45. Colpo di scena
Avanzarono lungo un corridoio che spillava umidità e muffa dalle pareti scrostate. Non si erano sforzati di mantenere quel luogo salubre, anzi, si erano volutamente circondati di degrado, come se l'ambiente esterno dovesse per forza essere in simbiosi con quello interno.
Sofia camminava a testa china, gli occhi orientati verso il pavimento, la pistola nella fondina slacciata. Evangeline le gettò una rapida occhiata e si ravvide subito: non doveva fare errori. Adam le avrebbe rivolto un cipiglio contrariato, se fosse stato lì.
"Non fare la bambina."
Le parole risuonarono con severità nelle orecchie.
No, stavolta non si sarebbe comportata come tale.
Salirono due rampe di scale e svoltarono verso una sala enorme senza porte, un tempo forse adibita a convegni e riunioni.
C'erano altri Arcadiani, ma un solo Antico, seduto su quello che pareva un trono e invece era solo una vetusta seggiola girevole con ancora le rotelle affisse ai piedi. Ruotava indolente come un CEO annoiato.
Non era come gli altri che aveva visto. La pelle era nera, il volto ridotto a un osso, ma conservava ancora una parvenza umana: aveva un naso, una bocca, due occhi lattei in grado di vederci ancora.
«Humaine.» Rise, mostrando denti finti, sempre di titanio, conficcati in un palato che continuava a cedere a causa dell'incombere del tempo. «Mi aspettavo un uomo, e invece è arrivata una dolce fanciulla.»
Tamburellò le unghie su un bracciolo.
Tutti gli altri erano in cerchio, in piedi, file di soldatini schierati ai suoi ordini. Bende sugli occhi divelti, bandane per coprire le mutilazioni, armi imbracciate e sguardo vacuo, assente.
Sofia la spinse al centro, là dove una volta doveva esserci stato un lungo tavolo che avrebbe accolto tutti i presenti.
Eva non protestò, non si oppose.
«Avvicinati.»
Lei fece un paio di passi, non di più.
Non si doveva allontanare troppo...
«L'Umano dov'è finito?»
Tenne la bocca chiusa.
L'Antico la fissò per qualche minuto e poi riprese. «Sapevamo della sua presenza, si teneva lontano, ci controllava, ma anche noi controllavamo lui. Volevamo scoprire dove fosse il suo villaggio, ma c'era troppa foresta di mezzo. I nostri uomini non sopravvivevano a un tragitto così lungo, in un modo o nell'altro perivano lungo la via. Uno spreco. Noi sapevamo della sua esistenza, ma non potevamo combatterlo. E sapevamo anche che era Umano. Come lo sei tu. Perché lasciava una scia quando passava: ferro e sudore. Avete un odore che non potremmo mai dimenticare.»
Eva si mantenne ben dritta. Impose alle membra di non tremare e alla sua espressione di non essere troppo dura e decisa. Doveva imporsi una recita, dopotutto. Una messinscena.
Lui la soppesò curioso. «Sei stata caparbia, non hai ceduto, non hai rivelato nulla.»
Arrivava la parte difficile, senza volere strinse in pugno un lembo del tessuto della gonna. Le arrivava giusto al ginocchio.
«Ma non hai scampo, ragazzina. Ci appartieni, ora. Appartieni a me.»
Non distolse il contatto oculare. Vigile e attenta continuò ad ascoltare.
«Sono morti tre miei fratelli. Tre. Non succedeva da secoli. Ancora non me ne capacito. E questi idioti sono riusciti a catturare solo te. Assurdo, vero? Io lo trovo quasi inverosimile.»
Gli Arcadiani in posizione di guardia trasalirono. Erano terrorizzati.
«Arriverà la punizione. Qualcuno è già stato punito. Ma te? Cosa me ne faccio di un grazioso bocciolo? In che modo potrei sfruttarlo? Sei ancora vergine, non è vero?»
Sofia emise un gemito. Un compagno le sferrò una gomitata e lei subito si ricompose.
L'Antico si avvicinò. Era vestito di nero, le unghie lunghe come coltelli, i piedi scalzi, deformi.
