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37. Minacce

Hans sapeva che la gestione di nove bambini umani sarebbe stata impegnativa...

Ma non si aspettava che fosse così impegnativa.

Alla fine della prima settimana aveva ossa rotte e forza d'animo assente.

August senza volere gli aveva spaccato il naso, tutti i suoi vestiti erano sporchi d'erba e uno dei suoi amati libri era stato insozzato di sangue e letame.

Già avere a che fare con degli adolescenti, all'Accademia, non gli andava a genio, non si sentiva portato, entrava in classe pregando che la lezione finisse presto e non osava mai guardare nessuno di loro dritto negli occhi. Non erano solo i cadetti, la futura milizia dell'arca, a essere famelici e pericolosi, i futuri membri dell'Intelligence lo scrutavano dall'alto in basso e chi studiava per divenire pilota era più furbo e scaltro della norma.

Insegnare non faceva per lui.

I bambini non facevano per lui.

Nemmeno si ricordava di esserlo stato, bambino. Amava leggere da quando aveva iniziato ad associare un simbolo a un suono. Era sempre stato autodidatta, era cresciuto da solo, la compagnia e l'affetto di se stesso per se stesso.

All'ennesimo litigio tra i due gemelli a cui il professore era stato costretto a mediare, cedette. Qualcosa dentro di lui si ribellò, alzò per la prima volta la voce.

Gli occhiali gli scivolarono sulla punta sudata del naso e lui se li levò con uno scatto nervoso, li rimise nel taschino della camicia. Non voleva vederle, quelle nove pesti infami. Scorgeva le loro sagome confuse e colorate, da qualche parte si celavano pupille attente, vibranti di potere.

Era stato sbeffeggiato, morso, punto, era stato vittima di scherzetti e burle per sette lunghissimi ed estenuanti giorni.

Non ne poteva più. Avrebbe volentieri rassegnato le dimissioni, ma non aveva quel privilegio. Era un lavoro forzato, non una professione scelta.

Un singhiozzo sfuggì dalle sue labbra. Un singhiozzo vero, un singhiozzo sincero.

I bambini erano insolitamente muti, non osò rinforcare gli occhiali. Immaginava le loro espressioni davanti a un adulto che piangeva come un infante.

L'avrebbero raccontato a tutti: ai genitori, ai tutori e, al loro ritorno, anche ai suoi compagni.

I compagni che l'avevano lasciato lì, i compagni che l'avevano abbandonato. Perché Hans era inutile: non era Umano, non era un soldato, non aveva studiato per essere un esploratore come Kuran o Summer. A nessuno gliene fregava che con grande probabilità sapeva tante nozioni quante ne conoscevano loro. Non gliel'avevano chiesto, non gli importava. Era un fardello di troppo e ora era destinato a svolgere il ruolo del vice-comandante fantoccio.

Ridicolo! Non sapeva nemmeno gestire una classe di bimbi!

Un secondo gemito gli uscì dalla gola insieme a due o tre lacrime... perse presto il conto. Questo era il punto più basso in cui era caduto, il fondo del pozzo. Nemmeno all'Accademia aveva pianto durante una lezione. Si era rifugiato in bagno un paio di volte, a sfogare il nervoso, ma non aveva mai ceduto davanti a una scolaresca.

"Mai mostrarsi deboli di fronte agli alunni!"

L'aveva letto da qualche parte, o forse era un consiglio di un ex-docente.

Hans si lasciò andare a un pianto liberatorio, chiuse gli occhi con pollice e indice, e si sfogò.

Nemmeno Olly e la piccola Lilly fiatarono, il che era davvero strano visto che non avevano smesso un secondo di strillare dal mattino.

Forse se n'erano andati tutti in sordina.

Hans si sforzò di rinfilare gli occhiali. Stropicciò un po' le ciglia bionde prima di riacquistare la vista.

Erano ancora tutti lì, schierati in una fila ordinata. Olly era in piedi, aggrappato ai pantaloni di Phil che gli teneva amorevolmente una mano sul capo; Lilly tra le braccia di Mali, la testa appoggiata al suo petto da ragazzina.

«Qualcuno ha bisogno del cerchio della calma» cinguettò Jenny. Quella bambina gli metteva i brividi. C'era qualcosa di inquietante in lei, era orribile da pensare, visto che era così minuta e graziosa, una rosellina selvaggia che non faceva mai nulla di male. Eppure era certo che nascondesse spine avvelenate da qualche parte. Non aveva mai un tono di voce normale, era sempre cantilenante. Sembrava appartenere a un'altra dimensione, camminava in questa in punta di piedi e professava velate minacce con candore.

