XXI - corrente
Changbin riuscì a resistere per alcuni chilometri, ma ad un certo punto si ritrovò di fronte a un precipizio. Si affacciò piano per non fare passi falsi e vide, sotto di lui a diverse centinaia di metri, il fiume scorrere argenteo.
Non sapeva cosa fare. Non poteva tornare indietro, l'avrebbero trovato di sicuro. Decise di costeggiare il burrone e scendere verso valle; non aveva abbastanza energie per salire ancora. Jisung non diceva nulla, sembrava un peso morto sulle sue spalle. Ogni tanto gli dava dei colpetti sulla gamba con la mano e il biondo gli rispondeva mugugnando. Non era proprio un buon segno, ma almeno voleva dire che era ancora vivo.
Changbin trovò un albero con il tronco molto largo, costeggiato da alcuni cespugli fitti. Fece sedere piano Jisung sul terreno muschioso, facendolo appoggiare al tronco. Se le guardie del signor Shim fossero arrivate da dove si aspettava, non li avrebbero visti fino all'ultimo. Si prese qualche minuto per riposare: gli tremavano le gambe dallo sforzo. Jisung aveva la fronte imperlata di sudore ed era molto pallido per tutto il sangue che aveva perso. Teneva gli occhi socchiusi ma fortunatamente non aveva perso conoscenza.
«Ji, ci siamo quasi. Il paese è vicino» disse Changbin incoraggiante, respirando profondamente.
«Lo spero, non credo di resistere ancora per molto.»
La ferita sembrava peggiorare: tutta la carne intorno al pugnale di vetro era rossa e un po' gonfia. Changbin non aveva voluto toglierlo per paura che Jisung si dissanguasse ancora di più. La sensazione di fuoco della ferita era aumentata: all'inizio c'era l'adrenalina a coprire un po' il dolore, ma ora che quella era scemata, era mille volte peggio. Jisung aveva paura di perdere l'uso del braccio.
Rimasero nella nicchia dell'albero per un po', in silenzio ma con le antenne ritte per sentire qualche rumore. Il moro stava per alzarsi e riprendere la fuga quando vide un movimento con la coda dell'occhio e si accucciò dietro uno dei cespugli vicini all'albero. Le guardie di Changmin erano quasi arrivate.
«Jisung, non so cosa fare» gli parlò, per tenerlo cosciente. «Se ci alziamo e continuiamo verso valle, ci vedranno sicuramente. Rimanendo qua nascosti abbiamo qualche possibilità in più, ma in caso ci prendessero non avremmo via di uscita. Tu cosa dici?» mormorò, per non farsi sentire.
«Nessuno dei due ha abbastanza forze per scappare. E se le avessimo, comunque non sarebbero sufficienti per difenderci in caso ci prendessero. Aspettiamo qua e speriamo che non ci notino.»
Jisung rimase seduto con la schiena appoggiata all'albero, mentre Changbin si schiacciò il più possibile contro uno dei cespugli, quasi volendo scomparirci all'interno. Respirarono piano e rimasero immobili come delle statue. Sentirono i passi delle guardie passare dietro il loro albero e Jisung sperò che non sentissero il rumore del suo cuore che batteva all'impazzata per l'agitazione.
Una delle guardie volle andare a vedere il precipizio, per controllare che non fossero scivolati dentro. Changbin avrebbe voluto spingerlo di sotto. Ancora pochi passi e non saremo più nel suo campo visivo continuò a ripetersi il ragazzo.
La guardia chiamò uno dei suoi colleghi per mostrargli qualche formazione rocciosa dalla forma buffa. Sfortunatamente si girarono troppo presto e si ritrovarono i due ragazzi seminascosti nella selva. Non esitarono a puntare loro contro le pistole.
«Ehi! Li abbiamo trovati!» gridò uno dei due, tenendo Jisung e Changbin sulla linea di tiro. Le altre guardie accorsero.
E' finita pensarono i due. Sto per morire.
***
Ciò che trovarono a casa di Seo Changbin fu impressionante. Il commissario era davvero colpito dall'intricato sistema informatico che il ragazzo aveva messo in piedi, e la cosa che gli piacque di più fu che il segnale captava anche a lungo raggio. Riusciva a sentire tutte le conversazioni dei microfoni che aveva installato addosso a quelle persone, il che poteva fornire indizi preziosissimi, ma sfortunatamente non c'era la localizzazione. Un team avrebbe dovuto ascoltare tutte le registrazioni, mentre un altro ascoltare le conversazioni in diretta. Erano ad un passo dalla risoluzione.