«Devi capire, dolce gattina, che su questo pianeta comandiamo noi. Sì, noi. Noi siamo rimasti, noi siamo sopravvissuti, noi abbiamo valicato il limite tra la vita e la morte. Noi. Voi siete parassiti, voi siete batteri che dobbiamo debellare. E lo faremo, ti assicuro che lo faremo molto presto. Siamo già all'opera, in questo senso.»
Un nuovo sorriso sardonico.
Evangeline dava cenni d'insicurezza, cominciava a temere il fallimento
Pessimo segno, Adam l'avrebbe scossa con violenza.
"Questa è una posizione da vittima. Tu non vuoi recitare il ruolo della vittima, vero?"
No, no. Non sarebbe stata la vittima, al contrario. Sarebbe stata la carnefice.
«I tuoi trisavoli ci hanno abbandonati. Era l'inferno, non avevamo cibo, non riuscivamo a respirare dal caldo. Vaste zone furono colpite da calamità naturali, il mondo che conoscevamo crollò su se stesso. Perdemmo tutto, ogni cosa. Sopravvivere divenne una scelta difficile, la via più facile prevedeva la morte. Ma noi non volevamo morire. No. Era ingiusto ciò che ci era successo, non ce l'eravamo meritato. Perché voi sì e noi no? Perché questa condanna? Perché nessuno ha avuto pietà? Lo sappiamo cosa credettero le arche: che ci fossimo estinti, che dopo mille anni nemmeno i resti fossero rimasti a testimoniare il loro eccidio. Ma non fu così. Noi scegliemmo di restare, noi scegliemmo di combattere, noi scegliemmo di vincere!» Alzò la voce fino a farla rimbombare lungo le pareti. L'edificio era muto, solo lui tuonava. «E abbiamo vinto, dolcissima gattina, abbiamo vinto, alla fine. Abbiamo sconfitto ogni cosa, abbiamo piegato questo mondo al nostro volere. Ma voi, stupidi illusi, siete voluti tornare. Perché tornare? Non stavate bene sulle vostre arche? Vi mancava casa? Ma casa vostra ora è nostra! Qua non c'è nulla che vi appartenga! Ci siamo solo noi! Noi governiamo, noi deteniamo il potere, noi siamo dei immortali e vendicativi e voi sarete tutti nostri schiavi!»
Si era alzato. Due metri d'altezza, gambe così esili che era inconcepibile comprendere come riuscisse a reggersi in piedi.
«Proveremo a generare un figlio, io e te: il grembo fertile di un'Umana e quello di una divinità di titanio. Fino a ora nessun Arcadiano è riuscito a procreare. Ma loro sono marci, corrotti, devastati. Non sono puri e immacolati come te» le sorrise in maniera viscida e maligna. Scivolò la lunga lingua frastagliata tra i denti finti.
S'aspettava una reazione, un moto di repulsione.
Invece Evangeline rimase muta.
«Non hai nulla da dire, micetta?»
Scosse il capo.
«Bene, saggia decisione. Sei fortunata, sai? Non ti riserverò lo stesso trattamento che hanno subito gli altri. Le torture ti farebbero solo deperire più velocemente. Invece io voglio godermi il mio premio, voglio sfruttarti fino all'ultimo giorno. Credi che sia un demonio, non lo dici ma te lo leggo dentro. Ma tu non sai... tu non sai cosa noi abbiamo patito. Ci meritiamo una ricompensa. Un tempo si diceva che agli uomini probi spettassero sette vergini in paradiso. Bè, io ne avrò una. E me la farò bastare.»
Eva sospirò, come se fosse stanca.
Il peggio doveva ancora arrivare.
L'Antico aprì la bocca per parlare, per intimorirla, per lanciare minacce avvelenate come dardi infuocati, promesse ostili intrise di odio, rancore, un fervore vecchio e indelebile, una piaga che non si poteva rimarginare.
Ma era giunto il momento, il suo momento.
Con uno scatto felino Evangeline balzò di lato, colpì Sofia con una gomitata sul mento e contemporaneamente le sferrò un pugno all'addome. Sfilò rapida la pistola dalla fondina e le sparò in fronte, senza alcuna esitazione.
E poi puntò la canna ancora calda alla propria tempia destra.