«Già, giusto. Il cerchio.» Eva glien'aveva parlato. Era uno spazio in cui i bambini sedevano quando perdevano il controllo. Guardò l'aula soffocata dai rampicanti, scorse un disegno giallo sul pavimento di legno, semi-nascosto da alcuni giochi e cuscini. «August, September...»

Non concluse la frase. Era ingiusto punire solo loro due. In realtà era tutto partito da Jenny. La fanciulla si era vantata di sapere come stesse la loro tata. August l'aveva contraddetta e Jace l'aveva difesa a spada tratta. September era intervenuto per difendere il fratello, Thorn c'era finito in mezzo e... poi non sapeva cosa fosse accaduto. Si era beccato una gomitata sul naso nel tentativo di separare i due gemelli che si azzuffavano furiosi.

«Non per loro, per te» lo corresse Jenny.

Hans non fece una piega.

In effetti aveva ragione, per questo non si scompose. Gerarchia, autorità e autorevolezza, relazione maestro-alunno... si gettò tutto alle spalle.

Con la schiena ingobbita si recò davanti al cerchio dipinto con una tempera gialla realizzata con curcuma, zafferano e curry, lo liberò spostando gli oggetti con le scarpe e vi si sedette al centro a gambe incrociate. Il ritratto della rassegnazione.

"Se Ulrik mi vedesse in questo stato..."

I bambini lo seguirono a ruota, si disposero attorno a lui. Lilly protestò perché voleva gattonare in giro, Mali le sussurrò qualcosa all'orecchio e l'ammansì.

Non aveva mai udito la voce di Mali, la fissò con stupore genuino.

La frangetta le copriva mezzo viso, non era facile comprendere cosa stesse provando, a cosa stesse pensando, cosa frullasse sotto quella chioma corvina.

«Anche lei deve imparare a ritrovare la calma.»

Il professore trasalì e con lui tutti gli altri bambini.

Mali si era pronunciata con un tono di voce piuttosto alto, ben udibile.

Non era mai accaduto.

Mai. Nemmeno con Eva.

La compagna di squadra le aveva parlato del mutismo selettivo della ragazzina e del probabile ritardo dello sviluppo della sorellina. Lilly avrebbe avuto bisogno di titanio in futuro. I capi villaggio stavano tergiversando visto che la scorta era sempre più limitata e la situazione non appariva urgente, ma per Eva era evidente che qualcosa non andasse, che servisse un supporto medico, che la natura non stesse svolgendo il suo decorso naturale.

Mali non era della stessa opinione, ma con Evangeline non ne voleva parlare.

Amava Lilly così com'era, tale e quale alla defunta madre. Chi erano gli adulti per decretare cosa fosse giusto o sbagliato? Lilly era felice e in salute. Lilly possedeva la vita che sua mamma le aveva donato. Lilly era Umana. Mali non più...

Cos'era giusto essere sulla Terra? Cos'era realmente contro natura?

Era sicura che il professore avrebbe capito. Per questo lo guardò negli occhi e si rivolse a lui senz'alcun timore. Un adulto che ha il coraggio di piangere davanti a un bambino: Hans era il suo nuovo eroe, un faro in una notte tempestosa. No, di lui non avrebbe mai dovuto avere paura, a lui si sarebbe affidata ciecamente. Voleva molto bene a Evangeline, ma sotto sotto la temeva. Lei ed Eva erano separate da una diversità abissale. Hans invece era simile a lei: anche lui era un Titans con un cuore umano.

Il professore deglutì la poca saliva che gli era rimasta in bocca e si asciugò il naso con la manica. Un gesto infantile che fece sorridere alcuni di loro.

Jenny spostò le mani dietro la schiena reclinò la testa di lato, trasse un profondo sospiro. «Gli alberi sussurrano che alla fine sarai tu a salvarci tutti.»

Hans tremò, spostò l'attenzione su di lei, pallido in viso.

«Non lo dicono ad alta voce, non vogliono parlarmi della minaccia in agguato. Sanno che qualcosa di terribile sta per avvenire e che la foresta non si schiererà, non prenderà parte alla battaglia. Dicono che tu sarai il salvatore. Ma come puoi farlo, se sei qui con noi?» Jenny soppesò le sue stesse parole. Tutti pendevano atterriti dalle sue labbra dipinte di viola. Avrebbe compiuto otto anni quell'estate. «Hans Brandt, tu sarai capace di essere il nostro salvatore?»

Un muscolo facciale vibrò sul viso del professore, non riusciva più nemmeno a deglutire.

Ma il giovane era sempre stato d'indole più curioso che vile. «Forse voi mi potreste dare una mano» suggerì.

Jenny arcuò gli angoli della bocca in un ghigno che voleva essere un sorriso. Gli occhi emanarono un bagliore intenso, da pelle d'oca. Jace le strinse la manina paffuta, la riportò nel qui e ora, l'aiutò a riassumere delle sembianze umane.

«Certo che sì, professore!»





Xavier lo sorprese mentre era appoggiato alla staccionata al lato est. Aveva permesso a Brenda di prendersi una pausa dal turno di guardia per stare un po' con il figlio.

A lui non pesava stare là, scrutare assorto l'orizzonte oscuro, i tronchi neri degli alberi, sentire il profumo penetrante dell'umidità delle foglie e delle radici, il sapore del fango in gola, come se avesse inghiottito una manciata di sassi senza masticare.

«Hai un aspetto terribile.»

Hans non si voltò.

Continuava a rimuginare sulla profezia della bambina. Cosa voleva significare? Salvare chi? La sua squadra? Jenny aveva dato per scontato che la foresta si riferisse a loro. Ma se avesse frainteso il messaggio inviatole dagli alberi? E se fosse stato il villaggio a essere in pericolo?

«Sei ancora più pensieroso del solito.» L'ex-professore gli tirò una gomitata.

Hans non rispose, non arrossì, non lo degnò di un'occhiata.

Non sapeva nemmeno lui perché si stesse comportando in quel modo. Forse era solo stanco.

Non aveva alcuna intenzione di rientrare tra le sue grazie, avrebbe voluto che qualcuno per una volta si sforzasse di conquistare lui, e non il contrario.

«Hans?»

Xavier era così vicino che poteva sentire il suo odore virile addosso. D'istinto fece un passo di lato e l'uomo ne approfittò, l'arpionò per un braccio e lo trasse a sé.

«Perché mi ignori?!»

Finalmente gli occhi si incrociarono. Quelli di Hans avevano un'innaturale sfumatura dorata, quelli di Xavier invece erano torbidi come la foresta.

«Non hai fatto altro da quando ci conosciamo, mi sono adeguato.» Non si riconobbe in quell'atteggiamento passivo-aggressivo. Si ravvide e chiese subito scusa. «Sono esausto. E preoccupato» aggiunse

Xavier non lo lasciò andare e questo lo mise a disagio. La morsa era bollente, il suo braccio in titanio stava prendendo fuoco.

«Non mi ignorare. Parlami. Cosa ti preoccupa?»

Riuscì a farlo arrossire dall'attaccatura del collo fino alla radice dei capelli.

Hans scosse le spalle. Sperò che fosse abbastanza per essere liberato.

Xavier non si oppose, anzi, si avvicinò ancor di più, gli alitò sul viso. «Parlamene!» lo supplicò.

Il vecchio collega gli raccontò tutto: le difficoltà con i bambini, l'inquietante presenza di Jenny nella classe, la minaccia della foresta, l'epiteto che gli avevano affibbiato gli alberi...

"Il salvatore."

L'ex-professore rimase qualche minuto in silenzio, dopo averlo ascoltato. «Non sei solo» gli disse.

Non aggiunse altro.

E Hans, per la seconda volta in quella lunghissima giornata che sembrava essere durata un secolo e mezzo, si lasciò andare.

Appoggiò la fronte sulla spalla di Xavier, rilassò i muscoli, si affidò a lui.

L'uomo sciolse la presa per poterlo abbracciare. Era più teso, adesso, perché non si aspettava quella reazione. E Hans gli sembrò piccolo e fragile tra le sue braccia, ma non in un modo fastidioso. Risvegliava in lui un istinto sopito ben diverso da quello paterno che provava per Adam. Voleva essere all'altezza, voleva dimostrargli che su di lui poteva fare affidamento, che non doveva caricarsi tutte le responsabilità sulle spalle, che potevano condividerne il peso.

La verità era che Hans aveva eretto barriere insormontabili, limiti che Xavier non avrebbe dovuto attraversare, visto che aveva lasciato un marito sull'arca, un uomo che amava e che aveva deluso. Quello spiraglio aperto senza preavviso, quell'abbraccio spontaneo, disilluso, era una tentazione irresistibile, una speranza che lo riaccese e che non riuscì in alcun modo a spegnere.

