Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

33. Malintesi

Summer si allontanò da sola, sganciò la fibbia dei pantaloni, pronta a espletare i bisogni. Uno scricchiolio di foglie secche oltre la spalla sinistra la mise in allerta.

Levò agile il coltello dalla fibbia e tratteggiò un ampio arco in aria.

Adam le afferrò al volo il polso, un decimo di secondo prima che la lama gli si conficcasse in mezzo al setto nasale.

«Che cazzo!» imprecò la pilota. Allontanò di scatto l'arto, come se il contatto scottasse.

Senza giacca e coi pantaloni slacciati si sentì nuda sotto quelle iridi inquietanti. Era più pallido del solito. La sua pelle rifulgeva come neve baciata dal sole.

«Mi dispiace per il bambino» disse.

Un contraccolpo che non si aspettava. Retrocedette e distolse il contatto visivo.

Dannazione.

«Non c'era nessun bambino, non ancora.»

Rivide nella mente la pessima figura che aveva fatto la sera prima. Ingiustificabile, imperdonabile, il solo pensiero le fece avvampare il viso.

Pazza. Fuori controllo. Malata.

Avevano pensato sicuramente quello di lei, aveva puntato la pistola in faccia a Kuran, aveva tolto la sicura!

Si portò una mano sugli occhi.

«Ho bisogno di privacy, Adam. Ti potresti levare dai coglioni? Devo pisciare.»

«Perché sei sempre così stronza con me? Sono venuto per parlarti!»

«Parlarmi? Di cosa?! Io non voglio parlare con te!»

Perché lo odiava così tanto? Perché lui non riusciva a capire?

Vide la mano del ragazzino tremare. Sgranò gli occhi e alzò lo sguardo. «Che ti prende?»

«Nulla. Volevo solo parlare.»

Lei tornò a fissare il pugno che fremeva percorso da brividi che niente avevano a che fare con la temperatura esterna.

Perché lo odiava così tanto?

«Ascolta, Adam... apprezzo il gesto. Ora però non ho voglia di parlarne con te. Tra l'altro è un argomento molto riservato, da adulti.»

Il viso dell'Umano si contrasse, assunse prima un'espressione sgomenta poi la sfigurò in un ghigno maligno.

«È perché non sono lui, vero? Non mi vuoi perché non sono lui. Vorresti Kuran qui, vicino a te, disposto a parlare, ad ascoltare. Invece ci sono solo io e non lo riesci a sopportare.»

Il bisogno impellente di poco prima si era sedato, Summer avvertì un senso di vuoto, d'angoscia, di disperazione.

«Sì, è così.»

Fece un passo avanti. Occhi negli occhi. Avevano la stessa altezza, anzi, forse lei lo superava di qualche centimetro, ma era così esile che la sua corporatura sembrava rimpicciolita, come se perfino le ossa stessero perdendo spessore.

Lui infilò un dito sotto la cintura, la strattonò verso di sé, contro il petto. Lei si irrigidì ma non fece nulla per impedirglielo, glielo lasciò fare, con le sopracciglia inarcate e le labbra serrate, diffidente.

I respiri si fusero mentre una nebbiolina impalpabile e argentea s'innalzava sopra le radici degli alberi. Erano freddi entrambi, i loro corpi non emanavano alcun calore.

«E adesso? Cosa pensi di fare adesso?» sussurrò lei. Malizia e sarcasmo miscelati ben insieme. Lo stava sfottendo.

«Parlami. Io sono qua. Io, non lui.»

Summer imitò la dolcezza di un sorriso, piegò il capo di lato e sbatté le ciglia bionde con finta innocenza.

«Preferisco tagliarmi la lingua a morsi per poi ingoiarla.» Si chinò verso il suo lobo, la punta del naso solleticò l'orecchio, la voce gli trapassò le meningi. «Sei solo un bambino. E io di bambini non ne voglio» cantilenò

«Summer.» Entrambi trasalirono senza volere.

Le iridi del pilota erano più nere della pece. La pupilla aveva inghiottito ogni sfumatura mora.

La posizione era compromettente. Lei era chinata su Adam, sembrava che gli stesse leccando il collo. Adam aveva ancora un dito attorno alla cintura slacciata, come se gliela stesse togliendo.

