57. Una Nuova Era
Adam non udì i passi avvicinarsi. Era intirizzito dal freddo, le labbra viola, le punte delle dita di mani e piedi che bruciavano per il gelo.
Summer fece passare una coperta pesante e ruvida attraverso le sbarre.
Nemmeno Xavier aveva avuto quel pensiero per lui. Certo, gli aveva portato un pasto farcito di ramanzine e un vecchio giaccone invernale, ma non aveva pensato alla notte e all'escursione termica.
«Bello spettacolo. Me lo sono persa, peccato.»
«Se vuoi replico, appena esco.»
Summer rise.
Si voltò stupito. Pensava odiasse il suo umorismo nero. Non l'aveva mai assecondato.
La pilota fece finta di nulla, anzi, si sedette al suo fianco, contro le spalle, schiena contro schiena.
«Sei qui perché te l'ha chiesto il grande capo?»
«Ovvio, altrimenti perché sarei dovuta venire?»
Non era vero, stava mentendo.
Allora perché era venuta? Per tenergli compagnia? Per godersi la vista di lui rinchiuso come un animale?
E allora perché gli dava le spalle? Perché non lo fissava?
Rimasero tutti e due in silenzio. Non si parlavano dall'ultima lite, quando lui aveva iniziato a ululare e Summer aveva davvero pensato di farlo fuori.
Ironia della sorte.
«Rimpiangi di non avermi ammazzato?»
Lei si girò di lato, poggiò la fronte contro le sbarre. La risposta soffiò calda sul suo collo. «Prima o poi lo farò.»
Lo fece ridere, anche se non era per niente rassicurante e sapeva che forse avrebbe dovuto prenderla sul serio.
«Sbrigati, ce la fila là fuori.»
Summer infilò un braccio magro attraverso le sbarre, lo avvolse attorno alle sue spalle e lo schiacciò contro di sé. Le inferriate li dividevano e li univano allo stesso tempo, entrambi non avrebbero saputo dire chi era chiuso dentro o fuori.
«Avrebbero dovuto solo provarci. Se Ulrik o Melchor avessero osato ucciderti, avrei dato fuoco a ogni cosa.»
Stavolta non fece ridere.
Incrociò gli occhi pallidi e verdi, quel colore assunse un diverso tono.
Sapeva che l'avrebbe fatto per davvero, la mente proiettò l'intera scena.
Fiamme alte, una ragazza emaciata e disperata, urla, sangue, una risata amara.
«Perché? Lo meritavo. Ho perso il controllo, stavo per uccidere un innocente. Sono pericoloso.»
Summer lasciò cadere il braccio, lo ritirò e come un tentacolo lo avvolse a una barra in metallo.
«Ti sto dicendo che lo sono anche io.» Scosse le spalle, come se fosse una banalità. Con la mano libera si tirò su il cappuccio, per ripararsi dall'aria fredda che sferzava contro la nuca.
«Una volta mi hai detto che eravamo simili, io e te, due esseri spezzati, che è per questo che ci leggiamo dentro, che è per questo che mi fai così paura.»
Ricordava ogni parola.
Adam ricordava soprattutto ciò che era avvenuto dopo.
«Tu mi hai detto che avresti voluto che chiunque altro sopravvivesse. Chiunque, ma non io.»
Summer annuì.
«Avevi ragione. L'avrei voluto anche io. Avrei voluto prendere il posto di Kuran. Tutto questo non sarebbe successo, se lui ora fosse qui e io no.»
Non gli rispose.
«Pensavo che sulla Terra avrei trovato il mio posto. Ero il prescelto, "la Terra agli Umani" e tutto il resto. E invece non è cambiato nulla. Sono il solito derelitto, il cattivo da debellare. In fondo, tutti vorrebbero vedermi sparire, anche Eva. Ma solo tu l'ammetti a voce alta. Solo tu non menti.»
Le uscì un ghigno. «No, io sono la più falsa di tutti, Dima.»
Quel nome lo fece vacillare.
Non aveva mai chiesto a nessuno di chiamarlo così, anche se tutti avevano udito come l'Umana lo appellava. Sentirlo dalle sue labbra, però, era diverso...
