30. Responsabilità
Hans inseguì Ulrik lungo la strada polverosa, afferrò la sua manica destra e la strattonò con forza, correndo il rischio di strapparne il tessuto.
Il comandante si voltò e lo trapassò con uno sguardo vitreo, si notava che aveva la mente immersa in ben altri pensieri, non lo vedeva neppure.
Lacrime di frustrazione gli annebbiarono gli occhi color miele. «Perché mi fai questo?»
Una domanda così infantile che sorprese entrambi.
«Che vuol dire?» Rik mise a fuoco la visuale, arricciò un sopracciglio e si liberò dalla presa con altrettanta violenza.
Aveva ben altri problemi...
«Mi abbandoni qui come se non valessi niente! Niente di niente!» Visto che il tono era alto e il ragazzo fuori controllo, Ulrik lo prese da parte, lo trascinò a viva forza fino alla barriera. Quando lo liberò, stava piangendo, senza alcuna vergogna.
«Di cosa stai parlando, Hans? Cosa diavolo ti prende?!»
Quello singhiozzò. «Non valgo nulla per voi. Mi lasciate qua e partite senza di me, come se fossi...»
«Hans» lo interruppe brusco. «Non andiamo in gita, non è una vacanza. Riprenditi, perché non ho intenzione di discutere con un moccioso!»
Si rese conto subito di aver esagerato. Le emozioni degli altri lo mettevano a soqquadro. Esasperato si passò una mano sui capelli corti, ripiangendo di non potervisi più aggrappare.
«Scusami» riprese. Hans lo fissò sconvolto. Socchiuse le labbra. «Non volevo offenderti. Non capisco, spiegati meglio, perché io davvero non comprendo il motivo di questa scenata.»
Il professore si tolse gli occhiali. Finse di pulirseli sulla felpa di cotone bucherellata che gli avevano prestato i sopravvissuti.
In realtà era meglio non guardarlo in faccia mentre parlava. Era già tutto abbastanza umiliante.
«Dicevi che non abbandonavi mai i tuoi uomini.» Aveva la voce rotta, le guance in fiamme. «E invece mi lasci qua, da solo, come se niente fosse, come se fossi solo un peso che...»
«Piantala.» Ulrik sbottò, si passò di nuovo una mano sulla nuca. «Non ti abbandono. Non capisci? Davvero non ci arrivi? Sarai a capo del villaggio, in nostra assenza.»
Lo fissò dritto negli occhi, uno sguardo penetrante che tolse l'aria dai polmoni del professore.
«Il tuo ruolo è importante» riprese. «Se la missione avrà successo, dipenderà solo da te e da Xavier. Voi ci garantirete un posto sicuro in cui tornare.» Hans batté le ciglia bionde contro le lenti degli occhiali. «Sì, è così, non guardarmi in quel modo. È di primaria importanza difendere il campo base. Magda è brava a dare ordini, a dirigere i lavori, sorvegliarne l'esecuzione e controllare l'equa distribuzione dei gettoni. Ma quella donna non si allena da anni, dopo la morte del figlio ha smesso di preoccuparsi della sua forma fisica e ha lasciato a Melchor e Solomon l'onere di salvaguardare la sicurezza e la difesa del villaggio. Ora quel compito passa a te e a Xavier. Inoltre ti occuperai della classe di Eva, dei bambini, degli Umani. Hans, non pensare che avrei affidato a qualcun altro questo incarico, se fosse stata mia la responsabilità della missione. Sei l'unico che può farlo. A chi altro potrei chiedere qualcosa del genere? Di te mi fido, so che sei addestrato, so che sei intelligente, prevedi il pericolo e sei lungimirante, qualità che non attribuirei nemmeno a me stesso. Ci vedresti bene qualcun altro al tuo posto? Tomas? Shani? Kuran? Non scherziamo, dai.»
Ulrik distolse lo sguardo, lo gettò oltre le spalle, diede qualche istante ad Hans per ricomporsi.
«Quello che hai detto, poco fa, su Tomas...» balbettò il giovane.
