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12. L'aggressione

Shani e Ulrik si posizionarono ai due lati opposti del quadrato di allenamento.

Tomas si era svegliato di pessimo umore e stava già fumando la prima sigaretta del mattino. Si era rifiutato di fare qualsiasi cosa prima che tutto il tabacco e l'erba raccolti in un sottile velo di carta non si fossero carbonizzati nei suoi polmoni.

Summer e Kuran assistevano poco distanti. Il pilota aveva litigato con la fidanzata. Era contrario al fatto che si allenasse. Aniruddha l'aveva visitata in privato e aveva detto che la sua prognosi era riservata, che le serviva ancora tempo, riposo e tanto cibo, soprattutto grassi e carboidrati. Era denutrita e fragile, non sicuramente in grado di combattere corpo a corpo con due bestie come il comandante e la guerriera.

Rik era a torso nudo, già sudato per la corsa mattutina, i polsi fasciati a causa degli allenamenti troppo logoranti dei giorni precedenti e i capelli tagliati di nuovo corti, quasi rasati come lo erano stati mesi prima, alla partenza.

Shani indossava un top sportivo e un paio di pantaloncini troppo attillati che non avrebbero permesso a Kuran di seguire con facilità il loro allenamento.

Aveva una coda alta di ricci ribelli e l'espressione famelica di una lince che ha appena avvistato la preda.

Xavier e Adam arrivarono poco dopo, accompagnati da Bea e da alcuni uomini del gruppo di Thea.

«Osservarli è uno spettacolo!» David diede una gomitata all'Umano. «Noi a volte scommettiamo! Pane, frutta, o anche un gettone, se ti va!»

In quel momento comparve Hans con la camicia abbottonata storta. «Non sarebbe corretto, per loro è la prima volta» lo redarguì, sistemando il tessuto dentro i pantaloni.

«È proprio quello il bello, no? Per chi scommettereste?»

Adam storse il visino angelico in una smorfia sagace: «Io punterei tutto su di lui.»

In posizione di guardia, i due iniziarono a girarsi intorno, cerchi lunghi, ben definiti, si studiavano in silenzio. Il volto di Rik era privo di espressione, quello della compagna era livido di eccitazione.

«Fisicamente, Ulrik ha un grande vantaggio. Inoltre conosce i fondamentali, è freddo e metodico, ha un'ottima resistenza al dolore e non agisce mai d'impulso, non cade nei trabocchetti, è concentrato sul suo obiettivo e difficilmente sbaglia un colpo. D'altro canto, Shani è...»

«Non fare spoiler, professore! Lasciali almeno godere la scena!» Ronnie andò a sedersi vicino a Tomas, Adam li vide scambiarsi qualcosa e socchiuse le palpebre incuriosito.

Evangeline arrivò alle sue spalle, avvertì prima il suo inconfondibile profumo e poi la sua presenza soffocante. Rispetto agli altri, non indossava né tuta né scarpe. Non aveva intenzione di allenarsi, portava solo un leggero vestito bianco e una giacca a vento marrone, lunga fino alle caviglie.

Chissà a chi l'aveva rubata...

Lo sorprese a fissarla e gli fece l'occhiolino, irriverente.

«Tu per chi scommetti?» la provocò, colpendola nel vivo.

Lei ebbe un lieve, impercettibile sussulto. Come tutti gli altri, Ulrik compreso.

Una frazione di secondo che Adam colse con estrema vividezza.

E così anche Shani.

La guerriera si lanciò come una furia, cieca e aggressiva. Rik intercettò il suo pugno, lo bloccò e lo deviò oltre la spalla, dovette però fare un passo indietro per non venir centrato dalla ginocchiata diretta contro i genitali. Il suo sguardo di ghiaccio divenne severo e il contrattacco fu altrettanto feroce. Per un mix di abilità e scioltezza, Shani lo evitò senza fatica, riatterrò con un balzo felino a un metro di distanza, e tornò rapida in posizione di difesa.

Il secondo scambio fu più celere, lei indirizzò gli attacchi al viso, lui puntò alle costole e la centrò in pieno. La ragazza ricadde a terra con un tonfo sordo, rotolò due volte su se stessa e si rialzò di scatto, massaggiandosi l'addome contratto scura in volto.

