26. Pillole a New York
A New York avrei passato le mie giornate sulla line 4 della metro, quella che unisce il Bronx al Financial District. Era diventato il rito della mattina, ci sedevamo sui sedili scomodi dei vagoni e lasciavamo che nell’arco di mezz’ora ci passasse davanti tutto lo spettro delle variazioni umane.
Ricordo un uomo così alto da dover piegare la testa per uscire dal vagone.
Ricordo un vecchio distinto, vestito di tutto punto con cappello e cappotto, sfoggiare sotto il risvolto dei pantaloni (a meno 13 gradi) solo un bel paio di sandali e le falangi dei piedi di un inquietante colorito grigio-violetto.
Ricordo una ragazza coi capelli verde bottiglia… e i baffi.
Ricordo -e ricorderò sempre- un ragazzo che mi ha incenerita con lo sguardo d’odio più feroce che mi sia mai stato rivolto. Eravamo alla banchina, in attesa del treno, lui in movimento e io ferma sulla sua traiettoria. C’era molto spazio libero, avrebbe potuto variare leggermente la direzione, passarmi affianco, invece no. Mi si è fermato davanti, a inchiodarmi mentalmente, a pretendere un mio tributo alla sua città. Ho fatto un passo indietro, mi ha superato.
Ricordo poi un ragazzo che ha ceduto il suo posto a una sconosciuta, non perché fosse anziana, non perché fosse incinta o malata o portasse con se dei bambini, ma come semplice atto di gentilezza.
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