«Eccolo! È arrivato! Il tuo uomo. È tutto tuo, divertiti, Sun

Lo schiaffò si abbatté con violenza sulla guancia di Adam.

Kuran intervenne, la fermò, le torse il braccio dietro la schiena. «Cosa fai? Sei impazzita?»

Lei iniziò a dimenarsi e strillare come un'invasata, mentre l'umano rideva sguaiato, con l'impronta rossa di una mano ben impressa sul volto cereo.

«Mi dovete stare lontano! LONTANO!»

Ulrik li raggiunse trafelato, il fucile sguainato.

Summer aveva una crisi isterica e Kuran faticava a contenerla.

Adam invece rideva.

L'ex-comandante li divise col suo corpo, madido di sudore già di prima mattina.

«Cosa succede?»

«Non ne ho idea» rispose il pilota. Era sincero.

L'Umano continuava a sghignazzare. Il segno già sbiadiva, il dolore pure, ma la ferita era più profonda di quanto avrebbero mai potuto aspettarsi.

Evangeline comparve in punta di piedi, la grazia tipica di una ballerina mancata.

Ci mancava solo lei.

Adam si piegò in due in preda a una ridarella incontenibile.

«Ti prego, fallo smettere. Io provo a parlare da solo con lei, per capire cos'è successo» le chiese Ulrik.

Con un cenno ordinò a Kuran di rientrare. Lui serrò la mascella contrariato, ma ubbidì.

Eva non diede nessun cenno di assenso. Ulrik non l'aveva neppure guardata, non si era nemmeno girato, aveva intuito che fosse lei forse? Aveva sentito il suo profumo? Riconosciuto la sua andatura?

Rik fece il gesto di accompagnare la pilota oltre la radura, in un posto più appartato. Non osò sfiorarla. Lei si rimise a posto i pantaloni e a capo chino lo seguì, pronta per una meritatissima strigliata.


«Dima.»

«Eva.»

La ragazza sospirò, incrociò le braccia sotto le costole. «Dai, su, non fare il coglione. Cos'è successo?»

«Ho provato a violentarla e si è difesa.»

Il volto dell'Umana rimase impassibile.

«Non mi credi? Kuran ha visto tutto, te lo può confermare.»

Lei tirò sul col naso e schioccò la lingua. Levò il mento in segno di sfida. «Ho detto basta fare il coglione.»

«Che lessico scurrile, sacerdotessa! Non si addice al tuo ruolo! Vuoi vedere cos'ho fatto? Non mi credi? Posso replicare la scena, se vuoi.»

«Piantala, Dima.»

Lui divaricò le gambe, si mise in posizione d'attacco, molleggiò sulle ginocchia piegate

«In guardia, come ti ho insegnato. Sei un'ottima allieva, lo sai?»

«Non è il momento.»

«Il momento non lo decidi tu, è questa la fregatura.»

Le saltò addosso, Evangeline contrattaccò all'ultimo, una gomitata ai reni, si abbassò e cercò di svicolare dalla presa. Ma quella mossa gliel'aveva insegnata lui, prevedeva che avrebbe agito in quel modo. Le afferrò al volo l'avambraccio, la strattonò, spinse col palmo aperto contro lo sterno e la buttò a terra supina.

La ragazzina avvertì il panico scoppiare e una scossa nocicettiva deflagrare lungo la schiena. Le stava premendo qualcosa, il ginocchio forse.

«Liberati» le ordinò.

La mente era spenta, il mondo offuscato.

«Non ci riesco» piagnucolò. Si vergognò del tono di voce. Altroché, era una pessima allieva. Lui la voleva incoraggiare, si fidava delle sue potenzialità, la spronava. Ma questi erano i veri risultati. Contro un attacco spasmodico e violento soccombeva senza rimedio.

La paura era il vero imbattibile nemico.

«Liberati!» gridò Adam

«Dima, n-non ci riesco...» Il cuore sfuggì in gola, il respirò cessò e il fluire rapido del sangue le rimbombò nelle tempie.

«Sì che ci riesci, non sei abbastanza motivata. Perché non credi che io ti possa fare davvero del male, non credi che io ti possa violentare. Perché sai che abbiamo dormito insieme in più di un'occasione e sai che non ti ho mai sfiorata. Perché ti fidi di me. Grave errore, sacerdotessa. Non fidarti mai di nessuno. Gli uomini hanno delle necessità carnali che voi donne non comprenderete mai. Sì, anche il tuo bel paladino. Al mattino gli si rizza tanto quanto me e...»

