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6| Charles-Il passato

2008, FRA

Once I was seven years old, my mama told me
Go make yourself some friends or you'll be lonely
Once I was seven years old


Hanno più o meno dieci anni la prima volta che Charles si rende conto che Frances non ha nessun amico all'infuori di lui. È una scoperta graduale e involontaria, ma un po' si sente stupido a non essersene accorto prima, perché è sorprendente quanto sia lampante, una volta che si inizia a farci caso.

Lui aveva sempre pensato che la sua natura solitaria dipendesse da tutto il tempo passato da sola nel suo kart e dalla sua strana situazione familiare sulla quale aveva imparato a non fare domande. Si era convinto che fosse una scelta deliberata, una strategia di gara, perfino, e provava anche un certo guizzo di orgoglio al pensiero di essere stato scelto da quella bambina tenace ed instancabile come unico alleato, compagno e amico.

Con il passare dei mesi e degli anni è diventato chiaro che la verità, però, è un'altra.

È che Frances non piace davvero a nessuno. Non va a scuola e passa le sue giornate nell'atmosfera polverosa del kartodromo, fra pneumatici puzzolenti e stracci unti e meccanici panciuti sui cinquanta. Gli unici contatti con i suoi coetanei che ha avvengono sui circuiti in cui gareggia, ed anche lì tutti le stanno alla larga ed evitano di rivolgerle la parola o di incrociare il suo sguardo. Nessuno la invita per giocare o fare due tiri con il pallone, e quando lei si impone nessuno ha il coraggio di dirle di no, perché fa paura con quella faccia dura e quegli occhi terribili. Anche a Charles, la maggior parte delle volte.

Fa paura perché cozza con l'idea che lui –e tutti i bambini della sua età, per essere corretti- hanno delle bambine: esseri alieni, con capelli soffici e guance tondeggianti e arrossate, circondate da fiorellini e animaletti pelosi e bambole rosa e cose carine.

Frances, invece, puzza di benzina (quando va bene), si rotola nel fango ed ha un problema molto serio ad accettare le sconfitte. Ha un linguaggio sboccato e colorito, è alta decisamente più della maggior parte di loro e usa la sua forza a suo vantaggio. Lascia sempre tutti molto perplessi vederla girare sempre attorno al piccolo Leclerc, minuto e silenzioso.

Dopo un inizio un po' tiepido, al contrario, Charles è riuscito a farsi molti amici sulle piste. È iniziato in modo molto spontaneo e casuale, con una partita a calcetto prima di una sessione di prove, un weekend di settembre che si correva a Rouen.

Frances non si era presentata per via di una brutta febbre che si era presa la settimana precedente e che l'aveva costretta a letto per diversi giorni, in preda a convulsioni e deliri. Quando Jules gli aveva detto che non sarebbe partita con loro, Charles non gli aveva creduto nemmeno per un istante. Era convinto che niente, nemmeno l'Apocalisse zombie, sarebbe stato in grado di frapporsi tra Frances e il sempre più vicino titolo di campionessa di Francia.

Non ci aveva creduto neppure quando si erano messi in marcia senza di loro attraversando la nazione e, una volta arrivati, aveva sperato di vederla spuntare dal van di Pa' Roux, con la sua tuta blu bucata sul ginocchio e i capelli tagliati storti tirati indietro da una fascia, magari col naso colante e gli occhi rossi per la febbre, ma in qualche modo in piedi per affrontare la gara.

Però Frances non ci era andata davvero, e lui si era ritrovato a bighellonare sperduto nello sterrato, privato del suo baricentro, osservando gli altri bambini che si divertivano e facevano cose dalle quali lui era, sostanzialmente, escluso.

Charles era sempre stato piuttosto riservato e la vicinanza con la bambina più dispotica e minacciosa del giro aveva di certo influito sulla sua socializzazione, rendendo ancora più difficile fare amicizia con tutti gli altri.

Quel weekend però qualcosa era cambiato, ed era stato uno di loro, un bambino biondino coi denti da castoro, ad avvicinarsi a lui per primo, invitandolo ad unirsi al gruppo. Si chiamava Pierre, e sarebbe diventato uno dei suoi migliori amici, solo che, allora, Charles non lo sapeva ancora.

