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Capitolo 1


Mille bollicine lasciarono la sua bocca per salire veloci verso la superficie, oscurandole per un attimo la vista. L'aria cominciava a scarseggiare e i polmoni iniziavano a dolere.

La ragazza fece un paio di bracciate, affrettandosi a raggiungere la sua meta. Aveva scoperto una colonia di spugne poco più in là della scogliera dove era solita fare immersioni, e proprio là in mezzo aveva trovato un' ostrica perlifera. La raggiunse nell'esatto momento in cui consumò l'ultima molecola d'ossigeno e le membra bruciavano dolorosamente.

Tirò fuori dalla tasca dei pantaloncini un coltellino con il quale la staccò delicatamente dallo scoglio. Con il suo tesoro in mano iniziò la risalita, faticando dalla stanchezza e le correnti forti presenti là sotto. Sapeva che le immersioni in apnea non erano consigliate, soprattutto dove le correnti potevano travolgerti e le profondità erano abbastanza grandi. Ma amava le sfide, e quella era l'ennesima.

Con un ultimo sforzo raggiunse la superficie, accogliendo con gioia l'aria di prima mattina che la investì. Appena sentì la sabbia sotto i piedi si lasciò cadere a peso morto sulla battigia per riprendere fiato, troppo esausta persino per raggiungere l'asciugamano. Non appena respirare tornò ad essere un'azione normale, si mise a sedere e tirò fuori il suo trofeo per aprirlo col coltellino.

Sorrise nel vedere il piccolo gioiello all'interno dell'animaletto luccicare sotto i primi raggi del sole. La strinse al petto con un sorriso compiaciuto, soddisfatta di aver superato i suoi limiti ancora una volta. Non era un'incosciente, ma perfezionista sì, e cercava, dove poteva, di migliorarsi. Come le immersioni in apnea.

Lasciò che la brezza marina le scompigliasse i capelli corvini, mentre come una bambina sulle labbra la punta della lingua per catturare gocce salate. La Galway Bay aveva un che di magico in quei rari istanti in cui non c'era nessuno. Cielo e terra si univano in un'unica miscela di azzurro, oro, bianco in mille diverse sfumature.

Rimase lì, cullata dal vento e dall'acqua che le accarezzava le caviglie, finché il sole non arrivò a illuminarla completamente. Era il momento di andare, prima che si rendessero conto della sua assenza, pensò con un sospirò.

Cercò di scrollarsi di dosso più sabbia possibile. Raccattò velocemente le sue cose, si cambiò ancora più in fretta dietro ad un costone di roccia e scorse il telefono in cerca di eventuali notifiche.

Dieci chiamate perse di Kevin, suo cugino, e la cosa non le piacque per niente. Si trattenne dallo sbuffare mentre lo richiamava, la parola guai scritta a caratteri cubitali nella mente.

"Ehi, Kid!"

Quando iniziava con i nomignoli voleva ingraziarsela, e se voleva ingraziarsela significava una cosa sola: grossi guai.

"Cosa c'è Ken?" cercò di tagliare corto.

"Hai lasciato il buon umore in fondo al mare, sirenetta?" scherzò lui.

Kida sentì un istinto omicida crescere di colpo. "Dimmi cos'è successo o mi sento libera di sbatterti il telefono in faccia" minacciò. Era l'unico a sapere delle sue scappatelle alla spiaggia nei weekend, ma ciò non toglieva che potesse rompere la bolla felice di quei momenti.

"Ok, ok scusa." Fece marcia indietro, tornando serio. "Stasera abbiamo una corsa."

La ragazza alzò gli occhi al cielo, maledicendo il suo istinto che non falliva mai.

"Dove. Quando."

"Alle dieci alla vecchia discarica" aggiunse esitante. "Se vuoi passo a prenderti in macchina..."

"No, grazie" disse rassegnata. "Ci vediamo direttamente là. A stasera."

Chiuse la chiamata che era ormai arrivata a inizio paese, dove in quella zona c'erano le villette più eleganti che davano sul mare. Una tra le prime, rigorosamente candida con il prato perfetto, si distingueva per l'ammontare di rose e il faggio ritorto che faceva capolino dal giardino sul retro. Le altre villette avevano colori un po'più accesi, e giardini altresì rigogliosi ma più semplici e senza alberi così imponenti.

