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16. Un piano

Shani entrò in infermeria senza bussare e rimase sconvolta dal trovarci Summer stesa sul lettino con Eva al fianco destro che le faceva un'iniezione di titanio. Si maledisse per non aver bussato, a bassa voce.

Era vero, si trattava pur sempre di una tenda, ma sarebbero bastati due colpi contro una delle travi portanti, un "permesso" educato, un semplice "posso entrare?"

Evangeline aveva un aspetto umano, i capelli raccolti in una coda di cavallo, una bandana arrotolata e usata come fascia, un lungo abito verde bosco e una giacca logora indossata come un copri spalle.

Summer invece era più pallida ed emaciata che mai.

Nuovi sensi di colpa, nuovo senso di nausea, di spossatezza, rimorsi e rimpianti.

"Sono un essere orribile, quando lo scoprirà, quando anche lui aprirà gli occhi, quando tutti lo vedranno, io..."

«Entra pure. Avevi bisogno?» l'interruppe l'Umana senza levare lo sguardo.

La guerriera passò il peso da un piede all'altro, insicura e in allerta.

La pilota stava fingendo che lei non esistesse. Quando l'ago fuoriuscì dalla vena spessa e viola dell'incavo del suo polso, si srotolò le maniche della camicia e si alzò seduta. L'espressione spaesata e lo strabuzzare degli occhi fecero intuire ad entrambe le ragazze che aveva avuto un capogiro.

«Non dovresti lavorare, non dovresti nemmeno stare in piedi» l'ammonì Eva. L'altra la ignorò.

«Posso passare dopo.» Shani fece per defilarsi veloce ma inciampò in qualcosa di morbido. Quando riacquistò l'equilibrio si rese conto che c'era una pantera nera nascosta in un angolo.

Quella pantera nera, che fissava la coda che aveva appena calpestato con uno sguardo assassino.

«Stavo per uscire» s'intromise Summer, ma Eva la rimise seduta.

«Shani, cosa vuoi? Se è per gli assorbenti, sono nell'armadietto, l'ultimo cassetto. Tanto io non li uso mai.»

La guerriera arrossì fino alla punta dei capelli. «N-no... ho la nausea.»

«Tisana allo zenzero?» le offrì Evangeline. Sul suo volto comparve un sorriso gentile.

L'amica scosse la testa. «Mi fa vomitare. No, in realtà volevo chiederti se venivi... ecco, se venivi a colazione con noi.»

L'Umana arcuò un sopracciglio. «E ciò come potrebbe curare la tua nausea?»

L'amica si morse un labbro, rossa di vergogna. «Be', quella era solo la scusa per cui adesso sono qua.»

Si aspettava una battuta tagliente, occhi rivolti al cielo, un'espressione infastidita che l'avrebbe ferita.

La pantera scosse il capo e tornò ad affossare il muso tra le zampe.

Invece le due bionde scoppiarono a ridere contemporaneamente. Il felino emise allora uno sbuffo, si sgranchì le zampe affusolate e andò a strisciare il corpo sinuoso sul fianco dell'Umana, che lo accolse grattandogli il collo divertita.

«Se non aveste condiviso gli stessi fidanzati... sareste potute perfino diventare amiche» disse Eva, infilandosi le maniche della giacca.

Il volto della guerriera andò a fuoco mentre la bocca si seccava e un singulto di terrore le bloccava la respirazione.

«Ti assicuro che le premesse non ci sono mai state.» La pilota ammiccò, per niente imbarazzata, incollerita o risentita.

E Shani si sentì precipitare negli abissi della propria confusione mentale.

«Alle lavanderie le donne venivano alle mani per molto meno. Si strappavano intere ciocche di capelli. Per fortuna Marienne non è mai stata coinvolta, non era interessata né ai ragazzi né alle ragazze.»

«E tu? Tu sei mai rimasta coinvolta?» le domandò Summer con una confidenza che Shani non si sarebbe mai aspettata.

«Io avevo solo quindici anni quando mi hanno portata via.» Un sospiro stanco e amareggiato.

«E tu Shani? Avrei giurato di aver sentito voci in Accademia che dicevano che avevi fatto a botte per Ulrik.»

L'altra sorrise arcigna. Almeno quella frecciatina era coerente. Poi però, vedendo il volto teso di Eva adombrarsi si rabbuiò. «Sì, con Maisie. Ma non abbiamo litigato. Era tutto molto chiaro.»

«Era tutto molto chiaro.» Le fece il verso Summer, alzandosi in piedi, stavolta sulle proprie gambe.

Evangeline uscì dalla tenda come se nulla fosse, con un vassoio ricolmo di strumenti da sterilizzare in acqua bollente.

Le due donne si ritrovarono sole l'una di fronte all'altra, a carte scoperte.

«Pensavo che fossi arrabbiata con lei. Per ciò che è successo ad Adam»

Summer scrollò le spalle. «Arrabbiata dici? Non lo so. Non so cosa dovrei provare. Delusione, tristezza, depressione, rabbia? ... Me lo dici tu quali emozioni provare? Come dovrei reagire? Io mi sento vuota in questo momento.»

Di nuovo un tono tagliente. Shani paradossalmente ne fu rassicurata.

«Eva è una brava ragazza.» Io no, era sottinteso. E ne sono consapevole, le comunicò con lo sguardo.

Ma gli occhi verdi della pilota erano opachi, l'iride buio, la pupilla ristretta. Non colsero nulla.

«Lo so. È solo molto pericolosa.»

La guerriera annuì, quella era una verità inconfutabile.

Si augurò che non stesse origliando, non sapeva come avrebbe potuto prenderla.

«È stata tutta colpa mia» aggiunse, nel caso i suoi sguardi non fossero stati abbastanza esaustivi.

Summer scoppiò di nuovo a ridere. Una risata così convulsa e acuta che le mise i brividi.

«Siete così simili tu e Tomas» le diede una leggera pacca sul braccio mentre usciva dalla tenda. «Non sapete mentire. Però al contrario tuo, Tom, quando dichiara il falso, riesce a mantenere un sorriso scanzonato. Tu invece no. Tu diventi triste.» Un'aria fredda e spietata le scompigliò i capelli biondi e bianchi.

«Cosa ti è successo?» Non riuscì a trattenersi

Summer la fissò per la prima volta con lo sguardo ricolmo di un'ira a stento trattenuta, quella che si era attesa fin dal principio.

«Che ti ha detto?»

«Nulla! Tomas non ha voluto dirmi nulla!»

Evangeline ricomparve tra di loro come una benedizione.

La pantera si stava allontanando con calma verso la recinzione. Ogni tanto si guardava attorno curiosa, cercava di intravedere coi suoi occhi felini altri componenti della vecchia spedizione, per sapere come stessero, se fossero ancora vivi, in lieve apprensione.

«Dovreste mangiare entrambe. L'inverno vi divorerà se non ingoiate qualcosa.» Cambiò discorso la guerriera, appoggiando le mani sui fianchi pronunciati.

Summer ed Eva si scambiarono un'occhiata complice, una complicità del tutto ingiustificata ma sincera.

«Te l'ho detto che sarebbe una buona amica» le sussurrò Eva, e acconsentì.



Ai nuovi arrivati, arca K-030, era stato riservato un tavolo adiacente alla parete di legno. Lungo, con due banche dai lati, lontano due metri dal resto della sala, dagli altri convitati. Erano isolati da tutti, rinchiusi in un austero silenzio. Chi si era già svegliato attendeva chi doveva ancora svegliarsi, per fare due chiacchiere, per ascoltare una voce amica, ricambiare un sorriso, vincere la noia.

Adam soprattutto, semi-stravaccato, aveva un'espressione di puro disgusto e il cucchiaio immerso nel porridge ancora integro. I suoi occhi blu erano visibili dall'altra parte della sala. Tomas e Kuran, dalla parte opposta del tavolo, distanti un braccio e mezzo, stavano ingoiando la brodaglia a viva forza, come se fosse stata indetta una battaglia a chi la finisse per primo. Hans leggeva un libro e controllava l'ingresso. Sperava di vedere Xavier, non aveva saputo più nulla di lui da quando l'aveva visto crollare a terra, le mani sulla faccia, scosso da un pianto incontrollabile.

Non riuscì a nascondere l'iniziale delusione che lo colse quando vide entrare le tre ragazze, sostituita pochi istanti dopo da pura meraviglia.

Evangeline era tornata.

E avrebbe mangiato insieme a loro.

Un brusio di sgomento si diffuse nella mensa, molti uscirono in segno di protesta, altri, al contrario, le rivolsero un mezzo inchino impacciato.

La sacerdotessa. La pazza. La bambina pericolosa. La svitata. La prescelta.

«Guardate chi vi ho portato?»