«Credo che davvero la Terra sia il tuo posto. E appunto perché il pianeta è grande, credo che tu non dovresti rimanere al villaggio.»
Il ragazzo ammutolì, trattenne il fiato. Non sapeva quale pugnalata aspettarsi, ma conosceva il dolore ed era preparato.
«È vero, non sei utile e non sei amato. Diciamo pure che ti odiano quasi tutti. Xavier è affezionato a te, ma fa fatica a contenerti, a giustificarti davanti agli altri. Adesso che sta con Hans, ha paura. Sei una scheggia impazzita e lui agogna un po' di tranquillità. Evangeline ti ha detto che sarà per sempre tua amica, ma fidati di me, non sarà mai più come prima. Hai minacciato l'uomo che ama e per esperienza personale posso assicurarti che questo tipo di trauma è molto difficile da superare.»
Adam chiuse gli occhi, preparato o no, faceva un male cane.
«Grazie per l'onestà.»
«Potremmo andare verso sud. Conosco bene la zona, sono una navigatrice esperta. Vorrei vedere se la penisola italica è sopravvissuta all'innalzamento del livello del mare.»
Gli venne un colpo. Aprì la bocca, spalancò gli occhi.
«Verso nord è impossibile, ci servirebbe un'imbarcazione. Sai che gli Antichi avevano costruito una galleria lunga oltre cinquanta chilometri che univa l'Inghilterra con la Francia passando sotto il Canale della Manica? Non credo sia sopravvissuta»
Adam scosse il capo. «P-perché... perché vorresti venire con me?»
Lei sbuffò scocciata. Si alzò in piedi e ripulì il retro dei pantaloni con noncuranza.
«Te l'ho già detto. Solo io posso ucciderti.»
Forse la sua vena umoristica non gli piaceva poi così tanto...
Forse, però sorrise.
«Sun, sarei onorato. Che tu mi affoghi nel Mare del Nord o nel Mar Mediterraneo, per me è uguale. So che sarà una morte eccezionale.»
La ragazza storse il naso. «Morire affogati è la morte più dolorosa, ma io pensavo a qualcosa di più teatrale: strangolamento, sbudellamento, cavarti a uno a uno tutti gli organi vitali. So che tu apprezzeresti di più, ti piace dare spettacolo.»
Adam si coprì col panno che lei gli aveva dato e si raggomitolò di lato, in un angolo della cella.
«Mi hanno già ucciso in molti modi.»
Summer non rise. Schioccò la lingua contro il palato. «Fa lo stesso, allora. Troverò mille modi per tenerti in vita.»
Era cambiata, o forse in fondo era sempre stata così. Forte e premurosa, cinica e disillusa. Complicata, ferita, rinata più e più volte, in forme diverse e pure sempre uguali.
«Sun?»
«Dimmi.»
«Anche se... anche se è solo uno scherzo... grazie. Avevo bisogno di un luogo dove rifugiarmi. Credo lo farò in questo sogno.»
Lei si avvicinò, non udì il movimento, ma percepì una mano magra che gli rimboccava la coperta.
«Scoprirai che su certe cose non scherzo mai. Quando faccio una promessa, la mantengo sempre.»
❈
All'alba del terzo giorno, trovarono la gabbia aperta, vuota.
Ulrik e Xavier uscirono dalla barriera, perlustrarono i dintorni, tornarono a notte fonda, distrutti, sconfitti.
Solo il giorno dopo si resero conto dell'assenza della pilota.
Ma impiegarono molto più tempo a unire i due avvenimenti.
Xavier temette che fosse avvenuto un crimine orribile, che prima o poi avrebbero trovato i loro cadaveri. Lo trovava più plausibile del fatto che i due fossero fuggiti insieme, che fossero altrove, sani e salvi. Si diede pena per molto tempo. Li sognava la notte, erano sempre di spalle. I capelli corvini di Adam in netto contrasto con quelli bianchi di Summer.
Nessuno dei due si voltava, sebbene lui urlasse spasmodicamente il loro nome. Non si tenevano per mano, ma avanzavano fianco a fianco.
Jenny sosteneva che Adam fosse tornato dai lupi.
«E Summer?» le chiese la sua tata.
«Summer è morta. Al suo posto è sorto un nuovo sole.»
Evangeline ammonì la bambina di non rivelarlo a nessuno. Non sapeva cosa significasse, ma erano parole che avrebbero potuto dare adito a fraintendimenti. E Xavier già soffriva abbastanza.
«Adam è Umano, e tu hai già scelto il tuo principe azzurro. Di cosa ti preoccupi, ora?» La bambina bruciò una foglia secca sulla fiamma di una candela. Erano sedute una di fronte all'altra, gambe intrecciate, mani e piedi ghiacciati.
Ragionava come un fiore, come un essere troppo radicato al terreno per comprendere sentimenti e bisogni umani. La foglia si polverizzò in cenere.
Jenny levò lo sguardo. «Manca poco.»
Eva annuì.
❈
La casa puzzava di chiuso. C'era un tavolo sgombro, un letto disfatto e una pila di libri che a nessuno era consentito leggere.
Appartenevano ai capi. Appartenevano a Melchor, erano di sua proprietà. Il dorso dei volumi era rivolto contro la parete.
Bea si sentì come loro, costretta in un angolo, nell'anonimato. Era nelle sue mani, nessuno poteva salvarla, nessuno voleva farlo. Era sola.
«Sono sempre stato troppo buono con te.»
L'uomo le accarezzò una guancia.
D'istinto lei chiuse gli occhi. Pensò a Tiara, a quando le aveva rivelato di non avere più il ciclo mestruale. Pensò a suo padre, occhi e pelle di carbone, un sorriso così bianco da far risplendere l'intero Universo. Pensò a Ulrik, a quanto l'aveva desiderato. Pensò a Luis, a quando da ragazzina gli aveva confessato di essersi innamorata di lui.
Il vecchio Umano le aveva sorriso, le aveva parlato con un tono pacato, non l'aveva presa in giro, non aveva sottovalutato quell'amore infantile, quell'attaccamento dettato da uno stato di necessità.
La mano di Melchor attraversò il collo, arrivò fino alla scapola nuda.
Un singhiozzo le sfuggì dalle labbra. Teneva ancora le palpebre serrate.
«Ti tratterò bene, come una regina. Posso darti tutto ciò che vuoi, se solo ti lasci andare.»
L'avevano abbandonata tutti. Nessuno era rimasto a proteggerla, come se non lo meritasse, come se non fosse importante.
Non si era sentita tradita quando era circolata al villaggio la notizia che il comandante e l'Umana dormivano insieme, si baciavano alla luce del sole, si aspettavano alla fine del turno di lavoro.
Aveva ripensato a Kuran, ai continui ammonimenti che le lanciava. Le mancava quel ragazzo, il cipiglio severo, gli occhi torvi. "Lascialo stare. Non t'intestardire, o ci rimarrai male."
Cosa avrebbe detto se avesse saputo che la sua fidanzata sarebbe scappata con quel demonio dagli occhi blu? Sempre che fossero scappati insieme. Lei era una di quelli che credeva che Summer avesse giustiziato Adam e seppellito il suo cadavere nella foresta.
«Bea?»
La mano si insinuò sotto la scollatura della maglietta.
Questa volta la ragazza morse le labbra così forte da farsi male. Sangue e titanio in bocca. Nessuna speranza, nessuna possibilità di fuggire.
Melchor chiamò ancora il suo nome, la spinse contro il bordo del tavolo.
Se avesse voluto, l'avrebbe steso. Era anche lei una guerriera, come Shani. Conosceva l'autodifesa, sapeva picchiare duro, quando voleva.
Non lo fece per varie ragioni. Una tra le quali riguardava il sentirsi un libro mai letto, un libro ignorato dai più, un libro dimenticato, di cui nessuno conosceva la storia, ma nemmeno il titolo.
Lei non valeva nulla, non era nulla.
Udì una cintura slacciata, una zip abbassata.
Mantenne gli occhi chiusi.
Se avesse finto di non esistere, se avesse finto che tutto quello non stesse avvenendo veramente, che fosse soltanto un brutto sogno... avrebbe funzionato?
Nella sua mente rimbombò la voce dolce di Tiara. "Ti prego, Bea."
Due lacrime le scorsero lungo gli zigomi.
Rivide il volto serio di Rik, i suoi occhi di ghiaccio. Rivide il sorriso di suo padre.
«Ti prego» ripeté allora ad alta voce.
Ma sapeva che era una protesta vana. Melchor non si sarebbe fermato, anzi. Percepì la sua eccitazione aumentare.
Le torture su di lui avevano fatto quell'effetto, gli erano penetrate fino al midollo osseo, l'avevano fatto bramare qualcosa di illecito, qualcosa di violento che si miscelava a un piacere perverso.
«Sono stato molto buono con te. E ora dovrai essere tu a essere buona con me.»
Bea trattenne il fiato. Se avesse potuto, avrebbe ordinato pure al suo cuore di smettere di battere.
Non esisteva più nulla, lei non era nulla.
Non poteva sognare le arche, la sua vita era sempre stata quella. Non poteva sognare un amore come quello di Rik nei confronti di Eva, di Tomas nei confronti di Shani, di Hans per Xavier, non poteva sognare sua madre, perché non l'aveva mai conosciuta. Ma poteva supplicare l'Universo.
Lei era nata sulla Terra.
«Ti prego...» non fece a tempo a finire la supplica.
Una prepotente luce rischiarò il buio sotto le palpebre. La stanza venne investita da una folata d'aria fredda.
«Che cazz...»
«Modera il linguaggio, Melchor, ci sono dei bambini.»
Conosceva quella voce, quel tono tanto odiato, fermo, deciso, in netto contrasto con la figura piccola e mingherlina che lo produceva.
Aprì gli occhi.
Evangeline scortata dai bambini.
Melchor si agitò, si allontanò da lei, diede loro le spalle mentre si ricomponeva.
Bea ne approfittò per allontanarsi. Barcollava.
Non sarebbe servito a niente, se non fosse stato quel giorno, sarebbe stato quello successivo, o quello dopo ancora. Non sarebbe servito a niente, Magda avrebbe coperto le nefandezze di quell'uomo, il villaggio omertoso avrebbe fatto il resto, l'avrebbe condannata a un destino già scritto, forse pure a una gravidanza indesiderata. Per il bene della razza, perché lei non valeva niente, era un cumulo di pagine ingiallite dal tempo, inchiostro sbiadito, bordi piegati.
«Come osi...» Melchor si voltò, gli occhi fuori dalle orbite. Puntò l'indice contro l'Umana.
Thorn si avvicinò a Bea. Le afferrò una mano. Una ciocca corvina di capelli si scostò, rivelò l'occhio in titanio, la cicatrice argentea.
Bea era come intontita, non si era mai sentita così indifesa. Si resse a quel bambino, uscì in strada.
Evangeline invece restò sul ciglio della porta, il naso rivolto verso il cielo, le braccia incrociate sotto il petto.
«Mi ha avvisato tuo figlio. Io ero nell'orto, a fissare l'intelaiatura protettiva con Rik.»
La strada stava iniziando a popolarsi.
Melchor intravide il comandante, anche lui a braccia conserte, a qualche metro di distanza.
Hans, che quel mattino era con i bambini, aspettava dal lato opposto insieme a Xavier. L'espressione di entrambi era indecifrabile.
E a causa di quell'accerchiamento, di quella situazione scomoda da cui avrebbe fatto fatica a districarsi, per un attimo dimenticò quella parolina, gettata con noncuranza, come fosse un fatto risaputo, un dato assodato.
Thorn, il figlio di Samantha, il figlio di cui nessuno aveva riconosciuto la paternità. Un giorno la donna alludeva al fatto che il papà fosse morto, un altro che il papà fosse andato a combattere gli Antichi, un giorno diceva di essere atterrata sulla Terra che era già incinta, un altro ammetteva di non ricordare. Inventava bugie fantasiose, le diceva ridendo, con una strafottenza che aveva trasmesso al figlio insieme all'unica amara verità.
«Questa è una calunnia» sbottò l'uomo, incontrando lo sguardo del bambino.
Magda si fece spazio tra la folla, chiese cosa stesse succedendo.
«Le solite cose» rispose Eva, piegò la testa di lato. «Ma adesso è ora di scrivere la parola fine.»
Il villaggio si era radunato dinnanzi alla casa di quell'uomo, attorno alla sacerdotessa malvagia, a quella squadra che aveva dato solo problemi, a quei bambini misteriosi dagli strani poteri sovrannaturali.
«Hai fatto irruzione in casa mia, interrompendo la mia intimità. Bea potrà confermare che era tutto consensuale. È lei che mi era venuta a trovare. Ed è maggiorenne. Rispetto a qualcun altro, non c'è nulla di illegale.» Rivolse un ghigno infido al comandante. Rik rimase imperturbabile. «E ora mi accusi di fatti molto gravi, Umana, la paternità di un bambino che ho visto nascere e che sì, considero come un figlio, come tutti qui al villaggio. Ma tu sottintendevi qualcosa di diverso, un crimine molto grave che merita una punizione esemplare.»
Evangeline non si fece intimorire, dentro il suo ventre dimorava una furia cieca. E la natura lo sentiva.
Anche Jenny sorrise, aveva gli occhi spiritati.
«Non so cosa tu abbia fatto per costringere Sam al silenzio, non so perché Bea si trovasse lì dentro, non so perché non abbia lottato. Non lo so e non mi interessa. Ho una sola certezza: questa storia deve finire. Oggi darò inizio a una nuova era, un nuovo capitolo, un'evoluzione. E potete essere con o contro di me, non mi importa. Non resterò a guardare, non starò in silenzio, non distoglierò lo sguardo, non ostenterò indifferenza. Bea verrà con me, sarà l'unica che obbligherò a seguirmi, anche a costo di legarla e trascinarla a forza, non la lascerò nelle tue mani.»
La moretta aveva le lacrime agli occhi, Thorn rinsaldò la presa sulla sua mano.
«Di cosa stai parlando, ragazzina?»
Evangeline alzò la voce, in modo che tutti la potessero udire. «Fonderò un nuovo villaggio. Questo luogo non è più sicuro. Gli attacchi sono sempre più frequenti, gli Antichi sanno dove siamo, dove ci nascondiamo. Troverò un luogo nuovo e stilerò nuove leggi. E tra queste ci sarà sicuramente quella di non commettere più alcun abuso, di punire tanto gli aggressori quanto i complici, quelli che non hanno fatto nulla, che non sono intervenuti, che hanno messo tutto a tacere e sono rimasti a guardare.»
Il volto di Magda divenne paonazzo.
«I bambini verranno con me» aggiunse Eva.
Si scatenò il putiferio.
Urla, strilla, minacce.
Ginny fece per avvicinarsi alla figlia, ma una nuvola di vespe si alzò attorno ai piccoli, formò una barriera viva, ronzante e pericolosa.
«Tesoro mio...»
«Puoi venire anche tu, mamma» le rispose soave la giovanissima Umana.
«Jenny, tesoro, ti ha manipolato la mente. Solo qua siamo al sicuro, solo con me non avrai nulla da temere.»
«Ma gli altri genitori verranno. Brenda, Ciara, Joseph e la nonna di Mali. Sono sicura che vorrà venire anche Sam. Perché tu no?»
«Jenny, vieni via da lì, te lo ordina tua madre.» Aveva il volto che attraversava vampate di calore a brividi di gelo. Il tono autorevole le uscì strozzato.
Le vespe emettevano un sibilo sinistro, ruotarono vorticosamente attorno a Eva, ai bambini e a una spaventatissima Bea, allargando il cerchio in una spirale convulsa.
«Falle smettere, Evangeline!» ordinò Magda.
La fanciulla storse il naso, scosse le spalle e sbuffò. «Ma non è Eva a controllarle, sono io.»
Jenny fece un passo avanti, e le vespe segurino il suo movimento. Levò un braccio in alto e la barriera divenne un cono lungo, che svettava verso il cielo come una lancia acuminata.
Ginny cadde in ginocchio, pronunciando per l'ultima volta il nome della figlia.
Eva ordinò a chi voleva unirsi a lei di preparare le loro cose.
«Oggi? Non possiamo partire adesso! È troppo affrettato, è impossibile, non riusciremo mai a...»
Come si scoprì in seguito, i bambini avevano già messo da parte zaini ricolmi di scorte di cibo. Tomas aveva rubato alcune armi, Ulrik alcuni attrezzi da lavoro di sua fabbricazione.
Hans corse alla casa del vecchio Aniruddha per avvertirlo. Rimase sconvolto scoprendo che non li avrebbe seguiti, che sarebbe rimasto al villaggio, nella sua casa, tra vecchie carte e libri consunti.
«La Terra agli Umani» si congedò con un sorriso, prima di chiudere la porta, lasciandolo fuori.
Il professore batté i pugni diverse volte contro il legno. Non ci fu nulla da fare.
Partirono tre ore dopo.
Nessuno sapeva per dove.
La popolazione al villaggio si dimezzò. Rompere i vecchi schemi, spezzare la gerarchia, abbandonare ogni certezza, affidarsi all'ignoto, a una temibile ragazzina di diciassette anni e a un branco di bambini selvaggi. I Titans erano stati cresciuti con valori reazionari, avevano bisogno di fondamenta solide e regole inoppugnabili. Rimasero una quarantina di persone. Ginny fu l'unico genitore a non partire, perfino la nonna di Mali raccolse tutti i suoi averi, anche se le dispiaceva abbandonare Magda, che era stata un'amica sull'arca e, in un modo o nell'altro, lo sarebbe rimasta anche sulla Terra.
Alcuni parlarono di un secondo esodo.
Altri di una fiaba antichissima, in cui un pifferaio vendicativo rapiva tutti i bambini da un piccolo paesino.
Evangeline però non lasciò indietro nessuno.
Anche la tigre la seguì, con la sua andatura flemmatica e il piccolo Olly aggrappato al collo.
Li scortò il branco di cani di Luis.
Una pantera nera come la notte fece una rapida apparizione.
La giornata era limpida, fresca. Qualche uccello svolazzava alla giusta distanza.
Una primavera anticipata, visto che era ancora febbraio.
I piedi sprofondavano nel terreno umido e scuro, il cielo azzurro rischiarava le menti e i cuori.
«Sai cosa stai facendo?»
Rik le si era accostato. Erano a capofila, adesso. Lui tirò una cinghia dello zaino. La costrinse a toglierselo di dosso e passarglielo.
«Ti fidi di me?» gli chiese.
L'uomo rispose con uno sbuffo infastidito.
Lei gli fece l'occhiolino.
Rik rallentò il passo, si accostò a Shani e ignorando proteste e lamentele se la caricò sulle spalle, dopo aver posizionato i due zaini sul torso. La guerriera solo poche settimane prima non avrebbe mai accettato quel genere di aiuto. Da lui poi, nemmeno da bambini si erano avvicinati tanto! Ma i suoi muscoli erano prosciugati, era priva di forze ed energie. Poco dopo aver avvolto le braccia attorno al suo collo, infatti, si addormentò con una guancia reclinata sulla cinghia degli zaini.
Camminarono altri tre giorni. La notte si accampavano e accendevano un focolare. Chiacchieravano, cantavano canzoni, Tomas suonava l'armonica, Bea raccontava antiche fiabe che a sua volta le aveva trasmesso Luis.
Il mattino ripartivano di buon umore.
Un'ultima spedizione.
Una nuova era.
La Terra fremeva.
Evangeline si voltò per osservare i compagni.
Il sole stava calando, lasciava ombre rosate sui volti e sul sentiero.
Tre di loro mancavano all'appello e la loro assenza era una ferita aperta che mai si sarebbe rimarginata.
«Siamo arrivati.» Jenny le tirò una manica della giacca.
Una distesa enorme, protetta dalle montagne, il mare all'orizzonte, una spiaggia bianca, una scogliera.
«Qua non ci disturberà nessuno.»
Erano passati più di mille anni.
E finalmente erano tornati.
Nei miei piani avrei dovuto finire in agosto. Invece è già ottobre.
Sono soddisfatta di questo capitolo? Sì, ni, però, forse, ma... insomma, ci lavoro su da due settimane e credo che la verità sia che non li voglio lasciar andare.
Mi hanno tenuto compagnia per tanti anni e come alcuni abitanti del villaggio non sono pronta a questo cambiamento drastico, a una nuova era senza di loro.
Mamma mia, come sono melodrammatica!
Manca ancora l'epilogo! 😏
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