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29. Un posto sicuro

Adam entrò di soppiatto.

Lei stava ancora piangendo, rannicchiata in un angolo del letto.

Non per causa sua, questo gli era ben chiaro.

Non si era fatta vedere tutto il giorno, i bambini si erano autogestiti come meglio potevano, guidati dai più grandi, Thorn e Phil. Adam ancora non riusciva a farsi rispettare, aveva vegliato su di loro, spettatore disarmato dei loro giochi burrascosi. Qualche volta aveva partecipato, invidioso della spensieratezza che la sua infanzia non aveva mai posseduto, gli sarebbe piaciuto rubarne almeno un frammento, ma era troppo tardi. Alcune cose fanno ridere solo da piccoli. I grandi hanno troppe cicatrici, troppi ricordi, troppi traumi.

Li aveva riaccompagnati al calar del sole dalle rispettive famiglie, giustificando l'assenza della tata con "dolori da ciclo". Le mamme lo avevano guardato malissimo, consapevoli della menzogna, ma non avevano commentato.

Non l'aveva trovata in mensa e non aveva neppure potuto ritirare la sua razione: le era stata negata.

Circolava tra i nuovi arrivati un greve clima di tensione, come fossero tutti in allerta, come se camminassero su chiodi acuminati, a piedi nudi, senza scorgere il traguardo.

«Vattene.» Eva lo bloccò prima che si decidesse a parlare.

Doveva essere successo qualcos'altro, ma lei con lui non si sarebbe più confidata.

Perché? Perché si era dichiarato a sproposito, nel momento sbagliato. Un errore di valutazione. Avrebbe dovuto aspettare, offrirle una spalla su cui piangere, fomentare la sua rabbia nei confronti di Ulrik, che l'aveva obbligata a quella messinscena, e della sua squadra, che era rimasta a guardare senza opporsi.

E invece si era dichiarato come uno stupido. Le aveva vomitato addosso una verità che lei non era pronta a gestire e a cui infatti non aveva creduto.

Per questo ora era lì, a carte scoperte, senza più voglia di giocare.

Insultami, picchiami, arrabbiati da morire, urla a squarciagola, spingimi fuori, tirami uno schiaffo, un calcio all'inguine, un pugno in faccia, ma guardami, ti prego. Io esisto. Sono qua.

Ti supplico, guardami...

«Non ce la faccio.»

Per un attimo credette che gli avesse letto nel pensiero. Annichilì.

«È stata una bruttissima giornata, non ce la faccio a parlarne ora. Scusami, Dima. Ho esagerato, lo so. Ma adesso non ho proprio...» Un singhiozzo le ruppe il fiato.

Aveva parlato volgendogli le spalle.

Lui si sedette a terra, a gambe incrociate.

Pregò che si voltasse, anche solo per mezzo istante. Ma sapeva che lei non voleva che la vedesse in quello stato. Eva rinnegava la sua debolezza, nonostante in modo del tutto inconsapevole ne avesse fatto un punto di forza.

Aspettò qualche minuto. La tigre non c'era, ma addormentato sull'armadio giaceva il più grosso serpente che avesse mai visto. Un rigonfiamento a metà del corpo ramato dimostrava che si era appena nutrito. Questo non lo tranquillizzò affatto.

«Lo vuoi conoscere un trucchetto che usavo spesso nelle situazioni disperate?» Glielo chiese d'impulso, mentre percorreva con lo sguardo la lunghezza del viscido rettile assopito. Con la punta della coda toccava il pavimento.

Eva si girò, si mise in posizione fetale, le ginocchia al petto e un gomito piegato sotto la testa.

Aveva occhi di un verde acquoso, palpebre gonfie e labbra umide.

«A volte le visite mediche erano molto... dolorose. Altre erano solo umilianti. In entrambi i casi, per resistere psicologicamente, uno dei dottori mi aveva suggerito d'installare nella mente un posto sicuro in cui rifugiarmi.»

Evangeline aggrottò un sopracciglio.

