4.
La mamma è in cucina, indaffarata ai fornelli. Nell'aria aleggia un profumo meraviglioso, tanto meraviglioso che i miei occhi si inumidiscono di lacrime di gioia.
-É...
La mamma si volta al suono della mia voce e mi rivolge un mezzo sorriso, annuendo. Le cose, fra noi due, stanno così. Non è che non siamo unite. È che il nostro non è esattamente il rapporto che dovrebbe esserci fra una madre e una figlia.
-Sedetevi- dice con la sua solita voce neutrale. Mia sorella Lily mi stringe la mano, guidandomi verso il tavolo. Come sempre, ci sediamo l'una accanto all'altra. Lily si mette le mani sulle ginocchia e inizia a tamburellare con i piedi sul pavimento, come fa sempre quando è eccitata. Mi scappa un sorriso, e le accarezzo una guancia.
La mamma mette in tavola una enorme pentola da cui fuoriesce una gran quantità di vapore e, nello stesso istante, la porta si spalanca e mio padre entra nella stanza.
È un uomo alto, muscoloso, dalla carnagione olivastra, e un paio di occhi talmente azzurri che ci si potrebbe annegare se li si fissasse troppo a lungo. Ci sorride.
-Ho sentito l'odore dalla strada- esordisce, togliendosi dalle spalle la sacca con gli abiti sporchi da lavoro e appoggiandola sul pavimento. Mio padre è un maniscalco, il migliore del paese a detta della gente, e la maggior parte delle volte capita che si cambi d'abito alla fucina. Mia madre lava i panni sporchi ogni giorno, giù al fiume, perché non abbiamo acqua corrente in casa.
La sedia stride contro le lastre del pavimento, mentre papà si siede accanto a mamma, davanti a me e Lily, e si sfrega le mani l'una contro l'altra. Non riesco a fare a meno di sorridere. Non capita tutti i giorni di mangiare uno stufato così. La nostra dieta di solito consiste in patate bollite e pomodori, frutta e verdura, e uova. Insomma, quello che coltiviamo personalmente. Ma stamattina la madre di Hunter, il mio migliore amico, ha portato una grossa cesta con pezzi di montone che ha cacciato suo marito, e ce li ha regalati.
Gli occhi di Lily si illuminano mentre cominciamo a mangiare. Lei aspetta sempre un po' prima di mandare giù il primo boccone. Di solito guarda papà, e quando lo vede felice e sorridente, allora capisce che il cibo è proprio buono e vale la pena mangiarlo. Anche stavolta gli sorride, ma lui non se ne accorge.
Io impugno il cucchiaio e le accarezzo con l'altra mano le dita, sotto il tavolo.
Lei mi restituisce la carezza, dolcemente.
-Ti piace, papà?- gli domanda quando il secondo cucchiaio sparisce nella sua bocca. Papà emette un mugolio di apprezzamento, continuando a mangiare sotto lo sguardo attento della mamma.
Dopo pranzo, aiuto a sparecchiare, e mentre Lily si stende sul divano e si addormenta, io me ne esco fuori. Papà raccoglie la sacca dal pavimento e mi segue nel cortile. L'aria è fresca e il cielo è limpido, sgombro di nuvole. Adoro questo momento. È un po' una specie di rituale. Tutti i giorni, dopo pranzo, me ne esco fuori e chiudo gli occhi. Mi piace assaporare la sensazione del vento sul volto, della terra sotto i piedi. Immagino che il cielo abbia un paio di occhi e mi guardi, uno di quegli sguardi innocenti, senza alcuna malizia. Lo sguardo raro di qualcosa che non ha bisogno di giudicare qualcos'altro.
Mio padre si ferma un istante sulla soglia di casa, ad osservare il paesaggio. In questo, come in poche altre cose, siamo simili.
-Ci vediamo per cena, Eve.-
La sua voce percorre l'aria, calda e leggera, inducendomi ad aprire gli occhi. Quando mi oltrepassa per uscire dal recinto decido di accompagnarlo.
-Sicura che non ti stancherai?- mi chiede, richiudendo il cancelletto dietro di noi.
Scuoto la testa.
-Sarà un'opportunità per passare un po' di tempo insieme. E poi sai che mi piace vederti lavorare.-
Lui si sistema la borsa sulle spalle. Non sono così sicura che gli faccia piacere che lo assista durante il suo lavoro, ma mi serve un pretesto per allontanarmi da casa, dove l'atmosfera è diventata troppo pesante.
Il sentiero che porta alla fucina di papà è un po' ripido e crepato in alcuni punti, e di tanto in tanto incontriamo delle buche.
Dalla postura della sua schiena, leggermente ingobbita, deduco che deve essere molto stanco. Non che la cosa mi sorprenda. Lavorare quindici ore al giorno, chiusi in una piccola fucina a forgiare il ferro, non gioverebbe alla salute di nessuno.
-Ti senti bene?- gli chiedo, senza riuscire ad impedire che la mia voce trasudi preoccupazione. Detesto quando papà sta male. Mi colpisce una strana sensazione, come una mano artigliata che mi afferra il cuore e lo stringe con violenza.
Mio padre è dotato di una corporatura abbastanza massiccia ma, di tanto in tanto nel corso dell'anno, capita che abbia dei mancamenti causati dal troppo lavoro.
-Sta tranquilla, tesoro. Sto bene.- cerca di tranquillizzarmi con un mezzo sorriso.
Ma non sono stupida. Lo capisco immediatamente dal suo sguardo, che non sta bene, che mi sta mentendo per non farmi preoccupare. Potrei ribattere adesso, ma decido di tenere la bocca chiusa. È sempre meglio non ribattere, con mio padre, nonostante sia a mio avviso la persona più pacifica del mondo.
-Hai molti clienti ultimamente?- butto lì, tentando il più possibile di moderare il tono di voce e farlo sembrare tranquillo. Non mi piace che mi menta, ma non posso farci nulla.
-I soliti.-
Si stringe nelle spalle, mentre attraversiamo l'ultimo tratto di sentiero.
-Siamo arrivati.
Vorrei dirgli " lo so che siamo arrivati. Fai questo lavoro da una vita, ci sono già stata qui." Ma trattengo anche quelle parole.
La situazione non è cambiata, dall'ultima volta che sono stata qui.
Il pavimento è cosparso di polvere, cenere e schegge di pietra. Sul banco da lavoro ci sono gli attrezzi di mio padre e nel focolare gli stessi pezzi di carbone che ho già visto altre volte, negli ultimi anni.
Il tenue lezzo di fumo mi invade le narici, costringendomi a sfregarmele con le dita.
-Non sei costretta a stare qui, Eve - dice papà, depositando la borsa a terra. -non è posto per una ragazza della tua età.-
-Sto bene- replico, guardandomi intorno. So che tra un po' inizieranno ad arrivare i primi clienti, perciò mi siedo nell'angolo e osservo mio padre mentre riscalda le pietre focaie per accendere il fuoco.
Resisto a tutto.
Alla puzza, al senso di oppressione che la claustrofobia mi provoca, ai suoi silenzi, resisto perché è mio padre e voglio stargli accanto. Non mi importa se non mi vuole qui. Resisto perché devo.
L'episodio mi torna in mente travolgente, mentre cammino per dirigermi all'incontro con Hunter. Oggi devo imparare a cacciare.
Non ho idea del motivo per cui ho ripensato a quel giorno, a quando sono rimasta nella fucina di papà per tutto il pomeriggio a guardarlo lavorare, a guardarlo sudare, a guardarlo star male. Non ho idea del perché mi sia tornata in mente la mamma. Come un macigno, percepisco il peso delle lacrime negli occhi. Ma mi costringo a scacciarle. Piangere non è quello che lei avrebbe voluto.
Hunter è già pronto, all'ombra degli alberi. Lo raggiungo, calpestando le foglie bruciate compatte nella terra.
-Sei arrivata- sussurra con voce rauca.
Annuisco, sollevando il mento.
-Cominciamo.
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