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1.

Belfast, quattro anni prima.

Non ho mai creduto che l'erba potesse regalare tutta questa sensazione di benessere. Voglio dire, sono più o meno millecinquecento volte che mi addormento su un prato in tutta la mia vita, ma oggi quest'erba ha qualcosa di speciale: è soffice e profumata. Sembra quasi un materasso, di quelli ad acqua che c'erano un tempo, quelli in cui potevi immergerti completamente dandoti la sensazione di trovarti effettivamente dentro il mare o l'oceano. Naturalmente quelli, come molte altre cose, sono off-limits ormai. Colpa della guerra, immagino. Non che ci voglia molta immaginazione, in fondo. 

Fino al giorno prima dell'attacco degli inglesi, Belfast era la cittadina più bella dell'intera Irlanda. Almeno per come la penso io. Ho sempre amato questa città, con il suo clima umido e imprevedibile e i suoi territori erbosi. Mi piaceva assaporare la sensazione che le nuvole e la pioggia mi procuravano. Mi piaceva ascoltare lo sciabordio delle onde dell'Oceano e, cosa più importante, mi piaceva ascoltare il vento. Di vento ne abbiamo tuttora parecchio. Solo che è un vento diverso, consumato da un mese intero di lotte. Quando gli inglesi se ne sono andati, circa un paio di settimane fa, c'è voluto un po' perché ritornasse la normalità. La maggior parte delle abitazioni è stata distrutta, completamente rasa al suolo. Scuole ed edifici pubblici, bruciati. Gli animali e gran parte delle donne sono state portate via. Tra di loro, c'è anche mia madre. Credo di aver pianto una notte intera, durante la quale le mie lacrime sono state accompagnate da quelle di mia sorella, Lily. Mio padre se ne è rimasto con la testa appoggiata contro lo stipite della porta e un pugno chiuso intorno alla maniglia. E io ho visto, per la prima volta in tanti anni, la sofferenza scavare il suo viso. Eppure non ho detto niente, non ho potuto dire niente. Ho sentito un groppo enorme chiudermi la gola e le parole non sono uscite piú. Mia sorella ha continuato a piangere per i due giorni seguenti, poi è finalmente uscita dalla sua camera e mi ha abbracciata come se anche io sarei stata costretta ad andarmene, l'indomani. Solo che mia madre non è stata costretta; l'hanno trascinata via e basta. Come altre donne. La sua unica colpa è stata quella di essersi trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato. Non possiamo fare più niente per riportarla indietro. Papà dice che dovrò essere io a prendermi cura di Lily, d'ora in poi.

L'unica cosa di cui sono certa è che non ce la farò. Non sono pronta. La mamma se n'è andata troppo presto. Avevo ancora tanto da imparare.

Sollevo le palpebre, lentamente. Come sempre, l'unica cosa che vedo sono le nuvole. Grigie, di fronte a un cielo plumbeo. So che appena tornerò a casa mio padre mi urlerà contro e mi sbatterà nella mia camera senza cena, ma non me ne importa. Forse non ne avrà la forza. Non dovrei stare fuori a quest'ora della sera con quello che è successo appena due settimane fa. Ma la sensazione dei fili d'erba che mi avvolgono il corpo, il cielo meravigliosamente cupo che mi accompagna durante queste sere e il vento che mi sferza il viso sono la cosa più bella del mondo, in questo momento. Eppure, guardando l'orologio che segna le dieci e venti, penso sia davvero ora di andare. Mi sollevo con un gemito, scrollandomi di dosso i residui di erba e di terra e mi soffermo un po' a guardare il cielo. Non troppo, però. Due minuti dopo raccolgo il mio zaino e me lo getto in spalla, avviandomi verso casa. Mentre cammino, sfrecciano davanti a me i residui di quello che resta della mia città, le fondamenta mezze carbonizzate delle case, le stalle distrutte, ancora decine di corpi da raccogliere. Scorgo anche il mezzo profilo della mia ormai inutilizzabile scuola. La tristezza mi assale di nuovo; in quella scuola ho fatto gli incontri che hanno rivoluzionato la mia vita per sempre. Il mio migliore amico, ad esempio. Hunter. Incontrato due anni fa, il primo giorno di scuola. Hunter è un po' il mio fratello maggiore, anche se ha solo qualche mese più di me. Parlare di fratelli però mi fa male. Oltre a Lily, una volta avevo un fratello. Un fratello vero, intendo. Tutto ciò che abbiamo, però, è un legame di sangue. Nient'altro. Io non l'ho mai considerato un fratello come lui non deve aver mai considerato sorelle me o Lily. I miei genitori lo costrinsero a perseguire la carriera di militare cinque anni fa, all'età di quindici anni, perché la povertà stava spazzando via ogni cosa e decimava centinaia di famiglie in ogni città. Così, quando nacque Lily, mia madre e mio padre presero una decisione che, per quanto drastica, secondo loro pur sempre necessaria: mandare via Michael dalla nostra casa avrebbe ridotto le spese per il suo mantenimento e loro avrebbero avuto più tempo e denaro da investire per Lily. Michael accettò la cosa con amarezza, decretando che mai più sarebbe tornato a Belfast e che ripudiava entrambi come genitori. Di me e Lily non disse nulla. Nessuno lo ha più rivisto da quando é partito. Probabilmente è meglio così.

