8| Max- Il presente
2021, BHR
Avevo aspettative su chissà che risultati
Ma erano tranelli
E mi ritrovo con le mani nei capelli
Alle volte vorrei smettere
Non nego che m'intriga il pensiero di sparire
L'idea di cambiare vita
Chiunque conosca Max, a prescindere dal rapporto che ha con lui e dalla quantità di tempo che trascorre in sua compagnia, sa che non è un ragazzo paziente. E che, in tutta sincerità, questo è a dir poco un eufemismo.
Secondo la sua personalissima filosofia di vita, niente che si debba aspettare per più di cinque minuti vale la pena di essere atteso. E questo vale per tutto, più o meno. Vale sicuramente per i suoi amici, per il cibo e per le telefonate importanti. Vale anche per le code fuori dai locali esclusivi, per qualsiasi genere di appuntamento e perfino per il momento perfetto.
Esistono solo due eccezioni.
Una è il campionato piloti. L'altra è Frances Roux.
Questa, ovviamente, è la parte che tiene per sé. Perché Dio solo sa cosa potrebbero inventarsi su di lui, se solo avessero il sospetto che Max Verstappen abbia un cuore.
Anche se la verità è che non c'è niente di romantico o poetico nel fatto che sarebbe disposto ad aspettare tutta la vita di vincere o di essere ricambiato. Piuttosto, è lo specchio distorto del suo desiderio di avere cose irrimediabilmente fuori dalla sua portata.
Amori impossibili. Sogni irrealizzabili.
Cose che, se solo riuscisse ad afferrare, potrebbero renderlo felice. E Max non è fatto per essere felice. Questo lo ha accettato molto tempo fa.
*
Il paradosso, in realtà, è che avvicinarsi alla vittoria non lo fa sentire meglio, anzi.
Probabilmente se avesse saputo che avere una macchina più competitiva non sarebbe bastato a garantirgli il successo, ne avrebbe volentieri fatto a meno. Avrebbe continuato a stare nelle retrovie, strappando qualche buon risultato con i denti, racimolando punti e perdendo, perfino. A testa alta, almeno. Non così.
Il secondo gradino del podio non è mai stato scomodo come quel pomeriggio. Lo champagne sapeva di catrame.
Mentre cerca di scacciare dalla mente le immagini intollerabili dei festeggiamenti di Lewis e di schiacciare la rabbia che gli monta dentro, l'unico suono nella stanza è quello dell'acqua che scorre dal rubinetto aperto e che attutisce il suo respiro pesante.
Max guarda dritto nello specchio del bagno, ed il suo riflesso gli restituisce uno sguardo ambiguo, che amplifica la sensazione di disagio ed insoddisfazione che si fa strada nel suo petto e lo avviluppa dall'interno, come una tenaglia.
Restituisci la posizione.
Restituisci la posizione.
Restituisci la posizione.
Le parole di GP rimbalzano da un orecchio all'altro, rimbombando nella scatola cranica fino a farlo smarrire nel suo inferno personale.
La vittoria –la prima vittoria della stagione- era alla sua portata. Peggio, era sua.
Ha fatto tutto giusto. Ha spinto al limite in qualifica per prendersi la pole. È partito davanti. E quando Lewis lo ha candidamente accompagnato fuori pista per prendersi il primo posto non ha perso la calma neppure per un istante. Si è fidato. Ha impiegato un'intera gara a rincorrerlo, a trovare il passo giusto per impedirgli di allungare, ad aspettare pazientemente il momento perfetto per sferrare il suo attacco.
È stato lucido, chirurgico. Non si è lasciato abbindolare. Anche quando l'altro s'inventava nuovi modi per guadagnare un margine, lui lo rosicchiava via. E forse è stato quello, il problema.
Ci ha creduto troppo. Non è riuscito a reprimere l'esaltazione di sentire sotto di sé una macchina pronta ad esaudire ogni suo desiderio. Una macchina che riusciva a star dietro alla Mercedes senza sforzo, nonostante Lewis tagliasse le curve e sfruttasse i cordoli al massimo. Una macchina che è riuscita a superarlo.