Il comandante grugnì infastidito. «Era l'unico modo.»
«Si è offeso...»
«Offendere senza volere le persone è la mia specialità.» Non era una battuta, non c'era sarcasmo, solo una sottile vena autoironica che Hans non gli aveva mai udito.
«Rik...»
«Devo andare a sistemare la capanna di Fiona.» Gli diede una pacca sulla spalla, senza guardarlo in faccia.
Il professore lasciò che si allontanasse.
Difendere il villaggio.
Prendersi cura dei bambini.
Attendere il loro ritorno.
Insieme a Xavier.
Non voleva deludere il comandante, ma quel compito gli pareva più complesso ogni minuto che passava.
❈
«Sei arrabbiato?» Shani ripeté la domanda una terza volta.
La prima poteva non averla udita, era impegnato a rollare l'erba, la seconda forse aveva farfugliato un po', la terza alzò il tono, in modo che la voce squillasse forte e chiara tra le pareti di legno della stanza.
Erano soli, come al solito.
Adam non veniva più a dormire nella loro camera e Xavier passava il tempo libero nei campi o a giocare a scacchi in casa di Aniruddha, quando lui era assente.
«Chiedimelo un'altra volta, Shani. Riprova. Magari alla centesima la risposta sarà negativa.»
Non sopportava di vederlo così, i nervi tesi e le mani che tremavano mentre inspirava a forza il fumo acre della sigaretta. Non sopportava di vederlo in quello stato, gli occhi arrossati, le labbra trattenute tra i denti, un cipiglio aggrottato che lo faceva apparire più vecchio.
"Così dimostri quasi la tua vera età."
Poteva restare zitta, aspettare che sbollisse. Aveva provato a coccolarlo, accarezzarlo, fargli qualche moina, ma lui l'aveva allontanata infastidito. L'attesa era difficile per la guerriera, stare con le mani in mano era un'impresa ardua. Si morse l'interno della guancia, arricciò le dita dei piedi e alla fine il "perché?" uscì fuori dalla sua bocca prima che potesse ricacciarlo in gola.
Lo sapeva benissimo il perché.
«Davvero me lo stai chiedendo? Sono stato umiliato davanti a tutti e tu mi chiedi perché sia arrabbiato? Hai sentito cos'ha detto? Hai sentito, Shani? Rispondi, cazzo!»
Annuì colpevole.
«Brava, hai sentito e non mi hai difeso. Pensi anche tu questo di me? Che do solo problemi, che sono d'intralcio, che sono un...»
«No! No che non lo penso!»
«E allora perché te ne sei stata zitta?!»
Shani lo fissò sconvolta.
"Perché stavo pregando l'Universo che ti lasciassero al villaggio, in modo da poter rimanere insieme... Tutti e tre insieme."
Abbassò il capo.
Due lacrime caddero sulle ginocchia quando chiuse le palpebre.
Murphy spense la sigaretta sotto la scarpa e le si avvicinò, l'avvolse col braccio e la trasse a sé, contro il petto.
«Scusa, non volevo essere così brusco. Sono solo... arrabbiato. Ma non ce l'ho con te. Ce l'ho con me stesso. Ulrik ha ragione, gli ho dato un sacco di problemi in tutte le missioni, pure al villaggio, anche in sua assenza. Sapevo cosa pensasse di me e non ho mai fatto nulla per apparire migliore ai suoi occhi, né in missione né agli allenamenti. Non so cosa mi aspettassi. Di certo non potevo chiederti di difendermi. Non sei mia madre. Sono stato ingiusto, perdonami.» La baciò sul collo, appena sotto l'orecchio.
Shani si lasciò andare ai singhiozzi.
Il terrore le attanagliava il ventre, ancora troppo piatto per rivelare l'entità del danno.
Il ladro di parabole la strinse un po' più forte.
«Ti difenderò sempre, Tomas. Te lo giuro. Sempre.»
Erano su due pianeti differenti, parlavano di cose diverse.
