Voci del Silenzio - #4
ATTENZIONE!
In questo capitolo (alquanto lunghetto), saranno presenti contenuti violentemente espliciti, presente è anche il ricorso a linguaggio scurrile.
Nathan è lì, appoggiato con nonchalance contro il muro, il suo sorriso beffardo che non è cambiato. Indossa un abito scuro impeccabile, la cravatta leggermente allentata come se fosse appena uscito da una riunione importante o da una serata di dissolutezze. I suoi occhi mi fissano con quella stessa intensità predatoria che mi ha perseguitata per anni.
"Non mi saluti nemmeno?" continua lui, il tono della sua voce è di una falsa cordialità, un sottile velo che copre il disprezzo e la minaccia.
Mi costringo a mantenere la calma, respirando lentamente mentre cerco di comporre il mio viso in un'espressione neutra. "Nathan," rispondo, la mia voce più fredda e ferma di quanto mi senta in realtà. "Non mi aspettavo di vederti qui."
Lui si stacca dal muro e si avvicina lentamente, con una calma che sa essere minacciosa. Ogni passo che fa verso di me sembra amplificare la mia tensione, risvegliando ricordi che preferirei dimenticare. "Oh, sai com'è, Adeline. Gli eventi di alta società sono il mio pane quotidiano. E tu sei sempre una visione piacevole." Il suo complimento velenoso mi fa rabbrividire. Sento il bisogno di allontanarmi, di mettere distanza tra noi, ma mi costringo a rimanere ferma. "Sei qui da solo?" chiedo, cercando di mantenere la conversazione sul terreno più sicuro possibile.
Lui sorride, un sorriso che non raggiunge mai i suoi occhi. "Non preoccuparti, non sono qui per rovinarti la serata. Anche se," aggiunge, abbassando la voce e avvicinandosi ancora di più, "non posso fare a meno di chiedermi se ti manco."
Le sue parole mi colpiscono come un pugno. Ricordo troppo bene i momenti di terrore, la sensazione di impotenza che mi ha fatto sentire così piccola e vulnerabile. "Non mi manchi per niente, Nathan," dico con un tono glaciale. "Ora, se vuoi scusarmi, ho bisogno di tornare all'evento."
Faccio per girarmi, ma lui allunga una mano e mi prende per il polso, non troppo forte, ma abbastanza da farmi ricordare quanto facilmente potrebbe stringere. "Di già? Hai da fare con tuo marito, adesso?," dice, quasi prendendomi in giro. "Dobbiamo ancora parlare."
Il contatto mi fa irrigidire, ma mi rifiuto di mostrare paura. "Non ce n'è bisogno, Nathan. E, Aaron non è mio marito, non ancora." dico, il mio tono pieno di una calma pericolosa. "Non hai alcun diritto di toccarmi, e ti consiglio di togliere quella mano da lì, per il bene di entrambi".
Nathan non si muove, il suo sguardo si fa più intenso. "Davvero, Adeline? Pensi che quell'uomo possa cancellare tutto ciò che abbiamo passato insieme?" La sua voce è carica di una velenosa dolcezza che mi fa rabbrividire.
"Sì, lo penso," rispondo con fermezza, cercando di liberare il polso dalla sua stretta. "Grazie per il ballo, molto divertente. Adesso evapora. "
Nathan ride, un suono amaro e privo di allegria. "Oh, Adeline. Nessuno può scappare dal proprio passato, ma è inutile che io te lo dica, no?."
La sua presa si fa leggermente più stretta, e io avverto una paura crescente che fatico a mascherare. "Nathan, lasciami andare," dico, la mia voce tremante nonostante il mio sforzo di mantenere la calma. "Non hai alcun diritto di essere qui, di toccarmi. Lasciami andare subito."
Lui si avvicina ancora di più, il suo alito caldo e sgradevole contro la mia pelle. "Sai una cosa? Mi manchi, Adeline. Mi mancano i nostri momenti insieme."
Cerco di tenere a freno la rabbia che mi sta montando dentro a quelle parole. "Momenti insieme?" dico, con sarcasmo. "Tu intendi quei momenti in cui mi hai mentito, tradito, e soprattutto, violentato? Non sapevo fossi anche un attore."