«È molto semplice. Pensa al ricordo più bello che hai, quello in cui eri felice, spensierata, un ricordo in cui ti sei sentita a casa, protetta, amata.»

La ragazza attese qualche minuto. Il ricordo delle sorelle la fece lacrimare di nuovo. Scosse la testa.

Adam acconsentì subito, aveva capito, non c'era bisogno che lei si spiegasse.

Nessun ricordo gioioso. Il lutto era ancora irrisolto.

«Non fa niente! Anche io non ne possedevo, cioè... non abbastanza forti. Lo puoi creare, sai? Se non ti viene in mente nulla, puoi creare tu il tuo posto sicuro.»

Lei continuava a fissarlo muta e quello era il suo nutrimento, la sua aria, la sua unica speranza.

Non lo vedi? Abbiamo più cose in comune di quante tu possa immaginare.

«E qual era il tuo posto sicuro?» gli chiese, il tono meno fermo e deciso del solito, una nota dolente in sottofondo.

«Il lago di Braies!» esclamò. Lei stavolta aggrottò tutta la fronte e si alzò seduta. «Si trova in Italia, sulle Dolomiti. Avevo visto una fotografia in un libro di scuola. È una pozza d'acqua verde smeraldo, circondata da altissime montagne con le cime innevate. Nella foto si intravedeva anche una piccola baita in legno e foreste d'abeti tutte attorno. Uno spettacolo, quell'immagine mi mette pace. Se esiste un posto così bello sulla Terra, non può essere l'inferno, non è vero?»

Pensò a Summer, al suo sogno andato in frantumi.

Sarebbe piaciuto anche a lei. Probabilmente già lo conosceva, sapeva in che regione fosse situato, la larghezza, la profondità. La pilota era una geografa appassionata, aveva memorizzato una mole di informazioni su habitat e civiltà da far invidia al buon vecchio Hans. Peccato che non ne parlasse mai, uno spreco di potenziale. Da quando aveva rotto con Kuran si era spenta del tutto, una fonte di sapere sprecata.

E il lago di Braies aveva il colore dei suoi occhi.

«E come fai a "installarlo"? La mente non è un software.»

Eva lo distolse dal suo rimuginio. Lui le sorrise. Non stava più piangendo.

Almeno lei la poteva ancora aiutare.

«Te lo faccio vedere, mettiti a gambe incrociate, assumi una posizione comoda.»

Ubbidì senza fiatare, come se l'avesse già fatto milioni di volte. Adagiò il dorso dei piedi sulle cosce e le mani sulle ginocchia.

Adam rimase perplesso, non era altrettanto flessibile, mantenne una posa più facile.

«Immagina di trovarti lì, davanti al lago di Braies. Forse non ne hai mai visto una foto, forse non lo conosci bene, forse esiste solo nel regno della tua fantasia. Non è importante. Prova a osservarne la profondità, l'estensione, il colore e la limpidezza delle acque. Controlla se c'è vento. Quando soffia attraverso le montagne si creano increspature ondulate e concentriche. Quando è assente invece la superficie è piatta come uno specchio. Riflette gli alberi, le rocce, le nuvole, il cielo. Guarda se il sole splende, se scalda coi suoi raggi l'acqua ghiacciata. Quando è alto in cielo la superficie brilla come un diamante. Magari c'è la luna che si contempla e crea riflessi argentati nel buio placido della notte. Se sta piovendo l'acqua del lago è increspata dal cadere ritmico delle gocce. Puoi trovare riparo nella baita e osservare il paesaggio dalla finestra, al caldo. Quando è autunno il lago accoglie le foglie che cadono dagli alberi. Le lascia nuotare libere, si tinge di giallo e marrone. L'immagine del lago sarà per sempre lì, da adesso in poi, nella tua mente. È un posto sicuro in cui nessuno potrà mai farti del male. Un posto pacifico in cui puoi respirare aria pulita, ripararti dal freddo, tuffarti in acqua per sfuggire alla calura estiva. Tu sei lì, in quel lago, tu sei quel lago. La tua mente e il tuo corpo lo sentono, lo porti dentro il cuore, lo respiri. Ogni volta che fai ritorno, sei a casa. Esiste solo la quiete in quel posto, niente di brutto potrà mai entrare e tu potrai sempre tornarci quando e come vuoi. Il tuo posto sicuro ti appartiene.»