«BASTA!» Eva si agitò. Fu tutto inutile, lui pigiò la rotula contro la colonna vertebrale.

«Sai cosa succede quando ti agiti in questo modo? Sento le tue pulsazioni. Mi eccito ancora di più.»

Eva fece un altro tentativo, lo abbandonò troppo presto.

Lui chinò la bocca sul suo collo.

Si ricordò di come l'aveva stuzzicato Summer poco prima. Il sangue gli andò al cervello.

Con le labbra sfiorò la pelle nuda. Come si aspettava, odorava di muschio e salsedine, il mare le era penetrato dentro.

Lei gridò qualcosa, ma lui non riuscì a fermarsi, l'assaggiò di nuovo.

Farle paura, farle così tanta paura da costringerla a combattere.

Succhiò con forza, la scalfì coi denti, avvertì un sapore metallico sotto la lingua, sul palato, la pelle cedette come burro fresco appena solidificato.

Alla fine il colpo tanto atteso arrivò.

Eva inclinò la testa all'indietro, gli colpì il naso. Prima che potesse reagire, la ragazza si voltò, entrambe le mani strette attorno al collo, un pollice premuto contro la giugulare. La posizione si ribaltò in modo così repentino che non riuscì a comprendere come. Ora lei gli era a cavalcioni e stringeva la morsa fino a farlo annaspare.

«P-pessima... m-mossa...» Tossì. Eva non lo lasciò andare. Adam si aggrappò ai polsi, la graffiò con le unghie e solo allora spalancò i bulbi oculari. Vide il terrore.

La vista vacillò. La sacerdotessa era una figura eterea, gracile quanto decisa, premeva nel punto giusto, senza alcuna cognizione.

Due secondi e sarebbe svenuto.

Dieci secondi e sarebbe morto.

Appena prima che perdesse i sensi, lei lo liberò.

I polmoni arsero mentre il corpo ansimava in cerca d'ossigeno. Spasmi violenti lo costrinsero a vomitare colazione e cena. La bile sovrastò il sapore di Eva in bocca.

«Non aspettarti che ti chieda scusa.»

Era ancora seduta sul suo grembo.

La spinse via con mal grazia.

«Levati dal cazzo. L'asfissia erotica non mi aggrada.»
«Sei un coglione, mi hai fatto male!» Eva si tastò il punto in cui l'aveva... succhiata. Mentiva e lo sapevano entrambi. Anzi, era stato quasi... piacevole.

«Tu volevi uccidermi! Io ti stavo solo insegnando che esiste sempre un modo per liberarsi, quando metti da parte la paura e sei ben motivato a farlo. Tu invece ti sei vendicata, streghetta infame che non sei altro!»

«Streghetta?» Eva arricciò il naso.

Adam si rimise in piedi a fatica.

Gli aspettava una lunga giornata di cammino, non aveva dormito, aveva una guancia in fiamme, lividi viola avrebbero presto ricreato un bel collare di cui andare fiero e ora aveva pure lo stomaco vuoto.

Buongiorno anche a te, Universo di merda.

«Fanculo, Eva.»

«Ora te la prendi pure? Tu mi aggredisci e poi fai l'offeso?»

«L'hai capito o no che stavi per strozzarmi?»

«E tu stavi per stuprarmi.»

Un tic nervoso lo colse all'occhio destro. Pessimo segno. La mano tremò. L'aprì e la richiuse a pugno.

«Che è successo con Summer?»

«Abbiamo litigato.»

L'Umana scosse il capo.

«Questo l'avevo capito. Ma perché?»

Non le rispose.

«Sai cosa penso, Adam Dima Hollander?»

Lui inghiottì a fatica un misero quantitativo di saliva.

«Penso che Summer ti piaccia.»

Adam tentennò. Non riuscì nemmeno a simulare una risata.

«Tu mi piaci. E lo sai.»

Eva fece no con la testa, assorta e serena con le sue facili congetture. «Dima, una persona ti può piacere in molti modi diversi. Tu vuoi qualcosa che non puoi possedere.»