Una macchina competitiva. Una macchina da titolo-
Le nocche sbiancano, mentre stringe il ripiano in marmo con le dita, cercando di ancorarsi al pavimento. Sente il cuore pompargli nel petto feroce, al ritmo forsennato della sua guida. Deve smettere di pensarci. Finirà per impazzire.
Eppure non riesce a scacciare la sensazione di aver subito un'ingiustizia. Di essere stato privato di qualcosa che era suo. Suo di diritto.
Il Max nello specchio lo studia severo, come se volesse indicargli tutti i modi che avrebbe avuto per evitare questo risultato. Se solo fosse stato bravo abbastanza. Furbo abbastanza.
Il telefono giace a faccia in giù, sul lavandino, e non smette di squillare da quando ha messo piede nella stanza. Lo schermo continua a illuminarsi per via delle notifiche e la vibrazione è fastidiosa contro la superficie liscia e lucida.
Ha perso il conto delle telefonate che ha ricevuto da suo padre e da Kelly. Da Frances, perfino.
E la verità è che non ha voglia di parlare con nessuno di loro, per ragioni del tutto diverse. Non ha bisogno di sentire i consigli non richiesti di suo padre, né le parole di conforto preconfezionate della sua ragazza. Si rende conto, con una smorfia, che quella che teme di più in assoluto, però, è Frances.
Max ha sempre ammirato il modo in cui l'altra analizzava vittorie e sconfitte –freddo e meticoloso- passando in rassegna ogni errore ed ogni minimo segno di esitazione. Ha sempre rispettato il suo giudizio, pragmatico e schietto, ai limiti del brutale, ma stasera non sa se è pronto ad essere messo di fronte alla realtà dei fatti.
Perché sa quello che lei gli dirà. Se chiude gli occhi può vederla distintamente, con un'espressione contrita che non lascia spazio a repliche, né ad illusioni. La bocca morbida che si piega crudelmente, riscrivendo le geometrie del suo volto, catalizzando tutta l'attenzione su di sé. Se si isola dai rumori esterni, riesce quasi a sentirne la parlata strascicata, l'accento vischioso, l'intonazione solenne e definitiva.
Lewis ha già messo la firma sul campionato del 2021 e il suo team non è in grado di ribaltare la situazione nemmeno con un progetto più performante. Ha perso in partenza. Gli è stata servita una mano sfortunata, ma non lo sa ancora, non riesce ancora a vederlo.
No, peggio.
La macchina è perfetta, il team è perfetto. Motore, telaio, strategia. Ha in mano la ricetta per la vittoria.
È lui, ad essere il perdente.
L'unico modo che ha per zittire la voce della sua coscienza –che suona maledettamente simile a quella di lei- è mettere la testa sotto il getto d'acqua, e lasciare che gli inzuppi i capelli e gli scorra sul viso e lungo la nuca, fin dentro al colletto della polo.
Che lo lavi e che lo benedica, come un battesimo.
Non sa per quanto tempo rimane così, ma quando chiude finalmente il rubinetto si rende conto di un altro rumore, attutito, che proviene dalla stanza da letto.
Qualcuno sta bussando alla sua porta.
I colpi sono decisi, contro il legno, ma il modo in cui sono scanditi ha qualcosa di profondamente fuori posto, come se fossero dati di piatto piuttosto che con le nocche, e non ha nulla di familiare.
Max si asciuga i capelli frettolosamente, strofinandoli con uno degli asciugamani bianchi sulla mensola, prima di affacciarsi nell'ambiente principale, indeciso sul da farsi. Ad essere del tutto sinceri, dopo una giornata del genere, non ha la minima voglia di vedere nessuno. E chi lo conosce davvero lo sa. Nemmeno Christian oserebbe mai presentarsi alla sua porta per discutere dell'accaduto, non quando la ferita è così fresca e brucia così intensamente.