«Sei fuori forma» la rimproverò lui, per nulla scomposto.

«Stai dicendo che sono ingrassata?» Ulrik non colse né l'umorismo né la provocazione, provò anzi a soppesare un cambiamento del suo peso corporeo, ma non vide nulla di rilevante.

Questo però lo distrasse il tempo sufficiente che servì a Shani per alzargli un calcio dritto sul mento.

Ulrik agganciò al volo la caviglia, ma non poté evitare che il secondo piede lo centrasse al basso ventre.

La ragazza gli fu addosso in pochi secondi e da lì in poi fu uno spasmodico scambio di calci e pugni, sempre più bassi e violenti, sempre più forti e senza remora, finché non tornarono ai due lati del quadrante, sgualciti e sanguinanti. Il viso di lui si era sciolto del solito gelo che lo rivestiva, i suoi occhi azzurri brillavano alla luce del sole autunnale. Lei aveva un labbro gonfio e il sangue che gocciolava dal naso. Non era mai stata così bella e temibile.

Kuran distolse turbato lo sguardo, diede loro la schiena. Summer se ne accorse e gli poggiò una mano sulla spalla. «Se vuoi non combatto, non ti preoccupare» lo rassicurò con un sussurro tiepido sul collo, pensando di essere lei la causa di quel turbamento.

Nuovi colpi, pugni, piedi e mani, blocchi, affondi, calci, respiri sempre più affannosi, sudore che colava dalle tempie, difese spezzate, lividi gialli, potenza a stento trattenuta per non fare troppo male. Era un allenamento dopotutto. Ma forse era quello il motivo per cui Ulrik amava tanto allenarsi con Shani: lei non aveva alcuna cognizione. Era una bomba sempre pronta a esplodere, non era più forte o più furba dei suoi compagni, era solo più rapida e violenta, era imprevedibile in ogni sua azione, improvvisata o meditata che fosse, compensava il deficit muscolare con l'effetto sorpresa, con la tenacia, con la grinta, la follia. Una mina vagante.

«Anche io ti trovo fuori forma, Rik. Una volta eri più...» si dovette interrompere, vacillò per un sinistro che riuscì a schivare di un pelo e che però le ferì la guancia. Ulrik non stava usando calci, non ne aveva bisogno. «... cattivo» concluse ridendo.

L'aveva di nuovo distratto, ci fu un rapido scambio ed entrambi ruzzolarono sul terreno, questa volta però la guerriera fu più lesta, cavò dal nulla un pugnale che teneva nascosto chissà dove e lo puntò dritto alla carotide del suo capitano.

Sorrise mentre il sudore speziato gocciolava sul volto pallido e interdetto di lui.

«Ma non vale!» si lamentò Adam.

«Tutto vale. Una volta Shani ha tirato fuori una pistola e gli ha sparato. Ulrik si è incazzato da morire. Per il colpo sprecato, ovviamente. Ha schivato il proiettile e l'ha stesa in due mosse. Ha ragione lei: oggi è davvero fuori forma.» Tomas aveva finito la sigaretta, la calpestò col piede e si stiracchiò le braccia ancora intorpidite dal sonno

Il comandante grugnì come risposta, ma l'amica non distolse la lama finché lui non batté due volte il palmo teso sul terreno.

Combattimento finito. Shani aveva trionfato.

«Avresti potuto farlo anche senza trucchetti» la sgridò e ignorò la mano scura e tesa che gli offriva un aiuto per rialzarsi.

«Non ti volevo umiliare troppo, Rik» cinguettò civettuola.

«Il tuo destro era rallentato e non ti sei allenata con la sinistra. Sei squilibrata nella posizione di difesa, porti tutto il peso sulle punte e il tuo primo calcio, quella ginocchiata... mi hai fatto davvero pena.»

La mora scrollò le spalle e si asciugò il naso gocciolante sul top minuscolo, scoprendo in parte il seno. «Vatti a cambiare!» L'allontanò busco il comandante e la spinse verso la panca, dove indirizzò un'occhiata di puro gelo a Tomas.

«E tu? Non vi eravate allenati insieme?»

Il ladro spalancò le braccia in segno di resa. Shani ne approfittò per andarsi a sedere contro il suo petto e si ripulì sulla manica della giacca del compagno senza chiedergli il permesso.

«Ho dormito malissimo, capo. Ieri notte ho fatto un incubo orribile: una pazza svitata mi voleva castrare con un coltello da pane» la strinse a sé mentre la diretta interessata sghignazzava insolente.

L'Umano avrebbe avuto un moto di disgusto, se non fosse stato così paralizzato dalla gelosia. Geloso della testa di lei che si poggiava sulla spalla di lui, della mano del ragazzo che le cingeva la vita nuda, di quei corpi che erano stati uniti così tante volte che non provavano più vergogna, più timore, più nessun senso di pudore. Un'intimità del genere nasceva da qualcosa di più profondo del sesso, qualcosa che Adam non aveva mai provato. Qualcosa che aveva da sempre agognato.

Sì, forse anche con Merle.

«Sono sempre così cretini i tuoi sottoposti?» domandò Xavier con un sospiro.

«No, a volte sono anche peggio.» Ulrik fece cenno a Kuran di venire sul campo e quello rispose con una smorfia e scosse il capo. Rispetto a Shani, viveva quegli allenamenti come una tortura e dopo di lei avrebbe sfigurato davanti a tutti.

«Hans?» chiese il comandante che ormai si stava rassegnando all'idea che nessuno si sarebbe scontrato.

Il professore si tolse gli occhiali, sbottonò la camicia ed emise un lieve gemito di assenso mentre si spogliava. Tese i suoi pochi e fragili averi a Ronny, che glieli mise da parte, e si direzionò a capo chino verso il comandante, al centro del quadrato di combattimento. La spina dorsale era in bella mostra sul gracile corpo del ventiquattrenne.

Xavier scattò in piedi e si parò tra i due.

«È dell'Intelligence!»

Come se Ulrik non lo sapesse.

Trovarsi davanti al volto rigido e inflessibile del mastino della casata svedese fu alquanto patetico. Si rese conto della gaffe quando ormai era troppo tardi, aveva catturato l'attenzione di tutti e se ne stava come un allocco a difendere un quasi sconosciuto da quello che negli ultimi mesi doveva essere stato il suo miglior amico. L'imbarazzo lo travolse abbrustolendogli le guance.

«Quello che hai visto è un'eccezione, non la regola. Io e Shani siamo allenati, combattiamo da anni. È uno spettacolo un po' cruento, ma conosciamo i nostri limiti. Anche se non sembrerebbe.» Le lanciò uno sguardo in tralice, lei sospirò stizzita. «Tutta la squadra si allena. Dobbiamo essere tutti preparati a ogni evenienza sulla Terra. Piloti, co-piloti, ingegneri, e sì, anche membri dell'Intelligence. D'altra parte, Hans è il mio vice.»

Xavier osservò il torso magro del ragazzo. Senza camicia dimostrava meno dei suoi anni, di fianco a Ulrik sfigurava, pareva solo un bambino indifeso. Inoltre si stava grattando il naso e aveva le guance più rosse del vino della sera prima.

«Va bene, mi presto io allora.»

Non ne riusciva a fare a meno, era più forte di lui.

Dietro di sé udì Adam scosciare in un'impudica risata.

Aveva capito tutto, quel piccolo bastardo.

Hans balbettò qualcosa di incomprensibile, ma bastò un cenno di Ulrik a farlo allontanare.

Il combattimento fu breve e quasi indolore. Prima il comandante l'aiutò a rafforzare la posizione di difesa, lo incentivò ad attaccarlo un paio di volte e infine con un solo colpo ben assestato lo buttò a terra con tale violenza che faticò a rialzarsi in autonomia.

«Non male. Hai poco equilibrio, ma poteva andare anche peggio. Vuoi riprovare?» Gli offrì una mano, Xavier rifiutò. Cercò di ignorare la derisione sulle labbra di Adam e lo sguardo pietoso di Summer. Che due compagni di squadra cretini che si ritrovava. Un sadico ragazzino che godeva nel farsi odiare e una finta principessina perduta che avrebbe potuto farli fuori tutti se avesse messo in moto qualche rotellina andata dispersa nella bella testolina bionda. E, nonostante ciò, si prendevano entrambi gioco di lui. Pessimi.

«Tomas.» Ulrik lo richiamò.

«Ho mal di testa... e poi perché chiami sempre me? Ci sono solo io?»