«Parli di te stessa o di lei, adesso?»

«Parlo in generale.»

«Fai la filosofa? È l'ora della lezioncina o della psicanalisi improvvisata?»

«La tua attenzione si focalizza sempre su ciò che non puoi avere. Proietti su una persona qualcosa di irrisolto che ti porti dentro, nutri aspettative e speranze vane, ripeti sempre lo stesso schema, alla ricerca di conferme, di riscatto, di redenzione. Tanto è più forte la tua infatuazione, quanto è più profonda la ferita che nascondi nel cuore.»

Rimasero in silenzio fissi l'uno nell'altra, in mezzo a una foresta solo all'apparenza immobile, in realtà era brulicante di vita. Adam avvertì la vibrazione, l'ignorò e la scacciò con rabbia,

«Belle parole... hai fatto un'accurata introspezione anche a Rik o sono l'unico ad aver avuto l'onore?»

«Non voglio parlare di lui.»

«Cosa gli hai detto?»

Lei scrollò le spalle.

Un fruscio di ali li distrasse. Il cielo era uggioso, l'umidità penetrante.

«Torniamo?»

Adam acconsentì.

Avrebbe voluto che lei gli prendesse la mano. Invece l'anticipò e si avventurò tra la vegetazione fitta in direzione dell'accampamento.

Aprì e richiuse il pugno.

Tremava ancora.





Melchor stava umiliando Ulrik da diversi minuti. Aveva fatto ritorno con Summer giustificando l'assenza con il desiderio della ragazza di non avventurarsi da sola.

«Prode cavaliere. Pensi che non sappia cos'è accaduto? Abbiamo sentito le urla fin da qui!»

Rik sospirò, Summer chinò il capo.

«Fai schifo come comandante, fai schifo come soldato, fai schifo nella vita, ragazzo mio, sei un inetto, un incapace. Non sai nemmeno mentire e dalla tua espressione inizio a pensare che tu sia anche un po' ottuso.»

Il giovane rimase sull'attenti, impassibile, imponente.

Melchor era fuori di sé. Stava mostrando il suo lato peggiore.

Adam ed Eva provarono a sgattaiolare verso gli zaini in sordina, lui si avvolse rapido una sciarpa al collo, fingendo di rabbrividire, lei invece issò lo zaino sulla schiena e si annodò i capelli.

Tutti sgranarono gli occhi, quando la videro. L'Umana non ne comprese il motivo.

«Anche loro due sono andati a pisciare in coppia? Sei così rincitrullito?»

Ulrik spostò lo sguardo dal collo marchiato della ragazza, rimase muto.

Evangeline ancora non capiva, si girò attorno spaesata.

«Ulrik, ti rendi conto di non aver mai avuto il controllo della situazione? Ti rendi conto di cosa stanno facendo sotto il tuo naso?»

Il silenzio pesava come piombo sulle spalle.

L'Umana si guardò ancora attorno, incrociò solo lo sguardo di Shani. Aveva la fronte aggrottata, gli occhi umidi e rossi di pianto. Picchiettò l'indice sul collo, facendole da specchio.

Finalmente comprese.

Adam le aveva lasciato un segno.

Sciolse i capelli ma era troppo tardi, Melchor aveva già ricominciato con imprecazioni e insulti e nonostante fossero tutti pronti, con gli zaini in spalla e gli scarponcini ben allacciati, non si decidevano a partire. Il focolare era stato spento e ricoperto con legni bagnati e foglie secche, per camuffare il passaggio, lasciar il minor numero di tracce.

Solomon era presente e assente allo stesso tempo, come sempre. Incurante della situazione che stava rapidamente degenerando, esaminava assorto l'orizzonte

«Rispondi, imbecille! Quando ti parlo, sei obbligato a rispondere!»

L'attacco fu fulmineo. L'uomo sferrò un destro contro lo zigomo sporgente. Il tiro non raggiunse l'obiettivo, venne fermato molto prima.

Rik lo strinse attorno al palmo enorme della sua mano e non lo lasciò andare.

Gli occhi neri di Melchor sobbalzarono per la sorpresa. L'affrontò, provò a distoglierlo, senza esito. Provò a colpirlo con la mancina, ma la presa si fece più intensa, crollò in ginocchio mentre un osso si accavallava a un altro.