Quando riaprì gli occhi lei li aveva ancora chiusi. Arrossì e trattenne il fiato.

Eva si ridestò con calma e piegò la testa prima a destra e poi a sinistra, pensierosa.

«Ci vuole un po' di pratica, non è immediato...» Si mise sulla difensiva, colto impreparato da un imbarazzo pungente. «Funziona meglio se il posto l'hai almeno visto, ancora meglio se ci sei stata, se l'hai sentito, se è davvero un tuo ricordo. Forse dovevamo provare con una spiaggia. Il mare ti piace, no? Ci vai spesso.»

L'Umana rimase in silenzio, assorta e seria.

«Lo so che sembra una cazzata, ma ti assicuro che quando...»

«Non è una cazzata. Grazie.»

Adam sentì una vampata ustionargli il collo e le orecchie.

«Figurati...» borbottò. Da una parte aveva voglia di scappare, dall'altra, ora che lei lo stava guardando e gli prestava attenzione, non voleva più lasciarla.

Appoggiò il mento alle ginocchia, si raggomitolò e fissò il serpente, invidiando il suo stomaco pieno e l'assenza di turbe mentali.

«Lo so che eri sincero» iniziò lei.

Adam rabbrividì, si morse le labbra, in cerca di una falsa quiete dispersa in un lago che forse non esisteva neppure più.

«Purtroppo io non ricambio i tuoi sentimenti. Ti voglio bene, davvero. Mi piacerebbe averti come amico, poter continuare a... parlare con te. Ma non voglio andare oltre.»

Il ragazzo annuì. «Per le cicatrici?» chiese. Candy odiava le sue cicatrici, per questo se lo scopava solo a luci spente e poi all'alba fuggiva via.

«Cosa? No! Ne hai più di me ma le mie sono ben peggiori.» Gli fece l'occhiolino, sorrise. «Non c'è un motivo valido. Non ho una giustificazione. Mi piace stare con te, davvero, ma...»

«Ma?» l'incalzò.

«Non sei tu che vorrei baciare, non provo le stesse cose. Ti avevo avvertito, avevo detto che ero...»

«Tu non sei una causa persa.»

«Io sono ancora innamorata di lui.» Stavolta Eva scostò lo sguardo, si massaggiò i piedi nudi, indolenziti dal freddo, ricoperti di vesciche e calli sui quali si era abituata a camminare.

«E perché allora non vi rimettete insieme? Perché allora non sei con lui in questo momento?» la rimbeccò.

«Questi non sono affari tuoi e niente di ciò che ci riguarda lo sarà mai. Ulrik per me sarà sempre un argomento tabù. Non ne voglio parlare, non voglio condividere nulla di ciò che è stato, perché ciò che è successo è roba nostra, perché solo noi possiamo capire, solo noi c'eravamo! Non voglio dovermi giustificare con te, non voglio accampare scuse, raccontarti, cercare di farti capire. Sarebbe inutile.»

«Io non sto dicendo che...»

«No, Dima! No! Prendere o lasciare. Posso esserti amica, nulla di più. E non affronterò mai questo argomento, mai, né con te né con gli altri.» Serrò le braccia al petto, chiudendo il discorso una volta per tutte.

«Okay.»

Lei lo fissò in tralice. «Non provare più a baciarmi. Non voglio e se insisti la vedrò come una forma di violenza.»

«Ricordati che sono stato io a insegnarti come respingere certe forme di violenza.» Si sentì offeso dell'accusa implicita che gli aveva mosso, non aveva mai obbligato nessuna, aveva sempre ottenuto il consenso, non aveva mai sentito il bisogno di ricorrere alla forza.

«Ma non voglio vederti come un nemico da sconfiggere. Se devo difendermi da te, preferisco mantenere una giusta distanza.»

