Sotto la superficie - #2
Mi svegliai, il giorno seguente, con il suono delle campane lontane provenienti dalla chiesa della città che segnavano l'alba. Queste campane sono la mia rovina ogni singola mattina. Non posso negarlo, il suono non è così assordante come si potrebbe immaginare, ma il trauma del risveglio mattutino non smentisce mai. Mi siedo sul letto, cercando di aprire gli occhi. La luce dell'alba filtrava attraverso le tende di seta pesante, creando un gioco di ombre sul soffitto decorato della sua stanza.
Ogni dettaglio della camera, dai mobili antichi agli arazzi elaborati, era accompagnato da un chiarore fresco e positivo, inondando la stanza, in tutta la sua maestosità, in un abbraccio tenero, calmo e soffice. Osservo, ancora disorientata dal risveglio brusco derivato dal suono delle campane, ciò che mi circonda: il vestito dell'ufficializzazione del fidanzamento con Aaron è ormai privo di importanza, completamente stirato in modo confuso sulla superficie del pavimento, i tacchi lasciati chissà dove. Mi osservo le mani, noto che hanno delle sfumature di trucco sui palmi. Complimenti, Adeline, ti sei dimenticata di struccarti.
Sospiro, prima di portarmi le mani al viso, coprendomi gli occhi con la speranza di scacciare via le voci soffuse provenienti dal chiasso della folla di ieri all'HMW...e Aaron. Sospiro ancora una volta, prima di stendermi di nuovo sul materasso, gettandomi tra gli abbracci e le culle scacciapensieri di esso, fissando il soffitto per qualche momento.
I miei pensieri vanno a quella specie di turco ossessionato dal fumo più del suo stesso lavoro. Non c'è stata una dannata volta in cui il mio sguardo non nota, in un modo o nell'altro, il pacco di sigarette o magari i sigari che spesso consuma. Chiusi gli occhi, cercando di distrarmi dal profumo inebriante che indossava ieri, cercando di distrarmi da qualsiasi cosa lo riguardava.
Tirai un ultimo sospiro, per poi scendere dal letto e stirare la schiena, ancora dolorante per il prolungato tempo di sopportazione relativo ai tacchi che ho portato (letteralmente) per un giorno intero, ininterrottamente. Osservai di nuovo la mia camera e, per quanto mi ricordasse il luogo in cui tutti i miei pensieri vengono messi da parte, non poteva fare altro che ricordarmi il peso della storia e delle aspettative che gravavano su di me.
Oggi, come ogni altro giorno, avrei dovuto indossare la maschera della perfetta erede dei Williams. Ma, mentre mi alzavo dal letto, il freddo pavimento sotto i piedi nudi mi riportò bruscamente alla realtà: dovrò sposarmi tra una settimana.
Ma non è questo quello che mi preoccupa. Quello che mi attorciglia i pensieri e con chi dovrò sposarmi.
Aaron fottuto Hudson.
Il solo pensiero mi provoca un nodo allo stomaco. Girai gli occhi al cielo, prima di aprire le finestre del balcone di camera mia e di tirare una boccata d'aria fresca, chiudendo gli occhi. La città di Las vegas è così tranquilla, quando nessuno è nei paraggi. Osservo, poggiando il peso sui gomiti che poggiano sul davanzale del balcone, la vastità della città e l'impotenza del Sovereign Hall, l'edificio parlamentare, il Victory Bridge che collega perfettamente ogni angolo della città, partendo da The Strip, nonché primaria strada che collega ogni angolo della città, fino a Saphhire Tower. Tutto è collegato così perfettamente e in modo così schematico da far suscitare il brivido.
In lontananza, proseguendo per Fremont Street, la residenza degli Hudson si posiziona in posizione schematicamente opposta all'Hotel Majestic Williams e, proseguendo per Paradise Road, in tutta la sua modernità ed impostezza, Hudson & Associates Financial Empire si distingue tra ogni edificio della città. Impossibile da non notare: quelle mura vetrate che danno un tocco di modernità tra periferie così eleganti ma maestose riescono ad essere le protagoniste dell'occhio di chi osserva.
Che bastardo, quel turco maniaco. Più l'odio aumenta, più si fa vicino. Tutto questo mi manda alla follia.
Tiro uno degli innumerevoli sospiri nell'arco di qualche minuto da quando mi sono svegliata, e ritorno sui miei passi, proseguendo per la camera, lasciando le finestre aperte per cambiare un po' d'aria, e mi incammino verso il corridoio principale.
Scendo lentamente le scale, avvolta in una vestaglia di seta giallo leggero, e mi diriggo verso la sala della colazione. Gli occhi attenti della servitù seguono ogni mio passo, ma mi limito ad augurare un semplice "Buongiorno", poiché ancora assonnata e confusa. Di solito, sono abbastanza allegra di mattina, ma ultimamente, l'allegria è l'ultimo dei miei pensieri, sono troppo concentrata sull'inferno che mi aspettava. Nella stanza adiacente, la vecchia sarta di sua nonna, la signora Helms, sta preparando gli ultimi ritocchi al vestito di matrimonio. Quanta dedizione, questa donna.
"Buongiorno, signorina Williams," dice la sarta con un sorriso gentile, gli occhi brillanti di affetto. "Il vestito è quasi pronto. Vuole dare un'occhiata?".
Mi volto per guardarla mentre bevevo il primo sorso di caffè, per poi poggiarlo sul tavolo nuovamente, annuendo e sorridendo e mi alzai, dirigendomi verso nella stanza adiacente, dove il vestito bianco pendeva da un manichino.
L'abito presenta un design classico e sofisticato, impreziosito da dettagli sottili ma straordinari. Il corpetto dell'abito è realizzato in un delicato pizzo di alta qualità, che aggiunge un tocco di romanticismo e femminilità al look complessivo. Il pizzo, lavorato con maestria, presenta motivi floreali intricati che si intrecciano delicatamente lungo il corpetto, creando un effetto di trasparenza raffinata. Le maniche lunghe aggiungono un tocco di grazia e sobrietà all'abito, avvolgendo le braccia con morbidezza ed eleganza. La lunghezza dell'abito a sirena leggero, più lunga sul retro, conferisce un'aria regale e sontuosa, mentre la parte anteriore presenta una lunghezza moderata, permettendo il movimento con agilità e grazia.
La tonalità dell'abito è un candido bianco avorio, che illumina la carnagione e e aggiunge un tocco di purezza e semplicità. La silhouette dell'abito è slanciata e sinuosa, accentuando le curve in modo elegante e sottile.
Era magnifico, ogni cucitura e dettaglio erano stati curati con amore e precisione. Ma mentre lo guardavo, non potevo fare a meno di sentirmi intrappolata in quella gabbia dorata, estranea quanto stupefatta.
"Sa, signorina," inizia la signora Helms con un tono nostalgico, riportandomi alla realtà, "ricordo quando cucivo per sua nonna. Anche lei aveva i suoi dubbi e paure, ma alla fine trovò il suo modo di essere felice."
Sorrisi debolmente alla memoria di mia nonna. Quanto e cosa farei per riavere uno solo dei suoi curabili abbracci.
"Forse, ma non riesco a vedere una via d'uscita per me, signora Helms. Un matrimonio non dovrebbe essere altro che la rappresentazione perfetta dell'amore...ma io provo tutto tranne che amore. Tutto quello che sta accadendo è solo un altro dovere. ", risposi, calma, guardandola.
La signora Helms annuisce comprensiva. "Capisco, mia cara", inizia, per poi accarezzarmi un braccio, dolcemente, "ma a volte, la felicità si trova nei luoghi più inaspettati.". La guardo di nuovo, per poi sospirare nuovamente. Credo di fissare il vuoto per troppo tempo, per poi essere interrotta dalla voce dolce della signora Helms.