Nathan sorride senza allegria, una risata amara che gli scivola tra le labbra. "Ti facevo del male?" Scoppia in una risata bassan e rauca, mentre scuote il capo, il suo tono amaro e cinico. "Sì, ti ho amato davvero, ma è chiaro che tu non capisci cosa voglia dire." A queste parole, Nathan si avvicina ancora di più a me, afferrandomi per il polso in una presa stretta.
Il suo tono è pieno di rabbia repressa, e la sua presa sul mio polso si fa più forte, facendomi trasalire per il dolore. "Non provare a usare il passato contro di me," mi sibila in faccia. "Non sai nulla di quello che ho provato per te, di quello che ho sacrificato per noi due." La sua voce è bassa e minacciosa, risuonando contro le pareti di marmo. Sento un brivido percorrermi lungo la schiena, la sua rabbia palpabile nell'aria tra di noi. Cerco di rimanere calma, ma la sua presa sul mio polso è dolorosa e mi fa sentire vulnerabile. Cerco di mascherare la tensione alzando gli occhi al cielo, un tono privo di emozioni. "Fatto per noi due?" gli dico, cercando di trattenere il dolore nella mia voce. "Che cosa avresti sacrificato per noi? Non hai mai sacrificato nulla, non per me almeno."
Nathan stringe ancora di più la presa sul mio polso, facendomi trasalire ancora. Il suo viso è contorto dall'ira, gli occhi neri che spiccano sulle sue guance pallide. "Credi che sia stato facile per me? Che non abbia sofferto insieme a te?" ruggisce, le parole che colpiscono come pugni contro il mio petto. "Ho fatto tutto per noi due, tutto per tenerci insieme. E tu non hai capito niente, nemmeno adesso".
Nathan serra la mascella, la rabbia che gli incupisce gli occhi. Tiene ancora la mia mano stretta, le sue dita che si stringono attorno al mio polso come una morsa. "Ti ho amato anche allora," sibila, "ho fatto tutto ciò che ho fatto perché volevo essere con te, perché non potevo immaginare la vita senza di te. E ogni volta che ti ho fatto male ne ho sofferto tanto quanto te."
Sento un misto di emozioni dentro di me, confusione, rabbia...pietà. Le sue parole mi colpiscono come una pugnalata al cuore, ricordandomi tutti i momenti condivisi insieme, buoni e cattivi. "Non mi ami, Nathan," gli dico, scuotendo la testa. "Ami l'idea di quello che io potrei essere per te. Ami l'idea di possedermi e controllarmi."
Nathan mi si avvicina ancora di più, la sua ira palpabile nell'aria. "Ti sbagli," sbotta, la voce tremante per l'intensità delle sue emozioni. "Ti amo, e ogni scelta che ho fatto è stata per te." Poi allunga una mano e mi afferra brutalmente per le spalle, scuotendomi con violenza. In un attimo, sono completamente soggiogata dalla sua ira, il mio corpo che trema al contatto della sua mano. Cerco di liberarmi dalla sua stretta, ma è come essere intrappolata in una morsa d'acciaio.
"Nathan, smettila!" riesco a gridare, la paura che si mescola all'ira mentre cerco di divincolarmi dalla sua presa.
Nathan non mi ascolta, troppo preso dalla sua ira per avere riguardo per il mio smarrimento. Continua a scuotermi, la sua mano ancora stretta sulle mie spalle. Poi si avvicina ancora di più, il suo viso contorto dalla rabbia a pochi centimetri dal mio. "Ho fatto tutto per te," sibila, le parole come frustate che colpiscono contro il mio viso.
Sento una fitta di dolore elettrica nelle spalle per il suo scuotere, la paura che si fa sempre più intensa dentro di me. Cerco ancora di divincolarmi, ma è come lottare contro una roccia, immobile e inamovibile. "Nathan," sussurro, quasi senza fiato, "lasciami andare."
Nathan non sembra ascoltarmi, la sua ira troppo forte per essere controllata. Continua a scuotermi, la sua presa sempre più stretta. Poi, senza preavviso, mi spinge da una parte, facendomi sbattere contro la parete con violenza.
Sento il respiro bloccarsi per il dolore, la mia schiena che urta contro la parete fredda dietro di me. Il colpo è stato così violento da togliermi il fiato, lasciandomi lì appesa alla parete, senza un appiglio a cui aggrapparmi. Sento un dolore lancinante sulla schiena, come se centinaia di aghi mi pungessero la pelle. Cerco di respirare, ma il fiato mi manca, e sento le gambe come se avessero perso ogni forza. Le mie mani cercano invano di afferrare qualcosa, qualsiasi cosa per tenersi in equilibrio, ma l'unico contatto che trovo è con la parete liscia e fredda dietro di me.
Il dolore si estende lungo la schiena come una vampata di fuoco, lasciandomi senza fiato. Sento una nausea crescere allo stomaco, mentre cerco di resistere alla debolezza che si sta impossessando di me. Il pensiero di cadere a terra mi terrorizza, così immobile e senza niente a cui aggrapparmi. Sono sul punto di urlare, ma mi limito a mormorare, chiudendo gli occhi con la speranza di reprimere il dolore.
Nathan sorride, un sorriso carico di minaccia. "Non urlare, Adeline. Non vuoi fare una scena, vero? Non vorresti che il tuo futuro marito sapesse di noi..."
E proprio in quel momento, come se le mie preghiere fossero state esaudite, una voce autoritaria risuona nel corridoio. "C'è qualche problema qui?".
Aaron.
La sua voce risuona nel corridoio come un comandamento. Avanza verso di noi con passo deciso, la sua figura imponente e minacciosa.
Nathan si volta di scatto, la sua espressione passa da furiosa a sorpresa. Lo vedo esitare per un istante, ma poi un ghigno malizioso si dipinge sul suo volto. "Oh, guarda chi è qui," dice con un tono sprezzante. "Il futuro maritino." Le parole di Nathan mi riportano bruscamente alla realtà, e il mio cuore balza nel petto. "Aaron..." sussurro, la mia voce un filo di speranza nel caos circostante.
Ma Aaron non mi ascolta. Si avvicina a grandi passi, la sua presenza riempiendo lo spazio intorno a noi. "Non sporcarla ancora di più, sento la tua puzza da qui." Dice mentre avanza verso Nathan, fissandolo. La sua voce è fredda come il ghiaccio.
Nathan ride, un suono gutturale che mi fa rabbrividire. "Oh, credi di poter darmi ordini tu?" ribatte, la sua voce è piena di disprezzo.
Aaron inclina leggermente la testa in avanti, scrutando Nathan con uno sguardo penetrante. "Non ti ho dato un ordine," dice con voce calma, ma il tono è tagliente come una lama. "Ho espresso un desiderio. Un desiderio molto forte."
Le sue parole sono cariche di significato. Un brivido di timore sfiora il suo volto mentre Aaron si avvicina, la sua figura imponente quasi sovrasta l'uomo più piccolo.
"Non giocare con me, ragazzo," continua Aaron, la sua voce è un sibilo gelido. "Perché se continui a farlo, non sarò così gentile la prossima volta."
Nathan attua un passo in avanti, quasi in aria di sfida verso Aaron, ma non si lascia distrarre. Istantaneamente, come riflesso, si volta verso di me, il suo sguardo morbido per un istante. "Non mi hai mai detto di avere amichetti del genere, Adeline. Chie è questo schizofrenico?" dice con una calma glaciale, il suo tono carico di disprezzo.
Aaron, senza esitazione, si avvicina a Nathan, il suo sguardo freddo e determinato. "Non sporcarla ancora di più," dice con voce tagliente, il suo tono carico di autorità. "Se non hai nient'altro da dire, ti consiglio di andartene prima che io cambi idea sulla gentilezza."
La tensione nel corridoio è palpabile, come un fulmine pronto a squarciare il cielo. Ma Nathan, nonostante sembri contrariato, non reagisce. Si limita a lanciare un'ultima occhiata verso di me, alzando le mani in senso di arresa con un ghigno, prima di voltarsi e allontanarsi.
Respiro un sospiro di sollievo mentre lo vedo allontanarsi, ma so che questa non sarà l'ultima volta che dovrò affrontare il suo oscuro potere.
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Mentre Aaron si guarda intorno, nervoso, mi afferra per un braccio e comincia a tirarmi, in modo fermo ma gentile, verso l'uscita del corridoio. Si ferma un attimo, guardando dietro di sé per assicurarsi di non essere seguito da nessuno per poi girarsi verso di me, la sua voce bassa e vibrante di rabbia.
"Che diavolo è appena successo?" La sua domanda è più un'accusa che una vera domanda, il suo tono aspro e sgradevole. Lo guardo, ancora scossa dal confronto violento con Nathan. Sento la rabbia di Aaron addosso come una marea che minaccia di travolgermi. "È successo che sei arrivato appena in tempo," risponde, la sua voce tesa e secca.
"Appena in tempo?" esclama Aaron, la sua rabbia che aumenta ancora più in maniera improvvisa. "Stai scherzando? Stavo diventando pazzo tentando di trovarti dappertutto. E mentre ti cercavo, tu eri lì, quasi sul punto da essere picchiata da un cazzo di maniaco. Che cazzo ti è successo?"
Sussulto di fronte all'intensità dell'ira di Aaron, ma mi sforzo di tenere la calma. "Avevo bisogno di qualche minuto sola, è tutto qui," rispondo, tentando di mantenere un tono tranquillo nonostante il tumulto di emozioni che mi attanaglia dentro. "Non sapevo che uno schizofrenico aveva intenzione di assalirmi, non lo avrei immaginato, sai com'è".
"Quindi sei andata nel bel mezzo del nulla senza una minima idea del pericolo che potevi correre?" Per un momento, Aaron sembra sul punto di esplodere di rabbia. Poi però, si sforza visibilmente di controllare se stesso, stringendo le mani a pugno lungo i fianchi e prendendo un paio di profondi respiri per calmarsi. "Adeline, ti rendi conto che se fossi arrivato anche solo un secondo più tardi...non oso nemmeno immaginare cosa sarebbe potuto succedere?". Annuisco, consapevole della gravità della situazione. "Sì, mi rendo conto," dico con tutta la calma che mi rimane. Tuttavia, non posso fare a meno di provare una puntura di rabbia allo stesso tempo. "Non è stato un mio piano andare là e farmi aggredire. Sai, non era esattamente in cima alla mia lista delle cose da fare stasera...nella vita, in generale".
E' come se la mia frustrazione si mescolasse alla rabbia di Aaron, le sue parole come un ringhio sfuggito tra denti serrati. "Adeline, questa non è una fottuta battuta. Quello che è successo potrebbe non aver avuto conseguenze in questa occasione, ma e se ci fosse stata qualcun altro in quel corridoio? Potresti non esserne uscita viva".
A quell'affermazione, alzo gli occhi al cielo, come per dire che stesse esagerando. "Sì, sì. Ma grazie al cielo sei arrivato tu il mio Superman preferito," dice in tono derisorio, non riuscendo a smettere di rispondere in maniera ironica. "Sei arrivato giusto in tempo per salvarmi dal maniaco. Il mio eroe."
Aaron si irrigidisce visibilmente, sentendo quella dichiarazione sarcastica. "Adeline, perché non riesci a prendere nemmeno questo seriamente per una volta? Non hai idea di come sia stato per me sentirmi un coglione mentre ero là fuori a cercarti, mentre tu eri lì da sola, vulnerabile allo stupro? Che cazzo hai al posto del cervello, eh? Le noccioline?"
Il sarcasmo lascia il posto alla sorpresa sulle mie labbra, le parole di Aaron che colpivano giusto nel bersaglio. Per un momento, tutto ciò che riesco a fare è guardarlo negli occhi colpevole, con la bocca leggermente aperta per la sorpresa. Poi, con un moto di rabbia repressa, mi faccio avanti e mi avvicino, fronteggiandolo nel corridoio vuoto. Per farlo ovviamente mettermi in ridicolo, alzandomi in punta di piedi anche se, comunque, rimane più alto di almeno un paio di spanne. "Sai che hai ragione? No, hai ragione." Le parole mi escono dalle labbra veloci e aspre, in un tono chiaramente carico di rabbia. "Come sono stata così stupida da non aver considerato i tuoi sentimenti mentre ero lì, da sola, quasi attaccata da uno schizofrenico. Chiedo scusa." Le ultime parole escono cariche di sarcasmo e amarezza, sottolineate dall'ironia di quello che sto dicendo.
Gli occhi di Aaron si restringono, il suo sguardo duro nei mie occhi. "Adeline, sto cercando di parlare con te come due persone civili," dice in tono teso e controllato. "Non ho bisogno del tuo sarcasmo in questo momento. Ho bisogno che per una volta tu capisca e ti cimenti. Per un pelo e tre quarti di minchia non ti ho vista mentre venivi stuprata."
E, ancora una volta, ha palesemente ragione. Ma l'orgoglio prende la meglio, mettendo la mia evidente posizione di torto da parte, continuando a sfidarlo, in preda allo shock e alla rabbia, cercando di moderarmi al massimo.