Kuran si strozzò con una cucchiaiata quando levò lo sguardo, Tomas impallidì.

Summer si sedette a fianco ad Adam, senza dare segni di disagio, senza alcuna costrizione.

Shani si accomodò tutta sorridente vicino al fidanzato, dopo avergli scoccato un bacio umido sulla guancia.

«Cosa diavolo...» biascicò lui sottovoce, ma l'impasto farinoso grattava la gola e non si comprese nulla di come continuò l'interrogativa.

Eva si sedette di fronte ad Adam, aggiustandosi la gonna, gli occhi infuocati ma la fronte distesa. Un lungo gioco di sguardi a labbra serrate, che si concluse con un nulla di fatto. Come se l'Umano non avesse ancora metà del corpo fasciato da bende, come se l'Umana non l'avesse quasi ucciso.

E in quell'istante, proprio quando la situazione sembrava non potesse peggiorare ulteriormente, entrarono Ulrik e Bea, insieme, fianco a fianco, ridendo.

«Tu scatenerai l'Apocalisse.» Stavolta l'affermazione di Tomas non fu né a bassa voce né confusa da un bolo di cibo incastrato tra la lingua e i denti.

Adam colse il riferimento e sorrise arcigno a Eva, che invece si sforzò di rimanere totalmente impassibile.

«Buongiorno a tutti!» cinguettò Bea, con tono stridulo. Adam finse di controllare lo stato della sua membrana timpanica.

«Xavier non viene.» Ulrik si sedette proprio a fianco all'Umana, tra tutti i posti che c'erano, scelse quello tra lei e Shani. Nessun saluto, nessun cenno, niente di niente. Si era rivolto solo ad Hans, che in tutta risposta versò per errore il suo thè su uno dei libri e prese a tamponarlo con frenesia con la manica del maglione.

Una tensione che assomigliava a nuvole nere in un cielo grigio e freddo privo di sole. L'avvento di un imminente temporale era tangibile, si sentiva l'odore della pioggia, la tensione elettrostatica, vento freddo come lame di pugnali, la natura che si preparava a un'esplosione.

«Bea è un diminutivo per Beatrix? O per Beatrice?»

Due donne portarono loro i vassoi mancanti, raccolsero i gettoni e si allontanarono rapide, evitando in tutti i modi la benché minima interazione.

«No, è solo Bea» rispose lei perplessa. Si era risentita per non essersi potuta sedere vicino a Ulrik. Aveva preso posto di fronte al comandante, al fianco di Adam e ora lo fissava come fosse la bestia più ripugnante sulla faccia della Terra.

«Bellissimo nome! E tu invece? Evelyn? Evangelina? Evangeline? Non ricordo...»

Una domanda posta con finta casualità, per fare conversazione, sciogliere l'imbarazzo. Eppure mise tutti in allerta.

«Evangeline.»

«Particolare. Profetico.» Adam raccolse un grosso cucchiaio di poltiglia, tutti temettero che glielo stesse per lanciare in faccia, come lei aveva fatto col vino la sera del falò di benvenuto. Ma dopo un attimo di tensione, con una mossa teatrale, lo lasciò ricadere nella ciotola di terracotta.

Zaffiri blu incandescenti le sorrisero spietati.

Eva si sporse verso di lui, i gomiti sul tavolo, in attesa.

Ricambiò il sorriso, sprezzante e scevra di paura.

«Hai altro da domandarmi, Adam?» lo interrogò suadente.

Anche lui si sporse nella sua direzione, imitò la sua postura e allontanò la colazione intonsa.

«Oh sì, un'ultima curiosità: chi ha mollato chi?»

Gelo e tuoni, occhi sgranati, pugni serrati e mandibole contratte fino a far digrignare i denti gli uni contro gli altri.

Ulrik indossò la sua maschera, anche se dentro la sua anima si stava scavando una fossa, non avrebbe mai palesato nulla all'esterno. Non perché non volesse, ma perché non sapeva quale fosse l'emozione giusta. Percepiva l'imbarazzo, il dolore al petto, il disagio, altro dolore incuneato dietro l'intestino. Ma c'era dell'altro e non sapeva conferirgli un nome. Assomigliava alla paura ma bruciava come la tristezza.

«Ti interessa tanto saperlo?» Il sopracciglio dorato di Eva si arcuò, non tentò di millantare indifferenza, si notava che stava trattenendo dentro il suo esile corpo emozioni contrastanti e intense come il suo potere.