Chan consegnò la busta direttamente al commissario: insisté a lungo con gli altri agenti, ma aveva paura che i documenti e le foto andassero perdute. L'uomo ordinò di portare lì i sospettati, mentre lui e Chan facevano una "chiacchierata".
Il commissario non fu troppo sorpreso di vedere le foto di quelle persone, dentro la busta. La maggior parte delle volte era stato lui a trovare i corpi, perciò conosceva il materiale molto bene. Seduto al tavolo della cucina, guardò Chan senza far trasparire alcuna emozione.
«Come sei arrivato ad avere tutto questo materiale?»
«Changbin mi ha detto dove trovare tutto, ma di consegnarlo solo e solo se le cose fossero andate male.»
Il commissario continuò a guardarlo. «Quali cose?»
«Prima che Jisung venisse rapito, Changbin mi disse di raggiungerlo ad un caffè. Lì mi spiegò che c'era una possibile minaccia che coinvolgeva il nostro amico, il signor Shim e i signori Lee» iniziò, per poi raccontagli tutto ciò che gli aveva detto Changbin quel giorno.
Il commissario ascoltò senza interrompere mai e intervenne solo quando Chan ebbe finito.
«Quindi credi che anche Seo Changbin possa essere in pericolo?»
«Sì, ne sono certo.»
L'uomo guardò la credenza con uno sguardo vuoto, mentre nella sua mente cercava di far andare tutti i pezzi al loro posto. Ancora non sapeva dove si trovavano e se erano ancora vivi.
«Non mi hai ancora detto perché Seo si è rivolto proprio a te, confidandoti queste cose.»
«Conosco il signor Shim da molto tempo. Mio padre è in debito di parecchie migliaia con lui, e sono io a restituirgli i soldi. Un po' ogni mese, come un mutuo. E con gli interessi, ovviamente. Ho scoperto di Changbin poco prima che Jisung ce lo presentasse, alla Festa di Primavera. L'ho sempre ostacolato, gentilmente invitato a lasciarci in pace, ma alla fine è passato dalla nostra parte.»
Dalla porta dell'appartamento entrarono, scortati da alcuni agenti, i ragazzi della compagnia. Minho con Nayun, che corse ad abbracciare Chan, Felix e Seungmin.
«Chan, grazie al cielo! Changbin dov'è?» gli chiese trafelata la ragazza.
«Non lo so, credo che sia con Jisung. E non è un bene.»
Uno dei tecnici corse fuori dalla stanza di Changbin e disse loro di raggiungerlo dentro. La camera si fece affollata.
«Ascoltate» disse, schiacciando un po' di tasti sulla tastiera del computer. Partì una registrazione di quattro ore prima.
«Cosa vuole fare, signore?» chiese una voce maschile.
«Per evitare che si agitino troppo, da' loro un po' di luxor. Poi quando avrà fatto effetto, li porteremo giù al fiume.»
Il commissario sapeva che genere di sostanza era il luxor: un anestetico talmente potente da renderti innocuo con solo un paio di gocce. Seo e Han non avrebbero mai potuto difendersi con quella sostanza nel corpo.
«C'è altro?» chiese al tecnico. Quello annuì.
«Signor Shim! Sono scappati!» urlò un uomo.
«Come hanno fatto?!»
«Sono saltati giù dalla finestra. Han è ferito, Changbin lo sta portando sulle spalle ma non credo faranno molta strada.»
«Non mi importa cosa credi! Inseguiteli!» gridò la voce che Chan riconobbe come quella del signor Shim.
Tutti nella stanza si agitarono. Minho aveva il cuore in gola mentre sentiva di star per avere un altro attacco di rabbia. Aveva sentito che Jisung era ferito, e doveva essere qualcosa di grave se Changbin era stato costretto a portarlo sulle spalle. Avrebbe preso Shim Changmin e lo avrebbe strangolato non appena ne avesse avuta l'occasione.
«Sapete quale fiume può essere quello di cui sta parlando?» chiese il commissario ai presenti.
Nayun scosse il capo. «No, non ne ho idea» disse, asciugandosi una lacrima. Era molto nervosa e le registrazioni non avevano aiutato a calmarla. In cuor suo credeva che Jisung e Changbin fossero già morti; non riusciva a vedere una via d'uscita da una situazione come quella.
«Forse so di quale fiume parlano» disse Minho. Anche Chan si illuminò.
«I genitori di Jisung sono morti in un incidente stradale, precipitando da un ponte. Quando andammo in montagna, nella baita della sua famiglia, una sera Jisung mi portò con lui a portare dei fiori sulla targa dedicata ai suoi, sul ponte» continuò il moro.
«E considerando la teatralità di Shim, potrebbe essere intenzionato a finirli proprio lì» concluse il commissario.