Lui era immerso in un passato fatto di crimini organizzati e ideali utopici e irrealizzabili, lei in un mondo crudele che avrebbe potuto ferirlo di nuovo, costringerlo ad abbandonarla.
Si rialzò di scatto, cercò i suoi occhi quasi agonizzando. «Insieme, ricordi?»
Lui annuì, spaesato. «Insieme» promise.
Le rivolse un mezzo sorriso e la baciò con dolcezza.
La ragazza trasse un rumoroso sospiro di sollievo. Si asciugò le guance.
Quando l'ex-professore fece ritorno, a tarda serata, li trovò abbracciati e addormentati. Avevano saltato la cena, non avevano lavorato, non si erano neanche lavati e i loro zaini giacevano vuoti e scomposti sotto un tumulo di coperte, ai piedi del letto.
Provò pena per loro e anche una leggera punta d'invidia.
C'era una rara alchimia nel modo in cui i loro corpi si fondevano, nel modo in cui le loro anime si aggrappavano l'una all'altra. Il terrorista ribelle dal cuore buono aveva trovato pace nel nucleo instabile di una guerriera altamente addestrata. Sembravano sempre sul punto di esplodere, di farsi in mille pezzi. E invece ogni volta si ricomponevano, il metallo grezzo diveniva oro e splendeva nel cuore della notte, senza chiedere nulla in cambio, senza alcun tributo di sangue.
"È così che dovrebbe essere l'amore", pensò Xavier, "possedere un tesoro di inestimabile valore e non farci nemmeno caso."
❈
Summer credeva di essere la prima. Non era ancora sorta l'alba, il cielo era puntellato di stelle, la luna era appena tramontata.
Non aveva dormito, aveva controllato lo zaino mille volte, l'aveva ricomposto con l'aiuto di Ciara, irritata dal fatto che la pilota continuava a svegliare il piccolo Leo con il tintinnare delle borracce e il fruscio dei cambi d'abiti e delle sacche con le provviste.
La ragazza teneva stretto un coltello nella fodera della cintura. Aveva il manico d'argento, era un pezzo pregiato, gliel'aveva donato l'Anziano. "A te tornerà più utile che a me."
Le mani gelate a contatto col pomello rabbrividirono.
Xavier l'aveva presa da parte, dopo la riunione.
Era disperato.
Come se fosse suo padre...
L'aveva supplicata di prendersi cura di lui, del suo beniamino, di quel ragazzino arrogante e malato che sarebbe dovuto morire sulla navicella spaziale e che invece era ancora lì, con tutti loro, ad allietarli con le sue frecciatine velenose, a mettere discordia là dove stagnava la disperazione.
Erano pensieri orribili, pensieri cupi, pensieri imperdonabili che però non riusciva a contenere. Ed era ben consapevole che nonostante non li pronunciasse ad alta voce, baluginavano nelle sue pupille, erano evidenti ogni volta che lo guardava.
"Ti prego, Summer, è solo un bambino, ti prego..."
L'ex-professore si era quasi prostrato ai suoi piedi, con le mani giunte al centro del petto. Come se davvero dipendesse da lei la sopravvivenza di quell'essere spregevole...
Scosse la testa, cercò di rischiararsi la mente.
Lei non era così, non avrebbe mai fatto del male a nessuno. E poi perché ce l'aveva tanto con lui, in fin dei conti? Perché la cercava sempre? Perché da quel mattino non aveva fatto altro che tentare di riappacificarsi, con i suoi folli piani, con i suoi deliri, con quegli occhi di zaffiro che promettevano solo ed esclusivamente guai?
"Siamo così simili, io e te. Non lo vedi? Due esseri spezzati. Ci leggiamo dentro. Per questo ti faccio così paura."
Grugnì di rabbia.
L'avrebbe fatto per Xavier, perché era un brav'uomo, aveva sofferto abbastanza, gli era morto il marito sull'arca e si era reso conto che nel tentativo di proteggere i suoi alunni li aveva condannati tutti e aveva salvato solo se stesso. E quel ragazzo.
Glielo doveva.
Per lui, solo ed esclusivamente per lui.
Quando levò lo sguardo, incrociò quello di Kuran.
"Merda."
Tra tutte le persone che si sarebbero potute alzare prima di lei, quella fatidica mattina, proprio il pilota della quinta spedizione?
Un destino avverso e infame. Strinse con forza il manico del pugnale, digrignò i denti e distolse lo sguardo.
Lui fece altrettanto.
Ma non rimase zitto.
«Hai intenzione di guardarmi in quel modo per tutta la missione?»
Summer fremette di rabbia, gli rivolse un'occhiataccia, ma non fece a tempo a replicare.
«Quanto sei ipocrita.»
La mano scivolò lungo la gamba, il cuore crepato mancò un battito, il sangue ghiacciò nelle vene.
«Sono stanco, Summer. Sono davvero stanco. Siamo stati arruolati insieme, fattene una ragione e per una volta cerca di reprimere la tua indole passivo-aggressiva e comportati da persona matura!»
Lei non riuscì nemmeno a deglutire. Tutto era nero, insapore e inodore, la fiamma era colata via e la tristezza aveva preso il sopravvento.
«Hai fatto bene a lasciarmi, sono ben consapevole dei miei errori. Ma non puoi continuare a crocefiggermi in eterno. Sono passate settimane! Sparami, accoltellami, conficcami una freccia nel cuore, dammi un pugno, uno schiaffo, insultami, sfogati, dannazione! Non puoi continuare a guardarmi in quel modo, come se fossi io a colpirti, come se fossi io quello crudele che insiste a condannarti e a infliggerti dolore. Sono stanco!» Era difficile udire Kuran urlare. Era terribile. Lei l'aveva già sentito, più e più volte. I ricordi le annebbiarono la mente. Le liti frequenti, una camera troppo piccola per contenerle, lui che alla fine usciva e la lasciava sola, in lacrime, lei che si doveva dare malata a lavoro perché faticava a respirare, a stare in piedi.
«Ti ho lasciata. Quel giorno, ti ho lasciata. Non credere che ne sia stato felice, non pensare che non abbia sofferto. Ma quando siamo sbarcati qua, quando abbiamo visto la situazione, l'incomunicabilità con le arche, le minacce nelle città, quando abbiamo scoperto il passato dei sopravvissuti del villaggio, di tutte le altre spedizioni, ho rinunciato a te. Pensavo che non ti avrei mai più rivista. Non ti avrei tradito con una ragazza a caso, non sono mai stato quel tipo d'uomo e tu lo sai. Provavo qualcosa per Shani, qualcosa che è difficile cancellare di punto in bianco. E sai perché è finita? Perché non potevo prometterle di più, perché le ho detto che avevo ancora un legame con te, che tu per me ci saresti sempre stata, che ti avrei amata per tutta la vita, anche a diecimila chilometri di distanza. Perché tu sei stata la prima, la più importante, quella incisa più a fondo nel mio cuore, quella che non posso dimenticare, quella che non posso mettere da parte, che non posso ignorare.»
Summer scosse il capo, ritrovò il coraggio. «Io non ti ho mai tradito. Sono venuta qui per te...»
«Nessuno te l'ha chiesto!» gridò, a un palmo dal suo viso. Fece per afferrarle le spalle, si trattenne all'ultimo. Non l'avrebbe toccata. «Non te l'ho mai chiesto! Non ti avrei mai chiesto una cosa del genere.»
La verità fa più male dell'acido solforico, erode le nostre bugie fino all'osso.
«Avresti preferito fossi morta sull'arca, come tutti gli altri.» Non era una domanda. E rispose al suo dubbio, quel tarlo che zampettava dal giorno prima.
Ecco perché odiava così tanto Adam.
Perché siamo simili, io e lui. Saremmo entrambi dovuti morire.
E invece siamo ancora qui.
Anche se nessuno ci vuole.
Kuran stava per replicare, ma Melchor lo chiamò. I due capi si fecero aiutare dai ragazzi a trasportare e distribuire le armi. Ben presto il punto di ritrovo al lato sud si popolò con i membri insolitamente silenziosi dell'arca K-030 e Bea.
C'erano tutti tranne Ulrik. Il mastino non si vedeva da nessuna parte e gli uomini cominciavano a scalpitare.
Gli zaini erano pronti, già issati sulle spalle. Quello di Eva era più piccolo degli altri. Summer aveva provato ad alleggerire anche quello di Adam, ma lui le aveva ringhiato contro: «Non ci provare.» Lei non aveva insistito.
Hans e Xavier erano a braccia conserte, vicino alla barriera, in attesa degli addii, nella speranza che fossero solo brevi arrivederci.
Anche i vecchi guardiani, Thea, David, Ronnie e Lara erano venuti a salutarli. Perfino Olè, il gigante buono, era presente.
Gli altri sopravvissuti li scrutavano da una debita distanza, in allerta. Tanti di loro erano usciti in avanscoperta e non avevano più fatto ritorno, vedere le schiene addentrarsi nel buio della foresta risvegliava demoni assopiti tra i meandri della coscienza.
«Dov'è?!» Melchor ebbe un tremito nervoso. Anche il volto di Solomon era buio, rivolse un'implicita richiesta ad Hans, il suo vice.
«N-non lo so. Ha detto... ha detto che doveva aggiustare una cosa.» Gli occhiali gli scivolarono sulla punta del naso, d'istinto fece un passo indietro quando vide i loro volti sconcertati.
«Mi prendi in giro, piccolo insolente?!» Solomon trattenne Melchor per la collottola, lo ricacciò dietro di sé.
«Chiamalo» ordinò.
Hans tentennò sulle spine. «M-ma non so dove sia...»
Colto dal panico, spostò lo sguardo su Eva, che scosse le spalle, poi su Shani, che ruotò la testa a destra e a sinistra, dispiaciuta e preoccupata.
I minuti colavano come un liquido grumoso su una parete scoscesa e i respiri trattenuti iniziavano a provocare gli spiacevoli sintomi dell'apnea.
«Hans.» La voce robotica di Solomon riverberò nell'aere. Aveva ancora la mano sul collo del compagno, sempre più livido di rabbia.
Il professore quasi squittì. Non era un buon inizio. Non che non se l'aspettasse. Non era fatto per comandare, non era fatto per farsi rispettare, non era fatto per quel ruolo che...
«Ha già risposto che non lo sa! Nessuno di noi lo sa! Aspettiamo. È inutile sparpagliarci per il villaggio, sarebbe solo una perdita di tempo. Arriverà.» Xavier fece per dare una pacca sulla spalla al giovane professore, ma poi non distolse la mano, la mantenne lì, sperando di recare conforto e calore a quel corpo irrigidito e scosso dall'insicurezza.
Hans arrossì.
In imbarazzo ubbidirono. Gli sguardi dei cadetti riversi sulle suole, quelli dei capi solenni verso l'orizzonte.
Il sole ormai splendeva in una volta di un celeste grigiognolo. Indossarono guanti, sciarpe e cappelli. Le maschere antigas non erano sufficienti per tutti. La quinta e la sesta missione dell'arca K-030 se ne fregava di mostrarsi a volto scoperto, non le avevano volute, un peso inutile. Per Bea, Solomon e Melchor invece rimanevano una forma di protezione a cui era difficile rinunciare, le legarono agli zaini.
Il disagio crebbe e tutti compresero che forse era meglio infilarci la testa dentro: l'assurdità della situazione diveniva sempre più insostenibile.
Solo ad Adam scappava da ridere e le gomitate dell'Umana non riuscivano più a trattenere la sua sconveniente ilarità.
Si sfogò quando avvistò la sagoma alta e corpulenta avanzare senza fretta. La sua risata sovrastò la bestemmia di Melchor, ma non per questo la rese meno chiara.
«Sei in ritardo! Gli ordini erano chiari, ti stiamo aspettando da quasi un'ora!» Spruzzi di saliva bagnarono la giacca slacciata del comandante. L'espressione imperscrutabile però non mutò. «Dov'eri?!» insistette.
Rik indossò lo zaino, si guardò rapido attorno, per verificare che fossero tutti attrezzati, pronti a partire. Il suo sguardo si soffermò sulla sacca di Eva, ma non sul suo volto. La ragazzina avvampò e scostò il viso di lato.
«Dovevo riparare la porta della casa di Brenda.»
I bulbi oculari dell'uomo si sporsero oltre le orbite. «Mi prendi per il culo?» Era al limite. Nemmeno Solomon lo sarebbe più riuscito a trattenere.
«Jace correndo ha sbattuto la testa e uno dei cardini si è allentato.» Agganciò le cinghie in vita, come se nulla fosse.
Tutti si chiesero se anche lui avesse sbattuto la testa insieme a quel bambino.
O se lo stesse facendo apposta.
«Tu... hai tardato un'ora... per una porta?»
Ulrik sostenne lo sguardo, azzurro e cristallino, velato di una leggera malinconia che solo poche persone riuscivano a cogliere.
«Non possiedo un orologio e non posso essere in due posti contemporaneamente. Non pensavo che il mio ruolo fosse necessario nei preparativi. Non sono più il comandante.»
Adam sorrise con un angolo della bocca.
"E forse così stupido non è, il coglione."
Melchor gli strattonò il colletto della giacca con fare minaccioso. Ma risultò solo patetico, perché non lo smosse di un millimetro, era più basso di due spanne e pesava la metà.
«Non prenderti gioco di me, Ulrik. Non osare» lo minacciò. L'altro non rispose. Solomon li divise prima che la sceneggiata andasse oltre.
«Andiamo» dispose.
Non ci fu nemmeno tempo per i saluti, si diresse a passo veloce fuori dalle mura, senza nemmeno guardarsi indietro.
Melchor si slacciò lo zaino e lo gettò ai piedi del ragazzo.
«Ho cambiato idea. Lo porterai tu, al mio posto. Non sei più il comandante, giusto? Renditi utile, allora. Io sono troppo vecchio e malandato, tu invece sei giovane e forte.»
Erano sicuri che fosse infattibile, che avrebbe protestato. Erano tutti pronti a togliersi gli zaini dalle spalle e trovare un nuovo equilibrio, ridistribuire le risorse.
Invece l'ex-comandante ubbidì senza a pronunciare mezza parola. Come aveva già fatto per Eva, li legò insieme e caricò più di quaranta chili sulla schiena.
"Pazzo, non ce la farà mai." Adam smise di sorridere.
«Dopo di te» fece cenno a Melchor di superarlo e poi un gesto con la mano ai suoi. Il gruppo lo seguì senza fiatare.
«Si spaccherà la colonna vertebrale» sussurrò Dima all'orecchio di Evangeline.
Lei dissentì. «Tu non lo conosci» ripeté.
E per la prima volta si chiese se non avesse ragione.
Ritardo fotonico! Come avrete letto (spero) sul mio profilo, purtroppo la vita reclama la mia attenzione e le mie premure... quindi sono costretta a cambiare il calendario di nuovo. Cercherò di aggiornare una volta a settimana, ma quasi sicuramente non sarà più di martedì (lavoro 😔) ma di giovedì!
Nel frattempo: siamo partiti, gente!
Eravate tutti impazienti come il buon vecchio Melchor, siate sinceri 😏
Hans è stato investito di un ruolo molto più importante di quel che appare, Tomas e Shani non hanno chiarito un ca**o, Summer e Kuran men che meno, Adam se la ride da solo, Xavier prende le difese del professore, Bea è sempre tra i piedi, Evangeline non dice nulla e Solomon si è già pentito dell'intera missione.
Che dire: buon viaggio!
Grazie per il supporto e siate pazienti con me e con gli aggiornamenti ❤️❤️
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