Prologo.
Il cielo cupo della notte si stendeva sopra di me, un tappeto di stelle che sembravano quasi troppo lontane per essere vere. Era una delle tante notti insonni, quando mi trovavo sul balcone della mia camera, in vestaglia da notte, osservando il mondo che si dispiegava davanti ai miei occhi. Le luci della città brillavano come gioielli incastonati nell'oscurità, ma non potevano dissipare le ombre che abitavano il mio cuore.
L'amore, riflettevo, era una parola ingannevole. Mi era stato descritto come qualcosa di magico e sublime, un sentimento che avrebbe dovuto portare gioia e compiutezza. Ma ciò che mi è stato posto davanti ai miei occhi mi avevano insegnato una verità ben diversa. Una relazione che aveva cominciato con promesse dolci come il miele, solo per trasformarsi in un incubo di manipolazione e violenza. L'uomo che una volta aveva giurato di amarmi, di togliersi la vita solo al pensiero di farmi versare una singola lacrima... non ha fatto altro che ridurmi a un'ombra di se stessa, intrappolata in una rete di paura e dolore.
Io ho amato, ci sono riuscita qualche tempo fa. Sono riuscita a comprendere, solo in parte, quanto fosse meraviglioso essere capace di provare una sensazione come quella, ma non glielo avrei mai permesso se solo fossi stata capace di scoprire, o almeno sapere, cosa mi sarebbe successo da lì in poi, ogni cazzo di volta. Ogni volta che l'avrei guardato negli occhi, ogni volta che gli dissi di amarlo più della mia stessa vita.
Ogni cazzo di volta. Ed ogni volta che ci penso, le voci nella mia testa mi disintegrano l'animo, lo rodono, lo calpestano, ci sputano sopra. Lo deridono. Come se fosse il nulla. E continuo a domandarmi, a domandarmi, a domandarmi ancora, se tutto quello che è successo, è stata colpa mia. Se sono io il vero problema, in fondo. Le cicatrici di quella relazione erano invisibili agli occhi di chiunque essere umano mi osservasse, nascoste dietro un sorriso perfetto e un volto impeccabile.
E sono le stesse voci che mi hanno in pugno, le stesse voci che mi sussurrano, angelicamente, i ricordi del mio passato, rendendomi una pura e semplice marionetta, costringendo a rimanere cauta, schiena diritta, capo alto, sorriso stampato sulle labbra indipendentemente da tutto.
D'altronde, sono stata educata esattamente per fare questo: mentire. In pubblico, vengo definita come il perfetto modello di donna di pubblica figura: donna intraprendente, sicura di se, dolce, affabile, figlia prediletta e perfetta. Una figura di grazia e bellezza, invidiata, quasi. Ma nessuno (e dico nessuno) si è mai posto il dubbio se tutto ciò è pura finzione.
Che illusa, al solo pensiero mi viene il riso. Come possono, stampa e chiunque mi circonda, cogliere la verità, se tutto ciò che importa è la pura e perfetta apparenza del sembrare di essere? Tutto ciò che importa, è fingere. Mentire, mentire e ancora mentire. Perché questa è la verità. Nessuno deve sapere cosa si cela dietro un semplice sorriso, dietro un semplice sguardo. Dietro i sussurri di un cuore pesante, colpo di cicatrici quali, al posto di riassorbirsi, penetrano sempre più nel profondo.
Il potere e la ricchezza non sono altro che illusioni, veli che mascherano una realtà fatta di solitudine e prigionia.
Vivere una vita aristocratica non è il sogno che molti immaginavano. E' un mondo di regole rigide e aspettative implacabili, dove ogni mossa è osservata e giudicata, calcolata e analizzata in ogni minimo dettaglio. Non c'è spazio per la vera felicità, solo per la parvenza di essa. Ogni sorriso, ogni parola, ogni gesto deve essere calcolato con precisione.
E' come se, in ogni mente, è presente un mondo di sessantaquattro caselle, praticando l'arte della manipolazione e della logica nel più profondo dei significati. Obiettivo? Vincere. Non importa come, in quanto tempo. Quello che conta è fare scacco matto, imporsi su piani alti. Essere i migliori. Prevalere su tutto e su chiunque.