Kida percorse il vialetto di ghiaia contornato da roseti perfetti, di cui persino le foglie sembravano far di tutto per restare in ordine e non dover subire le ire di Martha Johnson. I Johnson erano la famiglia affidataria con cui sarebbe dovuta stare fino alla maggiore età da quando i suoi zii, i genitori di Kevin, erano morti in un incidente quando lei aveva 12 anni.

Si dà il caso che la signora fosse una maniaca dell'ordine versione 2.0 e voleva che tutto fosse esattamente come doveva essere, al proprio posto. Pena, sentire la sua voce tuonare per ore tra le mura di casa.

E fu proprio in quel ordine perfetto di mobili rigorosamente spolverati, vasi di fiori freschi e quadri alle pareti, tutto molto moderno e in contrasto con lo stile classico dell'edificio, che Kida entrò furtivamente e sgattaiolando in camera sua senza fare il minimo rumore. Maledisse per quella che doveva essere la millesima volta le scale ricoperte in parquet che conducevano al piano di sopra, rischiando di farla scoprire con i loro scricchiolii fastidiosi nonostante i piedi nudi e le scarpe in mano.

Giunta in camera nascose la sacca col costume bagnato in fondo all'armadio. Chiuse la perla in una scatolina rossa sopra il cassettone vicino alla finestra, accarezzandone il coperchio con un gesto d'affetto.

Dunque si diresse verso il bagno per farsi una doccia e togliersi il salino di dosso. Passando davanti a camera di sua "sorella" Sarah notò la porta socchiusa e ne approfittò per assicurarsi che dormisse ancora.

Si chiuse in bagno con un sospiro di sollievo. Guardò l'ora: erano quasi le otto, poteva passare perfettamente per una persona mattiniera che si lavava come conveniva a qualsiasi persona civile.

Si spogliò e aprì l'acqua aspettando che diventasse calda. Mentre aspettava si guardò per un attimo allo specchio tondo del bagno. Uno sguardo di ghiaccio, un po' incavato in un viso ovale dagli zigomi pronunciati, l'osservò con una punta d'ironia, da sempre sua compagna. Sul labbro superiore, leggermente più grande e sporgente, c'era una piccola cicatrice rosea che stonava sull'incarnato pallido e sembrava congiungersi alla sorella sul sopracciglio destro. Sembrava quasi che il pennello di un pittore non avesse avuto abbastanza colore per tracciare un tratto unitario.

Kida non sapeva come se la fosse fatta, per quanto ricordava poteva esserci anche nata. I suoi zii le avevano sempre detto che era caduta, esagitata com'era da bambina. Kida non si convinceva mai del tutto di quella spiegazione, ma lasciava cadere il discorso, non ritenendolo particolarmente importante.

Non aveva troppi problemi sul suo aspetto. Un volto come il suo poteva suscitare un certo interesse a prima vista, ma a lei non importava di piacere e non si sforzava per farlo. Le curve che l'adolescenza stava portando alla luce venivano celate, e non si curava minimamente di mettere in mostra i fianchi che andavano allargandosi e il seno non troppo prospero, ma che si faceva ormai notare.

Esaltava molto poco la sua femminilità, preferendo abiti comodi e pratici ai vestiti alla moda che piacevano tanto alle sue coetanee. Le piaceva così: pochi fronzoli e possibilmente colori scuri.

Fece una smorfia a sé stessa nello specchio e con un sorrisetto di amaro divertimento si infilò sotto il getto caldo. Lasciò che l'acqua bollente la inondasse, travolgendo anche i pensieri e facendole dimenticare per almeno un quarto d'ora dove si trovava e cosa l'avrebbe aspettata quella sera. 



Ciao a tutti!

Grazie per chi è nuovo, grazie per chi continuerà a leggere questa storia. é stato difficile scrivere per un po' spero possa piacervi questo primo capitolo e che vi intrighi un po'.🌚

La scelta del prologo in prima persona e di continuare la narrazione in terza è una cosa voluta, e rimarrà così per tutta la storia fino all'epilogo. 

Se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate nei commenti!

Un abbraccio, vostra

BlackRose🌹🖤

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