Pulsava. Non sapeva se fosse solo il suo cuore, il calore o quell'arma che tanto a lungo aveva temuto e che adesso invece rivendicava.
Il corpo della donna cadde sul pavimento tanto velocemente che gli altri uomini non avevano fatto a tempo a imbracciare i fucili.
Nessuno si sarebbe mai aspettato un imprevisto del genere: cruento, efferato e rapido. Troppo rapido.
D'altra parte, lei era stata addestrata dallo stesso mostro che aveva sventrato uno di loro a mani nude.
Evangeline sorrise, un sorriso tenebroso, un sorriso vittorioso, il sorriso di una promessa che avrebbe mantenuto fino alla fine.
Mai più si sarebbe sottomessa.
Mai più l'avrebbero ferita.
Mai più l'avrebbero ingabbiata.
Mai più l'avrebbero umiliata, denigrata, sottovalutata, sminuita, lasciata da parte perché non era abbastanza forte, perché non era abbastanza donna.
Mai più l'avrebbero minacciata.
Mai più le avrebbero fatto del male.
Mai più.
«Fermi!» tuonò l'Antico prima che gli Arcadiani al suo servizio aprissero il fuoco. «Fermi!» ripeté, con gli occhi fuori dalle orbite.
Alzò una mano nella sua direzione, il palmo teso alla ricerca di clemenza.
«Ci serve viva» sussurrò.
Gli altri intesero.
Anche Eva aveva già intuito.
Serviva loro viva.
Era sempre servita viva.
Come se la vita stessa che scorreva nelle sue vene fosse oro colato, un metallo prezioso e raro, un capitale d'inestimabile valore. E tutto ciò che vi stava attorno, invece, era solo carne debole e una peluria bionda. A nessuno importava dei suoi sogni e dei suoi desideri, a nessuno importava mai del suo volere.
Io voglio morire.
Voglio tornare da Ulrik.
Mai più dovrò sopportare di venire trattata come un essere non senziente.
La morte non sempre è un fallimento.
La morte può essere anche una rivincita personale.
❈
Uno scricchiolio sul terreno costrinse Adam a levare lo sguardo.
«Paparino è tornato.»
Aveva finito la scorta di carne secca che gli aveva lasciato e si era ritrovato la bocca impastata. Aveva cercato allora un ruscello poco distante dove riempire la borraccia, ma non aveva trovato traccia d'acqua. Così si era abbassato verso le radici dell'albero, aveva leccato la rugiada dal muschio verde.
In questo modo aveva impiegato il suo tempo, tra improperi e bestemmie sempre più contorte e poeticamente sprezzanti.
Ulrik invece aveva uno strano odore addosso, le nocche scuoiate e le guance più incavate del solito.
«Bè? Non dici niente?» Spalancò le braccia. «Che cazzo hai fatto?»
«Lo vedrai. Esistono altri modi per far esplodere un edificio. È arrivato il momento.»
«Che momento?»
«Di entrare e tirarla fuori.»
Adam si aggrappò al suo braccio, lo strattonò all'indietro. Gli occhi blu brillavano nella notte come lapislazzuli appena estratti da una cava.
«Che vuol dire "è arrivato il momento"? Adesso? E il piano?» La paura era una belva in agguato, sempre affamata, mai sazia.
«Te l'ho detto: non c'è nessun piano.»
Il comandante aveva sempre un atteggiamento così calmo, inamovibile. Ma nel suo sguardo si leggeva di più, una tenacia, un rigore, una forza derivata da un controllo fisico e mentale ferreo.
Ulrik era una montagna, Adam la tempesta che imperversava a valle.
«Okay, coglione, pensavo fosse un modo per dirmi: "ce la dobbiamo cavare senza stratagemmi", non che non ci fosse effettivamente un piano! Cioè... noi entriamo dentro e che facciamo? Salutiamo e spariamo? E se lei non fosse lì? E se fosse in un altro edificio, in un sotterraneo, in un bunker, da qualsiasi altra parte?»
Rik aggrottò un sopracciglio. «Primo: quando entri, non salutare nessuno. O spari o muori. Secondo: lei è lì. Ne sono sicuro.»
