascere. Avevano ragione Gisella e la signora Gloria, lei doveva starne fuori.
Bloccò il cellulare, avrebbe telefonato più tardi ai suoi amici che continuavano a chiamare, mandando messaggi preoccupati e si meritavano una sincera spiegazione. Era amareggiata, distrutta.
Si rannicchiò sopra le lenzuola con gli occhi gonfi e la testa che pulsava. Immagini le scorrevano davanti: Leonardo che le sorrideva sensuale, Gisella che l'accusava di tradimento, la signora Gloria che la rimproverava maternamente, i suoi amici che la osservavano, uno ad uno, con sguardo accusatorio.
La voglia di ritornare a Londra era troppo forte. Sarebbe sparita senza dire a nessuno la sua meta. Sua madre sarebbe tornata a giorni e sarebbe stata un pensiero in più da trattare.
Caos, confusione, non era lucida, non sapeva cosa fare, come agire, con chi parlare.
Voleva solo sparire, far perdere le tracce, avrebbe voluto cambiare identità e sparire in capo al mondo per sempre.
Sarebbe stato un dolore troppo forte dimenticare Leonardo, abbandonare i suoi amici, dare una valida spiegazione a sua madre dei fatti accaduti, uno dietro l'altro.
Si sentiva imbrogliata dalla vita, quella vita che non voleva vederla felice, che la voleva senza amore, senza una famiglia, senza i suoi amici... e intanto Morfeo l'accoglieva lentamente tra le sue ipnotiche e rassicuranti lunghe braccia, tenendole segreta e nascosta nel sonno, anche l'ora dolorosa del suo risveglio.
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