Prologo - Come ci riesce?
C'era un'astronave itinerante delle dimensioni di uno stadio, all'interno della quale tutti i suoi ammiratori dovevano entrare almeno una volta nella vita, e non solo.
Anche quella sera, la sala concerti presenti all'interno dell'astronave era completamente piena e, come al solito, era stato fatto il sold out nel giro di pochi secondi... del resto, chi avrebbe voluto perdere l'occasione di vederla e di far sparire solo per due ore della propria vita tutte le proprie preoccupazioni?
Se si doveva cercare un perfetto esempio di fonte di intrattenimento, si pensava subito a quella graentiana di ventisei anni che con un semplice sorriso ed uno sguardo riusciva a contagiare anche chi non riusciva a trovare il bene nella propria vita.
«Please, oh, just let me be! ですよ!» intonò una voce femminile, che tutti riuscirono a riconoscere al primo colpo, e poi si misero ad urlare il suo nome all'unisono, acclamandola ed invitandola a salire sul palco.
Per loro sfortuna, però, da sotto il palco si levarono delle piattaforme circolari lilla dove si trovarono i musicisti: il batterista, un umano con i capelli neri e la pelle pallida; una bassista terrestre con i capelli castani lunghi fino alle spalle molto alta; la chitarrista, una xyan con lunghi capelli viola e gli occhiali, e il tastierista dall'aspetto fisico androgino ma che si avvicinava molto a quello tipicamente maschile.
Attaccò la bassista, con un glissato che andava dal dodicesimo tasto della terza corda verso il primo, e a lei si aggiunse la chitarrista attaccando con il suo giro. La seguì il batterista e per ultimo arrivò il tastierista, muovendo rapidamente le dita sui tasti dello strumento.
E poi, in mezzo a loro, si innalzò una colonna di metallo grigia su cui vennero puntati immediatamente i riflettori, che resero visibile una figura alta circa due metri che sembrava appartenere ad una donna dai capelli lunghi.
«Hey!» esclamò, e la folla iniziò ad acclamarla, ad applaudire e a muovere a tempo i loro lighstick illuminati del colore dei capelli della donna, dando il via ad una coreografia ben strutturata che sembrava essere stata preparata da molto tempo.
La canzone continuò: più andava avanti, più i musicisti suonavano, carichi e decisi, più le urla del pubblico e i loro commenti di incitazione verso la cantante, che si spingeva sempre al limite delle sue capacità pur di soddisfare tutto il suo pubblico.
Quando la canzone finì, venne giù il pubblico: applausi, urla, striscioni, fiori, parolacce, emozioni, spintoni, qualcuno che a momenti si buttava giù dalle file più in alto, complimenti, incitazioni, lighstick lanciati in aria... sì, come al solito volava qualche sedia da un capo all'altro della stanza, ma nulla di che.
E dire che era tutto merito dei musicisti, se gli show della donna riuscivano così bene ed erano così... non contava tanto la sua voce, il suo sorriso, il suo comportamento e il suo modo di fare nella performance quanto il lavoro di quei quattro.
Ma nessuno lo notava, e a loro andava bene così.
Una voce interruppe il caos.
«S-scusami...» balbettò una ragazzina in mezzo alla folla.
Aveva le trecce castane lunghe fino alle spalle, indossava degli occhiali con la montatura circolare e le lenti in frantumi, indossava una vestaglia consumata e piena di toppe e calzava un paio di scarponi marroni e sporchi.
La idol capì immediatamente che quella bambina era una dei reduci della Dodicesima Guerra Universale, appena terminata, e il fatto che non avesse accompagnatori rendeva evidente che i suoi genitori erano morti.
Decise di non chiederle come fosse riuscita a superare i buttafuori e la accolse a braccia aperte, come faceva con tutti.
«Funziona ancora?» disse, toccando il microfono per verificare che fosse ancora acceso. «Oh, sì, eccolo che va. Dimmi, come ti chiami?»
«Koah» rispose la ragazzina.
«Sentito, ragazzi? Koah vuole che le suoniamo qualcosa» disse la cantante, attraversando lo sguardo i suoi musicisti in senso antiorario, e poi ritornò a guardare la ragazzina con gli occhiali.
A quel movimento, un riflettore andò a illuminare la ragazza, che arrossì un po'.
«Sai... mi piacerebbe sentirti cantare Pace Rebirth 01... la Guerra è appena finita, e tutte le persone a cui tenevo sono morte durante i raid con le astronavi. Sono l'unica sopravvissuta del casato del casato di Nyr. E adorerei sentire quella canzone non solo per loro, ma anche per tutti gli innocenti che sono morti a causa... loro.»
La stella di punta del gruppo sorrise in modo triste e sembrò non fare caso al tastierista che si era irrigidito, perché anche lui aveva perso molte persone a cui teneva durante la guerra, tra cui la persona che più amava al mondo e la sua famiglia immediata.
«Che dite, ragazzi? Gliela facciamo?» chiese.
Il batterista rispose iniziando a picchiare sul ride con le bacchette, e subito si accodarono anche gli altri tre, per essere raggiunti e immediatamente messi in secondo piano da quella ragazza per cui il pubblico si trovava lì.
Ragazza... be', aveva ventisei anni.
Pace Rebirth 01 era più o meno il suo cavallo di battaglia: contenuto nell'album Externalized - perché sempre i titoli in inglese, quando era una lingua morta?! - ed era stata composta da lei, in completa autonomia: era un pezzo indie rock, che parlava di come un gruppo di persone protestassero contro il genocidio delle genti di Saturno nell'Undicesima Guerra Universale e illuminassero quella stanza buia che era diventato l'Universo.
La canzone terminò con un "Abbiamo capito, ora, vero?", o con una frase che si sarebbe potuta tradurre così e di nuovo il pubblico tornò ad applaudire.
...
«Questa cosa non è possibile!» protestò la bassista, mentre prendeva un bicchiere d'acqua e del cibo che erano stati lasciati dietro le quinte, per poi iniziare a divorarli voracemente.
«Cosa non è possibile?» le chiese la chitarrista, seduta di fianco a lei.
«Non è possibile che quella lì si prenda tutto il merito quando siamo noi che teniamo in piedi la canzone! Tra l'altro veniamo pagati meno di lei!» si lamentò.
«Così gira lo showbiz, purtroppo. I meriti non vengono mai riconosciuti correttamente» spiegò il tastierista.
«E a me non gira come gira lo showbiz! Non è giusto, è semplicemente...» proseguì la bassista, ma venne interrotta dal tastierista.
«Axye, va bene, però... ma guardala! Scappa di nuovo!» si intromise il batterista, Nov, quando vide che la idol dai capelli lilla abbandonava l'astronave subito dopo che il concerto era finito per sparire chissà dove.
«A 'sto punto picchiala con le bacchette» scherzò la bassista.
«Quella lì non me la racconta giusta» commentò la ragazza dai capelli viola, Zu Lee.
«Appunto! Ogni volta corre via e ci lascia da soli! Dite che sia parte di un bordello o qualcosa del genere?» chiese ancora Axye.
«Ma quale bordello e bordello! Secondo me ha un'amante e si incontrano in segreto dopo i concerti! Mi pare proprio una... si può dire donnaiola?» ipotizzò la donna dai capelli viola.
«Ma quale bordello e quale donnaiola! Suvvia, smettetela, piuttosto... facciamo qualcos'altro e non pensiamo alle ingiustizie dello showbiz!» li interruppe Nov.
«Giusto! Dunque, che dite se tiro fuori la tavola Ouija?» suggerì Axye.
Tutti i membri del gruppo annuirono e dimenticarono per un attimo la idol aliena per cui si struggevano tanto.
...
"Loro? Chiedersi che fine faccio dopo i concerti? Naah, non credo che idee del genere potrebbero venire a quei quattro idioti" pensò, mentre, di nascosto, si addentrava nel quartier generale quasi mai vuoto di un'organizzazione che di suo lo era.
Non c'era bisogno che il suo apparecchio acustico, prodotto nientemeno che direttamente nei laboratori della gente per cui lavorava, le ricordasse che doveva recarsi nuovamente lì: ormai ci aveva preso l'abitudine e rieccola anche quella volta, puntuale come sempre, nella stanza dei suoi datori di lavoro.
«Ragazza, abbiamo del lavoro da fare anche stavolta... sai che il destino dell'Universo e dell'equilibrio che lo domina è tutto nelle tue mani. Vedi di svolgere il tuo compito al meglio» le disse uno dei due.
«Non vi preoccupate, ormai io faccio le mie cose in automatico, senza pensarci» rispose, sorridendo in modo naturale.
Era quello il brutto di lei: poteva apparire arrogante con tutta la sua sicurezza e la sua decisione, ma in realtà non si accorgeva nemmeno di essere fatta così, era qualcosa di involontario e lo si capiva dal fatto che sorridesse così ogni volta che saltava fuori quella sua personalità.
Le venne spiegata molto rapidamente la sua missione e soprattutto la persona che avrebbe dovuto infilzare quella volta, con l'aiuto dei suoi stiletti, oppure abbattere a suon di pistola ionica e annuì non appena tutto l'elenco di incarichi terminò.
«Capito, perfetto. Ci si vede in giro» disse, prima di correre fuori dalla stanza con un sorriso.
Le ultime cose che i due riuscirono ad udire furono i tacchi dei suoi stivali che si allontanavano in direzione dell'uscita, e poi più nulla: spariva con la stessa rapidità con cui arrivava.
...
Non c'era niente di meglio, per lei, del sapore della vendetta, di trattare gli altri come avevano fatto con la persona che lei aveva amato e perso.
Anche l'uomo, conosciuto dalla Void per gli organi venduti al mercato nero, era sdraiato a letto e dormiva con espressione beata, proprio come lei, una volta.
E gli sarebbe toccata la stessa fine.
La donna incappucciata - nonostante ciò, le ciocche lilla si vedevano ancora - entrò di soppiatto della stanza.
Sorrideva, al pensiero di vendicarsi un'altra volta.
Sorrideva di fronte alla conferma che non avrebbe più potuto provare amore in alcun modo.
Estrasse la pistola dallo stivale, come al solito dal sinistro, e gliela puntò contro.
L'espressione sadica che aveva stampato in viso fino a poco prima scomparve del tutto, lasciando spazio ad uno sguardo freddo e calcolatore.
Alzò l'arma e spostò rapidamente lo sguardo da un capo all'altro della stanza.
Bam!
Bam!
Bam!
Così, fino a quando sul muro contro il quale era appoggiata la testiera del letto non comparve un cuore tracciato con i segni lasciati dai proiettili.
L'uomo non fece a tempo ad urlare dal terrore, perché...
Bam!
Andato, l'ennesimo morto a causa di una donna dai capelli lilla che nessuno avrebbe mai riconosciuto.
Sentì che un sorriso si formava sulle sue labbra sottili, e che queste si erano spostate in modo da scoprire i denti.
Non c'era cosa migliore, per lei, del sapore della vendetta, e non ne aveva mai abbastanza di avvertirlo.
Osservò il corpo del morto e ricordò il file con i suoi dati che le avevano presentato il giorno prima.
Un trafficante di armi nucleari prossime all'utilizzo nelle Guerre Universali, con un passato da politico corrotto e ex dipendente da gioco d'azzardo.
Pansessuale trigender (he/she/they).
Il suo nome è...
Si interruppe: un rumore proveniente dal corridoio che conduceva alla camera l'aveva distratta.
Appena capì che cosa l'aveva generato, si affrettò a spalancare la finestra e a saltare giù, per poi atterrare in piedi davanti alla porta d'ingresso.
Nel mentre che scappava, riuscì a sentire le voci del personale che lavorava nella villa dell'uomo chiamarlo o andare nel panico per i colpi di pistola che avevano sentito.
Aar pensò: "Ho svolto il mio lavoro come si deve" e corse via, sorridendo in modo quasi inquietante, diretta alla sua astronave parcheggiata nei dintorni.
Si infilò sotto le coperte, chiuse gli occhi e quello le bastò per addormentarsi.
Neanche quella notte i suoi sogni furono tranquilli.
Lei era tornata, come ogni notte, ed anche quella volta aveva trascinato con sé le urla, il sangue e le lacrime, come un peso di cui non riusciva a liberarsi.
Aar tremava.
Anche lei aveva bisogno di essere salvata, ma nessuno era disposto a farlo.
La verità?
Aveva paura.
Spazio autrice
Ciao a tuttx e benvenutx nel prologo di Two-Faced Lie, la mia prima storia originale su Wattpad.
Fun fact: è stato pubblicato un anno dopo la conclusione della storia.
Vi è piaciuto?
Ci stava?
Prime impressioni?
Fatemi sapere tutto, gli spam di commenti sono sempre ben accetti!
Ci leggiamo al prossimo capitolo, adesso, buona continuazione!
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