Il ragazzino emise una risata stridula, quasi isterica. La sua mano si conficcò con più violenza nel braccio del giovane uomo.
«Rik, se vuoi essere divertente, mi dispiace deluderti, ma non lo sei.»
«Non volevo essere divertente, Adam.»
L'Umano rafforzò la presa, nei suoi occhi baluginò un brivido di follia.
«Dimmi cosa dobbiamo fare» ordinò, al limite della pazienza.
L'altro si voltò verso di lui, senza liberare il braccio irretito dalla morsa.
«Entriamo armati, io davanti e tu dietro. Se riesci, coprimi le spalle. Altrimenti è uguale. Io ti farò strada, arriverò fin dove posso, ti offrirò uno scudo dietro cui procedere. Una volta che l'avremo trovata, la libererai.»
Adam retrocedette spaesato, lo lasciò andare. «Dai per scontato di non farcela, di non sopravvivere?»
Il comandante mantenne l'aplomb. «Questo dipende da te. Mi guarderai le spalle o sarai il primo a spararmi mentre sono di schiena?»
Era l'accusa peggiore che gli avessero mai fatto, l'insulto più grave che avesse mai ricevuto. Come se gli avesse tirato un ceffone sentì le iridi pizzicare.
Per una volta non volle replicare.
Sapeva di non essere il prototipo del bravo soldato, sapeva di aver commesso molti errori, di essere stato capriccioso, insolente, infantile e avventato. Sapeva anche che Ulrik aveva più volte visto i suoi lati peggiori: quando aveva dato di matto contro Melchor, lo schiaffo a Eva, le viscere dell'uomo che l'aveva aggredito... Però in fondo ci sperava, sapeva di essere migliore di così, sapeva che avrebbe potuto dimostrare di più.
Adam non era mai stato un traditore. Aveva commesso crimini non giustificabili, ma non era un verme. Aveva fatto fatica a correre da Ulrik, a chiedere il suo aiuto.
Chinò il capo, sconvolto, umiliato.
E forse Ulrik si rese conto di essere stato troppo spietato, di aver toccato un nervo scoperto.
«Sei ben allenato, Adam.» Deviò lo sguardo e rindossò la giacca lercia che giaceva sul terreno.
Era un complimento, a suo modo. «Se mi guarderai le spalle, usciremo in tre da quell'edificio. Ma se le cose dovessero andare male, non voglio che tu ti guardi indietro.»
Il ragazzo annuì. «Vale lo stesso per me» biascicò senza molta convinzione.
Il comandante fece un passo avanti, si vedeva che avrebbe voluto stringergli una spalla, alzargli il mento, dargli una pacca sulla schiena, ma non ci riuscì. «Ascolta, non possiamo sapere in che condizioni la troveremo» mormorò, convogliando subito su di sé l'attenzione. «Non ci possiamo fermare, okay? Non ci dobbiamo distrarre. Il nostro obiettivo è Evangeline e tutto il resto passa in secondo piano.»
Un nuovo consenso, l'ultimo, quello definitivo.
Tolsero la sicura alle armi e distribuirono i caricatori nelle tasche davanti dei giubbotti.
«Chi ti ha allenato?» gli chiese all'improvviso Ulrik.
Adam rispose, dopo un leggero spaesamento, con un mezzo sorriso. «Comandante, non hai risposto a nessuna delle mie fottutissime domande, e ti aspetti che ora io risponda alle tue?»
Rik scrollò la testa e le spalle. «Tu sai cosa vuol dire» gli spiegò, «lottare per sopravvivere?»
"Shani combatte per vincere o morire. E questo è un gravissimo handicap. Non hai controllo, non hai lucidità, rischi di rimanere invischiato in una posizione scomoda, non prevedi alcuna via d'uscita, alcuna possibilità di fuga o resa" gli aveva detto prima di partire per la sua imboscata segreta.
«Certo che lo so» rispose Dima con tono scanzonato. «E tu, Rik? Tu sai cosa vuol dire lasciare a briglie sciolte il lato peggiore di te?»
L'uomo non si prese la briga di rispondere.
Ma Adam avrebbe scommesso tutto ciò che non possedeva e non avrebbe mai posseduto di aver visto un'ombra di fiducia sul suo volto.