Rimasero tutti in silenzio per qualche secondo, mentre realizzavano le informazioni appena apprese. Il commissario uscì dalla stanza e radunò i suoi uomini.
«Ho bisogno di due volanti che vengano con me al fiume, a nord. Tuttavia potrebbe non essere il luogo giusto, perciò voi altri andrete a pattugliare gli altri fiumi della zona, specialmente quelli che hanno dei ponti che li attraversano. Avvisate la forestale che controlli movimenti sospetti sugli argini in montagna e chiamate un'ambulanza che ci raggiunga il più presto possibile» ordinò, parlando a raffica. Tutti gli agenti eseguirono all'istante.
«Andiamo!»
Minho seguì il commissario fuori dalla porta. «Voglio venire con voi.»
«No.»
Il moro lo seguì giù dalle scale, continuando ad insistere.
«La supplico, davvero. Non potete lasciarmi qua in attesa, non resisterei. Sono disposto anche ad inginocchiarmi a terra se non avessimo questa fretta» continuò.
«Ho detto di no.»
Il commissario era fermo sulla sua linea, ma non sapeva quanto potesse essere testardo il ragazzo. L'uomo stava per salire in macchina, ma Minho lo trattenne per un braccio. Dagli occhi di Minho dovette trasparire una disperazione tale, che per qualche secondo il commissario rimase interdetto.
«La prego» lo supplicò ancora. L'uomo sbuffò.
«Va bene.»
***
Jisung fu scaraventato a terra e l'impatto della schiena sulla ghiaia lo fece tremare. La scheggia di vetro gli era entrata nella spalla di qualche centimetro più in profondità; ancora un po' e lo avrebbe trapassato da un lato all'altro. Volle urlare, ma si trattenne mordendosi la lingua con forza. Si mise nella posizione del bambino mentre il cuore gli pulsava forte nelle orecchie. Poco più in là Changbin era inginocchiato a terra, con una delle guardie che lo teneva d'occhio da molto vicino.
Jisung si guardò in giro e riconobbe il luogo dov'erano. Era la spiaggetta di sassi che emergeva quando il livello del fiume vicino alla baita era basso. Gli venne quasi da ridere. Lì erano morti anche i suoi genitori, il signor Shim aveva davvero poca fantasia.
«Alzatevi in piedi» ordinò proprio lui, quello che aveva giocato con la sua vita per i cinque mesi precedenti.
Jisung e Changbin si alzarono, uno un po' più a fatica dell'altro.I due ragazzi fronteggiarono Changmin e i suoi, con il viso rivolto verso di loro e l'argine alle loro spalle. Il biondo lanciò un'occhiata alle porte di legno chiuse con un catenaccio, quelle da cui sua madre aveva sempre detto di stare lontano.
Sarebbe bello se l'orco del fiume uscisse da lì e se li mangiasse pensò amaramente.
«Tenete le mani bene in vista» continuò il signor Shim.
Nonostante non avessero nulla con cui difendersi o qualcosa con cui ferirli, quell'ordine fu piuttosto inutile, ma i due eseguirono senza protestare.
«Ora arretrate fino ad avere l'acqua alle ginocchia» continuò.
Jisung e Changbin fecero ciò che aveva detto senza voltarsi mai. L'acqua gelida del fiume lambì le loro gambe e il freddo si avvolse attorno a queste come dei tentacoli. Il biondo sentiva una sensazione opprimente sul petto, come se non riuscisse a respirare. Quelli erano i suoi ultimi momenti da vivo.
Non sapeva cosa pensare, non aveva proprio la capacità di farlo. Era nel panico. Stava pregando Dio di non mandarlo dritto all'inferno, che avrebbe voluto espiare le sue colpe tranquillamente in purgatorio prima di andare in paradiso. Si chiese se almeno ci fosse un aldilà dove andare. Avrebbe rivisto i suoi genitori?
Poi pensò ai suoi amici. Changbin stava per fare la sua stessa fine, praticamente per colpa sua. Lo aveva protetto, ma non era servito a molto. Aveva bisogno di un contatto fisico, perciò gli prese la mano e gliela strinse forte. Changbin ricambiò la stretta.
Quanto a Seungmin, non sapeva. Erano sempre stati fianco a fianco per tutta la loro breve vita. Dove c'era uno, c'era anche l'altro. Cosa avrebbe fatto senza di lui?
Si augurò che Nayun vivesse bene la sua vita, così come Felix. Nonostante tutto, se lo meritavano. Dal suo punto di vista specialmente il rosso. Erano diventati amici in poco tempo ma poteva dire che lui era un amico vero, uno di quelli difficili da trovare.
E poi c'era Minho. Gli venne un nodo in gola. Sperò che riuscisse a vivere bene la sua vita, che non provasse a buttarla via di nuovo. C'erano un sacco di cose che voleva dirgli, ma solo due parole gli balenarono in mente in quel momento. Forse il dolore alla spalla lo stava facendo delirare, forse non sapeva più cosa era davvero reale.
Il signor Shim caricò la pistola. Aveva fatto andare i due ragazzi un po' dentro l'acqua, così la corrente li avrebbe portati via, facendo sparire le tracce rintracciabili dai cani.
Jisung aveva perso moltissimo sangue, perciò se il signor Shim avesse sbagliato mira, lui sarebbe morto lo stesso. Faceva fatica a stare in piedi, la corrente lo faceva essere malfermo sui piedi. La spalla gli pulsava come un secondo cuore e il dolore era così insopportabile che il ragazzo sperò, per un attimo, che il signor Shim mettesse fine a quella sofferenza.
«Oh, ma che teneri» disse sprezzante, guardando le mani intrecciate dei due. Puntò loro la pistola contro.
«Ultima parole?» chiese. Lo faceva sempre, prima di ogni omicidio. Era come una gentilezza, una grazia che rendeva. Sapere le ultime parole di qualcuno lo faceva sentire in qualche modo potente, come se possedesse qualche tipo di segreto.
«Sei uno stronzo» sbottò Changbin e Jisung rise, più per isteria che per divertimento.
«Wow, Changbin. Pensavo che dopo tutti questi anni mi dicessi almeno grazie.»
Il ragazzo non rispose, si limitò solo a sputare nell'acqua. «Va bene, vuol dire che sarai il primo a morire» alzò le spalle il signor Shim.
«Tanto per sapere, per cosa dovrei ringraziarti?» continuò il ragazzo. Gli stava dando del tu, cosa che non aveva mai fatto prima. Stava cercando di prendere tempo, in modo da dare qualche minuto in più alla polizia - sempre che li stessero cercando. Confidava in Chan, che avesse fatto tutto il possibile. Senza di lui, non li avrebbero mai trovati.
«Ti ho addestrato, ti ho tirato su quasi - dico quasi - come un figlio. Saresti potuto diventare il mio erede ma hai scelto l'infedeltà.»
Changbin scoppiò a ridere. Se lo avesse saputo prima, avrebbe voluto ereditare tutto ma per poi smantellarlo. In quei mesi erano cambiate tante cose ed era cambiato anche lui.
Minho, nella volante della polizia, non riusciva a stare fermo. Si torceva le mani e giocava con il lembo della maglietta che, se non avesse fatto attenzione, l'avrebbe strappata. Il guidatore aveva tenuto le sirene spiegate per tutto il viaggio, in modo che le macchine si spostassero, ed erano filati in autostrada a velocità altissima. Quando furono in dirittura d'arrivo, rallentarono, spensero le sirene e staccarono il lampeggiante dal tetto dell'auto, tornando a essere una qualunque automobile.
«Ma qui non c'è nessuno» disse il commissario mentre accostavano ad un lato del ponte: era deserto. Non c'era nessuno, nessun'anima e nessuna macchina oltre alla loro. Minho era sull'orlo di una crisi. Era sicuro che fossero lì. Quale altro fiume poteva essere?
Attraversò il ponte, seguito dal commissario e due agenti, mentre gli altri perlustravano la zona, per raggiungere la targa dei genitori di Jisung. Si sporse un attimo e li vide: Changbin e Jisung in acqua e con le braccia alzate, il signor Shim e una delle sue guardie in piedi sulla spiaggetta di sassi. La stessa spiaggetta dove Jisung si è confessato pensò con una stretta al cuore. Era felice di vedere che erano ancora vivi, ma era ancora molto teso. Jisung aveva una spalla insanguinata e il signor Shim aveva ancora la pistola puntata contro di loro.
Il commissario e gli agenti estrassero le loro pistole e le puntarono contro Changmin e la sua guardia.
«Fermi, polizia!» gridò il commissario, facendo girare tutti verso di lui.
Il signor Shim si voltò subito verso i due ragazzi e rafforzò la presa attorno alla pistola. Non aveva intenzione di fallire. Doveva portare a termine il progetto. Doveva.
Jisung guardò Minho. Era venuto, era venuto a prenderlo. Era venuto per lui. Vederlo davanti ai suoi occhi gli fece prendere un respiro, che stava trattenendo da tempo senza accorgersene. Si sentì rincuorato per un momento, prima che premesse il grilletto.
Il rumore di due spari riecheggiò per le montagne, poi uno stormo di uccelli si levò dal bosco gracchiando impaurito.
«...»
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