«La prossima volta ti alleni con me, non con Shani!» gli abbaiò contro esasperato.

«Rik, sei appena tornato e già non ti posso soffrire.»

Fu solo perché la sua ragazza lo costrinse, che si alzò in piedi.

Il combattimento non durò comunque molto, ma a sua discolpa si può dire che Tomas si trovò davanti un Ulrik particolarmente aggressivo che colpì molto più duro del necessario.

Il ladro se ne tornò strisciando da Shani e si sdraiò al suo fianco, poggiando la testa sulle sue cosce mentre lei gli pettinava con dolcezza i capelli che si erano ribellati alle sue trecce mattutine.

«Dovete allenarvi. Tutti! Non è un gioco, non è un'esercitazione. Torneremo in missione. Torneremo a caccia.»

Il suo sguardo si posizionò su Evangeline.

Stavolta non riuscì a mantenere la freddezza abituale, anzi, si sciolse in una supplica accorata. «Non ci sono abbastanza provviste per l'inverno, non andremo avanti così a lungo. Siamo aumentati di numero, abbiamo bisogno di proteine. So che sei contraria, so cosa ne pensi a riguardo, ma è una scelta di necessità, di mera sopravvivenza.»

L'Umano stava iniziando a chiedersi il motivo per cui l'avessero condotto lì, spettatore annoiato di una triste pantomima, e ora invece iniziava a interessarsi, a studiare i dettagli, quei cambiamenti sottili, i giochi di sguardi: paura, odio, rancore, una ragnatela di non-detti, bugie, omissioni, scomode realtà. Adorava tutto ciò. Prese appunti a mente di ogni singolo dettaglio.

Tutto avrebbe giocato a suo favore.

Erano in attesa della replica di Eva che, con teatralità da diva, li fece aspettare. Sul suo viso fiero comparve l'ombra di un sorriso forzato.

«Come volete. Non credevo fosse il mio permesso che vi servisse» replicò.

«Volevo... Volevamo dirtelo, prima.» Anche la voce del comandante, prima così brusca e gelida, era mutata. Aveva una nota triste, una dolente insicurezza.

«Non aspettatevi un aiuto da me.» Lapidaria. David e Ronnie scattarono in piedi. Anche Kuran e Hans si irrigidirono. Bea lanciò un'imprecazione scurrile, Shani e Tomas furono gli unici a fare finta di nulla: già se l'aspettavano. Chinarono il capo sulle proprie scarpe.

«Eva...» iniziò il comandante.

«No. Non è qualcosa di negoziabile, non accetto compromessi, obiezioni, proposte o minacce» sibilò velenosa, il volto sempre più nero di rabbia. «Nessun animale vi darà protezione, perché voi uscite per uccidere, per cacciare. Ve la caverete da soli, Rik. Voi e le vostre armi, i vostri muscoli, la vostra sconfinata arroganza. Il mio potere non verrà in vostro soccorso. Questo sarebbe contro natura.»

La discussione era già chiusa, Hans scosse la testa e fece cenno al giovane di non andare oltre. I ragazzi del gruppo di Thea si allontanarono veloci per andare a riferire il messaggio a chi di dovere.

«Se tu insegnassi a me il potere, questa cosa la potrei fare io.»

Eva si voltò di scatto e si trovò davanti i fiammeggianti occhi blu oltremare, quel ragazzo così bello e così odioso che sembrava caduto dal cielo. Un angelo esiliato dal paradiso celeste. Un dannato.

Un infame.

«Non sai di che parli.»

«Insegnamelo.»

«Ci vorrà del tempo.»

«Quando vuoi, sacerdotessa, sono a tua disposizione.» Le rivolse i palmi delle mani e un sorriso falso, di sfida.

«Quando avrai imparato cosa significa realmente, la penserai come me.»

Adam scoppiò a ridere. «Oh, no. Io non sono una principessina sentimentale che ha paura di uccidere uno scoiattolino indifeso. Vedrai, me la saprò cavare. Nel frattempo, tu potrai tornare a giocare coi tuoi bambini, a raccontare loro le favole della buonanotte e ad arrampicarti sugli alberi come una scimmietta. Io andrò in missione in tua vece. Non ho paura. Questa è in fin dei conti una cosa da uomini.»