«Lascialo.» Il rombo metallico dell'apparato fonatorio di Solomon ruppe gli indugi.

Si misero uno di fronte all'altro. Melchor rimase accucciato col braccio sospeso in mezzo ai due colossi.

«Lascialo. Andare.»

Rik strinse ancora più forte, si udì un crack, i ragazzi strizzarono gli occhi colti da un brivido viscerale.

L'urlo dell'uomo arrivò con una latenza inspiegabile. Fu disumano. Implorò pietà mostrando per la prima volta una bocca sdentata, gengive bucate e ricucite male, pochi denti argentati in titanio, alcuni dei quali avevano assunto una sfumatura nera.

«LASCIALO!» Solomon non aveva mai alzato la voce, non l'avevano mai sentito urlare. Il rombo fu difficile da decifrare, parve un badile che rotolava al suolo.

Fece per attaccare Ulrik, ma il comandante lo anticipò, ubbidì e alzò le braccia al cielo in segno di resa.

Evangeline deglutì a fatica. Shani d'istinto si avvicinò a Tomas, Kuran a Summer. Ma la pilota aveva di nuovo la mano sulla sicura e guardava invece Adam in un evidente stato di tensione.

«Me l'hai rotta...» Melchor non riusciva a chiudere e riaprire il pugno tanto intenso era il dolore. Non si rimise in piedi, lo fissò con odio dal basso, quasi accucciato contro le gambe dell'altro capo.

«Non è vero.»

Rik non aveva mutato nulla sul viso, né un guizzo nella mascella, né un luccichio negli occhi. Nulla.

Bea si portò una mano sull'addome, lo stomaco in subbuglio.

«N-non... è... v-vero?» Melchor non aveva la battuta pronta. Per una volta rimase senza parole, ripeté a pappagallo quella frase priva di senso compiuto.

«Verrà. Punito. Come. Insubordinazione.» scandì con calma Solomon. Sull'ultima parola si soffermò con ardore.

«Ovviamente.» Glaciale e inespressivo. Il comandante che non avevano mai temuto e che invece avrebbero dovuto temere.

«Riprendiamo.» ordinò l'uomo dalla pelle bruna.

Si rimisero tutti in marcia, rigidi come se fosse stata loro la mano fratturata o l'accusa di insubordinazione che pendeva sulla sommità del cranio, inclemente e molto affilata.

Shani si avvicinò a Eva, le mani strette alle cinghie, gli occhi rivolti ai due capi. «Si vede ancora.»

La ragazzina arrossì, tastò il collo ma non udì nessuna fitta. Non le faceva male e per questo non riusciva a trovare il punto da nascondere. Aveva capito che era qualcosa di inopportuno, ma nel vortice frenetico di quella assurda sequenza di eventi, se n'era quasi scordata.

«È un succhiotto. Te l'ha fatto Adam?»

«Non è come pensi» provò a fermarla.

«No, Eva! Il problema è che non c'è un cazzo a cui pensare! Il problema è che tu l'hai lasciato fare! Avete scopato? Nella foresta? Mentre noi eravamo qua ad assistere al massacro di Rik, voi due...»

«Primo: non sono affari tuoi. Secondo: non abbiamo fatto nulla di male. È complicato da spiegare, lui voleva...»

La guerriera scosse la testa, aumentò il passo.

«Shani!»

«Fai della tua vita ciò che vuoi, Eva. Io penserò a me stessa.»

Evangeline si arrestò. Rimase l'ultima della fila.

Li vide tutti avanzare, le schiene ingobbite, lo sguardo ai piedi.

Nessuno si fermò ad attenderla.





Summer si accostò al ragazzo titubante. Si morse l'interno della guancia e inumidì le labbra un paio di volte prima di trovare il coraggio per aprire bocca.

«Mi dispiace tantissimo.»

Non si aspettava una risposta. E infatti non arrivò.

«Sono ingiustificabile e infatti non tenterò di dire nulla a mia discolpa. Davvero... non ho scusanti. È stato ignobile.»

Ignobile. Termine altisonante, Adam arricciò il naso.

«Mi dispiace davvero tantissimo...» ripeté lei.

«Non me ne frega un cazzo.» La ragazza trattenne il respiro. «Sai cosa, Summer? Non me ne frega più un cazzo di te. Vai, vivi la tua misera vita. Hai ragione, devo starti lontano.»

Poteva andarci giù più pesante.

La pilota annuì come se le avesse chiesto il suo consenso, come se le avesse fatto un favore, un complimento immeritato.

Camminarono fianco a fianco alcuni metri, senza che nessuno dei due mettesse in pratica il proposito.

«Solo Tomas mi chiamava così, Sun. Diceva che ero l'astro attorno al quale ruota l'intero sistema solare.» La malinconia era più dolorosa della tristezza. La seconda poteva non aver mai conosciuto la felicità. La prima l'aveva incontrata e persa.

«E guarda invece come ti sei ridotta ora» rispose lui.

Lei sorrise. Un verde pallidissimo che sbiadisce fino a perdere i contorni. «E guarda invece come sono finita» acconsentì di nuovo.





Evangeline restò sulle spine tutto il giorno.

Il cammino fu ancor più silenzioso del solito. Sentì la mancanza delle battute volgari di Dima, del chiacchiericcio persistente di Shani e Tomas, perfino delle terribili freddure di Bea.

Avevano perso la lingua.

Forse risparmiavano il fiato.

Il più tranquillo era Ulrik, comunque.

Lo tenne d'occhio tutto il tempo. Mentre i volti degli altri compagni di spedizione erano rabbuiati, tesi o compiti, lui indossava una maschera di pura indifferenza.

E per una volta nemmeno lei seppe dire cosa si celasse dietro. Non aveva capito il suo accesso di collera, cosa volesse fare, cosa volesse ottenere. Un'accusa di insubordinazione sull'arca era punita con il carcere. E sulla Terra? L'avrebbero rinchiuso in gabbia? E se avessero punito l'affronto con una condanna peggiore?

Lei era stata messa in cella per molto meno...

Sperava che almeno la sera si sarebbero sciolte le tensioni, invece nessuno prese la parola. Eseguirono i compiti autoimposti: Ulrik andò a caccia, Solomon accese il fuoco, Ulrik scuoiò e disossò i conigli, Summer distese i sacchi a pelo, Ulrik cucinò la carne, Melchor dopo aver mangiato andò a letto presto, e così pure Kuran, Tomas e Bea, quest'ultima così pallida da sembrare malata. Shani rimase a singhiozzare raggomitolata nel sacco a pelo, sperando forse che nessuno la sentisse. Speranza vana, c'era troppo silenzio. Fu l'unica cosa che udirono. Summer e Adam fissarono le fiamme fino a ustionarsi gli occhi, si addormentarono seduti, uno contro la spalla dell'altro, come due vecchi amici, le labbra socchiuse e le palpebre tremanti di incubi segreti.

Ulrik rimase di guardia.

Non degnò Eva di mezzo sguardo, nemmeno per sbaglio, nemmeno se doveva aver percepito per forza i suoi occhi insistenti, addosso, da tutto il giorno.

Lei giocò con lui, fece una scommessa con se stessa, scoccò frecce invisibili, emise una vibrazione così prepotente che avvertì la terra vibrare e le fronde degli alberi scuotersi in balia di un vento impercettibile.

A un certo punto pensò di chiamarlo, urlare il suo nome, solo per affronto, per dargli fastidio, perché la stava ignorando.

Alla fine si arrese al sonno. Il mattino dopo gli avrebbe parlato, avrebbe rotto ogni indugio, avrebbe iniziato lei la conversazione, come non accadeva da diversi mesi.

"Perché dovrei stare con uno come te, una macchina da guerra, un automa privo di emozioni?"

Socchiuse le palpebre nel dormiveglia. La sagoma di Rik si confondeva col tronco della quercia contro il quale era seduto.

Non era stata lei a dirgli quelle cose. O meglio sì, era stata una parte di lei, a cui però non credeva.

Dovresti andare fiero di essere un pessimo soldato.

Gliel'avrebbe detto l'indomani mattina.

Nel prossimo vedremo il confronto tra Eva e Ulrik.


Intanto abbiamo visto che Melchor ha creato un bel clima di collaborazione e fratellanza 👌


Summer e Adam? Che ne pensate di questi due?

Qualcosa non vi torna?

Tranquilli, non torna neppure a loro...

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro