Luci e Ombre -#1
Oggi, è il giorno. Il dannato giorno che temevo da mesi.
Mi trovo in camera mentre alcune delle mie aiutanti attuano le ultime modifiche a ciò che, questa sera prossima, sarebbe stato il vestito che avrebbe rappresentato il fidanzamento ufficiale con il futuro capo erede della famiglia Hudson, la famiglia che ci ha causato orrore e conflitti per interi decenni.
Durante una discussione accesa, un membro della famiglia Hudson venne accusato di aver tradito i Williams per aver complottato dei rapporti minacciosi collaborando con il governo al potere nei confronti della mia famiglia - il mio trisavolo, in particolare- , scatenando una violenta reazione da parte dei suoi coetanei. Nel caos che ne segue, uno dei giovani Williams viene ferito gravemente, scatenando un'ondata di rabbia e vendetta tra i membri delle due fazioni.
La mattina seguente, il corpo di un giovane dei Williams viene ritrovato senza vita, il suo viso contorto da segni di tortura e violenza estrema, il suo abbigliamento ridotto a cenere, abrasioni presenti su tutto il torace. La notizia si diffonde rapidamente, innescando una spirale di omicidi e rappresaglie tra le due famiglie, ognuno cercando di vendicare il proprio sangue versato.
Ma con il passare del tempo, la faida di sangue diventa sempre più personale e brutale. Nessuno è al sicuro, e ogni perdita alimenta il fuoco della vendetta, portando le famiglie Hudson e Williams sull'orlo della distruzione. Ed è esattamente ciò che ne è conseguito dopo decenni e decenni. Questo astio presente ancor prima che io nascessi non è altro che prodotto di un costante deterioramento dei rapporti tra la mia famiglia e quella degli Hudson. Evidentemente, chi ha attuato la prima prima mossa, aveva già tutto chiaro sin dall'inizio. E tutto non è altro che una ripetizione della storia. Sempre e costante. Tutto è ripetizione di un qualcosa che non ci appartiene e non ci è mai appartenuto, e l'orgoglio che accomuna l'essere umano è la principale causa di distruzione. Ma, credo di sbagliarmi, perché la realtà che mi è stata posta davanti confuta qualsiasi teoria progettata anticipatamente.
Ed eccomi qui, eccomi mentre osservo le mie domestiche, accompagnate dalla sarta di mia nonna, che osservano attente ciò che mi rappresenterà questa sera: con questo vestito, ufficializzerò il fidanzamento con uno degli Hudson. Da non crederci, vero? Tutto questo è puramente da folli.
Io, una Williams, sarò la futura moglie di un Hudson. Io, una Williams, sarò colei che porrà fine ad una serie di complotti e faide sanguigne costanti da un periodo di tempo che somma le età di mio padre, di mio nonno, del mio bisnonno e del padre del mio bisnonno. Tutto ciò che mi sarà posto davanti agli occhi è una roba da pazzi. Da persone folli.
Ma, evidentemente, qui siamo tutti folli. In un modo o nell'altro, ognuno di noi esplicita la propria forma di follia a seconda delle circostanze. Io, ad esempio, sto per sposarmi con un Hudson. Non esiste qualcosa di più folle di ciò che sto vivendo. E posso metterci la firma.
La cosa che più mi fa ridere, è che tutto questo è, come del resto, progettato da mio padre e dal padre del mio futuro marito. Non mi sto sposando per amore. Non esiste. L'amore è un lusso a me sconosciuto, tra tutte le forme di benessere che la mia conoscenza ne è provvista. Questo matrimonio non è altro che un punto fermo ad un periodo che continua da una vita. Un punto fermo che pone una fine a una lunga scia di omicidi, violenze e lunghi percorsi di sangue.
E tutto questo, alimentato dalla mia consapevolezza al pensiero che la mia felicità è ormai un sogno lontano, non fa altro che rodermi lo stomaco, chiudendo ogni forma di speranza che, pur piccola, pregava e urlava di essere salvata.
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La grande sala da ballo dell'Hotel Majestic Williams, ciò che rende la mia famiglia onorata, è illuminata da un magnifico lampadario di cristallo, le sue luci scintillanti riflettevano sui volti delle élite riunite, ognuna che chiacchierava con l'altra, felici. Mi muovevo tra gli ospiti, il mio vestito nero lungo e aderente è stato aggiustato alla perfezione, ma il sorriso perfetto nascondeva la tensione interna del mio sguardo perso. Era una serata importante, un evento in mio onore e quello di Aaron, il mio futuro marito. Era un evento così mio, così come estraneo. Converso, ringrazio, sorrido, ma non voglio fare altro che scappare via da qui. Ma devo tenere la testa alta, devo sorridere.
Devo farlo per il mio papà. Non per me, ma per il mio papà.
Quasi esasperata, mi fermo vicino a una finestra, osservando la folla e politici che si scambiavano cortesi sorrisi e conversazioni superficiali. Sento, incessante, il peso degli sguardi su di me, una costante ricordanza delle aspettative che la mia famiglia aveva sempre imposto.
"Adeline, cara, vieni a salutare il signor Harlow," la voce di mia madre mi richiamò alla realtà. Mi voltai, quasi forzata, e annuì, avvicinandomi con eleganza, il mio cuore accelera un po' più forte. Ogni interazione era una danza intricata di diplomazia e astuzia. "Congratulazioni per il fidanzamento, Mrs. Williams", "E' un onore per noi tutti vederla con un uomo al suo fianco", "E' la speranza di noi tutti. Solo lei e Mr. Hudson potete porre fine ad un secolo di concorrenza e astio". Le solite frasi, sempre le stesse, come stessa era la mia risposta, unica e sola. Sorriso smagliante, risatina composta e un cenno del capo. Tutto era così monotono, tutto è sempre lo stesso.
"Vi ringrazio, apprezzo il vostro appoggio. Potete scusarmi?" dico placata, non avendo alcuna intenzione di udire una loro risposta in merito. Mi giro, dopo aver sorriso, e cammino a passo lento, ma deciso, verso l'uscita nel retro dell'hotel, proseguendo verso il giardino privato.
Mentre la serata volgeva al termine, un sospiro di sollievo dopo il tumulto della sala da ballo non poteva mancare. Esco sul balcone, cercando un momento di solitudine sotto il cielo stellato. Mentre respiro profondamente l'aria fresca della notte, chiudo gli occhi e immagino, la mia mente non fa altro che girovagare tra i miei pensieri. Sono troppo stanca per riaprirli, così, lontana da tutti, mi sento nuova, leggera.
Immersa nei miei pensieri, rimango all'oscuro della presenza che ho al mio fianco, chissà da quanto tempo. Non faccio in tempo ad accorgermene che lui è a qualche centimetro di distanza da me, con le spalle al giardino, poggiando il suo peso sulla superficie del passamano del balcone che separava l'hotel dal giardino, vestito con uno degli innumerevoli completi neri che possiede, rompendo la monotonia d'abbigliamento con una camicia bianca, i capelli neri tirati indietro, mettendo in risalto i lineamenti del suo profilo. Il profumo di ambra, muschio, caffè e fior d'arancio composte in un mix di pura e perfetta armonia.
Lui è qui, imperterrito delle circostanze, mentre si porta una sigaretta alle labbra, chinando leggermente il capo verso l'accendino, per poi sollevare il capo, ponendo quello sguardo impassibile di fronte a lui, attuando quello che sarebbe stato il primo tiro dell'ennesima sigaretta della giornata.
"Non pensavo che l'erede della famiglia Hudson avesse bisogno di una pausa," dissi, il sarcasmo presente nelle circostanze meno opportune, mentre osservavo Aaron al mio fianco, ancora con lo sguardo posto davanti a lui.
Mi degna di uno sguardo dopo qualche secondo, scrutandomi con quegli occhi di colore per me ancora da definire. "Anche chi porta il peso del mondo sulle spalle ha bisogno di un momento di tregua," mi rispose, con voce bassa e controllata.
Schiocco la lingua, per poi portare il mio sguardo sul giardino che mi segue. Aaron mi guarda per qualche altro secondo, per poi spostare il suo sguardo verso la folla ancora insistente all'interno della sala da ballo dell'Hotel. Si porta la sigaretta alle labbra di nuovo, per poi tirare ed espellere il fumo, in movimenti quasi meccanici.
"Mitchell ti ha guardato le tette, prima", decide così di interrompere l'assordante silenzio. Spalanco gli occhi, e mi volto per guardarlo.
"Prego?", gli dico, con tono irritato. Lui tira un'altra boccata di fumo, prima di guardarmi, ed espelle il restante letteralmente sulla mia faccia. "Non ti irritare subito. Mi dovresti ringraziare, ti ho detto la verità", si limita a rispondere, controllato e con voce bassa e calma. Tossisco non appena sento il fumo arrivare sul mio volto, per poi sventolare leggermente le mani, cercando di mandare via eventuali attacchi di tumore di fumo passivo.
"Se lo hai notato, vuol dire che anche tu mi stavi guardando le tette, maniaco", gli dico, ancora sventolando le mani davanti a me. Lui mi osserva, per poi girare il suo viso dalla parte opposta ed espellere il fumo lontano. "Non ti lamentare, ho tutto il diritto di guardare mia moglie", dice, mentre emette il fumo dell'ennesimo tiro. Mi acciglio, incrociando le braccia sul torso, guardandolo mentre corrugo le sopracciglia.
"Non ti emozionare troppo in fretta, non siamo ancora sposati. E non mi chiamare così, mi viene il vomito", gli dico, quasi disgustata. Si sposta leggermente per gettare quelli che ormai sono i resti della sigaretta ormai spenta, per poi guardarmi, dall'alto verso il basso. Inclina leggermente la testa, non lasciando lo sguardo dai miei occhi. Annuisce leggermente, il suo sguardo totalmente privo di emozioni.
Mi lascia un ultimo sguardo, per poi rompere nuovamente il silenzio.
"Muoviti e vieni dentro, o gli altri penseranno che ci siamo divertiti io e te senza di loro, altrimenti si arrabbiano e fanno i capricci". Non mi da il tempo di controribbattere, mi lascia da sola, fuori, direttamente, ritornando così nella situazione di partenza.
Impreco silenziosamente, chiudendo gli occhi. Tiro un sospiro tremolante e mi volto, per poi proseguire il mio percorso all'interno della sala da ballo dell'hotel, reprimendo la voglia di attuare l'ennesimo omicidio tra un Williams e un Hudson.
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