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Il coming out

Dire agli altri di te.
È questo che non vedi l'ora di fare.
Liberarti da quel peso, gettare la maschera e lanciare la moneta della sorte.

Ti daranno un pugno affettuoso dicendo che non cambia niente?

Faranno spallucce?

Storceranno il naso?

Si sbrodoleranno ai tuoi piedi in un tripudio di lacrime dichiarandosi dispiaciuti per la tua situazione da condannato? (Ah! bei ricordi quelli)

Ogni coming out porta reazioni diverse...
(Raccontate il VOSTRO coming out! È gratis!)
... e non tutte positive

Il mio andò più o meno così:

Era una giornata di scuola buia e tempestosa (il mio inferno personale in pratica)...

Qualcosa fece scattare in me il coraggio di far vedere un pezzo del mio diario alla prof di italiano.

Se non credevo sarei mai riuscito a far vedere quella lettera alla mia vera madre, la feci vedere a ciò che più simile ad una madre in quella scuola così opprimente, severa ed intransigente.

La prof, con il suo fare materno, spartano, ed affettuoso andò dritta al punto: mi fece promettere di dirlo a mia madre quello stesso weekend.
Così scrissi una lettera e gliela lasciai sul comodino, assieme a quella di Jack, il mio gemello, nella mia stessa identica situazione.
Non ricordo molto di ciò che successe il giorno dopo, e quello dopo ancora.
Ero in una bolla d'acqua.
Mia madre si mise a piangere, ma non era arrabbiata.
Solo che alla vista delle sue lacrime mi si scollegó il cervello.
Anche mio padre lo seppe.
Ricordo che entrambi si misero a piangere.
Per causa nostra.
Il senso di colpa era tale che mi sarebbe piaciuto strappare la lettera, balzare in piedi e gridare "è uno scherzo! Siamo in una CameraCaffé!".

Ma non lo feci. Sapevo che se gli avessi dato quella speranza loro ci si sarebbero aggrappati e io sarei tornato nel mio angolo oscuro nel quale vivevo ormai da 2 anni.

Così iniziò la corsa agli psicologi.
Li odiai per questo perché sembravamo fossimo dei malati da curare il prima possibile, a qualsiasi prezzo.

Finché...

Incontrammo Lei. Consigliataci da un grande esponente, studioso dell'identità di genere ormai in pensione.
Con i suoi occhiali grandi, la frangia con capelli lunghi e scalati, il mezzo sorriso che le compare quando vorrebbe dire di più ma vuole che te ci arrivi da solo ed un modo di vestire casual ed impeccabile.
Fu l'unica che non ci parlò come a dei bambini dementi, che ci ascoltò davvero senza iniziare a parlare a vanvera sul programma che avremmo dovuto seguire...
Lei, la mitica Cal*coff*Calderone*coffcoff*
È grazie ai suoi incontri che riesco a non cadere nel baratro della disperazione, è l'unica persona che incontro realmente con cui posso parlare liberamente.
Stiamo facendo dei progressi anche con la famiglia. Lei insiste molto sul fatto che il nostro legame con i genitori non deve essere dimenticato.
Fa acrobazie per farci parlare anche con loro.

È convinta pure lei che la mia identità di genere non è allineata con il mio corpo.

Prima di procedere ad un'ipotetico percorso però, devo ancora lavorare su un paio di cose.
Con il fatto che fin da bambino le responsabilità sono sempre ricadute maggiormente su me; questo mi ha portato a creare maschere diverse per ogni situazione e persona, in modo da "compiacere" chi mi circondava.

Prima di passare oltre devo riuscire a raggiungere un equilibrio con tutte queste maschere, con il mio senso del dovere e con l'empatia, a volte eccessiva, verso le altre persone.
Insomma, devo imparare a dare anche qualche bastonata ogni tanto.

-Aramis

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