Epilogo
6 anni dopo
«Non ci arrivo!»
Ulrik rise in silenzio, si aggrappò con un braccio a un ramo e sollevò se stesso e il bambino che teneva sulle spalle.
Il piccolo allungò il braccino sottile e scuro, aprì e chiuse il pugno della mano.
«Ancora un pochino!»
«Va bene, ma reggiti forte. Se tua mamma ci scopre mi uccide.»
Stavolta fu il bimbo a ridere a crepapelle. Era un'ipotesi molto improbabile.
Ulrik si arrampicò sull'albero, con un braccio solo, mentre con l'altro assicurava una gambina del piccolo contro il torso. Quest'ultimo fece uno slancio in avanti, afferrò un frutto e gridò di gioia.
Tornarono a terra con un balzo.
Il bambino era euforico.
«Ce l'ho fattaaaa!» Allungò l'ultima vocale fino a farla rimbombare contro i tronchi della foresta.
Per poco non cadde all'indietro per la gioia, con la mela che teneva stretta con entrambe le manine come fosse un trofeo.
«Ku, ti avevo detto di reggerti forte.» Ulrik lo riportò giù inginocchiandosi, per aiutarlo a scendere dalla sua schiena.
«Ne vuoi un pezzo?» Aveva già preso un grosso morso del frutto succoso.
«Sei tutto tuo padre.»
Kuran sorrise fiero con la bocca piena. Poi allungò le braccia per farsi prendere di nuovo in braccio.
«Sai camminare. Sei grande, ormai.»
Lui mise il broncio, allungò ancora di più gli arti, come se potesse raggiungerlo e arrampicarsi.
Ulrik rifletté qualche secondo, poi sbuffando lo accontentò.
«Lo stai viziando.»
Entrambi sussultarono. Rik d'istinto spinse la testa del bambino contro il petto, sopra la silente valvola in titanio. Lui si aggrappò alla maglietta con le unghiette, lasciando tracce umidicce sul tessuto.
«Jenny...»
Quindici anni, un corpo che sbocciava palesando le stesse forme aggraziate della madre.
Eppure il suo aspetto era terribile.
Il comandante avrebbe voluto chiudere gli occhi di Kuran, ma sapeva che con la ragazza bisognava fare attenzione a ogni respiro, a ogni minima espressione facciale. Non che lui si preoccupasse troppo di quell'aspetto. Il suo volto si era irrigidito, sconvolto dall'apparizione imprevista.
«Sono mesi che non ti vediamo! Eva è preoccupata, Jace...»
Lei chinò il volto di lato. Era mezza nuda, scalza, i capelli castani intrecciati con foglie e fiori le arrivavano fino alle ginocchia. Era sporca di terra, ma non emanava un cattivo odore. Aveva lo stesso profumo di una primavera piovosa, di un campo bagnato da un temporale improvviso, di un prato fiorito, di erba tagliata, di legna troppo umida per prendere fuoco nel camino.
«Li ho visti.»
Rik sentiva il cuoricino di Kuran rimbombare nel suo petto. Non si era accorto che il bambino aveva lentamente ricominciato a mangiare la mela, senza distogliere la propria attenzione da quell'evento che avrebbe raccontato per filo e per segno alla madre.
Il giovane era a disagio, sapeva di non essere la persona giusta per intrattenere quel tipo di conversazione, per gestirla, per farla tornare in sé.
C'erano solo due persone, in realtà, che avevano questi mezzi: Evangeline e Jace.
Ma il tempo di voltarsi e tornare al villaggio, e l'avrebbe persa, ne era certo.
«Chi?» le diede corda, giusto per guadagnare tempo.
Jenny chinò la testa dall'altro lato. Aveva occhi spettrali, bui, lo guardava e lo trapassava allo stesso tempo.
«Adam e Summer. Anche se adesso si fa chiamare solo Sun.»
Un dolore sordo al braccio sinistro. Ulrik s'irrigidì ulteriormente. «Sono vivi? Stanno bene? Dove sono? Sanno dove ci troviamo? Come raggiungerci?»
La ragazza fece una smorfia. Domande da Titans. Non aveva risposte. Scrollò le spalle.
«Non ho parlato con loro. Li ho solo visti. Vivono in Italia, sulle sponde di un lago. Hanno viaggiato molto prima di arrivare lì. Le ninfee mormorano che lui non voglia tornare, non è ancora pronto. Lei lo farebbe, ma si trovano troppo bene lì dove sono.»
Rik era come stordito, cercò di rielaborare invano le informazioni. «Sei stata sulla penisola italica?»
Quanti giorni di viaggio erano? Quanti pericoli aveva attraversato da sola, senza armi, senza cibo, senza... nulla a parte se stessa?
Jenny gli rise in faccia. «No, ovviamente no.»
Un nuovo senso di profondo annichilimento.
Non parlava più solo di lei, parlava in nome della natura. Era per questo che Eva sosteneva se ne fosse andata. Jenny si stava dissociando, si stava perdendo, stava rinunciando alla propria identità.
Se l'avesse vista, vestita di pochi stracci, con la pelle umana escoriata e graffiata e la chioma che assomigliava a una criniera, probabilmente avrebbe pianto.
Pensò a Jace, a quanto soffriva la perdita della sua migliore amica, della bambina di cui era sempre stato innamorato. Non si voleva rassegnare, l'avrebbe inseguita per tutta la vita.
«Ti prego, torna al villaggio.»
«Quale villaggio?»
Rik strinse i denti. «Lo sai, il nostro.»
Gli rivolse un ghigno maligno. «Non mi chiedi come stanno loro?»
No, non voleva saperlo. Era un capitolo chiuso, quello. Alcuni sopravvissuti erano migrati, pochi mesi dopo il loro abbandono. Li aveva tratti in salvo Eva e il suo branco di cani. Avevano riferito che il vecchio Aniruddha era morto. E non per cause naturali.
Da allora non avevano avuto più notizie.
Non le avevano volute.
«Mi fa paura» borbottò Kuran, non troppo a bassa voce.
Jenny deviò lo sguardo su di lui, lo vide, lo riconobbe. Le pupille si allargarono. Percepì lo scorrere del tempo, delle settimane, nei cambiamenti nel corpo del piccolo. I bambini crescono molto velocemente, non aspettano nessuno.
D'istinto Ulrik lo protesse col suo abbraccio. L'Umana colse anche quel gesto.
Sul suo viso scorse per la prima volta un'emozione vera, così pura e genuina che perfino il comandante la riconobbe: nostalgia.
«Torna a casa. Ti stiamo tutti aspettando.»
Tentò ancora.
Lei annuì. «Tornerò presto» promise.
La promessa di un fiore. Presto era un termine vago e irregolare. Per una rosa valeva solo poche ore, per una quercia aveva un'estensione secolare.
Scomparve prima che Ulrik potesse fare nulla. Sapeva che con Kuran in braccio non era in grado di inseguirla. E anche l'avesse presa, trattenerla con la forza non era un'opzione perseguibile.
La Terra gli apparteneva, Rik invece era il figlio robotizzato di un'arca.
«Torniamo dalla mamma?» si lagnò Kuran.
«Sì, ma non raccontarle nulla. Si spaventerebbe.»
Il bambino fece un sorriso furbino. Confermò all'uomo che era proprio identico al padre: faceva sempre l'esatto contrario di ciò che gli dicevi di fare.
❈
«Mammaaaa! Sai che io e lo zio ci siamo arrampicati su un albero e poi abbiamo litigato con Jenny nella foresta. Era tutta nuda!»
Suo padre si strozzò con l'acqua che stava bevendo, Shani spalancò la bocca, lanciò un'occhiata assassina a Ulrik e gli strappò il bambino di dosso.
La maglietta del comandante era in uno stato indecente, tutta sbavata e sporca di mela.
«Rik, per amor dell'Universo, mi vuoi spiegare?!»
Aniruddha aveva detto che sarebbe stato impossibile, che l'aborto aveva compromesso le funzioni riproduttive di Shani. La Terra aveva deciso diversamente e due anni dopo era rimasta di nuovo incinta. Era stato un parto difficile e doloroso, ma le donne del villaggio, soprattutto le mamme, erano pronte. Kuran era nato d'estate, la pelle color nocciola e gli occhi nero carbone. Aveva lo stesso sorriso del padre e i capelli ricci e crespi della madre.
Del loro compagno morto portava invece solo il nome.
«Eddai, Shani, non possiamo mica tenerlo sotto una campana di vetro. Sono cose che capitano. O incontrava Jenny o un leone. Io sono contento di come siano andate le cose» si pronunciò Tomas ricominciando a sorseggiare dalla borraccia. Era sudato e a torso nudo. Rik sapeva che era di turno nei campi, ma era altrettanto certo che non fosse quello il motivo di quell'abbigliamento discinto. Anche perché la guerriera indossava una maglia a rovescio.
«Ti sei fatto male, cucciolo? Hai avuto paura?» Kuran era dolce e affettuoso, ma era anche un grande ruffiano e adorava le coccole della mamma. Proprio come suo padre.
Shani lo portò dentro la loro capanna.
All'esterno arrivarono solo suoni di baci e moine.
«Che ti ha detto Jenny? Sempre che sappia ancora parlare.»
Rik non apprezzò l'umorismo. «Non è pronta a tornare. Ma mi ha detto che Summer e Adam sono vivi e stanno bene. Non chiedermi come faccia a saperlo, sono confuso a riguardo.»
Da dentro arrivò il suono di una risata cristallina. Shani stava facendo il solletico al figlio.
"E poi sono io che lo vizio."
«Lo vai a dire a Eva? Si trova nell'orto.»
«Tu non dovresti tornare al lavoro?»
Tomas scosse le spalle. «Fare il padre è un mestiere duro. Sono stravolto. Ho bisogno anche io di un attimo di relax.»
Da dentro arrivò l'urletto stridulo di Ku: «Papàààààààààà!»
«Senti? Non ho un attimo di tregua. Difficile e impegnativo.»
Non esisteva sulla Terra bambino più facile di Kuran. Non piangeva mai, rideva sempre e tutto sommato era molto più ubbidiente dei genitori. Conosceva i limiti che non doveva superare, i rischi che correva se si fosse fatto male. Era Umano, guariva dalle sbucciature di ginocchia e dai raffreddori. Il problema era sedare l'angoscia di Shani quando vedeva anche solo un graffietto sulla pelle color nocciola del suo pargoletto.
«Io vi farei sterilizzare.» Shani e Tomas erano quelli difficili e impegnativi, anche ora che erano diventati genitori.
«Papà!» urlò Shani ridendo insieme al figlio.
«Sì, sì. E poi come faresti a vincere il premio "zio dell'anno"?»
«Usate delle precauzioni.»
«Le stesse che usi tu con Eva?» Rik fece per mollargli una pacca che l'avrebbe sicuramente steso al suolo. Ma Murphy si era allenato in tutti quegli anni, schivò il colpo e si rifugiò dentro il capanno.
A Rik arrivarono solo urla e risate.
Era certo che il ragazzo non sarebbe tornato al lavoro nemmeno se l'avessero trascinato per i piedi.
Certe cose non cambiavano mai.
❈
Evangeline si trovava nell'orto, aveva un profumo stranamente seducente di fango, fiori e sudore incollato addosso, un odore che Ulrik aveva cominciato ad associare al concetto di famiglia. Indossava un vestito bianco e lungo che le aderiva al corpo a causa dell'umidità.
Ulrik ripeté la recita su cui si esercitavano ormai da anni. Lui che arrivava in punta di piedi e la sorprendeva alle spalle, lei che appariva sorpresa e deliziata quando in realtà aveva percepito la sua presenza prima ancora che lui la vedesse. Ulrik che la adagiavo sul terreno bagnato e la sovrastava col suo corpo. Evangeline che reggendosi al suo collo gli restituiva un bacio profondo. Lui che premeva un ginocchio tra le sue cosce, fino a quando non la sentiva boccheggiare senza fiato. In un paio di occasioni si erano spinti oltre, lei l'aveva spinto oltre. Ma il più delle volte Rik sapeva resistere quel tanto che bastava a sollevarla e condurla dentro la loro casa, in un luogo sicuro, diceva. "Io sono il tuo luogo sicuro"gli ripeteva allora Eva. E le sue labbra erano così dolci, i suoi occhi così ardenti di gioia, che non poteva contraddirla.
Volente o nolente, lei aveva sempre ragione. E da lui otteneva tutto ciò che voleva.
Riuscì a fermarla a fatica, inchiodandole le spalle sulla terra smossa e pronta per la piantumazione. Le raccontò ogni cosa con tono greve.
«Sono felice che Summer e Adam stiano bene.» Eva trasse un sospiro. «Dovremmo avvertire Xavier, sai quanto ci soffre.»
«E Jace. Quel ragazzino mi dà da fare. Lo dovrò accompagnare in missione di nuovo, non si darà pace fino a quando non l'avrà ritrovata e riportata sana e salva al villaggio.»
«E lo farà, prima o poi.»
Ulrik inarcò un sopracciglio. «E tu come lo sai? Te l'hanno detto i fiori?» Indicò col capo un'aiuola ricolma di boccioli ancora chiusi.
Evangeline rise di cuore. «Sì, certo. Mi hanno detto anche che il mio principe azzurro stava arrivando per portarmi a letto.»
Lo fece arrossire di vergogna. «Non prendermi in giro, era una domanda seria.»
«Ma io sono seria! Chiedilo a loro, se non mi credi!»
Rik inarcò la fronte e poi iniziò a tormentarla di solletico ai fianchi, per punirla.
Evangeline si portò le ginocchia al petto cercando di resistere all'attacco.
Fecero così tanto baccano che Regina si svegliò. Non era ancora ora di caccia, ma uscì dalla piccola abitazione in legno col suo passo regale, infastidita da tutto quel rumore, da tutto quell'amore.
Non c'era nessuna barriera da oltrepassare. Si immerse indisturbata nella foresta.
Sarebbe tornata all'alba, quando entrambi dormivano e si sarebbe sdraiata al fianco di Eva.
Il comandante non gli andava ancora a genio, ma non ruggiva più in sua presenza, al massimo gli rubava il posto sul letto, gli avanzi di cibo quando lui era troppo lento a mangiare, masticava i suoi scarponcini e le cinghie di cuoio delle cinture. Si divertiva a sfidare la sua rabbia, a provocarlo per mettere alla prova la sua pazienza. Ammettere che si era affezionata a lui era eccessivo.
Lo seguiva in missione, ma in silenzio, senza farsi scoprire.
Era vecchia Regina, sapeva che non gli rimanevano più tanti anni sulla Terra.
Ma quelli che Madre Natura le avrebbe concesso, voleva trascorrerli a casa.
Che dire. Potrei rimandare l'aggiornamento di una settimana... ma mi sono già fatta odiare abbastanza.
Questo epilogo in origine era solo un capitolo extra. La storia si concludeva con i nostri eroi che marciavano verso "una nuova era". Però ormai era così nitido nella mia mente, così rasserenante, che l'ho voluto rendere parte integrante della storia a tutti gli effetti.
Così il cerchio si chiude.
E la trilogia finisce.
Questa storia mi ha vista crescere come scrittrice e come persona.
E lo so che probabilmente scriverò pure un capitolo di ringraziamenti, giusto perché non ho voglia di lasciare andare né questo progetto né voi lettori, però volevo dirvelo: non avrei mai immaginato di riuscire ad arrivare fin qui.
Quindi sì, sono un po' commossa.
... forse più di un po'.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro