Chapter 10: "My Lucifer is lonely"
Non doveva per forza essere la fine del mondo. Insomma, si era ritrovata a fronteggiare situazioni ben peggiori di quella, quindi perché allarmarsi tanto? Si era trattato di un semplice bacio, nulla di più. Una serie di baci, a voler essere del tutto sinceri, come le ricordava la sua coscienza. Ma le cose non sarebbero necessariamente dovute cambiare, magari per Leo non era nemmeno stato qualcosa di rilevante. Magari per lui non aveva significato niente. Katarina le appoggiò lo stetoscopio sulla schiena e Yulis trasalì per il freddo contatto del metallo.
- Adesso fai un bel respiro profondo. -
Più facile a dirsi che a farsi.
Ogni volta che i polmoni si riempivano d'aria, finiva per percepire il proprio cuore martellare nelle orecchie, neanche volesse ricordarle a tutti i costi il motivo di tanto affanno. Dopo qualche istante, la giovane infermiera aggrottò la fronte e si sporse di poco verso di lei.
- I tuoi battiti non mi sembrano molto intenzionati a voler rientrare nelle soglie... hai fatto qualche sforzo, prima della visita? -
- Sto bene. - garantì con fin troppa convinzione e un gesto ampio delle mani. - Sono solo un po'... agitata. -
- Questo lo sento. Non dovresti sottoporti ad allenamenti troppo intensi, il tuo corpo deve ancora riprendersi del tutto dalla manifestazione. -
Il viso così giovane e gentile di Katarina era totalmente in disaccordo con il tono fermo e autorevole della sua voce, ma allo stesso tempo riusciva a bloccare in Yulis qualsiasi altra voglia di abbozzare delle scuse. Forse, parte della causa andava ricercata anche in quell'accento un po' duro e spigoloso, tipico dell'Europa centro-orientale.
- Se tu e il signor Wallace non vi decidete a mettere la salute in cima alle tue priorità, questo è il risultato. - tenendo la fronte corrucciata, si sistemò al collo lo strumento e afferrò il bracciale di tela dello sfigmomanometro per misurarle la pressione. - Braccio, per favore. -
- A proposito di Wallace... - nel mentre che eseguiva quanto richiesto, Yulis afferrò la palla al balzo per tentare di sviare il discorso: qualsiasi argomento era preferibile al dover giustificare la propria frequenza cardiaca fuori fase. - Sbaglio, o finalmente ha smesso di importunarti? -
- Al terzo e categorico "no" sembra aver rinunciato ad invitarmi a cena. E Milly, del reparto di ortopedia, non ha perso tempo... si è subito fatta avanti sgomitando per prendere il mio posto. -
La bocca di Yulis si piegò in un ghigno divertito: quel commento un po' pettegolo, unito ad un sorrisetto difficile da mascherare, riportò Katarina ad essere prima di tutto una ragazza di appena ventitré anni e solo dopo un'infermiera dotata di un'incredibile abilità eroica.
- Milly di ortopedia non sa davvero cosa l'aspetta. -
Non era stato affatto difficile entrare in confidenza con Katarina, dopotutto Yulis aveva solo qualche anno in più di lei. Era una ragazza intelligente, sveglia e incredibilmente dedita al proprio lavoro. Dal momento in cui aveva messo piede in clinica era stata affidata alle sue cure, ed era solo grazie alla sua abilità di riparazione dei tessuti che la schiena era riuscita a riprendersi in tempistiche estremamente favorevoli rispetto a quelle di qualsiasi pronostico.
- Posso essere indiscreta, Yulis? -
La bionda annuì, ancora prima che terminasse la frase. - Spara. -
- Come mai non ti interessa uscire con James Wallace? -
- Ho già abbastanza problemi. - la risposta fu talmente immediata e risoluta che Katarina alzò gli occhi dal misuratore per puntarli nei suoi. Yulis tentò di riformulare la frase, provando a spiegare meglio le proprie ragioni. - E' un ottimo trainer, e per quanto i suoi metodi possano essere bizzarri e poco ortodossi, questo non si discute. Ma romanticamente parlando... siamo su due mondi paralleli. -
Katarina strinse maggiormente il velcro attorno al suo braccio e sistemò meglio lo stetoscopio al di sotto di esso, in corrispondenza dell'incavo del gomito.
- E i tuoi problemi, per caso, hanno i capelli rossi, gli occhi color nocciola e un sorriso smagliante perennemente stampato sulle labbra? -
Yulis, a momenti, si strozzò con la sua stessa saliva.
Non c'erano dubbi sul fatto che si stesse riferendo a Gareth, e la fonte di quella insinuazione non poteva che essere il suo comportamento durante la manifestazione.
- Quel ragazzo non ti ha abbandonata per un istante, nemmeno quando è diventato il catalizzatore di Empathy. - puntualizzò lei abbassando lievemente la fronte e facendo dondolare una ciocca di capelli dalla punta blu. - Continuava a tenerti stretta a sé, come se avesse avuto paura che io e gli altri medici potessimo portarti via... per caso è...? -
< Un problema, già. Anzi, uno dei miei due enormi problemi. >
- Un amico protettivo, a livelli esagerati. - si affrettò a terminare la frase al posto suo, sentendosi in imbarazzo come quando, da bambina, Shogo la sorprendeva abbarbicata alla credenza della cucina con le mani arpionate al barattolo di crema al pistacchio. - E come mai anche tu hai rifiutato James Wallace, per ben tre volte di fila? -
Katarina fece spallucce e si lasciò sfuggire un piccolo sorrisetto divertito. - Universi paralleli. -
Yulis sorrise di riflesso, poi, una volta terminato il controllo della pressione, si voltò di spalle per permetterle di dare un'occhiata alla schiena. Era diventata una routine: colazione presto, mattinata in Training Room, visita ed esami, ramanzina per aver esagerato con l'allenamento, piccolo momento di svago. L'ordine poteva variare, ma le attività principali erano quelle.
- E quindi, dottoressa? E' vicino il giorno in cui potrò abbandonare questo luogo mesto e cupo? -
Katarina ridacchiò e le picchiettò la spalla con la punta delle dita. - Non sono una dottoressa e sai bene che non spetta a me decidere la data del tuo via libera. Certo, se ti decidessi ad ascoltarmi, invece di assecondare James Wallace in tutte le sue trovate, la tua schiena si riprenderebbe molto più in fretta di così e la riabilitazione richiederebbe molto meno tempo. Ma a quanto pare, discutere con te equivale a discutere con un muro, per cui... -
Alzò gli occhi al cielo, ma senza abbandonare il sorriso sulle labbra. - E' letteralmente grazie alle tue magiche manine se sono riuscita a mettermi subito in piedi. La tua abilità è davvero straordinaria. -
- Mh, sì... diciamo che saper accelerare la proliferazione cellulare torna comodo, specie se sei un'infermiera. -
- Quindi tu sei inquadrata tra i Manipolatori? -
Katarina assentì con un mugugno a labbra serrate mentre ispezionava con attenzione la pelle adiacente ai solchi per le ali, ancora particolarmente arrossata. Fece cadere sulla schiena qualche goccia di uno strano siero trasparente e, dopo averlo fatto assorbire, ci spalmò sopra un leggero velo di unguento dall'odore di menta.
- Anche Marcus è un Manipolatore, un Manipolatore Elementale, in verità... proprio come suo padre, "e suo padre, prima di lui". - Yulis si tamburellò le dita sul ginocchio, pensierosa, poi aggrottò leggermente le sopracciglia, increspando la fronte. - Shogo mi ha sempre detto che c'è un'alta probabilità che le abilità eroiche vengano trasmesse per via genetica. Anche tu l'hai ereditata dai tuoi genitori? -
L'infermiera si immobilizzò per un istante, congelando le mani in una posizione innaturale e decisamente poco comoda. Yulis, leggendo e interpretando quel silenzio, voltò la testa di tre quarti per lanciarle un'occhiata sospettosa. Bastò posare lo sguardo sugli occhi di lei, fissi nel vuoto e con le pupille dilatate, per capire che quella domanda l'aveva messa a disagio.
- Suppongo di sì. - si schiarì la gola e tornò a dedicarsi al proprio lavoro meticoloso. - Tutta la mia famiglia appartiene alla categoria dei Manipolatori. -
Bingo.
Alla parola "famiglia", l'angolo destro della bocca aveva tremolato come in preda a un piccolo spasmo involontario.
< Oh, Kat... anche tu reduce da un qualche trauma familiare? >
Includendo il busto, Yulis completò la rotazione di tre quarti e infilò le braccia sotto quelle di Katarina, avvolgendola in un abbraccio così saldo da rasentare il limite per lo stritolamento. L'altra si irrigidì drizzando la schiena, colta alla sprovvista da quel gesto così fluido e imprevedibile.
- Sono stata io quella indiscreta, perdonami. - fece scivolare una mano sulla sua nuca per sfregare la punta delle dita sulla pelle, lasciando agire Empathy in un sincero tentativo di tranquillizzarla. - Dimentica quello che ho detto. Anzi, parlami ancora di quanto può essere esasperante James Wallace... -
Dopo qualche istante di esitazione, Katarina sentì la tensione scivolare via e distese la labbra in un sorriso, ricambiando l'abbraccio.
- Non sei stata indiscreta. E' solo che... non mi aspettavo questo repentino cambio di argomento, tutto qui. Mi hai presa un po' in contropiede. - ridacchiò in maniera nervosa, facendo guizzare lo sguardo lontano. - Non... siamo esattamente in buoni rapporti. L'ultima volta che ho visto mio fratello è stata più di tre anni fa, poco prima di lasciare la Romania. -
Yulis si morse la lingua per evitare che la propria curiosità rovinasse fuori come una valanga, ma l'altra ragazza sembrò inavvertitamente voler nutrire quella voglia, sorprendendola aggiungendo alcuni dettagli.
- Per due gemelli che hanno sempre vissuto quasi in simbiosi, praticamente condividendo pensieri e abilità, separarsi è stato davvero difficile... - fece una pausa, trattenendo un mezzo sospiro tra le labbra. - Ma ha fatto le sue scelte, e io le mie. Sarebbe stupido rimpiangere ora questa decisione. -
Katarina si svincolò dalle braccia di Yulis dopo averle lanciato un sorriso fugace. Ripensare alla propria famiglia la metteva a disagio per così tante ragioni da farle dubitare perfino di essere degna di quell'abbraccio consolatorio. C'era una vocina dentro la testa che continuava a tormentarla con l'idea che, forse, nonostante tutti gli sforzi che aveva fatto per rimediare, davvero non se lo meritava.
- Sei libera, per cena? -
La mora sbatté le palpebre un paio di volte, confusa, ma allo stesso tempo inconsciamente grata per aver fatto evaporare via quei pensieri e per averla distolta da quello stato di trance.
- Il tuo turno finisce tra poco, se non sbaglio. - le sorrise l'eroina. - Ramen nel localino carino qui all'angolo? -
Katarina aggrottò la fronte, avvicinando le sopracciglia scure tra di loro. Incrociò lo sguardo solare di Yulis e, per un momento, si sentì in seria difficoltà davanti a quei grandi occhi color miele.
- V-va... bene. - si inumidì le labbra improvvisamente secche. - Certo, possiamo andare a cena insieme, se ti va. -
L'eroina molleggiò tronfia sul lettino e sorrise di cuore.
- Ho il permesso di sfottere un po' James, per questo, domattina? - ridacchiò al solo pensiero di potersi beffare di lui. - Probabilmente, il suo interesse nei tuoi confronti era un po' diverso dal mio, ma rimane il fatto che io sono riuscita ad aggiudicarmi una cena con la fantastica e irraggiungibile Katarina Nicolescu e lui no. -
La diretta interessata afferrò una ciocca di capelli sfuggita all'elastico che li teneva insieme in una piccola coda di cavallo e se la portò a coprire una guancia arrossata.
- Sei crudele. -
- Disse quella che gli ha rifilato una serie spietata di due di picche, senza minimamente scomporsi. -
Yulis continuò a gongolare, mentre Katarina alzò gli occhi al cielo con fare fintamente esasperato. L'infermiera recuperò tutti gli strumenti per riporli nella vaschetta d'acciaio posta sul carrellino, ma, esattamente un istante prima che potesse avviarsi verso la porta, Yulis la bloccò.
- Aspetta, non riesco a smettere di pensarci... devo proprio condividerlo con qualcuno. -
Gli occhi della bionda fremettero d'impazienza ed eccitazione, mentre gli incisivi stuzzicavano il labbro inferiore in un disperato tentativo di mascherare quell'euforia pressoché incontenibile.
Come dirle di no?
Yulis saltellò fino al piccolo armadio e ci ficcò dentro la testa, per poi riemergerne alcuni istanti più tardi con un grande copriabito scuro e una scatola nera ben stretta tra le mani.
- Me l'hanno consegnato stamattina, ma non ho ancora avuto il tempo di provarlo. -
Katarina spalancò gli occhi, sorpresa e inevitabilmente incuriosita a causa di quell'entusiasmo contagioso.
- E' quello a cui sto pensando? -
- Oh, sì. - Yulis annuì con vigore e, se possibile, il suo sorriso andò a scaldarsi ancora di più. - Il mio nuovo costume da eroe: fresco fresco di Atelier. -
L'eroina tornò ad avvicinarsi e appoggiò il copriabito sul letto, sfiorando con la punta delle dita il logo dorato del Laboratorio che, da sempre, si dedicava alla realizzazione dei costumi e degli abiti da cerimonia dei membri dell'intera squadra. Le lettere arzigogolate e in stile quasi barocco che componevano il nome "Les Fleurs du Mal" vibravano su quella macchia d'inchiostro con una potenza tale da farle sembrare vive. Yulis, già completamente ammaliata da quel confezionamento così curato e dall'impronta romantica, fece scorrere la zip per liberare i vari capi di abbigliamento, accarezzandone i tessuti con fare rapito.
- Voglio indossarlo. -
Nemmeno si rese conto di aver espresso quel pensiero ad alta voce.
Lo capì soltanto quando Katarina si offrì di aiutarla nell'impresa.
Yulis si liberò velocemente dei pantaloni della tuta e, prima di levare anche la maglietta, si voltò di schiena, assalita da uno strano ed improvviso senso di imbarazzo nel ritrovarsi in quella situazione di fronte a Katarina. Se ci fosse stata Noora, al suo posto, non avrebbe avuto alcun problema a farsi vedere solo in slip... ma per loro era diverso, si conoscevano da una vita, erano come due sorelle.
Scosse la testa da una parte all'altra.
< Che sensazione stupida. Kat è un'infermiera, è sicuramente abituata a vedere della pelle nuda. >
Indossò il body smanicato facendolo passare dalla testa, poi inforcò le aperture per le braccia. Portò le mani al di sotto dell'ombelico, all'altezza dei due fermi inferiori della lampo e, una volta agganciato l'indice al tiretto ad anello, alzò il cursore in un unico gesto, chiudendo i denti della zip fino alla base del collo. Appoggiò le mani al petto e le fece scivolare verso il basso, esercitando una leggera pressione sul tessuto in modo da farlo aderire perfettamente alla pelle. Afferrò poi i due lembi estremi della stoffa per agganciare le piccole clip in metallo che permettevano al body di chiudersi completamente. Katarina l'aiutò a liberare le ciocche di capelli rimaste impigliate nel colletto alto del costume, lasciandole penzolare docili oltre le spalle fino a che non accarezzarono la schiena nuda della ragazza, sfiorandole appena le cicatrici al di sotto delle scapole.
- Come ti sembra? -
Gli angoli della bocca di Yulis si arricciarono verso l'alto nel momento esatto in cui si voltò in direzione dell'altra ragazza.
- E' bellissimo, Yulis. - Katarina riprese a giocherellare con la ciocca ribelle che le penzolava a fianco del viso. - Sembra che qualcuno te l'abbia cucito addosso. -
La bionda guardò verso il basso, continuando a sorridere come una bambina.
- Non riesco quasi a credere che sia venuto così bene... il mio concept era orribile, faccio davvero schifo a disegnare. - ridacchiò a labbra serrate, facendo navigare le dita sul tessuto simile all'ecopelle elasticizzata. Era di un nero pece, intenso e avvolgente, a cui facevano eccezione solo il nastro sottostante la zip e i bordi di fianchi e giro maniche: quelli erano ricoperti da un materiale diverso, iridescente e violaceo, proprio come i riflessi delle sue nuove ali. Aveva espressamente specificato di volerli così. - Suppongo che l'aver riempito di note quella bozza abbia aiutato laddove le mie incredibili doti artistiche non potevano arrivare. -
Katarina ridacchiò con lei e dondolò leggermente in avanti, facendo un passetto.
- Noto che la schiena è libera da qualsiasi tipo di impedimento... il signor Wallace ha avuto la sua giusta influenza. -
- Diciamo che è stato piuttosto convincente, su questo particolare... - bofonchiò Yulis a bassa voce, aggiungendo uno "Stupido Wallace" a denti stretti alla fine della frase.
- Beh, bisogna ammettere che aveva ragione: nell'insieme, è indubbiamente pratico e sexy. -
Yulis fece un rapido gesto con la mano e scosse la testa, ignorando le gote che iniziavano a pizzicare. Ne approfittò per srotolare il tessuto morbido del colletto e portarlo fin sopra al naso, di modo che così le coprisse metà volto.
- In volo, questo e i goggles mi saranno molto utili! -
L'altra alzò un sopracciglio. - Temo che ci sia ancora una buona porzione di pelle scoperta in grado di farti morire di freddo, lassù. Tra braccia completamente esposte, fianchi e schiena totalmente in vista, non credo che riparare labbra e mento ti sarà d'aiuto. -
Yulis tornò a scoprire le labbra, abbassandosi il colletto: puntò la lingua dietro ai denti e alzò di poco il mento, affilando il sorriso sghembo di chi è già pronto a ricevere e, soprattutto, ribattere a una simile obiezione.
Dopotutto, aveva imparato dal migliore.
- Ooh, mia cara Katarina, è proprio qui che ti sbagli. Punto numero uno... - stese il braccio destro e parò l'indice davanti a lei, facendolo oscillare sotto al suo naso. - Questo body è solo il pezzo principale del mio nuovo costume. Devo ancora indossare paragomiti, guanti, pantaloni, autoreggente e stivaletti. -
L'espressione dell'infermiera si colorò di un mix di confusione, perplessità e imbarazzo alla parola "autoreggente", ma Yulis sembrò non rendersene conto.
- Punto numero due... - aggiunse il medio a far compagnia all'indice, piegando di tanto in tanto le falangi superiori e facendo quasi il verso a delle orecchie da coniglio. - Tutti i materiali del costume sono termici e rinforzati, quindi, si può praticamente escludere l'ipotesi di un'ipotermia. Se volessi, potrei quasi decidere di farmi un viaggetto sull'Everest, con questo addosso. -
Katarina, in parte distratta da quel movimento cadenzato, continuò a fissare le dita di Yulis ancora ben piantate davanti al proprio volto. Sbatté le palpebre un paio di volte e inclinò la testa di lato.
- Ritiro quello che ho detto: James Wallace ha una pessima influenza su di te. -
L'eroina ci mise un attimo a capire di cosa stesse parlando, ma quando realizzò di aver gesticolato fin troppo animatamente, si affrettò a nascondere le mani dietro alla schiena, accigliata.
- Non sei divertente. -
All'occhiata compiaciuta di Katarina, Yulis borbottò qualcosa e si voltò per afferrare l'altra metà del costume. I pantaloni erano dei leggings aderenti, super elasticizzati e asimmetrici, fatti dello stesso materiale e colore del body, con una piccola rifinitura iridescente al lato della gamba sinistra. La destra, invece, dato che il tessuto a stento arrivava a coprire metà coscia, era quasi del tutto assente: l'orlo di quello che a tutti gli effetti era uno shorts, era impreziosito da una serie di piccoli laccetti scuri destinati ad agganciarsi ad una calza, la famosa autoreggente citata poco prima, sempre in tono con il resto dell'abbigliamento. Una volta sistemato il tutto, Yulis calzò al volo degli stivaletti dal tacco largo e stabile, alti giusto il necessario a slanciare la sua figura. Nonostante fosse più grande di almeno un anno rispetto agli altri quattro membri della squadra, fra tutti era indubbiamente la più bassa: gli stivaletti avrebbero sopperito e compensato quel dislivello, almeno in parte.
Almeno, lo sperava.
< Alla prossima foto di rito, se Gareth mi chiede ancora di mettermi in punta di piedi, giuro che lo ammazzo con le mie mani. >
Afferrò i paragomiti e li sistemò al loro posto, calzando le mezze maniche sugli avambracci. In prossimità dell'articolazione, l'interno era logicamente imbottito, mentre l'esterno era abbastanza resistente da poter assorbire gli urti: Yulis ne picchiettò un guscio con la nocca, producendo un rumore leggermente attutito. Sorrise, soddisfatta. Allungò la mano per raggiungere i guanti e li indossò con cura: solo la punta delle dita e il dorso erano ricoperti dal tessuto, mentre buona parte del palmo era stata lasciata libera per permetterle di ricorrere alle sue abilità in qualunque momento.
Yulis piroettò sulla punta dello stivale, allargando le braccia verso l'esterno per farsi ammirare.
- Ora sì che mi sento di nuovo me stessa! - trillò con entusiasmo mentre passava la punta delle dita in corrispondenza della clavicola, sistemando il suo immancabile ciondolo al di sopra del tessuto. - Molto meglio del vecchio costume, decisamente. -
- E' davvero bellissimo. - sorrise Katarina, con aria leggermente trasognata. - Ma non venire a cena con quello. - aggiunse immediatamente dopo, silenziando il cercapersone mentre si avviava verso la porta.
Yulis ridacchiò e arrossì lievemente, poi la salutò con un lento gesto della mano. Si buttò a sedere sul letto e dondolò i piedi, osservando la punta lucida degli stivaletti. Un nuovo sorriso le increspò le labbra e cominciò a far roteare le caviglie.
Una bambina.
Si sentiva esattamente come una bambina, nel giorno del suo compleanno.
Saltò giù dal letto e piroettò fino allo specchio per scambiare uno sguardo al suo riflesso: non riusciva a smettere di gongolare. Si mise di tre quarti, nel tentativo di osservare anche il retro del costume. Vestita in quel modo, sembrava proprio la protagonista di un film d'azione, o di uno di quei videogiochi in cui si fanno fuori mostri, alieni o esseri orripilanti. Oscillò la testa da una parte all'altra e portò le mani ai capelli, raccogliendoli alla meno peggio in una coda alta.
- Oh, sì. Questi saranno un'agonia. -
Li lasciò cadere con uno sbuffo, liberi di tornare ad accarezzarle la schiena e i fianchi nudi. Puntò poi lo sguardo proprio su questi ultimi e nell'istante successivo lo fece scivolare sulla gamba destra, soffermandosi sull'autoreggente nera. La sfiorò con la punta delle dita e si strinse nelle spalle.
- Sfizio personale. Anche io ho le mie debolezze... -
Si sistemò meglio il ciondolo che portava al collo e, all'improvviso, qualcosa riflesso nello specchio attirò la sua attenzione. Si avvicinò di più alla superficie, come a voler vedere meglio, e aggrottò le sopracciglia.
< Fumo...? >
In un piccolo angolo dello specchio rientrava il riflesso della finestra e, di conseguenza, anche le immagini speculari dei palazzi del quartiere. Il rumore attutito di una sirena, giù in strada, le riecheggiò nelle orecchie e in un istante Yulis si precipitò al davanzale per dare un'occhiata all'esterno. Non troppo lontano, verso sud, la torre di uno dei grattacieli di più recente costruzione era avvolta da una spessa coltre di fumo. Le nuvole dense e grigiastre che gli turbinavano attorno cozzavano con i colori caldi del tramonto, annacquandoli e spegnendoli con fretta, come a voler far calare di colpo la notte. Di tanto in tanto, quegli strati pesanti venivano squarciati da lingue di fuoco permalose che con veemenza decidevano di far capolino, oltre le ampie vetrate probabilmente già scoppiate e ridotte in frantumi a causa della pressione.
Il corpo di Yulis fu percorso da una scarica di adrenalina e le dita si serrarono intorno alla maniglia: a pochi chilometri da lei, con tutta probabilità era appena scoppiato un incendio, forse per un incidente domestico, o forse per dolo, ma a prescindere da qualsiasi fosse la causa, potevano esserci persone in pericolo ed era necessario agire nel più breve tempo possibile. Gli occhi saettarono verso terra e riuscirono a scorgere alcuni dei pazienti della clinica e dei loro familiari con il naso fisso all'insù, puntato in direzione dello skyline. Un brivido le salì lungo la nuca e un irrefrenabile istinto a intervenire le fece fremere i polsi. Tornò con lo sguardo alla torre e si tormentò il labbro inferiore: era così maledettamente vicina.
Poteva davvero rendersi utile.
Sentì il battito accelerare.
Non era ancora stata dimessa, gli allenamenti le erano concessi in via del tutto straordinaria. Non avrebbe dovuto esporsi, questo lo sapeva bene. Sicuramente, ambulanze e vigili del fuoco erano già in viaggio verso il luogo dell'incidente, e, con buone probabilità, qualche altro eroe era già stato chiamato per intervenire. Ma lei era proprio lì, ad un soffio dal luogo dell'incidente, a disposizione.
E doveva rendersi utile.
La mano ancorata alla maniglia agì in autonomia, spalancando la finestra e facendo entrare una sferzata di aria fredda che le colpì le guance. D'istinto, si alzò il colletto del body fin sopra il naso e rotolò gli occhi giù in strada, per l'ennesima volta. I quindici metri che la separavano dal suolo sembrarono ancora più spaventosi di quando li aveva affrontati con James la prima volta, ma, come se niente fosse, un piede si appoggiò comunque sul davanzale e l'altro si mise in punta. Non appena Yulis spostò il peso sul legno scricchiolante, l'immagine del suo ultimo allenamento fallimentare le si parò prepotentemente davanti agli occhi, come un flash, annebbiandole la vista per un istante e congelandola sul posto: la punta dello stivaletto tremò sullo stipite e l'eroina si sentì vacillare.
Neanche una.
Neanche una volta era riuscita a portare a termine quello stupido esercizio in caduta libera, nemmeno quando ad osservarla e giudicarla c'erano stati Leo e il suo maledetto sguardo di superiorità.
In quel preciso momento, razionalmente realizzò che sarebbe stata più utile da viva che in versione poltiglia sull'asfalto.
< Cazzo...! >
Si scostò velocemente dalla finestra con un'imprecazione stretta tra i denti e si precipitò fuori dalla stanza. I passi stizziti e frettolosi riecheggiavano per i corridoi della clinica mentre correva verso il piano superiore, l'ultimo, quello collegato al tetto da una piccola scala di servizio. Sapeva che inservienti e alcuni membri del personale si fermavano lì per le pause più brevi, per fumare o per prendere giusto una boccata d'aria, quindi la porta era praticamente sempre aperta. Ci si fiondò con foga, ignorando lo sguardo allibito di un paio di infermiere e il loro ammonimento biascicato a non correre in quel modo. Raggiunse la scala, poi la porta ed infine il tetto: prese fiato, respirando avidamente dal naso e dalla bocca, e stagliò le ali dietro la schiena.
Era in grado di volare, James glielo aveva insegnato subito dopo averle fatto capire come gestire peso e massa di quella nuova, morbida struttura. Le aveva spiegato che era un po' come correre, e che per poter macinare delle buone distanze ad una velocità sostenuta, soprattutto senza morire di fatica, era necessario lo stesso duro e costante allenamento di chi ha intenzione di partecipare a una maratona. Lei, nonostante godesse di una buona forma fisica, era riuscita a reggere sessioni che rientravano nell'ordine dei dieci minuti, quindici al massimo: in pratica, avrebbe avuto giusto il tempo necessario ad andare e, sperava, tornare indietro.
Un boato proveniente da sud la destò dal suo rimuginare e Yulis finalmente abbandonò quell'accenno di preoccupazioni per librarsi in aria e sfrecciare nel cielo. Era inebriata da quella velocità: l'adrenalina le scorreva nelle vene come un vero e proprio carburante, alimentando la foga con cui il cuore batteva nel petto. Buttarsi nella mischia, aiutare gli altri, fare la cosa giusta: quanto le era mancato tutto questo.
Arrivata in prossimità del luogo dell'incidente, il fumo iniziò ad aumentare, così Yulis decise di atterrare in strada, appollaiandosi ad appena pochi metri di distanza dall'autopompa dei vigili del fuoco. Senza riporre le ali, distese le ginocchia e spostò il palmo destro da terra per raddrizzarsi.
- Cosa abbiamo qui? - puntò lo sguardo verso un paio di vigili del fuoco che la guardavano con aria sbalordita e, comprensibilmente, confusa. - Posso esservi d'aiuto? -
Sentì qualche bisbiglio alle spalle e colse il proprio nome mormorato dalla folla di curiosi. Nemmeno il tempo di voltare la testa che qualcuno aveva già tirato fuori smartphone e similari, per immortalare una fantastica Ultra Violet infiocchettata in un inedito costume e, soprattutto, impreziosita da un paio di enormi ali scure.
- Abbiamo già avviato la procedura di esodo. - uno dei due agguantò la sua attenzione, porgendole la mano. - Sono Monroe, il Capo Squadra. I nostri si stanno occupando di far uscire tutti i residenti dei piani inferiori. L'incendio si è sviluppato al quattordicesimo, ma temiamo che possa espandersi rapidamente anche a quelli sovrastanti. E' Enrique Gomez il proprietario dell'appartamento da cui sono partite le fiamme. -
< "Enrique Gomez"...? >
Yulis aggrottò la fronte mentre il cervello si arrovellava per cercare di recuperare informazioni.
- Ma è stata la sua compagna a dare l'allarme. - aggiunse l'altro, facendo capolino da dietro la spalla del più anziano. - O meglio, si è messa a strillare per tutto il palazzo e qualcuno fortunatamente ha ben pensato di chiamarci. -
- Loro stanno bene? - domandò Yulis, monitorando con lo sguardo tutti i volti delle persone che venivano portate in salvo, nella speranza di cogliere quei tratti familiari che l'avrebbero aiutata a ricondurre il nome "Gomez" a qualcuno che era sicura di aver incontrato, in un qualche frangente.
- Maura sta bene, è stata tra i primi ad uscire. - Monroe incrociò le braccia al petto e serrò la mascella, facendo apparire delle piccole rughette ai lati della bocca. - Ma dal suo racconto confuso e frammentato, crediamo sia sotto l'effetto di qualche sostanza stupefacente. Non è lucida, e con quello che sta succedendo è comprensibilmente sotto shock. Temiamo che Enrique possa essere ancora nell'appartamento... -
- E che quindi possa essere messo addirittura peggio di lei. - concluse Yulis ad alta voce, voltandosi di scatto verso il grattacielo. - Vado a recuperarlo. -
- Aspetta, Ultra Violet. - il più anziano dei due vigili del fuoco la richiamò, facendo scivolare gli occhi su quelle ali e indugiando sull'eventualità di dar voce ai propri pensieri. Lo sguardo risoluto e inflessibile che l'eroina gli rivolse in risposta lo fece fisicamente arretrare di un passo, inibendo completamente la ridicola intenzione di metterla in guardia. - P-puoi entrare dal lato nord dell'edificio, dato che l'appartamento prende tutto il piano: lì le fiamme non si sono ancora sviluppate, ma non ci metteranno molto a guadagnare terreno. Manderò su alcuni dei miei per sedare l'incendio non appena tutte le camere ignifughe saranno sgombre e tutti i residenti in salvo. -
Yulis gli rivolse un rapido sorriso e lo ringraziò. Molleggiò appena sulle ginocchia, e con lo sguardo fisso sulla cima del palazzo, spiccò il volo in un balzo. Non impiegò troppo tempo per raggiungere l'appartamento: sfruttò una delle finestre a sporgere e si arrampicò all'interno, riponendo le ali nel momento esatto in cui il corpo si frappose tra il vetro e il legno.
Gli occhi di Yulis analizzarono l'ambiente attorno a sé, individuando una cucina moderna e, per il momento, del tutto intatta. Il tavolo di vetro occupava la parte centrale della stanza, attorniato da un set di sedie di design dall'aria scomoda. Sulla destra si stagliavano un grande frigorifero scuro, un piano di lavoro in marmo, un lavandino ampio e dei fuochi a induzione: a giudicare dalle condizioni, lì dentro non poteva nascondersi la causa dell'incendio. Yulis attraversò la porta spalancata della cucina e si spostò nell'enorme salone: lì, la temperatura era notevolmente più alta, e ciò era dovuto alle fiamme prorompenti che dalla parte opposta dell'open space divoravano il divano, le poltrone e quello che, una volta, doveva essere un costoso tavolino basso di legno. L'odore di fumo le si infilò di prepotenza nelle narici e Yulis si affrettò ad alzare il colletto del costume, in modo che, per quanto possibile, le mettesse al riparo le vie respiratorie.
- Enrique! -
Avanzò con attenzione, mentre il crepitare delle lingue di fuoco riempiva l'aria, scoccando contro i mobili e piegandoli senza sforzo al proprio inarrestabile volere. In fondo, sulla destra, si apriva un corridoio che portava ad un paio di stanze, reso purtroppo inaccessibile a causa delle fiamme che sbucavano da esso. Yulis sperò con tutte le proprie forze che l'uomo non si trovasse da quella parte, ma avanzò comunque il più possibile per controllare.
Sudava, ma non solo a causa della forza prorompente dell'incendio.
Temeva che per Enrique potesse essere già troppo tardi.
Temeva che il suo intervento fosse del tutto inutile.
Un rumore alle sue spalle la fece voltare di scatto. Chiamò nuovamente il nome di Enrique e, quando udì un lamento strozzato provenire dal fondo del corridoio opposto a quello ostruito, sentì l'animo risollevarsi. Si precipitò in quella direzione, evitando con cura di soffermarsi sul fuoco che guadagnava terreno e inceneriva anche mensole e quadri appesi alle pareti. Seguì quella sorta di guaito strascicato e si ritrovò in una grande camera da letto.
- Enrique! -
L'uomo era accovacciato di spalle, tra le coperte di raso e cotone che avvolgevano il materasso, con la testa china in avanti. Il movimento concitato delle sue spalle si arrestò di colpo quando sentì la voce dell'eroina che lo chiamava una seconda volta, in un tentativo di attirare la sua attenzione. Con uno scatto, Enrique alzò la testa e guardò dietro di sé, nella direzione di Yulis, rivelando così un volto tumefatto e in parte deformato da una serie di ustioni. Mostrò i denti e sibilò parole incomprensibili, voltandosi anche con il resto del corpo e stringendo qualcosa al petto con fare altamente protettivo.
Yulis rimase impietrita e sbarrò gli occhi: in quel momento, finalmente, era riuscita a riconoscerlo. Quello di fronte a lei, nonostante l'aspetto grottesco, era uno degli uomini che avevano partecipato all'evento di Twizzler, al Maple Syrup. Era quello con la maschera da Saru, quello che era riuscito ad accaparrarsi il primo round dell'asta.
Enrique Gomez.
Aveva letto quel nome tra le schede del fascicolo che le aveva mostrato Keita, aveva visto la sua foto tra quelle degli individui coinvolti e, ancora prima, ne aveva sentito parlare da Twizzler in persona, in un momento di boria e tronfia soddisfazione per essere riuscito ad avere tra gli ospiti un riccone di quel calibro.
- Enrique. - tentò di modulare la voce e si costrinse a ritornare in sé. Mantenendo lo sguardo fisso su di lui, avanzò di un minuscolo passo. - Sono Ultra Violet, sono venuta ad aiutarti e portarti fuori di qui. -
Lui sibilò ancora una volta e incassò la testa tra le spalle.
- Sono tutte mie! MIE! - digrignò i denti e fiatò un urlo così assordante da costringere Yulis a stringersi la testa tra le mani. Infilò le dita nel sacchettino che teneva premuto contro il petto e le portò alle labbra con foga, ingoiando quelle piccole sfere colorate fino a che il palmo non si svuotò completamente nella sua bocca. - NON LE AVRAIII! -
Yulis scattò indietro, proprio un istante prima che l'altro saltasse giù dal letto con un balzo animalesco. Lo vide piegarsi a quattro zampe sul pavimento in gres porcellanato, mentre la colonna vertebrale si inarcava verso l'alto con una serie di scricchiolii spaventosi. La pelle del volto cominciò a sfaldarsi in più punti, sciogliendosi esattamente come la cera di una candela al di sotto di uno stoppino acceso. La pelle di braccia e gambe si coprì di nuove ustioni e bolle giallognole, mentre le mani iniziarono ad assumere un colore cianotico, tendente al bluastro. All'inizio, le labbra si erano piegate in smorfie di dolore acuto e pungente, ma dopo si erano curvate in un ghigno perverso che ben presto si era tramutato in una risata inquietante, in grado di scuotergli l'intero corpo, facendo ondeggiare la vestaglia verde e oro di lino che indossava.
Ancora prima che potesse accorgersi di un suo movimento, Yulis si ritrovò ad incassare un pugno in pieno stomaco che la fece piegare in avanti. Strabuzzò gli occhi e dalle labbra semiaperte ne uscì un respiro mozzato. Enrique le afferrò i capelli con uno strattone per costringerla ad alzare lo sguardo su di sé e si parò a pochissimi centimetri di distanza dal suo volto.
- SONO MIE! -
Yulis non si fece cogliere impreparata una seconda volta: gli piantò il palmo della mano destra proprio contro la pelle al di sotto del naso, facendogli mollare la presa di colpo e costringendolo a barcollare indietro di un paio di passi.
< Ma che accidenti è quella roba?! >
Approfittò della sua guardia abbassata per strappargli via proprio ciò che con tanta apprensione voleva proteggere e custodire: afferrò il sacchettino con le sfere e si precipitò fuori dalla stanza, correndo in direzione dell'open space.
- PUTTANA! -
Sentì quello e un'altra serie di insulti mentre sorpassava alcuni detriti carbonizzati a terra, saltandoli come ad una corsa ad ostacoli. Nei pochi minuti che aveva passato con Enrique, o meglio, con quello che una volta era Enrique Gomez, le fiamme avevano guadagnato terreno e una buona porzione del salone era stata inghiottita dal fuoco. Una libreria ardente collassò davanti a lei e Yulis fu costretta ad arrestare la propria corsa.
- Cazzo! -
Indietreggiò proprio all'ultimo secondo utile, ma quando fece dietro front si ritrovò incastrata tra le fiamme e quella specie di mostro.
- Ridammele, ORA! - le braccia gli tremavano, come in preda ad una serie di potentissimi spasmi, simili quasi a convulsioni. - Fallo, da braaava, e io fooorse non ti ucciderò! - cantilenò con una luce perfida e sinistra negli occhi.
Yulis non smise per un istante di tenerlo sott'occhio. Aprì il sacchetto e ne estrasse una piccola sfera di colore rosso.
- La vuoi? - stese il braccio nella sua direzione e gliela mostrò, rigirandola un paio di volte tra le dita. - E allora vai a prendertela! - con un rapido gesto, la gettò tra le fiamme e la piccola sfera si sciolse.
In quel preciso istante, Yulis vide gli occhi di Enrique diventare tondi e grandi quanto delle palline da golf. Sentì un sonoro schiocco quando lui inclinò la testa di lato, fissandola con la morte negli occhi.
- Io... ti... ucciderò! - iniziò a fremere per la rabbia e con uno scatto fu su di lei, agguantandole il collo tra le dita lunghe e ossute di entrambe le mani. - Troia! SEI SOLO UNA TROIA! -
Yulis spostò il piede sinistro di un passo indietro, senza farsi intimorire. Con un gancio destro lo colpì al viso, facendogli perdere forza sulla stretta. Ruotando leggermente il busto nella stessa direzione, continuò e assecondò il movimento, spingendogli via entrambe le braccia e liberandosi dallo strangolamento senza fatica. Prima che lui potesse reagire, fece perno sulla punta dei piedi per tornare con il corpo rivolto verso di lui e con una frustata dello stesso braccio del gancio lo colpì al plesso solare, facendolo boccheggiare e arretrare.
Dopo il colpo subito, Enrique strabuzzò gli occhi e si passò le dita sul collo, strappando via lembi di pelle senza nemmeno fiatare per il dolore. Urlò poi a pieni polmoni e si piegò in avanti, circondandosi il corpo con le braccia e piantando nuovamente le unghie nella pelle. Con un grido disperato, si gettò nuovamente su di lei, questa volta riuscendo ad inchiodarla a terra. Si appoggiò con tutto il peso sulla gola dell'eroina, stringendola e infilzandola con quelli che ormai parevano più degli artigli che delle unghie. Yulis tentò di spostarlo da sé, afferrandolo per un gomito e spingendolo dall'altro, ma le ossa dei suoi arti sembravano essersi saldate tra loro, come se si fossero dimenticate dell'esistenza dell'articolazione. Tentò di utilizzare Empathy per farlo desistere, ma non sembrava sortire il minimo effetto. Provò prima con la compassione, poi con la fiducia, e infine con il dolore, ma niente. Il fallimento di qualsiasi sfaccettatura di Empathy significava solo che Enrique, probabilmente, non era più umano.
- Vuoi fare un gioco? - tolse una mano dalla sua gola per spostarla al lato del proprio viso, in modo che lei potesse vederla bene: iniziò lentamente a chiudere le dita sul palmo, come se stesse stringendo una pallina invisibile, e le fiamme, nello stesso preciso istante, cominciarono ad avvicinarsi a loro. - Se indovini in quanto tempo il tuo corpo diventerebbe cenere, ti ucciderò io prima che lo facciano le fiamme! -
Yulis sentì il cuore esplodere nel petto e un velo di terrore le congelò il viso in un'espressione terrorizzata.
No.
Non poteva essere davvero un Manipolatore Elementale.
Non aveva letto niente di simile nel dossier su di lui, una cosa del genere se la sarebbe ricordata.
Il suo era un bluff. Doveva essere un bluff.
- Aaaaah, ora non fai più l'eroina impavida, non è vero? - con l'unghia del pollice, iniziò a premere contro la sua gola, lacerandole la pelle fino a che non iniziò a sanguinare. - Fammi sentire come gridi, puttana. -
Yulis strinse i denti e tentò ancora una volta di scrollarselo via di dosso, ma quella forza e quella rigidità nei movimenti non avevano niente di umano. Percepiva il calore aumentare ad ogni respiro, e con la coda dell'occhio poteva scorgere le fiamme avvicinarsi inesorabili e crepitanti. La testa girava per la mancanza di ossigeno e la vista iniziava ad annebbiarsi.
No.
Non sarebbe morta così.
Né per mano di un mostruoso Enrique Gomez, né divorata dalle fiamme.
Lasciò la presa sulle braccia di Enrique per aprire il palmo della mano e mostrargli il sacchetto con le poche sfere colorate rimaste.
< Sono queste che vuoi, no?! >
Vide le sue pupille animalesche dilatarsi a dismisura, ma proprio nel momento in cui Enrique cercò di agguantarle, si ritrovò ben lontano da Yulis, scaraventato via da qualcosa.
O meglio, da qualcuno.
L'eroina tornò finalmente a respirare inalando avide boccate d'aria, e quel poco ossigeno che si faceva strada nei polmoni bruciava esattamente quanto le lingue di fuoco che l'avevano tenuta sotto scacco fino a quel momento. Si portò una mano alla gola e deglutì pesantemente, mentre il cuore continuava a martellare nel petto.
- Questa storia mi ha causato un bel po' di problemi. -
Quella voce.
Yulis spostò lo sguardo da Enrique, ancora confuso a terra, all'uomo che era appena intervenuto e che se ne stava immobile davanti a lui, a braccia conserte, perfettamente circondato dalle fiamme, ma mai minimamente sfiorato dalla lingua di una di esse.
- E sai che cosa faccio con i problemi che non ne vogliono sapere di sparire da soli? -
Armeggiò con le tasche della giacca e tirò fuori un pacchetto di sigarette. Ne prese una e se la portò alle labbra, accendendola grazie ad un piccolo antivento di metallo. Inspirò una bella boccata, facendo illuminare il tabacco sulla punta della cartina, e sfiatò il fumo da un angolo delle labbra quasi serrate.
- Li brucio via, tutti. -
Con un gesto secco della mano, fece richiudere il coperchio sulla fiamma dell'accendino.
E, nello stesso e preciso istante, il fuoco si impossessò del corpo di Enrique, divorandolo con la stessa voracità con cui avrebbe spazzato via un piccolo, inerme foglio di carta di giornale.
Le sue urla riempirono l'aria e Yulis non poté fare altro che rimanere a guardare, completamente immobile. Non era minimamente dispiaciuta per l'accaduto, e questo fatto si impegnò a nasconderlo anche a se stessa, seppellendolo sotto una valanga di altre domande e pensieri. Quando finalmente di Enrique non rimase altro che cenere ed eco del ricordo di un fastidioso rumore, l'uomo si voltò verso Yulis. Lei balzò immediatamente in piedi, mettendosi in guardia: di fronte a quel comportamento diffidente, l'altro non poté fare a meno di piegare le labbra in un sorriso divertito.
- Non ti hanno insegnato a dire "grazie"? -
Yulis affilò lo sguardo e lo osservò inspirare una nuova boccata di fumo.
- Non mi pare proprio che tu mi abbia ringraziata, per quella pallottola che ti ho evitato. - strinse maggiormente i pugni e si avvicinò di un passo, senza abbassare la guardia. - Ma se davvero ci tieni, possiamo dire che adesso siamo pari. -
- Adesso è così che si dice? - una risata bassa e roca si unì al crepitare delle fiamme e l'uomo fece cadere un po' di cenere a terra. - Come fa una come te ad essere pari con uno come me? -
L'eroina alzò un sopracciglio e lui fece un paio di passi nella sua direzione. - Lavori per Bubblegum? -
Lui sorrise, stranamente divertito da quel cambio repentino di argomento. - Cosa te lo fa credere? -
Yulis si strinse nelle spalle, sbattendo le ciglia con fare fintamente ingenuo. - Forse, il fatto che prima hai partecipato all'asta di Twizzler per capire se effettivamente si facesse aria con i soldi ottenuti alle spalle di Bubblegum, e il fatto che poi hai pensato bene di gironzolare per la centrale di polizia, per farlo spaventare a morte e magari chiudere il cerchio. -
- "Chiudere il cerchio". - diede l'ultimo tiro alla sigaretta senza mai staccare gli occhi dai suoi, poi gettò il mozzicone a terra. - Per essere qualcuno che ha appena assistito ad una scena del genere, le tue sono accuse piuttosto forti. -
- Non ho paura di te. -
Yulis si morse la lingua, un attimo dopo aver terminato la frase.
C'era qualcosa che la spingeva a rispondere a tono e che la incitava a sostenere quello sguardo.
Forse, l'eccitazione di poter finalmente associare un volto a quella che era stata una vera e propria incognita per giorni la rendeva così irriverente e spavalda.
O forse, il fumo e i gas sprigionati da alcuni dei materiali sintetici le avevano già fritto il cervello.
Perché quello, di certo, non era un tipo con cui scherzare: lo aveva visto con i suoi stessi occhi, e lui glielo aveva appena ricordato.
Uno strano dondolio dal soffitto attirò l'attenzione di Yulis: l'intricato lampadario a sospensione di alluminio che pendeva esattamente sopra al Lupo era ormai letteralmente ridotto ad una traballante e instabile torcia incandescente. Ancor prima di rendersene conto in maniera razionale, Yulis si era già tuffata nella sua direzione per toglierlo dalla traiettoria di caduta. Finirono entrambi a terra e, esattamente come quella sera al Maple, lei si allungò su di lui nel tentativo di proteggerlo e fargli da scudo con il proprio corpo. Una volta assicuratasi di aver scampato il pericolo, spostò il volto ad altezza del suo, finendo occhi negli occhi: quel blu così scuro era magnetico e avvolgente, ma allo stesso tempo risultava essere simile ad una scarica elettrica in grado di saettare per tutte le sue terminazioni nervose.
- Quindi, il tuo è proprio un vizio... -
Yulis lo ignorò. Fece scivolare lo sguardo verso il basso, cercando di memorizzare quanti più particolari possibili: la dimensione del naso, la forma delle labbra tirate in quel sorriso sghembo e divertito, il mento più pronunciato, l'accenno di barba sulle guance. Quando gli occhi ispezionarono la base del collo, aggrottò la fronte e sbatté le palpebre un paio di volte: lì, c'era una piccola porzione di pelle di colore rossastro, molto più spessa rispetto al resto dell'epidermide. Sembrava essere l'estremo di una cicatrice, o di una bruciatura, che probabilmente continuava sotto il colletto della maglietta. Senza abbandonare quell'espressione incuriosita e corrucciata allo stesso tempo, Yulis la sfiorò con la punta dell'indice, spostando leggermente il tessuto della t-shirt verso il basso mentre si faceva strada.
- Hey. -
Solo quando la voce del Lupo fece breccia tra i suoi pensieri si rese conto di quanto sfacciata e incosciente fosse stata: quasi come se si fosse appena scottata, spostò la mano e scosse forte la testa, mormorando dentro di sé una serie di scuse impacciate, ma soprattutto ridicole. Lui approfittò subito di quel momento di confusione: le agguantò i polsi con una mano sola e con un colpo di reni ribaltò le posizioni, bloccandola sotto di sé. Fece in modo di farle alzare le braccia oltre la testa e le immobilizzò le gambe tra le proprie ginocchia.
- Capisco che ti piaccia stare sopra, ma è anche giusto fare a cambio, ogni tanto. -
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