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48. Protezione

Rik venne svegliato da un vociare confuso e da un raggio di sole birichino che s'incuneò sotto i suoi occhi socchiusi.

Erano tutti già svegli, anche Eva che giaceva ancora al suo fianco e disegnava con le dita sottili spirali sul dorso della sua mano.

Non seppe dire se fosse più sconvolto dal fatto che nessuno prestò loro alcuna attenzione o dal fatto che avesse dormito una notte intera, senza risvegli, senza essere il primo a destarsi per rifare gli zaini.

Anche Eva fece finta di nulla, sbadigliò, si stiracchiò e raccolse le sue cose senza dire una parola. Ma aveva dipinto in volto un'espressione furbina che lo fece innervosire.

Si aspettava una battuta da Tomas, una provocazione da Melchor, un consiglio non richiesto da Shani, una richiesta di spiegazioni da Kuran.

Invece si trovò ad ammettere che non erano il perno attorno a cui ruotava la squadra e che quindi, in fin dei conti, visti i trascorsi e le loro precarie condizioni, non fregava a nessuno che avessero dormito insieme. Nemmeno ad Adam, che era più preoccupato di dover rimanere sdraiato a vita che dell'avere due costole e un cuore in frantumi.

«Sto benissimo, voglio alzarmi.»

«Tu non vai da nessuna parte! Ulrik, aiutami. Intervieni!» Summer lo tenne fermo con entrambe le braccia.

«Se no che fai, mi leghi? Bondage?» l'irrise.

Kuran si schiarì rumorosamente la gola.

«Se necessario, sì! Sei impazzito? Non puoi muoverti. Rischi la vita, disgraziato che non sei altro!»

«Che esagerazione, sto benissimo. Posso camminare.»

«Nessuno può camminare nelle tue condizioni, né un Titans, né un Umano, né un fottuto Antico! Tu non hai idea dei danni irreparabili che potresti causare. Sei sopravvissuto per miracolo!»

«Io so benissimo che posso farcela! Posso camminare, ti ho detto! Non me ne starò qui impalato a farmi trascinare come un sacco di patate.»

«Sei solo uno sciocco, non sai quello che dici...»

«Sì che lo so! Sì che lo so, cazzo! Perché mi è già successo!» gli sfuggì di bocca.

Perfino Melchor si girò sconvolto.

I volti dei ragazzi si dipinsero di orrore.

Adam avrebbe voluto rimangiarsi le parole, non veder nascere la pietà nei loro volti. Gli scappò una risata amara e il ventre si contorse per gli spasmi.

Faceva un male cane. Aveva ragione Summer, non poteva farcela da solo.

«Cosa vuol dire che ti è già successo?»

Avrebbe potuto mentire o edulcorare un po' la realtà. Anche durante l'ultimo combattimento sul ring si era fratturato qualcosa, ma il coma aveva cancellato tutti i ricordi e si era svegliato come nuovo.

«Durante gli esperimenti. Volevano vedere come guarivano le ossa umane. Me le hanno fratturate quasi tutte e si sono sempre riconsolidate. Alcune ci hanno messo pochi mesi, altre degli anni. Senza il loro consenso, ho voluto provare se valesse lo stesso principio per il cranio, e così è stato.» Per sdrammatizzare picchiettò due volte sulla zona contusa. «Danni collaterali a parte, ovviamente.»

Summer trattenne un conato, Eva si portò una mano alla bocca.

Solo Shani non riuscì a capire. «Perché? Perché fare qualcosa di così... crudele? A che scopo?»

Tomas le fece cenno di tacere, ma lei insistette. «È sadico! È inammissibile! Perché non hai informato gli Anziani?»

«Perché sono stati loro a commissionare gli esperimenti» rispose paziente Tomas, liberando Adam dall'onere di dover soddisfare la curiosità ingenua della guerriera. «Gli Umani erano cavie. La loro capacità di guarire, quella che la nostra razza ha perso mille anni or sono, è sotto osservazione e sperimentazione clinica. Ogni frattura è un mondo a parte, ogni paziente è diverso. Eppure, negli Umani, il processo di guarigione è spontaneo, quasi magico. Non servono protesi per sostituire gli arti o colle per ricomporre le ossa. Nelle giuste condizioni, il corpo Umano fa il suo sporco lavoro da solo.»

Adam scostò lo sguardo. Non voleva più assistere alla loro reazione.

S'incupì ancor di più quando vide Ulrik chinarsi al suo fianco. Un ginocchio toccò terra, una mano solida si appoggiò alla barella.

Parole al vetriolo gli rimasero incastrate in gola.

«Nelle giuste condizioni, però. Devi aspettare. Quando finirà questo tratto e torneremo a valle, potrai verificare se riesci a camminare. Per il momento è meglio che tu non ti muova. Se la situazione peggiora, l'unica alternativa sarà indurti il coma e somministrarti dosi massicce di titanio in attesa del nostro ritorno al villaggio. Ma a quel punto non sarai più... Umano.»

Aveva toccato le corde giuste.

Eva e Dima si scambiarono una breve occhiata ricolma di significati. Poi quest'ultimo tornò a sdraiarsi, non senza sbuffare.

A trascinare la lettiga fu Kuran, quel mattino. Non volle sentire ragioni. E questo portò Summer sull'orlo della commozione.

Stava andando tutto per il verso giusto, pochi lievi passi alla volta, il proposito sottinteso di evitare inutili liti, di sforzarsi di non farsi del male a vicenda. Regole basilari, semplici da ottemperare.

Se l'avessero fatto prima...





«Sei stanca?» Tomas si avvicinò a Shani. Era rimasta in fondo alla fila e si stava accarezzando distrattamente il ventre.

«No, stavo pensando...»

«A ciò che ha rivelato Adam? Non farlo. Ha subito sevizie che è meglio non rivangare. Non fargli domande. Se non ne ha mai parlato fino ad ora, c'è un motivo. Certi traumi vanno lasciati stare.»

«No, pensavo a un'altra cosa. Secondo te lui sarà Umano?»

Il giovane inciampò sui suoi piedi, in maniera così goffa e ridicola che le fece spuntare un sorriso.

«N-non... non lo so. Ma alla fine... hai deciso di tenerlo?»

Non aveva osato parlargliene, non perché non volesse, ma perché non voleva influenzare troppo la sua scelta. Non sapeva cosa fosse giusto fare, nelle loro condizioni. Ma gli era sembrata così convinta sull'interrompere la gravidanza, così arrabbiata per l'essere stata ingravidata contro il suo volere, che si era quasi sentito uno stupratore. Aveva ragione Ulrik: non avevano fatto attenzione. Ed era stata solo colpa sua. Shani non aveva esperienza, era ingenua, focosa e avventata, non ragionava, non pensava, non si fermava. Era stata una sua responsabilità, lui avrebbe dovuto mantenere il controllo, la lucidità per impedire errori.

Per questo aveva preferito rimanere muto.

Ora però si sentiva un vigliacco, il compagno peggiore che si potesse avere.

«Credo che per quando torneremo sarà troppo tardi per fare altrimenti» rispose lei vaga.

Lui aprì la bocca e la richiuse senza produrre alcun suono.

Doveva dirle mille cose e non sapeva da dove iniziare.

«Tuo papà si chiamava Aron, vero?»

Quella domanda lo colse impreparato. La guardò storto. Voleva forse vederlo cadere a carponi ai suoi piedi?

«Sì, perché?»

«Sarebbe per te più bello o più doloroso chiamarlo Aron? Prenderebbe anche il tuo cognome... Aron Murphy.» Aveva un'espressione trasognata. Tomas rabbrividì. «Sì, avrebbe anche un cognome» aggiunse lei.

Un cognome, un padre, una famiglia vera.

Lui si sforzò di deglutire e di commentare con qualcosa di serio e sensato. «Pensi che sia un lui

Shani scosse le spalle. «Non posso saperlo. Ho pensato a lungo, però. Hans mi potrebbe aiutare. Non sai quanto mi manca il nostro professore. Anche per la storia di Adam: lui avrebbe saputo cos'era meglio fare. Eva potrebbe insegnarmi come trattare i bambini, e poi ci sarebbe sempre Ulrik a vegliare, e forse Summer...»
«Shani.» Si fermò e la strinse a sé. «Ce la faremo, qualunque cosa accada. E anche a me manca da morire quell'enciclopedia vivente, ma sono certo che non ti avrebbe mai fatto tenere una mitragliatrice in mano o fare i turni di notte in piedi. Figuriamoci andare in avanscoperta.»

«Ci avrebbe dovuto solo provare, a fermarmi.»

«Ecco, brava, non farlo. Non fermarti. Torniamo a casa. Interi. Poi ci pensiamo.» Le scoccò un bacio sulla fronte.

Melchor s'infilò due dita in bocca e fischiò con rabbia.

Il gruppo era così distante che intravidero solo le sagome all'orizzonte.

La ragazza sorrise. «Se sarà una bambina, la chiamerò come una delle sorelle di Eva. Sono sicura che le farà piacere.»





Valicarono una zona rocciosa, ignorando le continue lamentele di Adam, provando a sedarlo con dosi massicce di droghe che avevano un effetto troppo lieve visto il prolungato abuso da parte del ragazzo.

Rik ed Eva continuarono a dormire insieme e gli altri continuarono a non commentare.

L'unica mattina in cui Ulrik pensava che Shani le fosse andata a parlare a tal proposito, scoprì che invece la guerriera le stava chiedendo di lavare le bende e rifare la fasciatura.

Eva però non voleva. Scuoteva la testa a labbra serrate. Dissentiva e tremava.

«Parlaci tu, rischia un'infezione» gli disse l'amica mentre lui le passava a fianco.

Rik si massaggiò il petto.

Evangeline iniziò ad arrotolare il sacco a pelo, lui l'interruppe, le si inginocchiò davanti, cercò lo sguardo che lei gli negava.

«Non ora, non sono pronta.»

Lui non desistette. Si limitò ad aspettare.

Non sapeva come parlarle, che discorso fare, come persuaderla. Ma sapeva esserci. Come in quelle notti, senza promesse, senza chiarimenti, senza verbalizzazioni logoranti.

Loro due avevano un modo unico di stare insieme.

«Non sono pronta» ripeté Eva con lo sguardo basso.

Rik allungò piano una mano, le afferrò il polso e dolcemente sciolse il nodo.

«Ti prego...» Evangeline si chiuse gli occhi col braccio libero. Non voleva vedere.

La ferita era stata ben disinfettata. Però presentava una gran quantità di sangue viscoso che si univa a un liquido pallido che umettava l'intero arto gonfio e rosso.

«Ci metto un minuto. Non guardare.» Lei annuì.

Ulrik sciacquò la ferita con la borraccia e la disinfettò con una fialetta d'alcol. Vide che il moncherino era stato ben ricucito, non sembrava avesse bisogno di punti.

Lui invece avrebbe avuto bisogno di sfogare l'ira che stava accumulando.

Si fece portare delle garze pulite da Shani, che era rimasta poco distante, a osservare.

Quando la guerriera vide cosa si nascondeva sotto le bende, le uscì una frase a sproposito. «La pagheranno» le promise, forse per confortarla.

Eva sembrò ridestarsi dallo stato di torpore. «No, non la pagherà nessuno! Basta, è finita. Non c'è nessun conto da saldare e nessun debito da scontare» la zittì.

Acquistò coraggio e sistemò da sola la fasciatura, come aveva visto fare a Sofia, la donna che aveva ucciso a sangue freddo, a tradimento, senza darle spiegazioni.

Quando furono di nuovo soli, Rik abbassò il tono di voce e le accarezzò il braccio in un modo fin troppo delicato, come se fosse fatta di cristallo fine.

«Non voleva intendere quello. Non ci saranno inutili rappresaglie, te lo garantisco io. Shani sfoga il dolore con la rabbia e la violenza e pensa che tutti ragionino come lei.» Odiava quel vestito azzurro. avrebbe dato qualunque cosa per farle avere abiti puliti da indossare, per poterlo bruciare. «Se ci fosse un modo per alleviare il tuo male, sai che lo troverei, vero?»

«Tempo» rispose pronta.

Lui la guardò perplesso.

«Mi serve tempo. Tempo per guarire, tempo al male per passare e andare altrove.»

Ulrik annuì colpito. Aveva ragione, aveva sempre ragione.

Pensò al suo male, a tutto il tempo che gli aveva dato e a tutto quello che lui gli aveva rubato.

«E un po' di pazienza» aggiunse Eva con un mezzo sorriso. Era come se gli leggesse nel pensiero.

Rik l'aiutò a rialzarsi e rifece lo zaino al suo posto. «Tempo e pazienza, hai altre richieste?»

«Qualcuno che arrotoli il sacco a pelo al posto mio.»

Lo fece ridere. «Mi rendi le cose molto facili così.»

«È perché anche con te serve tempo e pazienza» strizzò l'occhio destro.

Lui finse di guardarla storto, ma non riuscì a trattenere a lungo la risata.

Scosse la testa e poi annuì.





Valicarono il monte in nove giorni. Secondo la mappa di Melchor non doveva mancare molto, anche se avevano allungato la strada.

L'uomo era scontroso e aggressivo come al solito, ma meno invadente. Li tormentava a parole, ma li lasciava fare. Per la maggior parte del tempo delegava a Ulrik il comando, si limitava a pronunciare qualche lamentela o qualche frecciatina tagliente. Gli altri lo ignoravano.

Adam invece dava il suo bel daffare. L'onere di contenerlo ricadeva su Summer e Kuran. Eva manteneva una giusta distanza, a causa dei sensi di colpa che provava. Rik ne manteneva una ancora maggiore ben sapendo che prima o poi avrebbe dovuto scontare la giusta punizione per ciò che aveva fatto. Tomas e Shani mancavano di pazienza. A Bea mancava la voglia.

Kuran avrebbe volentieri fatto a meno di sorbirsi quella condanna, ma in cuor suo sapeva che per Summer era importante e che in qualche modo doveva cercare di alleviarle il peso.

Il problema era la difficoltà. Adam era incontenibile, prepotente, implosivo.

«Mi alzo, basta!»

«Ti prego!»

«Vaffanculo! Posso andare a pisciare? Voglio andarci da solo! Posso farmi una sega in santa pace?!»

La pilota si portò le mani sul volto, non ne poteva più, era esausta.

Era Kuran che l'accompagnava, ma quella sera era ridotto pure lui allo stremo delle forze.

«Lasciami, Sun, lasciami! Non ce la faccio più!»

«Adam, per favore. Non puoi alzarti!» Gli avevano steccato la fasciatura creando un busto in grado di contenere la gabbia toracica. Ma non era abbastanza. Non erano nemmeno sicuri che fosse la scelta giusta. Gliela aveva suggerito lui, millantando una lezione universitaria in cui spiegavano come risolvere patologie che causavano deformità al tronco o alla colonna vertebrale. In realtà era probabile che ne avesse indossata una simile sull'arca.

Non ci fu nulla da fare, si levò in piedi, con tutta l'arroganza e l'irrequietezza del suo carattere.

«Mammina, papino, guardate! So camminare da solo!»

Fece qualche passo, irridendo Summer e Kuran. Si voltò verso di loro con le braccia spalancate. Ma la torsione gli giocò un brutto scherzo. Trattenne le lacrime e il gemito che pigiava sul palato, ma non riuscì a nascondere la contrazione involontaria dei muscoli facciali.

«Hai rotto il cazzo.» Kuran non sarebbe stato né un padre paziente, né un buon infermiere, perché con una spinta decisa lo fece ricadere sulla barella.

La botta piegò il ragazzo in due dal dolore, si contorse e chiuse gli occhi, mordendosi le labbra per non gridare.

«Kuran!» Summer gli fu subito accanto, in apprensione.

«Ha rotto, Summer.»

«Gli hai fatto male!»

«Se ne stava facendo da solo.»

«Ma tu non devi...»

«No, non dovevo, ma l'ho fatto. E se servirà a tenerlo sdraiato per un'altra settimana, ne andrò fiero.»

La ragazza fece per ribattere, ma un grido le mozzò il fiato in gola.

Shani impugnò la mitragliatrice. Fu l'unica.

Tutti gli altri erano impreparati.

«Mani in alto.»

Un uomo alle loro spalle, cinque di fronte, disposti in semicerchio.

Erano Arcadiani, come loro.

Facce devastate, vesti a brandelli, pelle sporca e occhi neri.

«Abbassate le armi.»

La guerriera tentennò.

Erano in svantaggio, anche se numericamente superiori.

Gli altri ubbidirono d'istinto, per evitare un massacro.

Lei invece rimase in posizione da combattimento, senza sapere come o quando ci fosse finita.

Ma era l'unica. Una contro sei.

Non avevano scampo.

Evangeline sentì l'impulso di aggrapparsi al corpo di Ulrik, il bisogno impellente di nascondersi contro il suo petto. E forse provò anche lui lo stesso. Erano distanti, ma fece comunque un passo nella sua direzione.

Una pallottola gli sfiorò un piede.

Si arrestò con le mani al cielo e il volto inespressivo.

L'uomo che aveva sparato sorrise. «Non vi conviene fare i furbi, non abbiamo nulla da perdere.»

L'ultima frase colpì Eva come una stilettata allo sterno.

"Non abbiamo nulla da perdere."

Sì, glielo lesse in volto, era vero.

Erano sopravvissuti alle torture degli Antichi, ad anni di schiavitù, al loro attentato, alla loro aggressione. Erano sopravvissuti e li avevano cercati, li avevano trovati, li tenevano in pugno.

Non avevano nulla da perdere, se non brutti ricordi e una vita infame. Una sequenza inenarrabile di sevizie e soprusi, di dolore e desiderio di morte, di vendetta e corruzione.

Aveva parlato l'uomo che stava al centro. Indossavano tutti passamontagna neri, giacche imbottite e giubbotti antiproiettili. A uno di loro mancava un braccio, a un altro l'occhio sinistro. Uno aveva la barba e quello che aveva parlato e sparato, teneva un dito in putrefazione legato allo zaino come portafortuna.

Evangeline pensò a Sofia, al modo in cui l'aveva ammirata attraverso lo specchio, a quando si era sporta fuori dal davanzale della finestra per fumare, a quando le aveva rivelato che un tempo portava anche lei i capelli lunghi, che spesso li intrecciava sulla nuca in un'acconciatura elaborata che assomigliava a una corona.

«Vogliamo solo due cose: l'Umana e la mitragliatrice.»

Shani emise uno sbuffo di riso, le labbra le si piegarono da un lato solo. Non abbassò la canna, anzi, avvicinò l'occhio al mirino.

Sarebbe stato uno spargimento di sangue. La squadra era stata presa alla sprovvista, si stavano preparando per la cena con l'attenzione divisa tra Adam e il focolare che non avevano fatto a tempo a creare.

Ulrik, Bea e Melchor avevano dei pugnali legati alle cinture. Tomas, Summer e Kuran erano disarmati.

Ed Evangeline aveva un potere che non le rispondeva e una profezia che non voleva esaudire.

La foresta gliel'aveva ripetuto fino allo sfinimento, prima di zittirsi. Gli alberi sapevano come sarebbe andata a finire. Erano lì da troppo tempo, erano una storia già narrata, un finale scontato e banale.

Ma le trame possono cambiare, possiamo sempre strappare le brutte e riscriverle daccapo.

C'era Rik nel suo cuore, il modo in cui si addormentava tenendola stretta a sé. E c'erano Tomas e Shani che non tacevano un solo istante, che riuscivano a scherzare e ridere di ogni cosa. C'era Bea sempre a capofila e Kuran che le indicava la strada col braccio teso. C'erano Summer e Adam e il loro rapporto ambiguo, il modo in cui lui la guardava quando lei era distratta o lontana.

C'era Hans, la sua assenza che iniziava a pesare. C'erano i bambini al villaggio a cui aveva promesso di tornare. C'era Solomon, lo sguardo stanco e arrabbiato, lo sguardo di un uomo finito, uno sguardo che non avrebbe più potuto sondare.

«Non deve per forza esserci uno spargimento di sangue.» Levò le mani al cielo, coi palmi ben aperti, e fece un passo avanti.

«Eva!» Ulrik gridò, ma appena si allungò per afferrarla, un proiettile gli centrò una spalla.

E la ragazza era già lontana, si era rifugiata presso il nemico, piangeva.

«Non deve per forza esserci uno spargimento di sangue» li pregò.

L'uomo con la barba la guardò con disprezzo. Un movimento rapido e l'incastrò contro il suo braccio, tenendole premuta una lama alla gola.

Non abbassò l'arma, la tenne sempre ben alzata.

I ragazzi non ebbero il coraggio di respirare. Perfino Melchor, in seconda fila, tremò.

«Non deve...»

«Taci!» l'ammonì l'uomo. Un rivolo di sangue colò lungo la gola.

Eva chiuse gli occhi. Non voleva vedere l'espressione di Ulrik, non voleva vedere nessuno di loro.

«Ora la mitragliatrice.»

Shani aveva le mani fredde come blocchi di granito. Era sicura di non poter cedere l'arma nemmeno volendo.

Non riusciva a ragionare, non riusciva a comprendere cosa fosse giusto fare. Cercò lo sguardo del comandante, ma lui era pallido, esamine, fissava Eva come se fosse già morta, la guardava come se l'avesse già perduta.

«La mitragliatrice, stronza!»

Si stavano spazientendo, il tempo ticchettava. L'uomo che avevano alle spalle sparò un colpo tra le gambe divaricate della guerriera.

Ma chi assicurava loro che non li avrebbero fatti tutti fuori una volta che lei avesse ceduto?

Era l'unica che potesse rispondere al fuoco, l'unica che potesse combattere.

Una posizione scomoda, un vicolo cieco.

Shani pensò a Eva e al suo bambino, pensò ad Adam che giaceva supino, indifeso, a Ulrik che non avrebbe lottato per se stesso, ma solo per lei.

Pensò a Tomas e fece un passo laterale. Lo coprì col proprio corpo. Lui biascicò un'imprecazione a cui lei non diede importanza.

«Non lo ripeterò una seconda volta. Dacci. La. Mitragliatrice.»

«Tanto voi non la sapete usare» sbottò.

«Shani» ringhiò Tomas. Nemmeno lui riusciva a ironizzare in quella situazione.

L'Arcadiano però apprezzò l'umorismo. Sorrise.

Avevano il coltello dalla parte del manico, metà del loro bottino, nulla da perdere, una vita da scontare.

«Oh sì, tu la sai usare molto bene, mi hanno riferito. In realtà vi dovremmo ringraziare, ragazzi. Ci avete liberati. Ci avete tolti un grande peso.»

I suoi compagni dissentivano, erano evidente. Perché insieme agli Antichi erano morti anche molti di loro, molti prigionieri. Perché il loro destino era più incerto di prima.

«Non c'è di che.»

«Shani!» La voce dell'anarchico uscì stridula.

«Dacci la mitragliatrice e nessuno si farà del male. Come ha detto la vostra amichetta: non deve per forza esserci uno spargimento di sangue.»

La guerriera sbuffò e un riccio ribelle rimbalzò sulla guancia sudata. «La mia amica è una cretina. Le voglio un gran bene e non me ne andrò senza di lei. Vuoi la mitragliatrice? Ridammi la ragazzina.»

Rise di nuovo, sinceramente divertito.

Uno degli uomini invece scalpitò nervoso.

«Non siete in condizioni di trattare, bellezza. Se vuoi, puoi venire con noi. Tu e quell'arma, ovvio. Sappiamo essere ospitali con il gentil sesso. Vero, ragazzi?»

Evangeline avvertì il sudore freddo scivolare lungo la schiena. L'uomo puzzava, aveva l'alito pesante e la presa troppo forte.

Uno degli Arcadiani si avvicinò al leader, parlò a bassa voce, solo Eva l'udì.

«Basta, chiudiamola qua.»

«È armata, cazzo, non la vedi?»

«Li facciamo fuori in un battibaleno.

«Non senza danni.»

«Li abbiamo già subiti i danni. Sono demoni, non possiamo fidarci di loro.»

Evangeline dischiuse le palpebre solo per poter fissare un'ultima volta le iridi celesti di Rik.

Aveva un piano. Semplice ed efficace. Non sarebbe stato un sacrificio vano.

Non erano brutte persone, erano persone distrutte, corrose, sofferenti, ma non malvagie. Sarebbe stata con loro, li avrebbe aiutati. E poi li avrebbe convinti a venire al villaggio, a redimersi, a unirsi a loro.

Sì, era un bel piano, facile e lineare. Si sforzò di sorridere a quel giovane dagli occhi di ghiaccio, si sforzò di comunicargli che sarebbe andato tutto bene, perché non doveva per forza finire...

Invece avvenne tutto in un lampo. L'inizio della fine.

Pochi secondi. Un tempo così irrisorio che nei loro ricordi sarebbe stato per sempre un filmato troppo sfocato da riguardare. Inconcepibile, inenarrabile, una spaccatura dell'asse spazio-temporale.

Ad Adam sfuggì un gemito mal soffocato. Summer si voltò a guardarlo.

Il movimento fu brusco e repentino, i capelli le volarono davanti al viso e il gesto venne frainteso.