Il vento notturno porta con sé il profumo dei giardini sottostanti, un ricordo di tempi più semplici e spensierati. Ma quegli anni di innocenza erano lontani, sostituiti da un'esistenza in cui il cuore doveva essere messo da parte per fare spazio al dovere. Sapevo che l'amore, quello vero, era l'unica forma di lusso che non potevo permettermi. Era un lusso che avevo provato a conquistare, solo per scoprire che era costruito su fondamenta di sabbia.
E ora, mentre penso e osservo, so che le sue speranze e sogni devono essere sepolti sotto il peso delle responsabilità. Il matrimonio che era alle porte mi attendeva. Non sarebbe stato diverso. Sarebbe stata un'altra facciata, un'altra recita nella grande opera della mia vita. E io, l'attrice principale, dovrò indossare ancora una volta la maschera del dovere e della perfezione.
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Ero in ospedale, la mattina seguente, per una visita di beneficenza. Persa tra i miei pensieri, mentre camminavo a passo lento ma deciso, circondata dalle mie guardie del corpo, per i corridoi del reparto di oncologia pediatrica, un bambino mi osservò. Mi si avvicinò qualcuno, credo, ma mi allontanai quasi come se quell'azione fosse stata un riflesso: un atto scatenato dall'istinto. Mi guardò incuriosito, il suo volto angelico e il suo sguardo di pura ingenuità riuscirono a muovermi qualcosa dentro. Non seppi cosa dire, rimasi a guardarlo, praticando la pura arte del silenzio.
Ma fui portata via dalle mie guardie del corpo. Non ebbi tempo di formulare una risposta concreta.
Il giorno dopo, quello stesso bambino che vide la scena il giorno prima, comparse alle mie spalle. Mi toccò proprio sulla zona lombare della schiena. Mi girai di scatto: non vidi nulla, ma sentii una vocina che diceva: «Sono qui giù».
Abbassai lo sguardo: aveva un cappello blu sul capo per coprire i capelli perduti dalle chemioterapie, mi porse un mazzo di girasoli.
«Ti racconto una storia: c'è una leggenda, me l'ha raccontata mamma qualche anno fa, dove c'era una ragazza che era tanto innamorata del dio del Sole, Apollo. Era davvero innamorata, lo seguiva tutti i giorni per tutto il giorno. Anche lui si innamorò di lei, ma poi la abbandonò all'improvviso. Lei pianse per nove giorni senza fermarsi mai mentre se ne stava immobile nel campo di fiori, senza togliere lo sguardo dal Sole. All'improvviso, questa ragazza si trasforma nel più bel fiore del campo, il girasole più bello che continua a seguire il suo amato Sole per tutto il giorno, fino alla fine». Rimasi a guardarlo, con le lacrime agli occhi, mentre continuava a raccontarmi di questa splendida storia. Mi abbassai al suo livello per raccogliere il mazzo di girasoli, per poi abbracciarlo forte.
«Non piangere, ricordo che una volta dicesti che quando qualcuno piange, dopo si diventa brutti», mi disse, mentre si staccò dal nostro abbraccio e mi asciugò le lacrime, «Hai sentito la storia, no? Quella ragazza ora è un bellissimo girasole, forse questi fiori che ti ho raccolto sono i suoi bambini!». Risi, guardando poi quei meravigliosi girasoli che fino a qualche minuto prima erano nelle sue minute manine.
«Per piacere, non piangere più, e non aver paura. Quella ragazza ora è diventata un bellissimo fiore, ma tu già lo sei, per tutti noi», disse mentre mi asciugava l'ennesima lacrima, «Non piangere per quello che è successo, sei troppo brava per farlo. Arriverà anche per te, il momento in cui il dio del Sole ti abbraccerà, ma non ti lascerà mai più, perché tu non te lo meriti. Sei un girasole troppo bello per appassire in questo modo. Aspetta il tuo Sole, ti renderà il fiore più bello di tutti, perché tu hai un dono molto importante: sei molto brava, e vedrai che questo amore che provi per tutti, verrà ripagato dal vero amore e dalla felicità che meriti».
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NOTA DELL'AUTRICE
Lo so, prologo abbastanza angosciante, vero? Ma allo stesso tempo, quanto può essere dolce il bambino? Piango.
Comunque sia, spero che la trama e l'intreccio vi abbiano incuriositi abbastanza. Dal prossimo capitolo in poi, iniziano le danze!
Ci becchiamo! Alla prossima!
Vostra, Merlia.
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