Perfino Daniel ha imparato a lasciargli i suoi spazi.
C'è solo una persona al mondo più cocciuta di lui che non lo lascerebbe mai in pace a crogiolarsi nella sua insoddisfazione, e Max non riesce a reprimere in nessun modo il pizzicore che sente, dietro lo sterno, al pensiero che Frances sia lì, lì per lui. Nonostante tutto.
È così disperato che si dice che anche se non potranno mai essere più di questo- questo gli basta.
Con l'asciugamano bianco ancora sulle spalle, Max gira la maniglia e spalanca la porta quel tanto che basta per avere una chiara visione della persona che gli sta davanti, e che non ha niente a che fare con la persona che si aspettava di vedere.
Il suo sguardo si rabbuia immediatamente.
"Cosa ci fai qui?" dice, scandendo ogni parola e strizzando gli occhi come se questo potesse cambiare la realtà dei fatti. Con sua somma sorpresa il tono che gli viene fuori è perplesso, più che deluso.
La figura di Charles Leclerc –il principe Ferrari, il suo rivale, la persona più importante per la ragazza che Max ama-, occupa interamente la cornice della porta, infagottata in una felpa Balenciaga decisamente troppo grande per lui. Ha sul viso un'espressione strana, indecifrabile. Dal modo in cui tiene strette le labbra, se non lo conoscesse, direbbe che è nervoso.
Stanno lì, a studiarsi, per una decina di secondi, ed è di gran lunga la cosa più assurda che sia successa a Max nell'ultimo anno. Principalmente perché non riesce ad immaginare neppure una ragione valida perché l'altro si presenti alla sua porta, come se avesse qualcosa da dirgli, qualcosa da chiedergli.
Ci mette poco ad innervosirsi.
"Charles, senti-" inizia, passandosi una mano fra i capelli bagnati nel tentativo di appiattirli. La stanchezza inizia a farsi sentire, e tutti i muscoli sono indolenziti. "Se ti ha mandato Fran a controllarmi, puoi dirle che non mi sono lanciato dal balcone della mia stanza per un merdoso secondo posto. Voglio solo essere lasciato in pace."
Lo fa apposta, ad usare quella stupida abbreviazione, per rivendicare il suo ruolo nella vita della ragazza. Il suo coinvolgimento. La loro intimità. È un tentativo maldestro, ovviamente, e non sortisce l'effetto sperato.
Anzi, l'altro lo guarda in un modo che Max non capisce, con le labbra strette e gli occhi verdi appena socchiusi, luccicanti, come se fosse vagamente divertito dalle sue parole.
"Frances non c'entra niente." Lo informa Charles, e il nome di lei suona così giusto pronunciato da lui, con quella r vibrante, quella brevissima pausa fra la a e la n. Ma Max non ha modo di soffermarsi su questo subdolo dettaglio in particolare, perché subito dopo l'altro aggiunge, concitato: "Mi fai entrare?"
Max incrocia le braccia al petto, colto alla sprovvista.
"Quale parte del voglio solo essere lasciato in pace non è chiara?"
Charles alza gli occhi al cielo, mormorando qualcosa in francese che somiglia pericolosamente a un dans quelle galère je me suis foutu e alza finalmente il braccio destro, che aveva tenuto piegato dietro la schiena fino a quel momento, sventolando una bottiglia di vetro allungata dal contenuto bruno.
Le pupille si dilatano mentre il liquido guizza all'interno, promettendogli l'unica cosa che Max non si negherebbe mai. Una via di fuga. Una distrazione.
"Allora" incalza Charles, indicando la bottiglia con un cenno della testa. Sembra abbia fretta. "Mi fai entrare?"
E Max non sa davvero come dirgli di no, a questo punto, perciò si fa da parte e lo lascia entrare.