«No, in realtà no. Mi interessava di più la domanda a cui tu hai già implicitamente risposto.» La irrise, davanti a tutti, con sonorità e un gaudio estremizzato e innaturale. «Che coppia mal assortita! Ve lo sareste dovuti aspettare, no? Adesso però un po' sono curioso: chi ha mollato chi?»

«Adam!» Lo fermò Summer, una mano appoggiata al dorso della sua.

«Che c'è, tesoro? Stavamo solo facendo due chiacchiere.»

«Basta.» Occhi smeraldo, una mano fredda, ossuta, con la pelle screpolata e sottili venature argentate là dove era stata crudelmente scalfita in quei lunghi mesi di vita nelle caverne.

«A te i pettegolezzi non interessano, vero?» Si pentì della provocazione già mentre la pronunciava, mentre sentiva la mano ritrarsi, quel gelido affetto dissiparsi, quel barlume d'istinto di protezione, quel briciolo di compassione, andare in fumo.

«Adam.» Evangeline si sporse verso di lui. Profumo di bosco e disinfettante, terra e sale, aghi di pino, fango, temporale. La coda di capelli biondi le ricadde su una spalla. Aveva l'espressione fiera e pericolosa di una tigre. Lui si preparò a ricevere il colpo finale. «Sei un ragazzo molto intelligente. Ma soprattutto molto, molto bello. Non credo di aver mai visto un ragazzo così bello in vita mia.»

Inclinò leggermente la testa di lato, come se volesse esaminarlo da una diversa prospettiva, per approvare la sua teoria.

L'Umano rimase così confuso che si silenziò, incapace di risponderle, lasciò che i suoi occhi blu si spalancassero stupiti da quel complimento inaspettato.

L'intera tavolata trattenne il fiato, nessuno riusciva più a mangiare. I muscoli tesi, stavolta pronti a reagire nel caso la situazione si fosse messa male.

Eppure non stava succedendo nulla, anzi. Sembrava davvero una conversazione normale.

Ulrik guardò il ragazzino con occhi nuovi, un sentimento sconosciuto annidato nel petto, lo riconobbe, l'aveva già provato. Lo considerava bello? Il comandante soppesò l'incarnato privo d'imperfezioni, il volto simmetrico, il naso sottile e le labbra scarlatte e quel ciuffo di capelli corvini che davano ancor più risalto agli occhi di cobalto. Non aveva anche lui, un tempo, considerato Maisie bella? Forse sì, prima di provarne solo timore e terrore. Di certo non aveva mai considerato se stesso bello. Forte, muscoloso, veloce e resistente. La bellezza non era mai stata una sua prerogativa e venire a conoscenza all'improvviso del suo valore lo destabilizzò.

«G-grazie?» cercò di rispondere l'Umano imbarazzato.

Gli occhi sgargianti di Evangeline lo mettevano in soggezione.

«È per questo che mi prudono le mani.» Alzò i palmi, gliele mostrò. Aveva erba sotto le unghie smangiate, pelle screpolata, calli e ferite che si erano rimarginate a fatica, le linee della vita profonde come fossero state ricalcate a biro. «Provo un desiderio feroce.»

Lasciò volutamente che le parole penetrassero dentro di lui, fregandosene dell'uditorio che ascoltava sempre più impietrito, del suo ex-fidanzato seduto proprio alla sua destra.

«Il desiderio feroce di afferrarti per i capelli e spaccarti la faccia contro questo tavolo. Non una, non due, ma infinite volte, fino a imbrattarlo di sangue, fino a sfigurare quel bel visino che madre natura ti ha donato. Solo allora il tuo aspetto esteriore rifletterà il tuo aspetto interiore e solo allora io avrò pace.»

«Eva!» Hans si alzò in piedi e picchiò il libro sul tavolo, facendo cadere sia il bicchiere sia la panca. Gli occhiali in bilico sulla punta del naso erano appannati, il volto esterrefatto. «Adesso basta! Ulrik, dille qualcosa!»

Il capitano lo fissò in tralice, fece per aprire bocca ma lei l'anticipò, dopo essersi sfilata con grazia dal suo posto a sedere.

«Ma andate affanculo.»

E in pochi instanti, se n'era già andata.



Col respiro ansante per la corsa e le bende che tiravano, ruggivano di dolore e si bagnavano di sudore, la raggiunse al delimitare del villaggio, vicino alla porta al lato ovest.

«Aspetta!»