Scrollo la testa e continuo a camminare, stando attenta a non inciampare nei detriti. L'aria é umida e mi percorre la spina dorsale facendomi barcollare. Poi noto il profilo della mia casa, o meglio, tre quarti del profilo della mia casa. La parete laterale é stata bruciata e quindi c'è solo un enorme foro dagli indefiniti contorni neri ad occuparne l'intera superficie. Abbiamo dovuto affiggere un lungo telo grigio a mo' di tenda, per coprire il danno. Il tetto é ancora intatto, per fortuna. Poche altre case sono nella stessa situazione. Dobbiamo in un certo senso sentirci fortunati che ci sia rimasto almeno qualcosa. La casa di Hunter, per esempio, é stata completamente distrutta. Da cima a fondo. E i suoi genitori sono spariti, quindi mio padre ha avuto l'idea di farlo venire a stare da noi, cosa che non ha fatto altro che accrescere la mia stima per lui.

Quando mi avvicino all'entrata di casa, la tenda si sposta di lato per lasciar passare mio padre. É un uomo non troppo alto, muscoloso -il lavoro del maniscalco deve per forza averlo reso così forte- e dagli occhi azzurri come i miei. Ha l'aria stanca, incredibilmente abbattuta, e questo mi demoralizza. Lui é sempre stato la mia roccia, il mio punto di riferimento. Sapere che non ha più neanche la forza di reggersi in piedi é un colpo forte.

«Papà» sussurro quando lui mi passa accanto senza guardarmi. «Mi dispiace di aver fatto tardi, stavo solo...

«La cena é sul tavolo, Evannah», mi interrompe lui, senza voltarsi. «Buon appetito.»
Evannah. É una settimana che mi chiama così. Ho sempre pensato che essere chiamati con il proprio nome di battesimo significhi guai. Ma dal suo tono di voce capisco che è qualcosa di completamente diverso.
Per mio padre, adesso, significa sconfitta. Totale. Hanno abbattuto ogni sua difesa nel momento in cui le navi inglesi sono salpate, portandosi via mia madre. Credo sia stata l'unica donna che abbia mai amato. Una lacrima mi scorre lungo la guancia mentre lo guardo allontanarsi con la schiena ingobbita, scossa dai singulti. Veder piangere un uomo, a prescindere dal fatto che sia mio padre, é una vera sofferenza. Ma so che non posso fare niente per cambiare le cose.
Ovunque tu sia, mamma, ti supplico. Proteggilo.
Spero che la mamma senta la mia preghiera, ovunque sia finita.
Per alcuni secondi è come se non riuscissi a muovermi dal punto in cui mi sono fermata. Prendo un respiro profondo, cerco di sgombrare la mente, di non pensare al passato. Ce la faremo. Non ne sono così convinta ma una speranza fasulla è sempre meglio di niente. 

Perciò mi asciugo le lacrime e scosto la tenda per entrare in quello che resta della mia casa.

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