Potrebbe o non potrebbe essere l'idea più stupida che abbia mai avuto, ma dubita che possa andare peggio di così e prega solo di non sbagliarsi.
Charles si fa strada da solo nella stanza, con una disinvoltura che Max non riesce in alcun modo a spiegarsi, come se non fosse la prima volta che si trovano da soli a porte chiuse, come se fossero amici e presentarsi alla porta dell'altro fosse un'abitudine consolidata. Poggia la bottiglia sul tavolino, senza accennare ad aprirla, e sprofonda nella poltroncina di velluto turchese, guardandosi attorno e allungando le gambe sul tappeto, sotto il suo sguardo appannato e attonito.
Charles Leclerc non finirà mai di stupirlo- e non in modo positivo.
"La tua stanza è più bella della mia" commenta, imbronciato. Ha la testa appoggiata mollemente contro il palmo della mano, e lo guarda curioso attraverso le sue ciglia lunghe e fitte, come in attesa di una qualche spiegazione.
"Pensavo Kelly sarebbe venuta, questo weekend" si giustifica lui, e abbassa lo sguardo per impedire a Charles di leggergli in faccia la verità. Il bisogno di tenere le mani occupate lo porta a sollevare la bottiglia per leggerne l'etichetta.
William Larue Weller. Kentucky Straight Bourbon Whiskey.
Dev'essere uno scherzo.
Soffoca a stento una risata, ma viene fuori come un colpo di tosse.
"Whiskey, Leclerc? Sei serio?" lo schernisce, sollevando le sopracciglia. "Ma cos'hai, sessant'anni?"
"Ah ah ah" gli fa il verso Charles, arricciando il naso in una smorfia. Con le dita tamburella contro il bracciolo della poltrona, al ritmo di una canzone nella sua testa. "È un gusto acquisito. Impari ad apprezzarlo con il tempo."
Max scuote piano la testa, prima di appoggiare nuovamente la bottiglia al suo posto.
"Hai decisamente sessant'anni."
La smorfia sul viso perfetto del ragazzo monegasco si scioglie in un sorriso leggero, appena accennato, che non raggiunge gli occhi.
"È una bottiglia da grandi occasioni. A me ne ha regalata una Seb, due anni fa, dopo Singapore." Dice, e da come lo fa sembra una confidenza. "Era insieme ad un bigliettino in cui mi invitava ad abbandonare il piede di guerra e a festeggiare questo grande risultato per la squadra. Non penso che ti sorprenderà sapere che non ha avuto il risultato sperato."
Charles tiene gli occhi puntati sul tappeto, ma il suo sguardo è vuoto, come se stesse cercando di mettere a fuoco un ricordo specifico, nascosto da qualche parte nella sua memoria. Max non ha difficoltà ad immaginare i meccanismi intricati nel suo cervello lavorare a pieno regime. "Ero furioso. Mi sono scolato mezza bottiglia da solo. Fidati- non farlo."
Il modo in cui l'altro parla, il modo in cui la sua voce si piega e si incrina, gonfia di acredine e disillusione, lo mette a disagio. Sicuramente non si aspettava che Charles Leclerc, fra tutte le persone al mondo, venisse a vomitargli addosso le sue frustrazioni per una roba successa un milione di anni fa.
"E questo in quale modo malato c'entra con me, Charles?" ribatte, accompagnando le parole con un gesto stizzito del braccio. Un lampo di dolore sembra attraversare gli occhi dell'altro, ma è così rapido che Max è sicuro di averlo immaginato.
"So che moriresti piuttosto che ammetterlo, ma io e te, Max, siamo uguali."
Questa sì che è nuova.
Quando fa per interromperlo –per sottolineare quanto si sbagli- Charles alza una mano a mezz'aria, chiedendogli di aspettare. "Almeno in questo, non puoi negarlo." Ribadisce, greve. "Lo siamo sempre stati."