L'uomo irrequieto si spaventò, pensò che volesse armarsi che stesso controllando gli zaini a terra, che li volesse raggiungere mentre loro erano intenti a chiacchierare.

Il proiettile partì prima che potesse ragionare.

Lo scoppio non aveva ancora raggiunto la loro membrana timpanica che Kuran aveva già fatto un passo di lato.

Aveva visto tutto ed era intervenuto.

In molti immaginarono il dolore di un proiettile al centro del petto. Lui però provò solo sollievo quando avvertì quel corpo estraneo penetrargli la carne.

Degenerò tutto troppo velocemente, gli eventi si susseguirono e si sovrapposero, l'asse si sbilanciò, il potere fluì, il mondo si capovolse.

Lui cadde a terra, Summer non riuscì a sostenere il suo peso.

Ma nemmeno a quel punto Kuran provò alcun male.

Aveva sofferto tanto, il pilota, aveva sofferto in silenzio, aveva sofferto in solitudine, aveva sofferto senza riuscire a spiegarsi dove fosse l'origine di quella ferita infetta, dov'era il punto da cui si propagava il dolore.

Ora non soffriva più.

L'avrebbe voluto dire a Summer, che gridava e piangeva con le mani che tamponavano disperate il titanio che colava. Avrebbe voluto dirle che morire facendo da scudo a chi amava era un onore, un sollievo, un bene.

Era felice che quel proiettile fosse incastrato nelle sue viscere, felice che lei fosse ancora viva.

Non avrebbe più contemplato una vita in sua assenza, non avrebbe affrontato un secondo lutto, non sarebbe sopravvissuto alla sua dipartita.

«Kuran!» Lacrime salate gli piovvero sulle labbra.

«Il... il mio nome...» Lo sconvolse comprendere quanta poca forza gli rimanesse, quanto attentamente dovesse dosare le sue ultime parole.

Lei strizzò gli occhi, scosse la testa, in un attimo capì.

Il ricordo albeggiò mentre calava il buio.

Una stanza vuota, un oblò affacciato su Marte, due antichi ideogrammi tratteggiati sul vetro grazie alla condensa.

"È giapponese, significa vieni a sognare."

«Non puoi farmi questo...» lo scongiurò in preda al panico.

Chinò il capo su di lui, i nasi si sfiorarono, i respiri si fusero, le labbra si bramarono.

Ma i destini si erano già sciolti, una volta per tutte.

«Il mio sogno sei tu» pronunciò tutto d'un fiato, il suo ultimo fiato, l'ultima dichiarazione che le avrebbe lasciato.

Si arresero entrambi, nello stesso momento. Non riuscirono a capire dove finisse l'una e dove iniziasse l'altro, chi fosse davvero morto, tra i due.

Kuran e Summer erano sempre stati così. Contorti, aggrovigliati, esanimi e innamorati.

Fuori scoppiò una guerra, qualcuno urlò così forte da far tremare la terra.

Loro due però rimasero in disparte.

Non stillava sangue dal petto di Kuran. Solo gocce amare di memorie passate.

"È sempre stato così con te. Io che ti inseguo e tu che scappi via. Lo dovevo immaginare che un giorno te ne saresti andato per sempre... Forse nel profondo lo sapevo, lo sapevo già come sarebbe finita la nostra storia..."

Un sogno infranto. Un sogno realizzato a metà.

Summer agonizzò, sprofondò il viso nell'incavo del suo collo, cercò con disperazione di inglobare il suo profumo.


"Addio, Kuran, non smetterò mai di pensarti, non smetterò mai di pronunciare il tuo nome, non ti dimenticherò mai. Non posso chiederti di fare lo stesso. Sei stato il mio primo, grande amore, il mio sogno divenuto realtà. Ti auguro il meglio. Addio."


"Aria, perché hai aggiornato un giorno prima del weekend?"

Perché so che mi arriveranno mille insulti (e me li merito tutti) 😅

Inutile dirvi che doveva andare così, fin dall'inizio. E voi non sapete quanto io abbia sofferto a scrivere le parti che lo riguardavano, quando mi chiedevate perché era così poco presente e se lo sarebbe stato di più nel terzo, quando commentavate la relazione malsana tra lui e Summer...

Doveva andare così, non poteva andare altrimenti.


Le ultime frasi sono prese dal primo libro 💔


Vi aspetto nei commenti! 🙏🏻

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