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XXIV - cena, il burrone

Il venerdì sera arrivò anche per Minho e Jisung, insieme alla tanto attesa cena.

Per tutta la settimana Jisung aveva cercato di comportarsi il più normalmente possibile, ma la carenza di fiducia di Minho nei suoi confronti lo aveva davvero ferito. Altre volte il moro era sparito ed era tornato tardi dando solo giustificazioni vaghe e poco credibili a Jisung. Lo stava tradendo? Almeno avesse la dignità di lasciarlo. Poi avrebbe potuto fare quello che voleva, ma durante la loro relazione era un tradimento bello e buono.

«Sei pronto?» chiese Jisung, aggiustandosi la cravatta davanti allo specchio. 

«Sì.» Minho guardò il biondo attraverso il riflesso dello specchio, ma Jisung non aveva nessuna intenzione di degnarlo di uno sguardo.

«Si può sapere che cos'hai? E' tutta la settimana che sembri distaccato» sbottò Minho, irritato. Avrebbe dovuto chiederlo con un po' di delicatezza, ma il suo brutto carattere doveva sempre mettere il naso.

«Io? Cos'hai tu, invece. Perché non mi dici mai quello che fai veramente, quando esci e torni tardi?»

Minho alzò un sopracciglio. «Te lo dico sempre. Mio padre mi porta a conoscere i suoi clienti.»

Jisung aveva un groppo in gola: Minho mentiva fino all'ultimo. Tirò fuori il cellulare dalla tasca e gli mostrò la foto di lui e la ragazza in atteggiamenti intimi al bar.

«Allora questa chi è?»

Minho rimase a bocca aperta, senza parole. Non sapeva come spiegare a Jisung che era tutto un equivoco, un malinteso.

Al contrario, vedere Minho per la prima volta senza ribattere prontamente, sembrò confermare tutto a Jisung.

«Minho, dimmi la verità: non ti fidi più di me?» chiese, con voce triste.

Il moro fece un passo in avanti per abbracciarlo e rassicurarlo, ma Jisung si allontanò, lasciando Minho spiazzato. Il più piccolo aspettò che Minho dicesse qualcosa, ma più il tempo passava e più si sentiva male.

«Dobbiamo andare, adesso. C'è l'auto che hanno mandato i tuoi giù ad aspettarci» disse Jisung con voce stanca, sorpassandolo.

Tutto il viaggio fu silenzioso e la tensione era palpabile nell'aria. Quando arrivarono al ristorante, Minho prese la mano di Jisung ma questo la ritirò subito.

«Ti prego, è per i miei» mormorò sottovoce Minho, così l'altro rilassò un po' le spalle e lasciò fare. Cercò di scrollarsi di dosso tutte le brutte sensazioni che aveva per dare il meglio di sé. Anche se avevano appena litigato, doveva farsi valere anche per Minho.

Un cameriere li scortò al tavolo, dove erano già tutti arrivati. C'era Nayun, splendida dentro un abito blu cielo, di fronte ai signori Lee e uno sconosciuto. Erano tutti impeccabili e Jisung si sentì quasi un senzatetto nonostante fosse vestito bene. Prese un respiro profondo e sorrise, cercando di sembrare il più tranquillo possibile.

Lo sguardo del signor Lee sembrò trapassarlo, quando li vide arrivare mano nella mano.

«Signori Lee, è un piacere conoscervi. Mi scuso se l'ultima volta sono andato via subito» disse Jisung, inchinandosi. La signora Lee sorrise.

«Non ti preoccupare. Siamo in famiglia.»

Minho e Nayun si scambiarono un'occhiatina veloce, che diceva tutto. Jisung salutò cortesemente anche l'estraneo.

«Lui è Shim Changmin, uno dei nostri maggiori fornitori» presentò la signora Lee.

«E' un piacere conoscerti» disse, guardandolo come un lupo affamato guarda una bistecca.

«Anche per me, signore.»

Si accomodarono tutti al tavolo. Le tovaglie erano pregiate, probabilmente vendendole Jisung avrebbe potuto pagare un mese di affitto. I bicchieri e le posate erano disposti in modo ordinato e splendevano alla luce del lampadario. Tutti i clienti parlavano con un tono di voce basso, quasi mormorando, creando un brusio soffuso per tutto il ristorante. Chissà quanto costava respirare, lì dentro.

Presto ordinarono e si ritrovarono a guardarsi l'un l'altro.

«Allora, Jisung: cosa fai nella vita?» disse la signora Lee, cercando di sembrare il più gentile possibile.

«Frequento il primo anno di università qua in città» rispose diligente.

«Interessante! E cosa studi?»

«Scienze e tecnologie delle arti del cinema.»

Era particolarmente fiero di far parte di quella facoltà, era l'unica cosa che gli piacesse davvero e non avrebbe cambiato per nulla al mondo.

«Scienze delle merendine» borbottò il signor Lee, ma tutti sentirono benissimo. Jisung fece finta di nulla, ma ora sentiva ancora di più la tensione.

Mentre servivano da mangiare, si sforzò di evitare lo sguardo di ognuno di loro. Il signor Shim teneva viva la conversazione, salvando Jisung che non poté far altro che ringraziarlo a mente. Tra una portata e l'altra, il biondo guardò in giro per la sala. Vide una figura familiare di fronte a lui, alle spalle del signor Shim, ma non gli sembrò quasi vero. Era Changbin.

Era passato così tanto tempo dall'ultima volta che lo aveva visto, che fece un po' fatica a riconoscerlo. Il viso era più magro e le occhiaie più marcate, ma tutto sommato sembrava stare bene. Quando ci fu un contatto visivo, Jisung alzò la mano per fargli cenno, ma l'altro scosse piano la testa; il biondo finì il movimento passandosi una mano tra i capelli come se nulla fosse.

Changbin gli fece prima un gesto con indice, medio e anulare alzati verso l'alto e poi con la mano arcuata, a significare le lettere WC. Jisung annuì piano e aspettò che l'amico fosse andato prima di alzarsi e chiedere permesso.

Mentre si allontanava, sentì benissimo la madre di Minho, l'unica che pensava non essere così male, dire: «Dio mio, Minho, se proprio dovevi metterti con un altro maschio potevi trovartene uno un po' meglio.» Una pugnalata alla schiena faceva meno male.

Entrò in bagno mentre Changbin si assicurava che non ci fosse nessuno. Jisung non poté non abbracciarlo forte.

«Bin, che fine hai fatto?» gli chiese, tenendolo ancora stretto.

«Lunga storia, ma ora devi ascoltarmi attentamente. Non devi fidarti di nessuno di loro. Nessuno.»

Jisung era confuso. «Scusa, non capisco. Perché no?»

«Sono tutti dei criminali, dal primo all'ultimo. Io lavoro per il signor Shim, so di cosa parlo.»

«Momento momento momento. Lavori per lui? Sei un criminale anche tu?»

Changbin sospirò. «Diciamo di sì, ma sto cercando di tirarmi fuori. Devi stare molto attento a tutto ciò che ti succede intorno, Ji. Potrebbe finire male.»

Sarebbe finita molto male, ma non voleva spaventarlo troppo.

«Ora devo tornare al mio posto, o si accorgeranno che sono assente da troppo tempo. Mi raccomando, stai in guardia» disse, poi uscì.

Se Jisung era teso prima, adesso era teso e confuso. Molto. Non capiva nulla di ciò che gli aveva appena detto il suo amico, in più doveva stare attento ai genitori di Minho perché erano dei criminali e non stava loro nemmeno simpatico. Bene.

Tornò al tavolo, cercando di calmarsi un po'. I signori Lee stavano chiacchierando tranquillamente con gli altri, ma quando videro tornare il biondo ammutolirono. Appunto numero uno: evitare di farsi umiliare ancora pensò.

«Nayun, Minho. Vogliamo sapere cosa avete deciso» disse la madre. Lanciò un'occhiatina a Jisung, in attesa di vedere la sua reazione.

«Deciso a proposito di cosa?» chiese il biondo a bassa voce a Minho. Non aveva assolutamente la più pallida idea di cosa stessero parlando.

«Abbiamo dato l'opportunità ai nostri figli di lavorare con noi. Lasciare tutto e partire per la capitale per imparare tutto sull'azienda. Un giorno la erediteranno, dovrebbero sapere come funzionano le cose.»

La donna si rivelava sempre di più una serpe ogni minuto che passava. «Minho caro, non glielo avevi detto?» chiese innocentemente.

Il ragazzo strinse i pugni. «No.»

Jisung non sapeva se sentirsi ferito, arrabbiato, deluso o tutti e tre. Come aveva potuto non renderlo partecipe di una cosa così importante? Poteva cambiare entrambe le loro vite.

«Perché non l'hai fatto? Non ti fidi più di me?»

Sì, era la seconda volta quella sera che glielo chiedeva ed era anche la seconda volta che la risposta era evidente. Il moro non gli rispose, parlando ai suoi genitori.

«La riposta è no. Nel momento in cui ce lo avete proposto, ho deciso. Sono disposto a rifiutare tutta l'eredità piuttosto che lavorare per voi. Non vi meritate nemmeno un secondo della mia attenzione.»

I signori Lee sembravano aver appena mangiato mezzo limone. O meglio, la donna. L'uomo stava facendo andare gli ingranaggi a mille, vedendo l'incrinatura nella storia di Minho e Jisung.

«Nayun, tu cosa dici?»

Minho si aspettò che la sorella dicesse lo stesso e lo sostenesse.

«Verrò con voi.»

Tre semplici parole che scatenarono un inferno. Minho sentì il suo brutto carattere imbizzarrirsi dentro di sé e ci vollero tutti i santi per evitare che esplodesse malamente. Sua sorella lo aveva appena tradito. Lo aveva appena abbandonato.

«Nayun, cosa stai dicendo?!» Era incredulo. Pure Jisung ne era sorpreso.

«Ci ho pensato davvero a lungo, Minho. Questa è la scelta migliore per me.»

Per un attimo regnò il silenzio, poi Minho si alzò e uscì dal ristorante, quasi marciando come un soldato. Era nero di rabbia, avrebbe potuto distruggere qualunque cosa. Jisung lo seguì subito, non prima di aver fatto un inchino veloce agli adulti intorno al tavolo. Nayun voleva fondersi con la sedia e sprofondare al centro della terra.

Minho prese un taxi e partì prima che Jisung potesse raggiungerlo; il biondo ne accalappiò uno al volo e ordinò all'autista di seguire quello che avevano davanti.

Arrivati a casa Lee, Minho salì i gradini due alla volta con Jisung alle calcagna. Riuscì a raggiungerlo un secondo prima che chiudesse la porta, infilandosi quasi correndo dentro l'appartamento.

«Minho, vuoi fermarti un attimo?» ansimò il biondo, con le mani sulle ginocchia.

«Che vuoi?» gli rispose aggressivamente.

«Lo so che sei incazzato per tua sorella ma devi calmarti.»

Minho tirò un calcio al divano, che si spostò mezzo metro più indietro. «Incazzato? Sono furioso. Con mia sorella, con i miei, con te.»

Jisung cominciò ad arrabbiarsi. Era lui quello che aveva subito, Minho non aveva alcun diritto di prendersela con lui. Era stufo di fare il tappetino.

«Con me? E cosa avrei fatto di male io? Se non sbaglio sei tu quello che mi ha nascosto che sei uscito con quella ragazza, con cui sembravi quasi più che semplici amici.»

Minho non sembrava più lui. Era da molto tempo che non perdeva il controllo così, ma non aveva nemmeno la forza per contrastarlo.

«Sì, ti tradisco Jisung. Pensavo che fosse chiaro ormai» gridò.

Non era vero, non lo avrebbe mai fatto. Non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere al suo biondino. In quel momento non era lui a parlare, era la frustrazione di tutta la situazione che aveva intorno. Jisung era pietrificato: ad ascoltare attentamente, si sarebbe potuto sentire un sonoro crack.

«Come hai potuto farmi questo?» La sua voce non era flebile, anzi: Jisung stava perdendo le staffe per il comportamento del moro.

«Farti questo?» continuò Minho, ridendo. «Tu dovresti essere il primo a stare zitto.»

Jisung davvero non riusciva a capire dove volesse arrivare. «Cosa intendi?»

«Brian, il tuo caro nuovo amichetto Brian. Lo so che non fate solo lezione di inglese.»

Jisung era sotto shock. «Ma che cazzo dici? Brian è simpatico e tutto, ma ti giuro, mi aiuta solo a studiare per l'esame.»

«Credo che sia meglio che tu te ne vada ora» disse Minho con voce ferma.

Jisung lo guardò negli occhi e non lo riconobbe. Era completamente un'altra persona. Era quello il vero Lee Minho? Aveva finto di essere chi non era per tutto quel tempo? Il più piccolo si sentì come se lo avesse preso in giro per mesi. La capacità di umiliare gli altri lo aveva preso dai suoi genitori indubbiamente.

«Io invece credo sia meglio se ci lasciamo direttamente.»

Jisung sentì il peso di ogni parola mentre la pronunciava. La cosa che lo faceva arrabbiare di più, la cosa che lo fece sentire più deluso fu che il moro non gli diede contro. Lì per lì non disse nulla, ma strinse i pugni ancora di più.

«Lo credo anche io.»

Jisung si sentì svuotato. Lo guardò senza più nessuna emozione come se fosse un automa. La sua mente aveva deciso di annullare ogni sentimento, ogni sensazione in attesa di un momento tranquillo per sfogarsi.

«Vado a prendere le mie cose» disse, poi andò in camera e raccolse tutte le sue cose in un borsone, buttandole dentro alla rinfusa. Uscì poi dalla stanza e dall'appartamento, rivolgendo un ultimo sguardo pieno di delusione a Minho.

Chiamò un taxi e gli diede l'indirizzo di casa sua. Era finita.

«...»

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