Il cuore di Adam non avrebbe retto un altro affondo. Si pentì di essere giunto alla tenda, non sapeva cosa aspettarsi, ma rimpianse pugni, grida e insulti. La fermezza con cui parlava era peggio di una sfuriata violenta e scomposta.

«Va bene.» Alzò le braccia in segno di resa.

Non mi sta cacciando, mi sta dando un'ultima opportunità.

«Prometti che saremo solo amici?» Allungò l'indice della mano destra.

Adam sorrise, scosse il capo. «No, sacerdotessa. Non voglio mentirti. Non posso prometterti una cosa del genere.»

Lei rimase perplessa, allontanò la mano.

Lui gliela afferrò al volo. Erano entrambi ghiacciati, come se avessero davvero fatto il bagno in quel lago di montagna.

«Prometto di ascoltarti sempre, ogni volta che vorrai parlarmi, e prometto di dirti tutta la verità, da qui in poi, anche quando sarà brutta e ti farà male. Prometto che la mia spalla sarà sempre libera quando vorrai piangere e che ti sosterrò quando vorrai una mano. Prometto che ti addestrerò e ti renderò una donna forte, che non ha bisogno di essere difesa, che non ha bisogno di un cavaliere. Prometto di esserci, Eva, sempre, e che non farò mai niente che tu non voglia fare.» La sentì tremare e allentò la presa. La mano di lei era ossuta e ruvida, così piccola che l'avrebbe potuta spezzare.

Lei si scostò, ritirò l'arto. Tornò a stendersi, stavolta supina.

«Sei uno sciocco, Adam Dima Hollander. Non so cosa tu ci trovi in me, sono un totale casino. Comunque se vuoi restare, puoi dormire ai piedi del letto. E non ti preoccupare del pitone. Ci metterà parecchi giorni a digerire il ratto che ha divorato e fino ad allora resterà immobile, in attesa.»

Adam sbiancò. Quello era un fottuto pitone! Una bestia in grado di uccidere usando la sola forza della mascella.

«E se dovesse digerirlo stanotte?»

«No, ci vogliono ancora un paio di giorni.»

«Come fai a saperlo? Gliel'hai chiesto?»

Lei rise e non rispose.

«Posso dormire sul letto? Contro la parete? Potremmo metterci al contrario. Terrò tutti i vestiti addosso, ti giuro che nemmeno ti sfioro! Puoi fare una barriera coi cuscini, se vuoi, oppure...»

Evangeline si scostò, lui non se lo lasciò ripetere due volte, raccolse un cuscino e si sdraiò dietro di lei. Tra lui e il serpente c'era ora l'esile corpo di una ragazzina raggomitolata in posizione fetale. Una magra consolazione.

«Qual è l'animale più pericoloso di tutti? Quello con cui fai più fatica a comunicare?»

Lei ci pensò su. «Gli squali, credo. Poco tempo per entrare in contatto. In realtà il rischio non sarebbe quello di essere mangiata, ma quello di essere confusa con una preda e poi rigettata.»

Dima si coprì con un panno di lana. Non si era nemmeno tolto le scarpe, ma a lei non dava fastidio, selvaggia com'era, non ci aveva nemmeno fatto caso. Quello non era un letto, ma una tana scomposta di cuscini e coperte che puzzava di terra, fango, erba e sudore.

«Ci sono squali nel mar Cantarbico?»

«Certo.»

«E quando pensavi di dirmelo?!»

«Sei morto?»

«No, ma...»

«Dima, non ricordi? Tu devi temere ciò che non puoi vedere, ciò che non ti aspetti, ciò che non puoi controllare.»

"Come il tuo cuore", avrebbe voluto replicare.

Invece grugnì come risposta.

«Mi dimentico sempre che mi hai quasi ucciso con quelle cazzo di formiche velenose.»

Evangeline rise di nuovo.

E quello era di sicuro il suono più bello che lui avesse mai udito in vita sua.





Li convocarono all'alba, per la gioia di Tomas Murphy, che si presentò a torso nudo con un braccio avvinghiato attorno alle spalle tese di Shani e una sigaretta in bilico tra le labbra.

Si trovavano nel luogo più remoto del villaggio, dove di solito si tenevano gli allenamenti. L'aria del mattino era tagliente e umida, inquieta come i loro animi.

Solomon era serio, le gambe divaricate e le braccia incrociate sotto il petto muscoloso. Melchor invece aveva un sorriso sardonico dipinto sul volto esangue.

«Abbiamo deciso che l'arca K-030 ci deve un favore. Un enorme favore. Siete tutti convocati, tutti tranne i due membri dell'intelligence: loro ci sostituiranno e collaboreranno con Magda alla gestione del villaggio in nostra assenza. Partiremo domattina, al sorgere del sole. Fatevi trovare con gli zaini pronti alla porta sud, distribuiremo noi le armi. Bea, la scelta è tua, un membro in più a me non dispiacerebbe, soprattutto se è di fiducia.» Le strizzò l'occhio.

Il volto scuro della ragazza s'infiammò. Chinò il capo a terra e poi rivolse un timido sguardo speranzoso a Ulrik.

Lui le fece un impercettibile cenno col mento: "Fa come vuoi".

«Vengo» proclamò e morse le labbra carnose fino a farsi male.

«Perfetto. Abbiamo finito allora, tornate ai vostri compiti, se volete mangiare.» Melchor sorrise a Evangeline che di risposta sollevò un sopracciglio come se volesse chiedergli se facesse sul serio. L'aveva quasi ucciso, se l'era già scordato?

L'uomo le voltò le spalle e si diresse col compagno verso la struttura centrale, per definire gli ultimi dettagli del viaggio. Le spalle ossute bucavano la giacca, la sua andatura era sbilenca, affaticata. Lo scheletro di un uomo che si rifiutava di morire.

«Almeno saremo insieme. E tu che ti preoccupavi tanto!» Tomas scoccò un bacio affettuoso sul collo della guerriera, provò a farle il solletico per ammorbidirla, ma lei si scostò di lato infastidita. Tratteneva le lacrime con la rabbia, dentro bruciava, ma fuori sentiva freddo, un freddo alienante.

Lo sapeva quale sarebbe stata la scelta giusta, era così evidente.

Allora perché lei aveva già deciso di fare l'esatto contrario?

«Non se ne parla! Adam non può venire, resterà lui al villaggio e io prenderò il suo posto!» Xavier era pallido, la camicia sotto la giacca era madida di sudore, rivolse un'occhiata a Ulrik, e vedendo il suo diniego fu colto dal panico. «Verrò io al suo posto!» gridò ancora.

I due capi avevano già deciso e non gli prestavano attenzione.

«Lui non può venire!» si sgolò.

Summer trasalì intuendo cosa stesse per avvenire.

Evangeline guardò Dima, ma il ragazzino sorrideva lieto, come se lo spettacolo in scena l'avesse già visto e rivisto: conosceva il finale ed era piacevolmente annoiato.

Stavolta Melchor e Solomon interruppero la marcia. Si scrutarono l'un l'altro prima di tornare indietro.

Il cielo si inscuriva invece che illuminarsi, il sole era nascosto dietro spesse coltri bigie e le capanne giacevano ancora assonnate alle loro spalle.

«Prego?» lo canzonò Melchor, con le mani in tasca e la testa inclinata di lato.

L'ex-professore tentennò, guardò Adam con un misto di rammarico e preoccupazione, poi Hans, il suo sguardo dorato e interrogativo.

«C'è un motivo per cui Adam non può comunicare con la natura.»

Summer trasalì, si portò una mano al volto.

Tutti rimasero spiazzati, anche l'Umana, che sgranò gli occhi e serrò i pugni.

"Non può farlo davvero, non può essere disposto a tanto pur di..."

«È malato.»

Non piovve nulla dal cielo, ma le parole del vice-comandante inondarono di orrore i Titans.

Adam allargò il sorriso, incrociò le braccia dietro il collo, come se si volesse stiracchiare.

«Ha una malattia mentale» concluse. Stavolta non osò guardare il compagno, non osò guardare nessuno. Scrutò solo le sue scarpe. «Prenderò io il suo posto, posso...»

«Quando aspettavate a dircelo?» abbaiò Melchor. «Questo spiega tutto! Solomon, è insubordinazione! Ci hanno nascosto un'informazione di fondamentale importanza. Dobbiamo intervenire, si stanno prendendo troppe libertà, non possono...»

L'uomo serrò la mano massiccia sul suo braccio gracile, lo fermò.

«Lo. Sapevi?» Una sola domanda, rivolta a Evangeline però.

Non c'era severità nel suo sguardo, solo una leggera delusione. Il patto era stato rotto, lui si era sempre fidato di lei, sfidando limiti, inimicandosi il suo vecchio alleato, colui che l'aveva salvato. Lei non si era mai fidata di lui. Non allo stesso modo.

Evangeline annuì, d'istinto si avvicinò a Dima, col cuore in gola. Sapeva che quell'espressione strafottente era una maschera. Si immaginò cosa stesse provando, l'umiliazione pubblica, essere chiamato in quel modo.

Corrotto...

«E perché non hai detto nulla? Perché hai taciuto?» le sputò addosso Melchor. «Cosa pensavi di fare? Credi di poterlo guarire?»

Di nuovo un brivido trapassò le membra di carne e sangue della ragazza. Stavolta cercò di ostentare un'espressione impassibile, come quella del loro comandante. Ma l'ira fumava da ogni poro.

«Puoi guarirlo?» domandò di nuovo con sdegno.

Adam scoppiò a ridere, lei infilzò i palmi con le unghie smangiate.

«Non posso guarirlo perché non è malato» disse.

Gli spettatori trattennero il fiato.

«È o non è malato? Diamoci un taglio con questa pantomima. Xavier, qual era la diagnosi?»

Eva frustò l'aria con un braccio, ammonendolo a tacere. «Samuel fumava erba per riuscire a sopportare il peso dei morti che aveva sulla coscienza. Ha passato questa bella abitudine a Ronnie, David e Tomas. Mi sono presa cura io di Tomas, le ferite alle mani non erano niente in confronto ai danni psicologici che aveva subito.»

Il ladro abbandonò le braccia lungo il torso, ghiacciato. Shani lo strinse forte a sé sull'orlo del pianto, nascose il viso sul suo petto per non sentire il resto.

Ma lo sapeva, lo sapeva di già, non voleva ammetterlo.

«Quasi tutti al villaggio hanno problemi a dormire la notte, compresi Ulrik e Kuran. L'insonnia è un'epidemia potenzialmente mortale, per questo Aniruddha mi ha chiesto di creare una piantagione fuori dalle mura: finisce troppo presto le scorte di oppio. L'indice di massa corporea di Summer è allarmante, convocarla in missione è assurdo e pericoloso. E tu, Melchor... beh, il tuo abuso di alcol ha causato spiacevoli incidenti di cui ora non vorrei parlare.»

Le orbite di Melchor schizzarono quasi fuori dal teschio. Avanzò barcollando, con un indice puntato contro il volto arrogante dell'Umana.

«Tu...»

«Dima ha subito torture inenarrabili da parte dei medici sull'arca. Sperimentazioni, a quanto dicevano. Ma il suo corpo riporta ogni cicatrice come prova. Può essere guarito? No. Come non possono essere guarite la gamba e le mani di Tomas, come non possono essere guariti gli incubi notturni, l'assenza d'appetito, le crisi di pianto e la disperazione che ognuno di noi prova da quando è sbarcato su questo pianeta. La Terra richiede un sacrificio. L'assenza di titanio ha fatto riaffiorare sintomi che prima non conoscevamo. Titans o Umani, ora siamo uguali, siamo tutti prede dello stesso destino. Vivere o morire è la nostra unica scelta. Il modo in cui funzioniamo, il modo in cui tiriamo avanti, il modo in cui resistiamo, sopportiamo e affrontiamo le avversità, non ha più importanza» pronunciò tutto d'un fiato.

I capi rimasero in silenzio qualche istante, consapevoli per la prima volta del malessere che aleggiava tra i sopravvissuti, tra i loro compagni.

L'assenza di Hc34Fc987...

«Dima?» Solomon inarcò un sopracciglio. Non conosceva il suo secondo nome.

«Adam Dima Hollander, al vostro servizio» lo canzonò il ragazzo sempre più allegro.

L'uomo si rivolse a Melchor. Bastò un solo sguardo per prendere una decisione. Ne avevano già parlato. Lasciare l'Umano al villaggio era fuori discussione, soprattutto dopo le ultime notizie. Quale che fosse il suo disturbo, aveva già manifestato un'indole trasgressiva e incline alla violenza. Volevano tenerlo sotto controllo, anche a rischio di mettere a rischio la missione. Non potevano lasciare un elemento del genere con Magda e i bambini.

«Tu cosa ne pensi?» Melchor si rivolse stizzito al comandante.

Quello si limitò a scrollare le spalle, gesto insolito da parte sua, visto che era sempre così composto, sull'attenti.

Gli occhi azzurri quel giorno erano più assenti, vuoti. «Se vuole venire.»

Fu una risposta così inaspettata che anche Hans emise un gemito rauco.

«Ulrik, ti prenderai la responsabilità di questa decisione!» lo minacciò.

Adam rise di nuovo, ancora più forte. Scaricavano gli oneri sulle spalle del mastino e si tenevano tutti gli onori.

Eppure il comandante non fece una piega. «Se fosse davvero mia, la decisione, mi preoccuperei più di Murphy. Mi ha dato molti problemi le ultime volte che abbiamo viaggiato insieme. Non è un membro affidabile e a livello fisico il suo handicap potrebbe esserci d'intralcio e rallentare la marcia.»

Tomas rimase così spiazzato che non riuscì a ribattere con un'abituale battuta sarcastica. Si liberò dell'abbraccio di Shani e retrocedette di due passi. I suoi occhi da bambino divennero ancora più rotondi e indifesi. Socchiuse le labbra.

Nessuno lo contraddisse, nemmeno la sua fidanzata, e questo gli fece ancora più male.

Rik si era pronunciato con calma e compostezza, un freddo distacco che faceva apparire il suo ragionamento inoppugnabile, obiettivo.

Shani chiuse gli occhi e invocò la grazia dell'Universo.

Ancora una volta, nessuna stella l'ascoltò. 

«Tomas Murphy verrà. Nei campi sa lavorare bene, la gamba in titanio è più resistente dell'altra e un dito in meno non fa alcuna differenza in missione. Ci penseremo noi a sedare il suo bel caratterino.» Gli rivolse un ghigno sprezzante. «Ulrik, pensa piuttosto a dormire bene stanotte.»

Il comandante rimase imperturbabile alla frecciatina velenosa. Un muro di gomma.

Quando i due capi si furono allontanati, l'ex-professore provò a prendere da parte Adam per spiegarsi, per scusarsi, o forse solo perché aveva bisogno di guardarlo negli occhi e sapere come stava, come si sentiva.

«Per me tu sei morto» gli rispose, anticipando ogni possibile contatto.

Si allontanò con Eva verso la tenda che fungeva da scuola.

Lei a metà percorso lo prese per mano.





Chiedo perdono per il ritardo! È un capitolo un po' di passaggio, vi prego, ditemi senza mezzi termini se vi è sembrato noioso quanto lo è sembrato a me 🤣 In realtà "il posto sicuro" è un dettaglio importante, ricomparirà anche in seguito e sarà un'arma preziosa per Eva.

Per quanto riguarda la convocazione... povero Tomas 😔

Spero che abbiate capito che Ulrik non ha detto quelle cose perché le pensava davvero, ma solo perché cercava un modo per tenerlo al villaggio, come Shani l'aveva pregato di fare.

E chi rimane invece? Xavier e Hans... 😏

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