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2. Soccorso

La squadra vagava nelle foreste da due settimane.

Quella sarebbe stata la loro terza e ultima missione. I capi villaggio erano stati lapidari e irremovibili: non gliene avrebbero concessa una di più.

Erano trascorsi tre mesi da quando avevano visto precipitare dallo spazio quella navicella. Un evento così sconvolgente che aveva mandato in subbuglio l'intero villaggio.

Una missione di soccorso... o una missione di salvezza? Chi doveva salvare chi?

Non aveva più alcuna importanza.

Ulrik, insieme al gruppo di Thea, aveva cercato spasmodicamente tra le montagne e le fitte foreste tracce dei sopravvissuti. Senza alcun esito, né positivo né negativo.

Il velivolo non era ancora stato ritrovato. Sembrava svanito nel nulla.

Aveva radunato una piccola squadra e studiato notte e giorno, grazie alle cartine di Luis e a quelle modificate e corrette da Hans e Aniruddha, possibili percorsi da compiere, zone che non erano ancora state perlustrate, luoghi remoti in cui quella missione poteva essere naufragata, redigendo di proprio pugno una mappa che potesse aiutarli nel vagliare possibili tragitti da affrontare, da tentare nella penosa e straziante ricerca di resti umani.

Ogni giorno che passava diminuivano le speranze di trovarli vivi.

Ma se c'era anche una, una sola minima e remota possibilità che almeno un compagno fosse sopravvissuto, il comandante non si sarebbe dato per vinto. Non gli importava a quale arca appartenessero, se fossero Titans o Umani, uomini o donne, giovani o anziani. Lui non avrebbe abbandonato nessuno. Non avrebbe mai lasciato che nessuno morisse per la propria indifferenza, per la propria ipocrisia.

Purtroppo, in pochi sostenevano il suo idealismo.

Era partito insieme a Kuran e Bea, gli unici compagni disposti ad accompagnarlo in quella follia. Era consapevole che Bea l'avrebbe seguito anche nel fondale degli abissi, munita solo dei propri polmoni per respirare.

Kuran invece fuggiva da qualcosa, o da qualcuno, o forse solamente da se stesso.

Shani si sarebbe unita a loro, ma era stata richiesta in modo esplicito la sua presenza a guardia della barriera. Era una guerriera troppo forte e preziosa, e quella sembrava una spedizione inutile quanto pericolosa per i tre capi villaggio.

Dagli altri non aveva preteso nulla.

Lei non l'aveva più rivista, dopo quel fatidico mattino.

Aveva ordinato ad Hans di presenziare davanti a Solomon per chiedere di sostituirlo nel ruolo di tutore, con l'ufficialità che gli era stata suggerita indirettamente da Melchor. Il professore non aveva fatto domande, né aveva mosso obiezioni. Gli aveva comunicato che sarebbe rimasto al villaggio in qualità di suo vice, come era giusto che fosse. Sapeva che non approvava quelle spedizioni, però non gliene importava nulla.

Forse anche lui, come il pilota, stava solo cercando di scappare.

«Una decina di chilometri a nord-ovest.» Kuran interruppe brusco il fluire contorto dei suoi pensieri e gli mostrò la bussola che teneva sul palmo della mano.

Il giorno prima, dopo una lunga peregrinazione, avevano scorto sul greto di una montagna i ruderi di un motore. Avevano anche trovato copiose tracce di sangue e feci in alcune grotte, nelle vicinanze i cadaveri di due giovani sui vent'anni e qualche arto mozzato.

«Perché secondo te sarebbero andati per di là?» Bea storse il naso e incrociò le braccia sotto il petto.

«Tutto fa pensare a una fuga repentina, hanno abbandonato gli zaini, non hanno seppellito i cadaveri, mi sembra più probabile che abbiano virato verso valle, forse alla ricerca di salvezza... la nostra unica speranza è che non abbiano cercato di raggiungere le città. Da qui non se ne vedono molte, ma nel caso, noi non potremmo fare nulla se non abbandonarli al loro destino. Invece se si fossero mossi in preda al panico, indotti forse da un agguato da parte di animali pericolosi, virando verso valle e immergendosi nella foresta, a questo punto potrebbero distare solo di una decina di chilometri. Dubito che nelle loro condizioni possano aver percorso un tragitto più lungo, spero che si siano accampati, che abbiano trovato rifugio, forse refrigerio presso una fonte acquifera, forse...»

Uno stormo di uccelli interruppe la spiegazione del pilota, facendo sobbalzare tutti e tre i ragazzi.

«Cos'è stato?»

«Non possono essere lontani. Devono essere ancora qui, da qualche parte. Dobbiamo trovarli!»

«Rik, ma cosa te lo fa pensare? Sembra che stiano fuggendo da noi! Li cerchiamo invano da mesi e tutto ciò che abbiamo trovato è solo qualche corpo maciullato. Scusami la franchezza, ma non promette molto bene.» Bea aveva il fiato corto e la voce stridula.

«Sei tu che sei voluta venire» la troncò impietoso il comandante.

Lei immediatamente si zittì, offesa a morte.

Alcuni lontani ululati rimbombarono tra le spesse cortecce degli alberi.

«E se fossero stati i lupi?» Kuran esplicitò ad alta voce il pensiero che avevano avuto i suoi compagni. «Se seguiamo i lupi, allora forse...»

Un brivido di freddo percorse le loro membra affaticate.

Sebbene l'Umana avesse assicurato ad Hans che i tre avrebbero goduto della protezione della natura, non si fidavano ancora del tutto di quell'assurdo potere. Certo, non erano mai stati attaccati, mai stati importunati, non avevano fatto neanche un avvistamento, come se gli esseri viventi che popolavano quella zona si tenessero a una debita distanza, come se si fossero ritirati.

Ma cosa sarebbe successo se si fossero trovati faccia a faccia con un branco di lupi?

Il potere di Eva era davvero così sconfinato?

Quel pensiero provocò una fitta dolorifica al petto del mastino, che aprì e chiuse e il pugno della mano sinistra, cercando di resistere al bisogno impellente di controllare l'assenza di battito cardiaco.

«Tu cosa ne pensi?» l'interrogò con insistenza Kuran.

Non era mai stato un ragazzo molto coraggioso. Ulrik non l'apprezzava più di tanto. Era sempre stato molto sincero sul fatto che lui avrebbe preferito di gran lunga la sua fidanzata, se non si fosse allontanata dall'ambiente dell'Accademia dopo il diploma, preferendo divenire un'educatrice sottopagata piuttosto che prestare servizio come ingegnere aerospaziale per l'Accademia.

Ora invece quel giovane gli pareva fin troppo temerario, quasi spericolato, come se avesse voglia di mettersi alla prova. Come se agognasse la sua stessa fine.

Questo non poteva che inquietarlo. Era stato uno sbaglio, loro tre erano un terribile sbaglio, per una lista di ragioni infinita, lo riconosceva, ne era consapevole.

«Proviamo.»

Bea trattenne il fiato, serrò i profondi occhi scuri, senza il coraggio di ribattere.

Lui le diede una pacca sulla spalla, quasi per rincuorarla e scusarsi per la risposta troppo brusca di poco prima.

«Allora ci muoviamo?» fremette nervoso Kuran.

I due annuirono e lo seguirono a capo chino, mentre il giovane apriva le fila.



Summer ebbe uno spasmo nervoso. Il suo volto cereo si contorse assumendo una piega innaturale, una palpebra vibrò, così come le mani che stringevano strenuamente il calcio della pistola.

Dietro di sé, Xavier trattenne un'imprecazione scurrile.

Adam era ricoperto di vivido sangue purpureo, perfino i suoi candidi denti gocciolavano suadenti. Gli occhi blu, quando li vide, lampeggiarono sinistri sul corpo niveo ancora immerso nelle viscere dell'animale in piena agonia. No, non era ancora morto. Non voleva concedergli il colpo di grazia.

«A-adam...» crepitò l'uomo, fremendo come una foglia arsa dalle fiamme.

Lui li guardò indemoniato, le mani avvinghiate alle carni sempre più esangui, i capelli umidi di terrore. Merle giaceva poco distante, un groviglio scomposto di arti e tessuti mozzati, gli occhi spalancati nel vuoto, la testa crudelmente recisa.

«Adam!» Summer si aggrappò al suo nome, come se già il fatto di ricordarlo fosse indizio certo di una flebile speranza.

Speranza di cosa, poi, non lo sapeva neppure lei.

L'essere che le stava di fronte sorrideva. Sì, sorrideva.

La sua ragazza era stata mutilata e dilaniata, probabilmente davanti ai suoi occhi impotenti, e lui aveva fatto altrettanto con quel lupo, a mani nude. Era ferito, eppure era più vivo che mai. Ma non aveva nulla di umano, né l'aspetto, né la parvenza, nemmeno lo sguardo.

E soprattutto stava sorridendo.

Incusse loro un terrore così ancestrale che faticarono a riprendersi.

L'ex professore fu il primo ad avvicinarsi al ragazzo.

«È tutto finito ora, abbassa quel pugnale, vieni via da lì» lo redarguì e allungò verso di lui il palmo di una mano spalancata.

Ma il giovane non si mosse, anzi, arcuò un sopracciglio, non riusciva a comprendere tutto quello sgomento.

«Adam, vieni con noi, devi darti una ripulita! Dobbiamo disinfettare le tue ferite, dobbiamo andarcene da qui! Lascialo andare. Alzati, per favore.»

Reclinò il capo di lato, una smorfia divertita, le mani strinsero le interiora viscide dell'animale sgonfiando il loro contenuto tra le dita. Nel mentre il sangue grondava lento lungo i suoi lineamenti perfetti, in netto contrasto col blu dei suoi occhi angelici. «Perché?»

Summer non riusciva ad abbassare la pistola. Venne scossa da un brivido di orrore.

Quel ragazzo non le era mai piaciuto. Si era sforzata, si era impegnata, aveva fatto il possibile per empatizzare, cercare di comprenderlo, mettersi nei suoi panni. Provava avversione nei suoi confronti, era un essere perverso, corrotto, subdolo, infido e maligno. E ora era l'incarnazione stessa di ogni incubo, molto peggio di quanto si aspettasse! Lei non era lì per lui, si ripeté, lei non era lì per lui. Poteva farlo fuori, aveva ancora due colpi in canna. Solo due, gli ultimi due. Poteva decretare la sua fine, perché era evidente che l'Umano avesse perso la testa, non ci voleva un dottore per fare una diagnosi simile, quella scena era lampante, parlava da sé.

"Se tu diverrai un ostacolo per la mia missione personale, non esiterò a farti fuori, non esiterò nemmeno un istante" l'aveva pure avvertito, ma nessuno la prendeva mai troppo sul serio. Eppure lei era stata serissima, quel giorno. Seria e sincera.

Sì. L'avrebbe ammazzato. Una preoccupazione in meno.

Io non sono qui per lui.

«Non perdiamo la ragione! Ragazzi, non è questo il momento! Summer, abbassa quella cazzo di pistola, per la miseria! Adam, tu vieni via da lì! Dobbiamo trovare riparo, dobbiamo...»

Uno scricchiolio sinistro alle loro spalle li fece sobbalzare.

Xavier impugnò un bastone e si mise in posizione difensiva.

L'Umano si erse in piedi. Un'espressione squilibrata ancor più accentuata da una sete incolmabile di sangue e di morte.

Summer direzionò la canna altrove, il corpo irrigidito dallo stato d'allerta, il sudore freddo che le colava lungo le tempie pulsanti di dolore.

«Stanno arrivando» cantilenò il ragazzino.

I respiri degli altri due si fecero più pesanti.

«Oh, sì, stanno arrivando.»

L'uomo grugnì qualcosa nel tentativo di zittirlo.

Un altro rumore riverberò ai loro timpani. Un ramo spezzato, passi febbrili, fiati sempre più corti.

«Ora viene il bello.» Il volto del giovane aveva perso ogni espressività umana.

«Se non lo fai tacere tu, ci penso io» proruppe la pilota, spostandosi con uno sbuffo nervoso una ciocca bionda di capelli dalle labbra.

Xavier retrocedette di qualche passo.

I predatori erano sempre più vicini.

L'uomo mormorò allora un'antica preghiera a bassa voce. Apparteneva a un vecchio credo, una divinità dimenticata, una dottrina perduta. I suoi avi avevano combattuto secoli e secoli in nome di quel dio, seminando morte e distruzione, infondendo speranza e coraggio a un popolo da sempre confinato in remote zone semi-desertiche, sconvolto da piaghe e carestie, oppresso dalla siccità e dal famigerato oro nero.

Tre figure si palesarono tra le fitte trame delle conifere.

Due maschi e una femmina.

La ragazza aveva la pelle di ebano, scintillanti occhi tondi da cerbiatta e i capelli rasati quasi a zero. Uno dei due uomini era di costituzione robusta, zigomi pronunciati sotto due spettrali iridi celesti. Il terzo era invece alto e dinoccolato, occhi a mandorla e un'inconfondibile chioma corvina.

Summer perse un battito, poi un altro, poi un altro ancora.

Lo sguardo le si increspò di lacrime, le mani non ressero un'istante in più il peso di quell'oggetto ora inutile che aveva retto con così tanta fermezza, come fosse stata la sua unica ancora di salvezza.

Forse era morta, ragionò tra sé e sé. Era morta in modo così repentino che non se n'era neanche accorta. E quello era il paradiso. Nonostante tutti i turpi pensieri e i numerosi peccati, l'Universo l'aveva graziata. Era tornata da lui.



Kuran si arrestò di colpo, freddo e immobile come un blocco di granito.

Non l'aveva riconosciuta subito, non dalla distanza da cui l'aveva riconosciuto lei.

Era cambiata in modo drastico e spietato. Un dimagrimento vorace ed eccessivo, la pelle aveva perso tutto il colorito, gli occhi verdi si erano estinti sotto due profonde borse raggrinzite, perfino la tonalità dei suoi capelli sembrava essersi spenta e, nonostante la giovane età della donna, si intravedevano alcune ciocche candide, residuo degli orrori a cui era sopravvissuta a stento.

«Summer» sussurrò.

Lei no, non poteva essere un miraggio, non in quelle condizioni, non con quelle lacrime che scorrevano copiose lungo le guance incavate, non con tutto quel sangue che le macchiava i vestiti, il terrore negli occhi, la revolver che cadeva ai suoi piedi con un tonfo sordo.

La ragazza non si trattenne un istante di più.

Con le ultime forze residue, gli corse incontro, avvolse le sue braccia attorno al collo e senza attendere una risposta dal giovane iniziò a confessare ad alta voce le parole che l'avevano tenuta in vita, che l'avevano portata a compiere quel gesto estremo, che l'avevano guidata per quei lunghi interminabili mesi.

«Per te... per te... solo e unicamente per te.»

Capitolo di "ricongiungimento" diciamo. 

Se pensate che ora questi due esperiranno qualche gioia sul pianeta Terra... siete fuori strada. Vi dico solo che ieri mi sono commossa scrivendo un capitolo.

Vi avviso che per due settimane non aggiornerò. Vado in ferie, non ho il wifi e soprattutto ho bisogno di prendermi una pausa. Poi tornerò più carica di prima e prometto solennemente che non salterò mai più nessun aggiornamento! 🤞



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