Shani scattò così veloce che Tomas dovette trattenerla con tutte le sue forze, mormorando a bassa voce che non ne valeva la pena e che non era quello il momento di scoppiare.

Bea bestemmiò per la seconda volta, ma Ulrik le bloccò un polso, e la distrasse col suo tocco bollente.

Summer contrasse la mascella. Quando Kuran cercò il suo sguardo, lei finse disinteresse e lo abbracciò con dolcezza scuotendo le spalle. Il pilota ebbe un senso di straniamento, di disagio, le passò il braccio attorno alla schiena, ma gli parve di proteggere una sconosciuta.

"Non è più in sé, non è mai stata così."

«Una cosa da uomini?» ripeté Eva e avanzò di un passo. Ogni distanza di sicurezza era stata spezzata. Il fatto che nessuno venisse in suo soccorso, che nessuno si opponesse a quella dichiarazione così misogina, che nessuno osasse fiatare, che il comandante stesso non dicesse nulla... la fece impazzire. «Non sono sicura di aver capito bene. Me lo spieghi tu che cos'è una cosa da uomini

Adam le rise in faccia, anche lui fece un passo avanti, sempre più sfacciato. «Se vuoi sì, se vuoi te lo posso insegnare volentieri.» Ammiccò, poi si chinò per sussurrarle all'orecchio «Vedrai, piacerà molto anche a te, non temere.»

L'allusione rese l'aria così tesa che si faticava a respirare. Tutti avrebbero voluto interromperli, ma c'era qualcosa in Eva, qualcosa nel modo in cui lo guardava, qualcosa nella sua figura, così dritta, così eterea, così ferma e ben radicata al suolo. La verità era che nessuno osava interrompere il diverbio perché si trovavano in bilico su un filo teso nel vuoto, ed era Evangeline a gestire i due cappi.

Non sembrava avesse bisogno di aiuto, anzi, aveva la parvenza di un predatore in procinto di attaccare.

Se Ulrik avesse inteso che quello era un allenamento, avrebbe ammonito il ragazzo di difendersi. Invece la situazione gli sfuggì di mano. Un'altra volta.

«Ah, a questo facevi riferimento, Adam? Quindi per te andare in missione vuol dire sfogare i tuoi istinti sessuali? Be', in questo non credo che il mio potere possa esserti molto utile, a meno che tu non abbia perversioni da zoofilo.»

Lui digrignò i denti, percepì un lieve prurito ai piedi, cambiò posizione e le puntò l'indice contro.

«Ma che cazzo ne sai, verginella?! Che cazzo ne sai, eh? Parli perché hai fiato da sprecare! Inutile sudicia stronzetta, tornatene a giocare coi tuoi mocciosi. Il tuo potere non serve a un cazzo perché tu non vali un cazzo, il tuo potere ha bisogno di uomini forti, uomini che sappiano come gestirlo, come renderlo un'arma, non di stupide ragazzine viziate che sbavano dietro i loro capitani.»

Il prurito si stava espandendo alle caviglie, con un piede provò a grattarsi, ma quello si spostò all'altezza del polpaccio fin sotto la giuntura del ginocchio. Era insopportabile.

«E chi te lo dice che non sia già io, un'arma?» Evangeline non si era allontanata, non aveva mutato espressione, sembrava non fosse stata minimamente turbata dalle offese scurrili.

Anzi, aveva un'espressione vagamente divertita

«Tu... tu sei solo una stronza. Tu... tu non vali un...» Era insopportabile. Insopportabile.

Adam si chinò per grattarsi le gambe, ma una mano diafana, dalle lunghe unghie sporche di terra, lo intercettò. Gli bloccò l'arto a mezz'aria.

Rialzò lo sguardo a fatica, con gli occhi acquosi per il nervoso e un brutto presentimento che gravava al centro del suo petto.

«Se fossi in te, non mi muoverei troppo.»

D'istinto le mollò la mano, si scostò, provò a indietreggiare.

Il prurito aumentava sempre più rapido, sempre più spietato, non riusciva a fare a meno di muoversi, di divincolarsi. Fece per slacciarsi i pantaloni, la risata di Evangeline lo ridestò come una secchiata d'olio bollente in faccia.

Tutti osservavano muti la scena, troppo allibiti per intervenire. Erano in piedi però. Erano armati.

