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1. Inseguimento

⚠️ Il capitolo contiene scene di violenza e un linguaggio scurrile ⚠️








Adam correva a perdifiato, trascinandosi dietro il polso sempre più freddo di Merle.

La sentiva singhiozzare disperata alle sue spalle. La sua agonia si confondeva con il respiro pesante dei loro inseguitori, il rumore delle zampe che percuotevano con solerte ritmicità il terreno, gli scarponcini che spezzavano i rami umidi di pioggia, il cuore che rimbombava pronto a esplodere nel petto.

«Muoviti dannazione!» La strattonò in malo modo, lei vacillò.

Ruzzolarono giù da una rapida dolina, si intersecarono in una fitta foresta composta da aceri massicci e qualche rampicante che vi si avvolgeva attorno. Coperte di foglie per riparare le piante dal vento. O per soffocarle.

«Fanculo.» Col pugnale l'Umano si fece spazio per avanzare più rapido, alcuni rami gli ostruirono il passaggio e gli graffiarono il volto madido di sudore.

Merle era sempre più pesante. Se l'avesse abbandonata a se stessa, avrebbe di sicuro guadagnato terreno.

Il branco non poteva essere molto distante, non aveva nemmeno il tempo sufficiente per voltarsi e controllare all'orizzonte. Ma lo sentiva, fin dentro le viscere, distanti un centinaio di metri al massimo. Troppo poco, davvero troppo poco.

Erano affamati, assetati, adirati.

Erano predatori.

E loro due erano le loro prede.

«Muoviti, cretina!» le sibilò contro, acuendo soltanto il suo pianto sempre più isterico.

Non sapeva da quanto stessero fuggendo.

Era avvenuto tutto in maniera così rapida. Il cervello non aveva avuto modo di registrare correttamente le informazioni, la sua mente era confusa, annebbiata, orripilata da se stessa e dalla nuova realtà che li circondava. Gli eventi traumatici si susseguivano gli uni con gli altri, un'accozzaglia di immagini raccapriccianti, di odori nauseanti, di lacrime di frustrazione, di anime sempre più corrose che sembravano sbriciolarsi, sfaldarsi dentro corpi macilenti, infestati da incubi e infinita agonia.

L'atterraggio di fortuna in mezzo alle vette aguzze, i cadaveri a brandelli dei compagni, l'incendio, le urla dei sopravvissuti, la pioggia acida che aveva infradiciato per giorni e giorni le loro divise, lavando via il sangue e il titanio che gocciolava dai loro arti feriti, l'odore ributtante della decomposizione di chi non ce l'aveva fatta, il terrore, il terrore nel suo stato più puro.

Erano reduci di settimane e settimane di stenti, avevano vagato di grotta in grotta, nei meandri delle montagne, riparandosi dietro fuochi alti come quegli antri, finendo provviste e suppellettili, sempre più distrutti, sempre più disperati, sempre più in fin di vita.

E alla fine l'attacco. Repentino e cruento. Sembrava studiato, come se li stessero aspettando, come se non avessero aspettato altro.

Il momento in cui sarebbero stati più deboli, più vulnerabili, più stanchi e indifesi che mai.

Prede facili, un banchetto succulento.

Oh no, c'era molto di più. Quelle bestie sataniche non si cibavano dei loro corpi. No, oh no.

Loro li dilaniavano e basta.

Una sete di vendetta, ecco cosa pareva. Uno sterminio calcolato. Nessuna pietà, nessuna remora, nessuna possibilità di redenzione.

Li volevano solo uccidere.

Benvenuti all'inferno, missione numero sei dell'arca K-030!

Benvenuti all'inferno...

Gli era parso di vedere Xavier e Summer fuggire. Lui si era trascinato dietro Merle. Gli altri due uomini non sapeva che fine avessero fatto, forse non avevano fatto a tempo a uscire dalla grotta, forse erano ancora là, avvolti nei sacchi a pelo, che li attendevano smarriti.