"Venga qui, si sieda accanto a me", mi dice dolcemente, indicando un piccolo sgabello accanto al suo. Sorrido lievemente all'invito, prima di sistemarmi la vestaglia sulle gambe e sedermi accanto alla sarta.
La luce del mattino filtra attraverso le tende, illuminando la stanza con un bagliore caldo. La signora Helms si china attentamente sul vestito , il suo ago danza abilmente attraverso il tessuto mentre lavora sui dettagli finali.
"Tua nonna era una donna straordinaria,", inizia a raccontare debolmente, quasi come se stesse raccontando una storia ad una bambina. Mi racconta delle storie di matrimoni precedenti nella famiglia. La signora Helms prosegue, con un sorriso nostalgico, "ha affrontato ogni sfida con grazia e coraggio, e il suo amore per suo nonno era evidente in ogni gesto che faceva."
Ascolto con attenzione, i ricordi del passato risuonano come una melodia familiare. Mi ritrovo immersa nei racconti della sua famiglia, intravedendo pezzi del mio destino nel tessuto della loro storia. "Le donne della tua famiglia sono sempre state forti e coraggiose," continua la signora Helms, "hanno affrontato ogni tempesta con grazia e dignità. E lei, mia cara, è destinata a seguire le loro orme e trovare la sua strada nel mondo." La signora Helms sorride, il suo sguardo riflette un misto di affetto e orgoglio. "Lei è una donna straordinaria, Adeline," dice con gentilezza, "e so che troverà la sua strada nel suo mondo, proprio come hanno fatto le donne della tua famiglia prima di lei, ma ha le capacità necessarie di superarle."
Le dolci parole sembrano una melodia per le mie orecchie. La osservo, per poi reprimere delle lacrime e sorridere alla signora. "Grazie, per tutto", riesco a dire, nonostante volessi rompere gli schemi e richiedere quell'abbraccio che mi viene privato ogni volta.
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Dopo essermi congedata dalla signora Helms, decido di fare una passeggiata nella villa per schiarirmi le idee. Passo attraverso corridoi ricchi di storia, decorati con dipinti dei miei antenati. Ogni quadro racconta una storia, ogni volto ha vissuto momenti di gloria e tragedia. Mi fermo davanti al ritratto di mia nonna, il suo sorriso sereno sembra quasi parlare.
"Nonna," sussurro, "cosa faresti al mio posto?"
Mentre mi perdo nei tra i pensieri, la porta della biblioteca si apre con un cigolio e appare mia zia Margareth, una delle poche persone di cui mi fido completamente. Con i suoi capelli grigi raccolti in uno chignon e gli occhi penetranti, ha sempre avuto un'aria di saggezza e autorità.
"Adeline, ti stavo cercando," dice con un sorriso gentile. "Vieni, siediti con me. Abbiamo bisogno di parlare.". Mi osserva, per poi indicarmi di seguirla nella sala principale della villa. Inizialmente, mi acciglio, ma scuoto via i pensieri, per poi seguirla nella grande sala.
La sala principale della villa è un ampio spazio caratterizzato da un'eleganza classica e senza tempo. Le pareti sono rivestite con una boiserie bianca finemente intagliata, che si alterna a pannelli di seta damascata in un tenue colore avorio. I soffitti alti sono ornati da cornici elaborate e un grande lampadario di cristallo pende maestoso al centro della stanza, riflettendo la luce naturale che entra dalle ampie finestre a bovindo. Il pavimento è in parquet di quercia, lucido e perfettamente mantenuto, che scricchiola lievemente sotto i piedi.
Al centro della sala, un lungo tavolo di mogano è apparecchiato per la colazione, con una tovaglia ricamata a mano e un servizio di porcellana bianca. Le sedie intorno al tavolo hanno imbottiture in broccato dorato, che aggiungono un tocco di lusso discreto. Alle pareti, grandi quadri di antenati della famiglia Williams osservano silenziosi, testimoni di generazioni di storia familiare.