Ma non potevano opporsi, non potevano reagire.

«Ti ho detto di non muoverti.»

Adam non l'ascoltò. Slacciò rapido la cintura e in quel preciso momento le punture divennero vere e proprie stilettate di dolore, così intense e profonde che iniziò a gridare. Le membra cedettero e cadde supino. Iniziò a contorcersi, urlare, agitando gambe e braccia spasmodicamente. Il corpo sembrava essere ricoperto di spilli, aghi avvelenati che entravano e uscivano, aghi che giravano, si flettevano, si arcuavano, che attivavano il suo sistema nocicettivo, che provocavano veri e propri spasmi muscolari.

«Eva...» Stavano chiamando il suo nome, in due o tre persone. Non fece caso alle voci, a chi o a che cosa. Gli occhi cangianti erano rivolti solo a lui.

Lui era meritevole di tutta la sua attenzione, adesso.

Si avvicinò al corpo ritorto in rapido movimento e posizionò un piede appena sotto il diaframma. Poi calò tutto il suo peso, lo costrinse a spalancare le palpebre, a prestarle anche lui la sua più totale attenzione.

«Non vi avvicinate.» Con un dito alzato ammonì Summer e Xavier, che si stavano gettando in soccorso del loro giovanissimo compagno.

«Eva, cosa diavolo...» Ulrik era senza parole, teneva un coltello nella fodera della cintura, ma non l'avrebbe mai usato, non contro di lei. Mai. Contro di lei era disarmato.

«Non dovete avvicinarvi» ripeté laconica Evangeline, un tono fermo e deciso che rimbombò nell'aere come un colpo di pistola. «Basta un attimo e le formiche rosse entreranno nei suoi orifizi: orecchie, narici, chissà che male potrebbero fargli! Se arrivano al cervello, è spacciato. Forse è meglio la morte. Neanche il titanio lo potrà curare, danni irreparabili e molto sgradevoli. Sarebbe un tale peccato.»

Adam non riusciva più a respirare, la pressione sulla gabbia toracica, la paura che rimbombava nelle orecchie, quel dolore atroce...

Nemmeno tutta una vita di sperimentazioni e torture l'avevano abituato a tanto.

L'Umana aumentò il peso sul suo addome. «Te l'ho detto, Adam. Dovresti avere paura delle cose che non vedi, che non ti aspetti, che non puoi controllare.»

Le lacrime bagnavano il volto del giovane. Aveva gli occhi rossi e gonfi, le labbra tumefatte, il volto di un pallore ultraterreno. La sua fugace bellezza era evaporata, ora gravava sui suoi lineamenti delicati solo l'orrore.

Eva spinse ancora più forte il piede, si udì un crack. Un osso spezzato? Summer sussultò, cercò la pistola nella fondina e scoprì di non avere nemmeno con sé la fondina. Si voltò verso Xavier, pronta a ricevere l'ordine di agire, ma si trovò davanti a un uomo indeciso, che stava ancora soppesando ogni eventualità. Anche lui era sopraffatto. Anche lui era spaventato. Anche lui non si fidava più della quinta spedizione della sua madre-arca.

Di quell'Umana soprattutto. Aveva perso la testa. Lo stava ammazzando. Stava giustiziando Adam sotto i loro occhi.

E nessuno avrebbe fatto niente.

Perché non potevano fare niente.

Ogni passo avrebbe potuto mettere fine alla sua vita, ogni mossa avventata avrebbe potuto...

«Se mi sparate, lui morirà» concluse l'Umana, come se gli avesse letto nel pensiero. «Se provate a fermarmi, lui morirà. Morirete tutti. Se mi stordite, mi ferite, mi ostacolate o vi avvicinate in modo troppo minaccioso... morirete tutti.»

Adam annaspò alla ricerca d'aria. Mancava poco, pochissimo. Davvero pochissimo.

Il piede scalzo si sollevò e il ragazzo riuscì a colmare i polmoni fino al limite massimo. Ottuso dal dolore, la lingua era un muscolo inutile che non sapeva più come far funzionare.