Con le labbra sfiorò i suoi capelli ispidi e biondi. Hans aveva sempre un profumo dolce, il profumo di qualcosa di buono, di qualcuno che non può fare del male ma solo del bene. Cercò di reprimere le emozioni, ma inavvertitamente lo strinse a sé ancor più forte, pronto a difenderlo da chiunque, pronto a difenderlo anche da se stesso, se necessario.

Tu non te ne rendi conto, ma mi hai già salvato.





Le fiamme dell'ultimo fuoco sembravano più ardenti e splendenti che mai.

La notte seguente non avrebbero dormito.

La notte seguente sarebbero giunti a destinazione.

La notte seguente avrebbero eseguito un piano di cui non conoscevano nemmeno le coordinate.

Erano troppo vicini, ormai. Non c'era più tempo, nemmeno per discutere o disertare.

Kuran abbandonò il capo sulla spalla di Summer. Lei trasalì per la sorpresa e lui ci rimase male, ma non si scostò.

Non avevano avuto modo di chiarirsi e così avevano preferito tacere del tutto, non proferire nemmeno mezza parola. La pilota cercò con un braccio il fianco del ragazzo, senza però spostare lo sguardo dalla danza delle fiamme. Kuran lo prese come un implicito consenso, si sdraiò sul suo grembo e chiuse gli occhi mentre lei gli accarezzava i capelli corvini lontano dalla fronte.

"Sembra un bambino" sorrise sovrappensiero. Quando girò il capo, sorprese Adam in flagranza di reato: li stava fissando. Quello arrossì e le fece l'occhiolino. Giocava da un'ora con un coltellino a serramanico: lo faceva schioccare e lo richiudeva. Il pollice iniziava a sanguinare.

"Siamo tutti bambini" confermò a se stessa.

Eppure lei sentiva il peso di due vite sulle spalle.

Evangeline fissava immobile la foresta, Bea fissava Ulrik e tremava.

Tomas e Shani dormivano abbracciati. La guerriera era sempre più stanca, ma non lo voleva dare a vedere agli altri. Era la prima ad addormentarsi tra le braccia del suo ragazzo e l'ultima a svegliarsi con gli occhi ancora gonfi di sonno.

Rik digrignò i denti, deglutì e schioccò le nocche con il pugno della mano destra chiuso. Il suo terrore era ciò che li aveva costretti al silenzio, il suo terrore ora li teneva in riga, in allerta, ubbidienti e attenti.

Quando perfino il comandante aveva paura, voleva dire che era davvero finito il tempo degli scherzi. Era un brutto segno, inutile pensare positivo, si stavano preparando mentalmente allo scenario peggiore.

Solomon e Melchor sedevano l'uno a fianco all'altro. Non avevano bisogno di discutere o conversare, non lo facevano da settimane.

Era un piano semplice all'apparenza. Ma la semplicità talvolta determina l'efficacia.

Solomon guardò il compagno e cercò di ricordare come fosse prima: prima della missione, prima delle torture, prima di tutti quegli anni confinati dentro le mura. Non se lo ricordava più. Era mai stato felice? E innamorato? Di cosa amava conversare? Perché si era arruolato?

Melchor si voltò, gli palesò un sorriso arcigno.

«Non vedo l'ora» mormorò in modo che solo lui l'udisse.

Il capo annuì, lo capiva. «Dopo. Sarà. Finita?» gli chiese. Si sforzò di utilizzare lo stesso tono pacato, ma le corde vocali non sempre rispondevano ai suoi comandamenti.

Melchor soppesò la domanda.

Tutti coloro che erano ancora svegli attesero da lui una risposta.

«Non lo so» ammise con un'onestà imprevista. «Spero di sì, ma non ne sono sicuro.»




Credevate che mi fossi dimenticata del povero Hans? Che l'avessi davvero abbandonato?

Non gli abbiamo regalato molto gioie in questo capitolo di passaggio, ma d'altra parte, bisogna essere equi: ho forse regalato gioie a qualcuno? 😏

Vediamo Jenny dal suo punto di vista e per la prima volta conosciamo un po' meglio Mali e Lilly.

Hans sarà il loro salvatore? Secondo voi a cosa facevano riferimento gli alberi?


Sul finale invece abbiamo una conversazione amletica tra Melchor e Solomon. Non si capisce nulla ma butta malissimo. Era quello il suo scopo. Intanto il clima è quello di un'allegra scampagnata: tutti sorridenti e ciarlieri, non devono l'ora di arrivare.


[okay, ora la smetto di fare la sciocchina. Grazie per essere giunti fin qui ❤️]

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