Una grande scalinata curva si apre su un lato della sala, portando al piano superiore. I gradini sono coperti da un tappeto rosso scuro, ricamato con motivi dorati, che attutisce ogni passo. Sul lato opposto, una serie di porte a doppio battente conducono alle altre sale della villa, mentre un grande camino di marmo bianco domina una delle pareti, con un fuoco scoppiettante che diffonde un calore accogliente.
Mi accomodo accanto a lei su una delle antiche poltrone di cuoio, mentre lei versa del tè da un servizio che apparteneva alla mia bisnonna.
"Sai, questo matrimonio," inizia lentamente, scegliendo attentamente le parole, "è una mossa politica, ma non deve essere solo questo. Ci sono sempre stati sacrifici in questa famiglia, ma ciò non significa che tu debba rinunciare alla tua felicità."
"Ma come posso essere felice in un matrimonio senza amore?" le chiedo, la mia voce composta ma ricca di timore.
Mia zia sorride con comprensione. "L'amore non sempre arriva subito, cara. A volte cresce con il tempo, attraverso il rispetto e la comprensione reciproca. Non sottovalutare mai il potere della pazienza e della speranza."
Rimango in silenzio, riflettendo sulle sue parole. Mi sembrano così vicine quanto lontane. La sua voce è calma, rassicurante.
"Tu e Aaron potreste trovare un terreno comune," continua, "qualcosa che vi unisca al di là delle faide e dei rancori. La tua forza e la tua intelligenza saranno le tue guide. E ricorda, hai sempre la tua famiglia alle spalle, pronta a sostenerti."
Schiocco la lingua sotto al palato, portando gli occhi al cielo. Tra tutte le forme di potere che la mia famiglia possiede da secoli, la capacità di cambiare frasi di incoraggiamento non potrebbe essere tra queste?
"Certo, la stessa famiglia che mi ha costretta ad attuare un matrimonio con un membri della famiglia con cui omicidi e minacce vanno avanti da secoli", ribatto, quasi scocciata. Mia zia non perde la calma. "Capisco il tuo risentimento, Adeline," dice con tono dolce ma fermo. "Ma tu sei diversa. Hai la possibilità di rompere questo ciclo di odio e vendetta. Non sarà facile, ma non sei sola.".
Mi limito a spostare lo sguardo verso la grande finestra, attraverso la quale la luce filtra incredibilmente. "Non so se ho la forza per farlo," ammetto, la voce leggermente incrinata. "Mi sento intrappolata in una vita che non ho scelto."
Mia zia si avvicina e posa una mano gentile sulla mia spalla. "La forza non è assenza di paura, mia cara, ma la volontà di affrontarla. E tu, più di chiunque altro, hai quella volontà. Tua nonna l'aveva, e anche tua madre. Ce l'hai anche tu.". Respiro profondamente, cercando di trovare un po' di conforto nelle sue parole. "Vorrei solo che tutto questo fosse diverso. Vorrei potermi sposare per amore, non per dovere."
"Il dovere è una parte della nostra vita," continua mia zia, "ma ciò non significa che non possa esserci amore. A volte, l'amore cresce nei luoghi più inaspettati. E magari, con il tempo, troverai qualcosa di speciale anche in questo matrimonio.". Mi volto per guardarla, quasi sul punto di voler urlare.
"Il dovere fa parte della nostra vita, certo, ma non dimenticarti del nostro talento", rispondo, guardandola. Noto che si acciglia, inclinando il capo. "Che intendi?", mi domanda.
Giro gli occhi verso il soffitto, per poi guardarla nuovamente. "Mentire, zia. Mentire". Mi lascio cadere nel comfort della poltrona su cui ero seduta, rilassando i muscoli della schiena, completamente. "Devo essere all'altezza di questo, vero?", dico, quasi esasperata.
"Non devi essere perfetta, cara. Devi solo essere te stessa.". La guardo, prima di tirare l'ennesimo sospiro. Con questo pensiero in mente, chiudo gli occhi per un momento, trovando un barlume di pace in mezzo al caos che mi circonda.
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