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Un caffè macchiato!

La vita è come il caffè: puoi metterci tutto lo zucchero che vuoi, ma se lo vuoi far diventare dolce devi girare il cucchiaino. A stare fermi non succede niente.
(Anonimo)

Erano già passate due settimane del mio arrivo alla grande mela e il rumore incessante dei taxi gialli e il borbottio delle persone al telefono erano già parti integranti di me. Per vivere a New York avevo comprato un piccolo appartamento sulla W 74th St sopra al Patsy's Pizzeria. La finestra della sala dava sulla strada e potevo ammirare in tutto il suo splendore il palazzo davanti. Ci volevano soltanto 8 minuti per arrivare al lavoro: un affare!
Il giorno in cui atterrai, e dopo aver cercato di attirare l'attenzione di qualche taxista, andai direttamente a casa, senza fare nessun giro turistico. Era un piccolo appartamento spoglio con solo un televisore con il tubo catodico, un letto che dava sulla strada, la finestra con il davanzale per leggere e dei fornelli per la cucina.
Non feci neanche in tempo a girare la chiave che una ragazza mi picchiettò la spalla ben due volte. Quando mi girai la vidi. Era una ragazza ispanica: carnagione olivastra, capelli mori e occhi marroni. Mi disse che lei era la mia vicina di casa e che il suo nome era Dajanara Fernández; come la modella portoricana che era stata eletta Miss Universo nel 1993.
Legammo subito.

Le prime due settimane passarono lente ma piene di impegni. Iniziai a lavorare il giorno seguente all'atterraggio. Il mio compito era quello di accogliere i turisti e fargli fare un giretto per le varie sale del museo. La maggior parte di loro proveniva dalla Cina e dalla Spagna.
Era il 28 Settembre e uscì di casa alle 9:30. Il museo apriva alle 10:00. Procedei in direzione sudest su W 74 th St verso Central Park West, svoltai a sinistra e presi quest'ultima e in men che non si dica ero arrivato sulla bellissima scalinata in marmo del museo.
La giornata passò veloce. Quel giorno arrivò un gruppo di egiziani e li portai nelle sale spiegandogli ogni minima cosa: dalla più banale alla più conosciuta.
Erano le 12:30 e come ogni giorno avevo a disposizione ben 30 minuti di pausa e così decisi di sfruttare quei "pochi" minuti per andare allo Starbucks più vicino. Presi il mio telefono e andai a cercare su Google Maps. Quello prossimo era sulla Columbus Avenue che distanzava 6 minuti da dove mi trovavo io. Attraversai in direzione Nordest su Central Park verso W 81 st St poi svoltai a sinistra e presi W 81 st St e infine svoltai a destra e presi Columbus Avenue.

@JonathanDeSanto 🌙

📍Starbucks: un'angolo di paradiso


Spinsi la porta ed entrai. Appena misi il muso dentro il negozio fui investito da un'ondata di cannella e spezie varie. Mi diressi al bancone e ordinai un caffè macchiato. La ragazza piena di tatuaggi e con un piercing sul labbro inferiore, mi chiese il mio nome e poi lo scrisse sul bicchiere.
Mentre aspettavo il mio ordine mi misi seduto vicino ad una enorme finestra di vetro e iniziai a curiosare con lo sguardo. Tantissime persone, indaffarate con la loro vita, parlavano al telefono e tastavano sul computer. Una coppia di neo-genitori si prendeva una piccola pausa, chiudendo gli occhi e rilassandosi ascoltando il rumore della panna che veniva montata o annusando i profumi che aleggiavano nell'aria e una fila di persone aspettavano il loro turno impazienti di bere una bella bevanda calda. Dopo alcuni minuti sentì chiamare il mio nome e ritornai al bancone. Questa volta non c'era la ragazza dei piercing ma bensì un ragazzo.
Era un ragazzo di colore; occhi marroni ma intensi, incapaci però di trasmettere i sentimenti. Sotto il capello con il logo del negozio, potevo vedere i suoi capelli corvini, disordinati ma ben curati. Sul taschino c'era un cartellino sopra il quale c'era stato scritto con la matita: "Jacob".
Lo guardai per una frazione di secondi e lui ricambiò lo sguardo con un bel sorriso, mostrando i suoi denti bianchissimi. Poi lo ringraziai e ritorni al mio tavolo.
Sorseggiai il mio caffè, e quando toccò le papille gustative esse andarono in estasi: era bevanda fatta dagli dei.
Guardai l'enorme vetrata, curiosando ancora con lo sguardo le persone che passavano.
Ero davvero felice di abitare a New York. Ad abitare nella grande mela.

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