In futuro si chiederà spesso cosa sarebbe successo se Frances non si fosse mai ammalata e fosse andata con loro a Rouen come previsto. Avrebbe vinto la gara, poco ma sicuro. Gli sarebbe stata appiccicata al fianco, probabilmente, e gli avrebbe tirato la frangia troppo lunga e si sarebbero sporcati lanciando i sassi nel rigagnolo accanto al circuito. Probabilmente Charles non avrebbe mai parlato con Pierre Gasly. Non sarebbe mai diventato suo amico. Hervé non avrebbe mai conosciuto Jean-Jacques e non sarebbero andati in vacanza insieme, l'estate successiva e molte di quelle a venire.

Ci sono giorni in cui Charles ha la netta sensazione che senza Frances –luminosa, determinata, resiliente- sarebbe stato perduto e non avrebbe concluso niente nella sua vita, altri in cui si chiede se non sia stata la sua fortuna più grande staccarsi da lei.

Si risolve che, probabilmente, non lo saprà mai.


*


La quiete perfetta della campagna è interrotta solo dal frinire delle cicale.

Nonostante l'aria fresca della sera entri prepotentemente nella stanza scostando le tende con un refolo di vento, Charles si rigira nelle lenzuola madido di sudore e col cuore che galoppa feroce nel petto, incapace di trovare pace.

È sempre così, prima di una gara.

Sono un paio d'anni che corre sui kart ma non ha ancora imparato ad avere la meglio sulle sue emozioni e a non farsi sopraffare da esse, almeno prima di abbassare la visiera del casco. Una volta in pista tutte le preoccupazioni si dissolvono e non c'è traccia di agitazione o foga nelle sue mosse, come se riuscisse ad incanalare le ansie accumulate nella pressione sul volante e da nessun'altra parte.

Prima, però, è un inferno.

Quella notte più del solito, e l'angoscia è acuita dal fatto che non si trova a casa sua.

Non ha idea di che ore siano, ma il sonno non sembra venire, e più si muove più il lenzuolo bagnato lo avviluppa, dandogli la sensazione di essere in trappola. Sente il panico stringergli il petto e i respiri farsi sempre più corti.

"Charlot?"

Spalanca gli occhi di scatto, guardando le pareti bianche ed estranee della camera da letto, illuminate dalla luce della luna che proviene dall'esterno. Un lieve cigolio alla sua sinistra lo spinge a voltare il capo verso la figura che lo ha chiamato.

"Sei sveglio, Charlot?" bisbiglia la voce, ed il suo tono è carico di apprensione.

Lui sussulta e si irrigidisce, dritto ed immobile come un fuso, con i pugni stretti lungo i fianchi aggrappati al pantalone del pigiama, provando a calmarsi. La mano bianca e affusolata di Frances gli piove sul petto, e tasta superficialmente coi polpastrelli callosi alla ricerca della sua, per stringerla.

L'ultima gara prima delle vacanze si tiene in Provenza, e Charles e suo padre si sono fermati a dormire dai Roux per evitare di fare avanti e indietro per la terza volta da Monaco. La casa non è certo una reggia, lo spazio è poco e decisamente arrangiato, ma Pa' è sempre molto ospitale, e perfino Maman sembra essere in uno dei suoi giorni buoni.

Hanno cenato con una zuppa di cipolle e si sono messi a letto molto presto, verso le nove, lui in una brandina e Frances in un'altra, accanto alla sua, nella stanzetta spoglia di lei. Si sono scambiati la buonanotte svogliatamente, dandosi le spalle, ma nessuno di loro si è davvero addormentato.

Nella penombra della camera, gli occhi chiari e brillanti di Charles cercano quelli della ragazzina oblunga a poca distanza da lui. Frances è accucciata in posizione fetale sul bordo del letto, completamente sporta verso di lui, e gli stringe la mano fino a farsi sbiancare le nocche.

"Tutto okay?" gli sussurra. "Mi stai facendo venire il mal di mare"

Charles sente le guance arrossarsi dall'imbarazzo.

"Scusa" mormora, ricambiando la stretta un po' più forte. "Scusa, adesso dormo."

Fa per girarsi e darle nuovamente le spalle, ma lei ha una presa d'acciaio che gli impedisce di compiere qualsiasi movimento.

"Sei agitato?" chiede, grave, aggrottando le sopracciglia.

"No" risponde lui, troppo in fretta. È davvero un pessimo bugiardo. Frances alza gli occhi al cielo. "Tu sei agitata?"

C'è una piccola pausa, la brandina cigola in modo sinistro e poi lei dice una cosa che Charles non si aspetta e non capisce fino in fondo.

"Un po'" confessa, in un sussurro. "Maman ha detto che se si sente abbastanza bene viene a vedermi."

Lui resta in silenzio, ma il cuore gli batte così forte nel petto che teme che lei possa sentirlo. Si è sempre guardato bene dal chiedere direttamente a Frances perché vivesse con suo nonno e cosa avesse sua madre che non andava, ma Hervé lo aveva invitato ad essere discreto, perché la vita non era stata gentile con la famiglia Roux.

Adesso che si guardano negli occhi, con le mani sudate strette l'una nell'altra, sa che dovrebbe dire qualcosa, cercare di tranquillizzarla come lei ha fatto con lui, ma Charles non è bravo in queste cose, non sa nemmeno da dove iniziare.

Il cervello processa le informazioni alla velocità della luce.

"Sarebbe bello se tua madre ti vedesse vincere, per una volta." dice alla fine, dopo una lunga pausa. "Ed in ogni caso ci siamo sempre io, Pa' ed Hervé."

Ed è anche piuttosto fiero del pensiero che è riuscito a formulare, ma Frances non sembra dello stesso avviso, perché la faccia le si fa improvvisamente scura e contrita, triste come non l'aveva mai vista prima. Perfino la presa fra le sue dita si fa più lenta, fiacca.

Borbotta qualcosa che somiglia ad un: Adesso dormiamo, e serra le palpebre.

Charles non ha il coraggio di muovere nemmeno un muscolo, e passa la notte a chiedersi cosa abbia detto di sbagliato.


Durante la premiazione, nel primo pomeriggio della domenica, non è una sorpresa per nessuno vedere sul gradino più alto del podio una ragazzina alta quasi un metro e cinquanta con una treccia nodosa e sfilacciata schiacciata dal berretto con la visiera. Non è ancora così comune vedere ragazze vincere gare di kart, ma questa nello specifico in Francia ormai la conoscono tutti, è praticamente una leggenda.

La ragazzina più vincente di sempre, una piccola stella nel firmamento delle corse.

Charles la guarda dal basso, ancorato al fianco di suo padre, poco dietro il nonno di Frances. La sua gara è finita prima del previsto, dopo essersi piantato al bordo della pista per un problema al motore e aver perso la terza posizione a qualche giro dal termine, ed il suo umore non è dei migliori.

È arrabbiato, a dir poco. Con il suo meccanico, per aver sbagliato il set up del kart, con sé stesso, per essersi distratto a un passo dalla fine e, soprattutto, con Frances, che ha vinto per la quinta volta quell'anno e non sembra nemmeno felice, mentre continua a scandagliare con lo sguardo la piccola folla sotto al podio, alla ricerca di qualcuno.

"Calamar?"

Charles si sente afferrare la spalla da una mano piuttosto grande e, quando si gira sui tacchi, si trova davanti il viso sorridente di Pierre. Da quando si sono conosciuti, più di un anno prima, sono diventati inseparabili e perfino le loro famiglie hanno fatto amicizia fra loro, al punto che i Gasly verranno a stare da loro a Monaco, in agosto, per le vacanze.

"Ciao Calamar" gli fa eco, abbozzando un sorriso.

"Signor Leclerc!" aggiunge Pierre, facendo un gesto di saluto col mento a suo padre.

"Pierre, quante volte ti avrò detto di chiamarmi Hervé?" risponde lui, ridacchiando mentre scuote la testa. Gli occhiali rettangolari gli scivolano sul naso, e gli danno un'aria bonaria, rassicurante. "Tuo padre dov'è? Lo vado a salutare."

Pierre si volta, riparandosi dal sole con la mano, alla ricerca dei suoi genitori, intenti a caricare tutte le loro cose sul furgone per tornare a casa, e glieli indica. Poi si avvicina all'orecchio di Charles con fare circospetto.

"So che sei incazzato" dice, fra i denti, attento a non farsi sentire da suo padre. "Ma io e Tonio stiamo andando a fare due tiri prima di andare, vuoi venire?"

Charles esita per un istante. Si gira di nuovo verso il piccolo palchetto improvvisato, dove una signora decisamente sovrappeso sta porgendo un mazzo di fiori a Frances e agli altri due piloti sul podio. La ragazzina sta sorridendo, ma ha un'espressione un po' sperduta che non le appartiene, che gli fa stringere il cuore.

Forse dovrebbe rimanere.

"Allora?" lo richiama Pierre, sventolandogli la mano aperta davanti agli occhi.

Poi si dice: perché farlo? È lui quello che non ha finito la gara. Quello che dovrebbe essere consolato. Non capisce che ragioni possa avere Frances per avere quella faccia da funerale.

Quando sposta nuovamente lo sguardo su di lei, si concentra sulla grossa coppa che tiene in mano e gli sembra decisamente una buona ragione per andare con Pierre. Lei non ha bisogno di lui. Non ha bisogno di nessuno.

Charles borbotta due parole di avviso a suo padre e segue l'amico.

Le volta le spalle.

Pierre e Anthoine sono entrambi più grandi di lui, ma a differenza di Frances non glielo fanno pesare. È bello giocare con loro, sentirsi parte di qualcosa, anche se è solo rincorrere a perdifiato un pallone mezzo sgonfio in un parcheggio per camper. Si sfidano due contro uno, a rotazione, cercando di segnare in una porta di fortuna e spintonandosi a gomitate finendo stesi sul terreno battuto e polveroso. Dopo un po' ai tre si aggiunge anche un altro ragazzetto alto e allampanato e si dividono in due squadre, per rendere più divertente il gioco.

Sono giovani, veloci e dannatamente competitivi, e si fermano solo quando i rispettivi genitori iniziano a richiamarli, uno ad uno, ed è il momento per tutti di tornare a casa.

L'ultimo ad andare è proprio Charles, bagnato come un pulcino, con i capelli lunghissimi appicciati alla fronte, che corre verso il van di suo padre, ridendo per una battutaccia che ha fatto Anthoine mentre si salutavano.

Appoggiata alla fiancata, ancora avvolta nella tuta bianca e rossa di fine anni 90 lisa sulle ginocchia e sui gomiti, c'è Frances, con la coppa davanti ai suoi piedi. Ha la bocca carnosa premuta in una linea dritta e gli occhi fissi e glaciali, in un'espressione di rabbia composta.

Charles rallenta la sua corsa fino a fermarsi, ha il viso accaldato e il petto che si alza e si abbassa velocemente per la corsa.

Quando lei si mette dritta, staccandosi dal furgone come una furia, per un attimo teme che gli metterà le mani al collo, ed arretra di un passo per sicurezza.

In realtà, non lo degna nemmeno di uno sguardo.

"Sei uno stronzo." Dice soltanto, e tira un calcio al trofeo, rovesciandolo.

Poi se ne va, mostrandogli il medio, e Charles pensa che deve averla davvero combinata grossa, questa volta.


//Spazio autrice (pre-pausa!)

Come molte di voi sapranno, dopodomani partirò per uno stage della durata di due mesi in un importante laboratorio a Boston, e dunque questo è per me un congedo temporaneo dall'avventura di twin flames. Spero di riuscire ad aggiornare anche mentre sarò in America, ma non faccio promesse! Per ora, eccovi qui la sesta perla di una lunghissima collana.

Inizialmente questo capitolo doveva essere molto importante per la storia, ma mi sono detta che sarebbe stato troppo malvagio lasciarvi così in sospeso per un periodo di tempo davvero lungo, dunque, eccoci.

Ci sarebbero da dire moltissime cose su questo capitolo, che ci dà moltissime informazioni inedite e forse un po' smonta alcune teorie che vi sarete fatte nelle settimane precedenti. Leggete, commentate, votate se vi va. Spero di parlarne prestissimo su @itstods_wattpad, che è come mi trovate su instagram.

Vi ringrazio per gli auguri, per i commenti e per tutto il supporto che mi avete dimostrato so far. Siete davvero preziosissimi e rendete questi momenti i più belli della mia giornata. Spero di riuscire a restare in contatto con voi e sentirvi presto, vostra sempre.

T.

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