La prima reazione di Max, inevitabilmente, è stizzita e quasi contrariata. Non ha tempo per queste cazzate. Lui e Charles si conoscono da più di dieci anni, e se c'è una cosa che ai suoi occhi è sempre stata chiara come il sole è che non esiste al mondo una persona più diversa da lui del pilota monegasco. E adesso che gli sta davanti, coi capelli bruni e scompigliati e le mani intrecciate l'una con l'altra sul suo grembo, come in preghiera, ne è più che sicuro.
Dove Max è piede, Charles è testa.
Uno guida seguendo le sensazioni, affidandosi completamente alla memoria muscolare, l'altro segue l'intuito anche se va contro ogni possibile legge della fisica. Uno è calma placida, l'altro tumulto e furia. Uno ha smesso di farsi affossare dal giudizio degli altri, l'altro vi si aggrappa con tutte le sue forze, sperando che lo aiuti a rimanere a galla. Per uno è destino, per l'altro è duro lavoro e sudore e lacrime.
Dove Max è diffidenza, Charles è fiducia. Per uno è difficile provare affetto, per l'altro è impossibile non farlo.
Max le sottolineerebbe tutte, queste differenze, se solo non costituissero una confessione molto scomoda, un'ammissione di inferiorità. Se solo non sprizzassero da ogni lato l'invidia che ha sempre provato per l'altro ragazzo, a prescindere da tutto il resto.
La vita non è stata gentile, con Charles, eppure sembra che lui non abbia imparato niente, da tutto quel dolore. Non è diventato duro e impenetrabile come lui, come Frances. È rimasto squisitamente vulnerabile. Senza barriere. Senza protezioni.
Stupido, da parte sua.
Perfino adesso Max sa che se solo volesse potrebbe ferirlo a morte. Prendersi gioco di lui. Spingerlo ad andar via, ad odiarlo più di quanto non faccia già.
Ma cosa cazzo ne sai tu, di me? Ti piacerebbe essere come me. Essere dove sono io. Io avrò perso una vittoria, ma tu? Si sta comodi in una macchina mediocre, come tu sei sempre stato? Come quando perdevi ogni gara, mangiando la mia polvere, quella della tua carissima Fanny? Io e te non siamo uguali perché io non sono nato per essere un perdente come te, pattini a rotelle.
Ma le parole gli muoiono in gola, soffocate come una fiamma senza ossigeno, e Max se ne sta lì, con le dita che strofinano nervosamente la cucitura laterale dei jeans, senza dire niente. C'è silenzio, per un po', ed è Charles a romperlo per primo.
"Non mi serve che tu mi dica come ti senti. So che sei incazzato. Lo sarei anche io." Dice, piano. Soppesa ogni sillaba con estrema cura. "La vittoria era tua e- ti hanno fregato."
Max batte le palpebre più di una volta, incredulo.
"Non so cosa mi aspettassi" confessa. Ed è come se Charles gli leggesse nella mente, perché la cosa successiva che dice è: "Non si può vincere contro Lewis."
Per la prima volta, da quando GP gli ha chiesto di restituire la posizione in gara, Max sente di nuovo una strana elettricità percorrergli tutto il corpo, accenderlo dall'interno come una miccia esplosiva, ed è quasi spaventato dal modo in cui il suo corpo reagisce alla provocazione di Charles.
"È una sfida?" gli chiede, guardando l'altro dritto negli occhi.
Sul viso di Charles si apre un sorriso vittorioso, che gli scava due fossette profonde sulle guance e gli illumina lo sguardo.
"Andata." Risponde, annuendo brevemente con la testa. Poi, sfila il cellulare dalla tasca dei jeans e per un istante i suoi occhi sereni sembrano rannuvolarsi. "Adesso devo proprio andare."
Si puntella con le mani sulle ginocchia, tirandosi in piedi, e c'è un momento imbarazzato in cui stanno in piedi uno di fronte all'altro, a meno di due passi di distanza, incapaci di gestire un momento così inspiegabilmente intimo. Non sono mai stati bravi a congedarsi.