❈
L'Antico aveva ancora il palmo della mano spalancato.
C'erano una decina di canne puntate nella sua direzione, le dita fremevano sul grilletto come fremeva la rabbia nei corpi che le possedevano.
Aveva ucciso una di loro, a sangue freddo.
Aveva ucciso l'unica che si fosse comportata in maniera gentile, che le avesse dato fiducia.
Ma era l'unico modo, il membro debole, l'effetto a sorpresa, il colpo di scena.
E poi comunque tra poco sarà tutto finito.
«Umana, non fare follie» l'ammonì.
Fece un passo nella sua direzione.
Evangeline gli sorrise. Le passò la vita davanti, per l'ennesima volta. I volti sfocati delle sorelle, ricordi che aveva ceduto per riconnettersi maggiormente alla terra, per essere un tutt'uno con la natura. E poi la risata di Tomas, gli occhi vispi di Shani e il suo sorriso di un candore abbagliante, il volto cupo e serio di Kuran, quello malinconico di Summer, le orride battute di Adam e poi lui... occhi azzurri e sconfinati. Iniziava a pensare che fosse stato tutto un gioco di fantasia, che non fossero mai stati davvero insieme. Impossibile per due come loro conciliare indoli tanto differenti, caratteri opposti, personalità forti, ma in modi diversi.
«La follia risiede nel fatto che non ci sono buoni o cattivi in questa storia. Ci sono solo persone che hanno lottato per sopravvivere. Avrebbero potuto farlo insieme, fianco a fianco, darsi una mano a vicenda. E invece no, troppo semplice. Hanno dovuto farsi la guerra.»
L'Antico avanzò ancora, tremava per il nervoso e l'ansia di perdere il suo prezioso tesoro. Era stato pungolato in vivo, ma non voleva lasciarsela scappare.
«Che ne sai tu, piccola Arcadiana?»
«Antichi, Arcadiani, Anziani, Titans, Umani... ci siamo scordati che siamo tutti uguali.
Liberté, Égalité, Fraternité.»
Un nuovo spasmo, questa volta alla mandibola. Si arrestò e soppesò il da farsi.
Gli serviva viva.
«Ricordi l'antico motto del mio popolo. Mi sorprendi, ragazzina. Va bene, faremo come vuoi. Parleremo, okay? Io e te. Ci sederemo a un tavolo coi miei fratelli e collaboreremo per firmare una tregua: niente più sangue donato alla Terra, bandiera bianca. Ti sto tendendo una mano, dopotutto. Non vedi?»
Il palmo da alzato si curvò verso l'alto. Il braccio si tese nella sua direzione.
Ma Evangeline colse il lieve cenno ai sottoposti. Li aveva ammoniti di stare allerta, pronti a intervenire.
«Qual è il tuo nome?»
L'indice accarezzò il grilletto. Chi si sarebbe mai aspettato che una levetta così piccola potesse determinare la fine di qualcosa di così grande?
L'Antico non rispose.
«L'avete dimenticato, nevvero? Avete dimenticato i vostri nomi.»
L'Umana sorrise di nuovo.
Non ebbe risposta.
«Il mio è Evangeline.»
Si sentirono dei rumori ai piani inferiori. Sembravano spari, mobili che cadevano, voci concitate.
L'Antico avrebbe voluto dire ai suoi uomini di andare a vedere cosa stesse accadendo, ma non poteva distogliere l'attenzione dalla preda.
«Però tutti mi chiamano Eva» aggiunse lei.
Gli occhi bianchi del demone si sgranarono. S'intuì l'ombra di una pupilla sbiadita allargarsi nell'iride velato.
«Eva» sussurrò stranito.
Qualche secondo dopo, tutto ebbe fine.
Bene bene. Vi aspettavate questo colpo di scena?
E non siete ancora pronti a sapere cosa vi aspetterà dopo... 😬
L'ansia è il soundtrack ufficiale di questa storia.
Nel frattempo la dolcissima Angiscar93 ha scritto una fanfiction 🔥🔥🔥 su Ulrik e Adam 🙈
La Trovate come sempre nella sua raccolta "Extra"!
Io invece, come al solito, vado a rispondere ai vostri commenti 👀
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro