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27. Piccioni e sentinelle

A me in realtà la settimana del fuorisalone non piace. C'è stato un periodo in cui ci intravedo l'amato bagliore, il luccichio negli occhi della mia bella patria adottiva, che non lascia cadere niente nel vuoto, al contrario lo amplifica lo struttura e gli da uno sviluppo inimmaginato e generoso. Passano gli anni però e la spinta propulsiva che dava fascino a questo evento si trasforma sempre più in frenesia isterica. Tutte queste energie, tutti questi entusiasmi spesi per cosa? Per costosissimi sfondi da selfie spacciati per installazione artistiche, eventi considerati riusciti solo se hanno una lista d'attesa lunga il triplo degli invitati, dove si fa a gara ad apparire brillanti col minor numero di contenuti possibili... nessuna idea, solo frivolezze, ma presentate con l'eleganza che solo Milano sa concepire.

Ebbene, dopo una settimana di tutto questo con poche ore di sonno addosso e l'alba che accarezzava le dita della Madunina arrivai in Duomo, in cerca di assolutezza e solitudine. Speravo che le sei della mattina mi dessero il diritto ad una piazza deserta. Invece no. Da una parte una coppia di sposini orientali agghindati come meringhe. Approfittavano della presunta calma mattutina per scattare un servizio fotografico. Erano pedinati da un esercito di fotografi che non gli dava tregua. Venivano fatti scorrazzare a mo' di teletubbies sotto acido, con tanto di assistente fotografo che spiegava alla sposa come sgambettare in maniera spontanea senza rischiare di affogare negli 82 metri lineari di taffetà che si portava addosso.

C'era poi un gruppo di ragazzotti gretti e rumorosi. Probabilmente reduci da qualche esclusivo party openbar, trascorrevano il loro fine serata ad occupare ogni angolo con i loro schiamazzi sciocchi, le camicie ormai sgualcite, i risvoltini sbilenchi, le avvenieristiche strutture tricologiche sostenute da gel a presa rapida in fase di collasso strutturale.

Mentre cercavo di isolarmi mentalmente dal bailamme notai un vecchietto minuto emergere di buon passo dalla metro. Era grigio e ricurvo, i capelli lunghi e arruffati, reggeva una voluminosa borsa di plastica. Non appena fu visibile tutti i colombi che razzolavano svagati per la piazza si alzarono in volo per planargli addosso. Lui non rallentò di un battito il passo da maratoneta e cominciò a spargere mangime dietro di sé, richiamando le bestiole con un fischio intermittente.
Dopo qualche minuto di questo insolito balletto si fermò a rimirare gli uccelli che si accalcavano tubanti e beati. Nel frattempo uno dei giovinastri, che avevano assistito alla scena, si avvicina e affonda un calcio nel groviglio di becchi e ali. Il vecchio gli si avventa addosso

- Che fastidio ti danno? Urla ingrossato dalla rabbia.

- N...Nessuno. Balbetta il ragazzo interdetto dalla veemenza della reazione.

- Ecco e allora vattene a fanculo.

Lui tenta di ribattere ma in definitiva se ne torna al branco con la coda fra le gambe.
L'uomo rimane a vegliare torvo sui suoi protetti per qualche minuto, poi scompare repentino com'è venuto.

E insomma, tutti odiano i piccioni, sono brutti, sporchi, scomodi, cagano in testa all'ultimo degli straccioni come al più riguardevole degli ospiti. La cosa clamorosa, però, è che nel salotto buono di una città in mostra nella sua settimana più sfavillante hanno il loro posto. E se a qualcuno non sta bene, può pure andarsene affanculo.

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