Si resse la costola incrinata e appoggiò la mano libera sul ginocchio. Scosse nocicettive, uno spasmo, farfalle negli occhi, un grugnito di dolore.

Quando alzò lo sguardo fu così sorpreso di vederla ancora lì, ad aspettarlo per davvero, che dalla bocca non uscì nulla.

Eterea e selvaggia, impervia come una foresta, crudele come la natura. Avrebbe dovuto averne paura. C'erano state minacce velate, un'aggressione lieve, un vero e proprio attacco sfrontato e ora pure questo: una dichiarazione di guerra.

Solo allora io avrò pace.

Provò a parlare ma un rantolo causato dal fiato corto spezzò il suo intento.

«Mi dispiace.» Adam ne fu così sconvolto che barcollò all'indietro. Pericolosa, spietata, imprevedibile e senza paura. Quelle scuse improvvise gli parvero il preludio dell'ultimo attacco, quello letale, quello che ancora una volta si era andato a cercare. «Ho perso il controllo. Lo perdo spesso ultimamente. Mi dispiace per le tue ferite, sono stata io a procurarti l'unguento. Se lo userai due volte al giorno, non dovrebbero rimanere cicatrici. È a base di mandorle dolci e olio essenziale di rosa mosqueta. Non ha un cattivo odore.» Come se nulla fosse si voltò e riprese nella sua direzione.

«A-aspetta!» voce roca, corde vocali arrugginite. «Anche a me dispiace.»

Fu felice di vederla sconvolta sebbene molto meno di quanto si aspettasse.

Una cavalletta pronta a saltar via, con quegli occhi enormi e gli arti sottili e spigolosi.

«Concedimi un'ultima possibilità.»

Era per questo che era corso fuori dalla sala, incurante delle urla isteriche di Summer, dei tentativi di placcarlo, dissuaderlo, frenare i suoi intenti.

Aveva un piano, dannazione! Un piano.

Era ora di scendere a patti col nemico. E non era un nemico qualunque. Qualunque cosa Eva fosse, lei non era normale.

«Cosa vuoi da me, Adam?»

«Insegnami a usare il potere!»

Occhi di carta vetrata, grattavano la sua anima, la sbriciolavano in polvere sottile.

«Te l'ho già spiegato, Adam, ma tu non mi hai creduta. Non è qualcosa che si insegna in un'oretta o in mezza giornata. È un processo di crescita, di evoluzione.»

Odiava il suo nome pronunciato da quella ragazza, con quel tono, con quella lingua biforcuta, ingoiò l'odio come una pozione velenosa. Mitridatismo, assuefazione. Ci avrebbe fatto l'abitudine.

«Va bene. Ti credo. Per me va bene.»

C'erano due metri tra i due, due lunghissimi metri che parevano chilometri, anni luce, universi inconciliabili, dimensioni che scorrevano parallele senza mai incontrarsi.

«Vieni a scuola coi bambini. Iniziamo all'alba e finiamo verso sera, tutti i giorni, alla tenda rossa o sotto la quercia.»

«C-cosa?» Voleva che facesse lezione coi mocciosi? Perché? «Guarda che io so già scrivere e leggere. Frequentavo l'università sull'arca.»

«Buon per te, Adam. Mi sarai d'aiuto.»

L'Umano inghiottì bile, rabbia e frustrazione. Con una mano ancora appoggiata al costato drizzò la schiena.

«Per favore...» Non pronunciava mai quelle due parole.

«È la mia unica offerta. Se vorrai venire, se vorrai iniziare il percorso, sai dove trovarci.»

Stavolta si girò e si allontanò definitivamente.

Non ascoltò nessuno dei suoi richiami, delle sue suppliche, finse di non udire nemmeno gli insulti finali.

Quando la foresta inghiottì la sua figura, il giovane si chiese se non fosse stata solo un'allucinazione.

Stavano entrambi giocando a due giochi diversi, con pedine differenti e scacchiere separate. Chi dei due avrebbe trionfato sull'altro, era impossibile da determinare.

Svolta imprevista. Oppure l'avevate preventivata?

Come al solito, lasciatemi pareri e opinioni! Negli ultimi tempo fatico a rispondere subito, abbiate pazienza. 

Vi leggo sempre con molto piacere! ❤️❤️❤️

Per chi non lo sapesse... ho aperto TikTok! Se volete seguirmi (o darmi dei consigli, visto che ne avrei proprio bisogno xD) questo è il link: www.tiktok.com/@_ariawriter_

C'è anche un video su UMANA 👀



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