«Abbiamo iniziato nel modo sbagliato, Adam. Ho provato a contenermi, che tu ci creda o no, ho provato a darti una seconda possibilità. Non ha funzionato. Invece i metodi antichi funzionano sempre divinamente bene, non trovi?» Nuove punture, nuove piaghe, il corpo non gli rispondeva, sperò solo di riuscire a svenire. Sull'arca gli era capitato così tante volte. Era sempre un sollievo, il mancamento, l'assenza, l'oblio. Ma lì no, ogni puntura lo teneva vigile e in allerta, ogni puntura lo ridestava. Non c'era fine al tormento. Solo la voce di lei. Quella voce melliflua che veniva dall'alto, la sua sagoma scura che si chinava, un sorriso spettrale, capelli che sapevano di terra e di sale, corteccia di pino e muschio selvaggio.

«Mettiamo le cose in chiaro.» Quella lentezza. Lo faceva apposta. Lo faceva per tutti, era un atto dimostrativo e lui era la sua vittima sacrificale.

Davanti al campo degli allenamenti, Ronnie e David erano tornati, accompagnati da Thea. Altri sopravvissuti si stavano affacciando dalle abitazioni, osservavano la scena da molto lontano, le mani sulle bocche, il cuore in gola.

L'avrebbe ammazzato? O l'avrebbe mandato in coma come aveva fatto con Melchor? Qual era stavolta il volere della somma sacerdotessa?

«Il potere non è un'arma, Adam. Io sono un'arma. Mi hai capito bene?» Annuì, avrebbe fatto qualsiasi cosa purché quel supplizio finisse, qualsiasi cosa. «Posso essere cattiva, molto cattiva. Crudele, a dir la verità. O buona e magnanima, a te la scelta. Ma non minacciarmi, non minacciarmi mai. Non ho più né tempo né voglia di chiedermi cosa sia giusto o sbagliato fare. Agisco d'istinto. E l'istinto mi dice che tu sei una brutta persona, Adam, che devo metterti in riga, che devo spaventarti quel tanto che basta a tenerti lontano dalla mia persona e dai miei cari. Capisci? Lo capisci perché sto facendo tutto questo?»

Lo sdegno prolungò la latenza di risposta, il piede tornò allora a premere con più forza, la costola s'incrinò di nuovo. Strillò come un dannato, urla che sapevano di ferro e cloruro di sodio, urla che imploravano pietà. «Allora se hai capito, pregami, come fossi la tua divinità, pregami come se fossi la sacerdotessa di questo sommo inferno, pregami come se la tua vita fosse in mano mia. Perché è così, Adam. Ho la tua vita stretta in pugno e non vedo l'ora di aprire le dita e liberarmene.»

Sudore freddo scorreva lento sulle schiene degli astanti.

Qualcuno, come Shani, Tomas e Hans, l'avevano già vista in azione, altri no.

Per gli altri era la prima volta. Increduli e atterriti, non trovavano la forza di reagire.

«T-ti p-pr-prego...»

Una macchia rossastra si sparse sull'erba, le formiche abbandonarono il corpo di cui si stavano cibando, tornarono ai loro doveri, alla loro vita, alla loro vera missione.

L'Umano perse i sensi, dopo aver rilasciato gli sfinteri. Xavier gli fu subito addosso, Hans corse a chiamare Aniruddha, il caos si propagò in un vociare indistinto, preoccupato e allarmato. 

L'angoscia li oppresse come una spessa coltre di nebbia.


Ulrik non fece a tempo a muovere un passo nella sua direzione che lei era già sparita.

Insieme alla tigre. Aveva approfittato del caos per evadere dalla barriera. Per fuggire da ciò che aveva commesso, dall'orribile spettacolo che aveva appena offerto loro.

"Non ti riconosco più", avrebbe voluto dirle. "Non sei più tu."

Lei sicuramente gli avrebbe dato ragione.


Eccoci qua, questa è la "nuova Eva".

Che fosse un po' estrema e pericolosa... in realtà lo abbiamo sempre saputo. Evangeline è un'adolescente di quasi diciassette anni, con un carattere in divenire, che ne ha passate tante e che non vuole più soffrire. Questo non la giustifica affatto, il suo gesto è terribile. Sta perdendo tutta l'umanità che tanto la contraddistingueva... sta diventando un animale.

Questo vi dice qualcosa? 

Io non dico più nulla 🤫


Secondo voi, ci saranno delle conseguenze? 


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