"Grazie per la bottiglia" gli dice Max, indicandola brevemente con un gesto del mento.
Charles si stringe nelle spalle, con noncuranza. "Figurati" risponde, muovendosi verso la porta, impaziente di andare via. "Ci vediamo"
"Ci vediamo" concede, brusco, mentre lo guarda chiudersela alle spalle e sparire nel corridoio, senza aggiungere altro.
Il silenzio nella stanza è ancora più opprimente, dopo, e i demoni di Max non ci mettono molto a fare capolino. L'ultima cosa di cui aveva bisogno era la pietà del suo rivale. Perché in fondo è di questo che si tratta, no?
Stringe le dita attorno al collo della bottiglia di Whiskey e sente un'ondata di rabbia ingiustificata attraversarlo, come una scossa. Ma come cazzo si è permesso? E, soprattutto, come ha potuto lasciarglielo fare? Max muove un paio di passi, fino al cestino, e lo tiene aperto per una manciata di secondi, con la bottiglia a mezz'aria, anche se non riesce a risolversi di buttarla via.
È livido, al picco massimo della frustrazione.
In un altro momento della sua vita l'avrebbe spaccata contro il muro e avrebbe lasciato a qualcun altro il compito di raccogliere i suoi cocci, di preoccuparsi del dopo. Ma Max non è più quella persona.
La cosa successiva che fa è togliere il tappo, appoggiare le labbra all'anello della bottiglia e tirare un lunghissimo sorso. Il sapore è nauseabondo e gli fa contrarre il volto in un'espressione disgustata, ma non gli impedisce di continuare a bere. L'alcol si fa strada bruciando come una ferita lungo la sua gola e fino alle sue viscere. La sensazione di dolore mista a piacere è anestetizzante.
Si sorprende a volerne di più, e non si ferma finché la bottiglia non è vuota per metà. Poi si sdraia sulla poltrona, con gli occhi chiusi, in attesa.
È un pensiero distorto dai fumi dell'alcol, ma si ritrova a rimuginare sulla sua conversazione con Charles.
Tutto fra loro due è sempre stato una sfida, fuori e dentro al perimetro della pista. Arrivare davanti all'altro, conquistare il maggior numero di punti, arrampicarsi sull'albero più alto, essere il migliore agli occhi della più giovane campionessa di Francia.
Sono oltre dieci anni che si spingono al limite a vicenda, che fanno di tutto per dimostrare la propria superiorità schiacciante, eppure questa volta Max ha la netta sensazione che Charles speri che la vinca, questa scommessa.
Meglio te, che chiunque altro, ha detto Frances.
E per la prima volta in tutta la sua vita, Max ci crede.
//Spazio autrice (era ora, finalmente!)
Brace yourselves, perché sono tornata e questa volta non ho la minima intenzione di sparire dai radar molto a lungo, anzi. Dopo più di due mesi dall'ultimo aggiornamento, Twin Flames torna con un capitolo dalla lunghezza esorbitante che, ancora una volta, cambia tutte le carte in tavola.
Fino a questo momento ci siamo concentrati principalmente sul rapporto fra Charles/Frances e Frances/Max, ma non avevamo ancora esplorato le tensioni fra i due piloti e spero che questo capitolo abbia messo in dubbio le idee che vi eravate fatti fino a questo momento.
Un nuovo tassello si inserisce nel quadro generale. Idee su dove stiamo andando? Sono curiosa di sentirle. Leggete, votate, commentate se vi va. Mi trovate come sempre a @/itstods_wattpad su instagram per chiacchiere e spiegoni e meme e storie stupide.
Una piccola postilla di ringraziamento, per la pazienza e per il supporto. Mi siete mancate follemente, e sono felice di essere di nuovo qui. Ci stiamo avvicinando ad alcuni dei capitoli più cruciali e -forse- questo era uno di quelli. Chissà.
Baci esagerati,
Sempre vostra T.
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