"Va bene," dico, i denti stretti in una linea sottile sul mio viso. "Capisco quello che stai dicendo, capito? Non dovrei prendere queste cose alla leggera. Non era giusto da parte mia, ma sai com'è... puoi lasciar perdere, adesso?" C'è ancora una sfumatura di rabbia e frustrazione nelle mie parole, sforzandomi di tenere il sarcasmo represso.
Aaron sembra sul punto di replica, ma poi si trattiene, lasciando uscire un lungo respiro. "Sì," dice dopo un attimo, la sua voce più calma adesso. "Va bene, lascio perdere." Si passa una mano tra i capelli, chiaramente ancora agitato dalla situazione. "Che situazione del cazzo...", mormora tra se e se, mentre si passa la mano per i capelli.
Il mio sguardo si alza subito, un lampo di risentimento nei miei occhi. "Sì, come se fosse stata una giornata meravigliosa fino a questo momento," rispondo in tono tagliente. Poi, istintivamente allungo una mano e lo afferro per la giacca, tirandolo verso di me. Lui sembra sorpreso da quel gesto, ma non si ritrae.
"Senti, potrei aver fatto un errore, ok?" dico rapidamente, il mio tono ora un po' più dolce e vulnerabile. "Ma tu non sei esattamente un angelo, sai? Quindi, sì, ammetto di aver fatto una gran figura di merda, ma tu non sei esattamente la persona più ragionevole in questo cazzo di mondo, capito?".
Aaron serra la mascella a queste parole, le sue orecchie che sbiancano dalla rabbia mentre un muscolo della sua guancia guizza visibilmente. "Adeline, stai davvero dicendo che questa situazione è colpa mia?" chiede in tono tesissimo, la sua voce bassa tremante per l'auto-controllo.
Sospiro, per poi riprendere la conversazione. "Sto dicendo che forse non è solo colpa mia, okay? Se solo ti fossi comportato in modo razionale, meno arrogante e sgradevole da principio, qualcosa sarebbe andato diversamente. Non solo per ciò che è successo adesso, con...quello, ma in generale. Capisci ora, Superman?". Aaron, a queste parole, si acciglia.
"Io non sono il problema qui," dice in tono secco. "Tu sei quella che vuole fare tutto a modo suo, e non ascolta un cazzo di nessuno. E guarda dove ti ha portato adesso. In mezzo a un fottuto corridoio, quasi violentata da uno stinco di santo. E tutto perché tu hai sempre bisogno di fare l'eroina."
Ridacchio, alzando gli occhi al cielo, in modo privo di emozioni evidenti. "Oh, non fingere di essere preoccupato per me, Aaron. Se ti riferisci a ciò che è successo con Nathan, è sempre stato così, sin dall'inizio!" dico con veemenza. "Se continui così, finirò per pensare che io ti piaccia."
Le mie parole sembrano colpire un nervo scoperto in Aaron, e il suo viso assume un' espressione di furia incontenibile. Si avvicina ulteriormente, la voce che vibra di rabbia tenuta a fatica a freno. "Sì?" chiede, la sua voce trema per la rabbia contenuta. "Allora spiegami esattamente cosa è successo con Nathan!".
"Non ci vuole molto per capire quello che è successo!" proruppe Adeline di rimando, la sua voce risuonando con rabbia repressa. "Anche da prima che ti conoscessi, Nathan ha sempre avuto una cotta per me. Ma quando ha provato a farci qualcosa, si è reso conto che io sono più forte di lui. Più che forte. E questo ha mandato in tilt la sua mente contorta, facendolo diventare ancor più violento e instabile, fino a quando la sua ossessione per me non è diventata più che palese! Lui è sempre stato un coglione possessivo che non riesce a prendere un no come risposta! Ha provato a baciarmi contro la mia volontà, mi ha trattenuta senza il mio consenso quando non gli davo le attenzioni che desiderava. Sì, siamo stati insieme. Sì, mi ha violentata. Contento?".
La sua espressione che si trasforma da rabbia in incredulità e poi in puro shock. La sua mascella si rilascia leggermente e gli occhi rimangono fissi su di me, increduli. Per un lungo momento, riesce a dir nulla. Poi lentamente i suoi occhi si indurirono in un'espressione di furia cieca. "Cosa?" mormora, la sua voce è un ringhio gutturale.
Aaron serra la mascella, la furia evidente nel suo sguardo. Dopo qualche secondo, però, si sforza di calmarsi, prendendo un profondo respiro per cercare di controllare la propria rabbia. "Cazzo, Adeline..." mormora infine, la sua voce ancora tesa per la furia trattenuta. "Non sapevo nemmeno che quel complessato esistesse! Che cazzo!"
Sbuffo e scrollo le spalle, chiaramente delusa dalla sua reazione. "Certo che esiste," rispondo amaramente, senza nascondere la frustrazione. "Nathan è sempre stato lì, in agguato dietro l'angolo. Ma tu eri troppo occupato a concentrarti sulle tue cazzo di questioni per accorgertene, come sempre".
"Prego?", dice, in tono alquanto irritato. "Non mi sorprenderebbe sapere che tu abbia attirato un pazzo dietro di te, data la tua tendenza a comportarti come una dannata diva egocentrica e irritante!"
"Oh, ma per favore," ribatto, gli occhi che si fanno più taglienti mentre lo affronto. "Tu non hai mai preso molto sul serio le mie idee, né i miei contributi. Capirai, Aaron, siamo costretti a sposarci senza nemmeno il nostro volere ma solo per placare queste faide che entrambi conosciamo benissimo e che sono sempre esistite tra le nostre famiglie da decenni!"
Aaron serra la mascella a queste parole. "Non farla sembrare come se io fossi il solo a prendere male questa situazione," replica. "Tu non sei esattamente una persona facile da trattare, te lo dico francamente. E sì, forse non sono sempre d'accordo con le tue idee, ma non è perché non ti prendo sul serio. È perché spesso le tue idee sono dannatamente irrazionali!".
A gli occhi al cielo, per poi tirare un sospiro, cercando di placare la sua ira. "Sai cosa, Aaron? Possiamo muovere il culo via da questo posto e tornare in sala? Mi sono leggermente rotta le scatole"
Aaron scuote la testa rapidamente, ancora chiaramente furioso. "No, cazzo," risponde in tono aspro. "Abbiamo ancora da discutere di diverse cose qui, e non posso semplicemente ignorare quello che mi hai appena detto. Voglio sapere esattamente cosa è successo tra te e Nathan, e cosa stai nascondendo. Non cazzo di finisce qui-".
"Ci sarà tempo, Superman, ora andiamo", dico, interrompendolo, per poi incamminarmi verso la fine del corridoio.
Aaron rimane lì, fermo, a fissarmi per qualche momento, per poi afferrarmi per il polso con fermezza ma sento, allo stesso tempo, una sfumatura di dolcezza, impedendomi di andarmene. "No, non ce ne andiamo finché non mi hai detto esattamente cosa è successo tra te e Nathan," insiste, il tono più duro rispetto a prima. "Dammi una spiegazione prima, sennò mi rifiuto di muovere un passo."
"To ho detto che non voglio. Non adesso, non qui. E se non la smetti, ti taglio le mani e te le riconsegno in una scatola come ricordo in memoria, capito?", dico, quasi stanca.
Per un momento, Aaron rimane in silenzio a fissarmi, chiaramente ancora arrabbiato ma anche confuso dalla mia insistenza di non voler parlare subito. Dopo qualche secondo, però, annuisce lentamente, rilassando un po' la presa sul suo polso. "Okay," dice infine, con un sospiro. "Non adesso. Ma giuro su questo cazzo di corridoio che parleremo presto, chiaro?".
Annuisco lentamente, un po' sollevata dal fatto che finalmente Aaron abbia accettato di lasciar stare per il momento.
Tiro un sospiro, per poi girarmi e si allontanandomi rapidamente dal corridoio vagabondante tra i miei pensieri, uno dietro l'altro in ordine confuso e irritante.
Mi guarda andar via, ancora chiaramente confuso e frustrato. Sento il suo sguardo, vivo, insistente. Dopo qualche istante, però, mi volto e lo vedo accanto a me, con lo sguardo serio posto in avanti, testa alta, fissando la porta che separa il corridoio dalla sala, colma di ospiti che attendono eventi con foga. Sospiro, stando al suo fianco.
"Giuro che sei la causa di ogni mia malattia nervosa, se dovessi essere ancora ignoto alla loro esistenza.". Con questo, sospiro nuovamente, per poi vedere Aaron che apre la porta per entrambi, cambiando istantaneamente comportamento. Come se nulla fosse successo.
Come una maschera di indifferenza.
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