Si erano divisi. Vecchia e saggia strategia militare. Divisi avevano più possibilità che almeno due di loro scampassero all'agguato.

Non si sarebbero più riuniti. No. Sarebbero stati soli, lui e Merle, d'ora in avanti. Ovvio, sempre se fossero sopravvissuti. In quel pianeta infame, a soffrire la fame e la sete, ad agonizzare fino all'esalazione del loro ultimo respiro, ecco quale sarebbe stato il loro futuro.

L'avrebbe scopata a sangue, se si fossero salvati.

Quel pensiero perverso gli scosse le membra mentre virava verso est, trascinando la compagna a mezzo metro di distanza, con il braccio scosso dai tremiti per la fatica e lo sforzo.

I due ragazzi abbandonati erano già spacciati in partenza: uno di loro aveva vomitato la notte precedente. A quest'ora il suo corpo sarebbe già stato fatto a brandelli. No, di sicuro non ce l'avevano fatta. Era inutile anche solo pensarci, inutile anche solo rivangare i loro nomi.

Summer e Xavier invece non erano da sottovalutare. Nessuno dei due aveva un addestramento come guerriero, ma erano scaltri, accorti e soprattutto più maturi di loro. La bionda soprattutto. Aveva una tenacia e uno sguardo temprato da un'atroce e indicibile sofferenza. L'aveva intuito subito che lei sarebbe sopravvissuta a qualsiasi avversità.

Non come Merle, la ragazzina di diciassette anni che piagnucolava da quando erano precipitati sul pianeta Terra.

No, non come lei.

Lei era solo un fottutissimo peso morto.

Che almeno si rendesse utile a qualcosa.

«Muoviti!» la redarguì.

Più piangeva, più sperperava energie invano.

Si arrampicarono su per una collina, le cosce sempre più rigide, la gola secca, il diaframma irritato dal continuo sforzo e dalla mancanza di ossigeno, la milza gonfia a causa dell'aumento del flusso sanguineo.

Non potevano mollare. Non ora.

No, sarebbero stati gli altri a perire, non sarebbe stato lui.

Oh no, lui no. Il prescelto, l'eletto, l'Umano. Doveva pur voler dire qualcosa, no?

Lui non poteva morire. Non poteva e basta.

Non era ammissibile. Non dopo tutto ciò che aveva subìto.

L'unico comandamento della sua assurda vita sull'arca. Lui non poteva morire.

La foresta si aprì in una pianura verdeggiante che costeggiava un ruscello fangoso. Lo attraversarono con agilità, bagnandosi le gambe fino al ginocchio.

Ebbero modo così di aumentare di poco la velocità della loro corsa, mentre percorrevano una valle erbosa libera dall'angusta vegetazione che tanto avevano appreso a odiare.

Il cielo sulle loro teste era plumbeo, minacciava temporali.

Ma nessuno dei due ci fece caso, non avevano mai perso tempo a guardarsi attorno, mai avuto modo di rimirare il paesaggio impervio e selvaggio, mai avuto un attimo di tregua per commuoversi di fronte alla bellezza spiazzante di un tramonto tra le montagne.

La vita.

Se non avessero mantenuto l'allerta avrebbero perso la vita.

E niente era più importante, quando stavi per morire.

«Corri!»

Merle gemette e ubbidì. Non poteva fare altro. Il polso le sarebbe diventato viola, sebbene il suo braccio fosse in titanio era irrorato dall'identico sistema venoso dell'Umano. Un livido, le sarebbe venuto un livido! Lui sembrava non farci molto caso. Probabilmente non gliene fregava nulla. Le avrebbe anche lussato la spalla, se necessario. Non gliel'era mai davvero fregato nulla di lei.  La loro era stata solo una squallida avventura, la sua una ripicca nei confronti di Anna, la guerriera che era morta appena la navicella aveva preso fuoco per un'avaria ai motori in fase di atterraggio. Ora che non c'era più, che senso aveva quella farsa? Che senso aveva che lui la proteggesse? Che senso aveva che lui lottasse per lei, per la sua sopravvivenza?

Un eccesso di zelo.

Ecco cos'era.

Un sadico, un pervertito.

E Merle non ce la faceva più, non ce la faceva davvero più. Ogni passo era un'agonia, ogni minuto esprimeva un desiderio di fine, di morte, di pace eterna.

«Ci siamo quasi, non mollare cazzo!» la rimproverò, come se le avesse letto nel pensiero.

Avanzarono lungo il pendio, approfittando della discesa ghiaiosa per aumentare ancora la loro velocità.

Arrivarono dall'altra parte, tornarono a immergersi nel fitto bosco, ansanti, sgualciti, fradici e macilenti e...





...si resero conto che erano stati circondati.

Erano in una ventina.

Venti grossi lupi, il pelo chiaro come la neve, gli occhi che andavano dal castano dorato all'azzurro cereo di un cielo terso senza alcuna pietà.

Venti bestie feroci.

Ed erano tutte lì, attorno a loro.

Quando un branco iniziava la caccia, radunando tutti i membri più forti, voleva dire che la preda era di dimensioni notevoli.  Oppure che ve n'era più d'una.

Adam cercò di coprire con la sua schiena il corpo di Merle, scosso dal panico crescente. Sebbene fosse stata addestrata da quando aveva cinque anni in Accademia, come cadetto pilota, era succube della sua ansia. Dodici anni buttati nel cesso, avrebbe detto l'Umano. Una parte di lui voleva liberarsene, ma un istinto primordiale lo portò a stringerla ancor più forte a sé, mentre continuava a girarsi intorno, col suo gracile polso nella mano sinistra e il coltello spianato nella destra.

Osservò minaccioso i demoni famelici, i loro denti sguainati, la bava alla bocca.

Il cuore di lei riverberava nel corpo di lui, una sinfonia amara e dolce allo stesso tempo. Un po' come la vita.

Il branco aveva fatto un mirabile lavoro di squadra, anni e anni d'evoluzione aveva insegnato loro che il bosco era sempre il luogo migliore dove uccidere le prede. Gli spazi aperti erano troppo insidiosi.

Ma quei due esseri erano già stremati, glielo si leggeva in volto, soprattutto in quello arrossato e umido della ragazzina. In qualunque modo fosse giunto a termine quell'inseguimento, avrebbero trionfato saccheggiando le carcasse delle loro interiora, l'unica parte davvero commestibile. Ma non sempre.

Li avevano circondati per cercare di dividerli.

Ma stranamente il ragazzo non era caduto nella trappola e ora difendeva la Titans a spada tratta, con quello sguardo di puro odio che tanto amavano esibire gli esseri umani.

Aveva un odore strano, diverso dagli altri Titans, più ferruginoso, più acre, più penetrante.

Ma questo non li avrebbe fermati.

Erano feccia, un morbo che andava guarito, un'epidemia che andava debellata una volta per tutte dalla faccia della Terra. Erano microbi all'apparenza insignificanti, piccoli e gracili, senza artigli e senza corna, senza zanne e senza corazza. Ma con la loro sconfinata tracotanza potevano decretare la fine dell'intero Universo.

Dovevano essere estirpati, tutti e quanti, senza distinzione di genere o razza.

E i lupi sarebbero stati in prima linea in quella cruenta missione. Non avevano aspettato altro per mille anni.

La resa dei conti.

Vi siete divertiti a cacciarci? Ora saremo noi a cacciare voi.

Ora saremo noi a portarvi verso il baratro dell'estinzione.


«A-adam.» Merle si aggrappò con forza alla sua giacca.

I suoi capelli sottili gli solleticarono il collo. Aveva ancora quel profumo, un'essenza femminile e sensuale, un afrore rivestito da strati di sporcizia e bieco terrore.

«Adam» ripeté.

Quante volte avevano fatto sesso, rumorosamente, nelle cabine della loro navicella, in modo che tutti li potessero udire, che tutti li potessero invidiare? Quante volte le era venuto dentro, senza alcun riguardo, senza preoccuparsi che anche lei godesse, che anche lei giungesse al culmine, insieme a lui?

«Adam...»

Quante volte si erano addormentati insieme, abbracciati, sotto le lenzuola sgualcite umettate dai loro liquidi corporei, dalla loro pelle, dalla loro voglia irrefrenabile?

«Adam!»

I lupi avevano scoperto i denti, li digrignavano impunemente.

Chissà cosa stavano aspettando. Era una tortura, l'Umano lo sapeva, l'aveva capito. Era un modo per infrangere ancor di più la loro resistenza fisica e psicologica.

Come se non fossero già senza speranza.

«Sono qua» le mormorò con una dolcezza disattesa.

Se l'avesse abbandonata, se l'avesse lasciata a loro, avrebbe avuto una chance.

Una seppur minuscola e remota chance di sopravvivenza.

Un'altra fuga, un altro inseguimento, questa volta solo, senza quel peso morto sul groppone.

«Sono qua» ripeté a se stesso. Strinse il suo corpo dietro la schiena, godendo del calore residuo attraverso i diversi strati di tessuto che li dividevano.

Cosa gliene importava di lei, in fin dei conti?

Era un sacrificio accettabile. Nessuno mai avrebbe potuto giudicarlo per un gesto del genere. Non c'era nemmeno bisogno che lo sapessero.

Certo, non c'era bisogno che nessuno lo sapesse! Perché mai avrebbe dovuto rivelarlo?

Lui era sopravvissuto. E lei no.

Come e perché non aveva alcuna importanza.

Sempre se ce l'avesse fatta, ovvio.

Anche quella era un'ipotesi molto remota.

Un esemplare più grosso degli altri, con due spietati occhi azzurri e il pelo candido come la sclera, iniziò ad avanzare verso di lui, reggendo il suo sguardo con insolita severità.

«Stai dietro di me» le ordinò.

La voce tremò.

Non vi era alcun bisogno di quell'ordine, lei stava già aderendo a ogni centimetro di quello scudo umano che la proteggeva con inaspettato spirito cavalleresco.

Ne aveva bisogno anche lui, però, voleva sentirla, un'ultima volta.

Sapere che non sarebbe morto da solo.

Gli occhi gli si inumidirono. Oscuri terrori, un senso inalienabile di vuoto.

Non voleva rimanere solo. Non aveva mai desiderato nient' altro, in vita sua.

Non essere solo.

Non essere più solo.

«Adam...»

«Ci hanno mentito, Merle.»

Lei si zittì.

Nel frattempo, il lupo avanzava indisturbato, il passo felpato, l'espressione gaudente, rompeva le riga con famelica determinazione.

«Non esiste nessun potere. Io non ho nessun potere» sussurrò più a se stesso che a lei. «Stai dietro la mia schiena.»

Non poteva abbandonarla. Per quanto lo volesse, per quanto ogni cellula del suo corpo stesse votando a favore di quel perfido sacrificio, per quanto bramasse vivere, per quanto la morte lo terrorizzasse ancor più di quella lunga vita di stenti e sensi di colpa, non poteva abbandonarla.

Non poteva e basta.

Non ci riusciva.

I flebili raggi solari che filtravano tra le chiome degli alberi e le spesse nubi in cielo si smorzarono, la foresta piombò in una semi-oscurità, gelida e viva.

I loro respiri scandivano l'incedere incerto dei secondi.

Gli occhi dei lupi erano fiaccole poste a guardia delle tenebre.

Un ringhio gutturale alle sue spalle, troppo veloce, troppo imprevedibile.

Non fece nemmeno in tempo a voltarsi.

L'essere braccò la ragazzina, gliela strappò dalle mani, la azzannò alla gola.

La trascinò per qualche metro, mentre il muso si scuoteva spasmodico nel tentativo di disossare il capo della giovane dal resto del tronco. I capelli biondi e corti s'intinsero di sangue.

Adam perse un battito.

O forse due.

Forse cinque.

Forse il suo cuore smise di lottare.

Forse perse la vita in quel momento.

Perché non sentiva più nulla.

Non c'era dolore, non c'era paura, non c'era rimpianto.

La schiena percorsa da brividi di gelo, un ululato spietato, il rumore della carne che si frantumava sotto i denti appuntiti, il crepitio delle ossa che venivano divelte, una a una.

Non sentiva più nulla.

Finalmente il lupo riuscì nel suo intento. La decapitò.

Lasciò ruzzolare il cranio sul terreno fangoso, mentre le zampe si affossavano nel ventre ormai muto della giovane Titans.

E solo allora il dolore, spietato, cruento, viscerale, lo sommerse.

E Adam vi annegò.

Un dolore così forte non l'aveva mai provato prima d'ora. E Adam in vita sua non aveva fatto altro che soffrire.

Gli occhi di Merle lo fissarono vacui, senza risposte.

Gli occhi della morte, così belli, così ciechi.

Le pupille dei lupi erano ancora febbricitanti, in preda a una smania feroce e virulenta.

La reincarnazione di cerbero, ecco cos'era quella bestia che aveva assassinato la sua amante.

Ma con solo due teste.

Quella di un lupo senza alcuna compassione, che bagnava il pelo grigiastro col sangue di una fanciulla innocente. E quella di Merle, che lo fissava con la bocca socchiusa, una supplica silente, uno sguardo d'amore.

Non aveva nemmeno urlato.

Adam invece sì.

Adam urlò con quanto fiato aveva in gola.

Si avventò contro quel demone armato solo della sua rabbia.

Della sua folle, avventata, pericolosissima rabbia.

Era sempre stato sul filo del rasoio. E quel giorno cadde dall'altra parte.

Incurante di un morso che si affossava in profondità nel polpaccio scolpito e degli artigli che dilaniavano la sua schiena ossuta, saltò sulle spalle del mostro che aveva ucciso e seviziato la sua amante.

L'accoltellò.

E mentre il branco tentava invano di liberare il compagno caduto sotto l'attacco convulso di quell'essere all'apparenza immortale, che sembrava non possedere più né un'anima né un corpo, nessuna paura, nessuna ragione, si udì uno sparo.

Adam affossò di nuovo il coltello nella pelliccia, trascinò la lama in orizzontale e in verticale, avvertì l'esistenza frantumarsi sotto le sue stesse mani. Vibravano entrambi, di vita e di morte.

E godette. Godette immensamente, l'orgasmo più acuto che avesse mai provato.


Quando lo ritrovarono, aveva gli occhi spiritati fuori dalle orbite, di un blu ultraterreno.

La pelle candida era cosparsa di sangue vermiglio, i capelli si fondevano con le tenebre in cui la foresta sembrava piombata. Quest'ultima, dopo lo scempio, si era acquietata, niente cinguettii, niente cicalecci, nessun vagito, nessun fruscio sinistro.

I lupi erano fuggiti, avevano abbandonato il compagno caduto, come esigevano le leggi della natura.

L'Umano alzò gli occhi verso di loro, in pugno stringeva ancora la lama grondante.

Sorrise.




E abbiamo conosciuto il nostro Adam. Ve lo aspettavate come finale? Diametralmente opposto a ciò che è accaduto a Eva.

Adam non è cattivo, spero si intuisca da alcuni suoi pensieri, da alcune sue paure. Però vi farà dannare.

Qualcuno aveva chiesto perché avevo fatto le ID Cards di soli tre membri su dieci. Ora sapete la risposta 😅

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