1~ Il principe dorato
«Risplendeva come una luce.
Era tutto.»
~ Shadowhunters, GotSM, "Forever Fallen"
Quella notte pioveva.
Era una pioggia scrosciante, che picchiava contro ogni superficie e si insinuava sotto i vestiti, raggiungeva e bagnava ogni centimetro di pelle.
-Jace, scendi da lì, non fare lo stupido!-
A Jace Herondale non importava che stesse piovendo, però.
Aveva avuto l'irrefrenabile voglia di salire su un albero, e l'aveva fatto.
Adesso stava dondolando le gambe, seduto su un ramo, ridendo delle insistenti richieste di Clary di scendere.
-Non hai più diciassette anni, smettila di fare il bambino!- gridò ancora Clary, che lo osservava da terra, una piccola ombra dai capelli rossi appiccicati al corpo.
A Jace quella notte ne faceva venire in mente un'altra, un'altra notte tormentata da incubi, una notte in cui si era perso nelle labbra di Clary fuori da un locale.
-Raggiungimi!- la sfidò lui, dondolando con più forza i piedi.
Era felice.
Ormai, erano anni che Jace era felice, eppure non smetteva mai di ringraziare per questa gioia giunta solo dopo tanto dolore.
-Non ho intenzione di spezzarmi l'osso del collo perché tu vuoi fare l'idiota!- replicò la rossa, che da quella distanza sembrava ancora più piccola.
Erano passati anni dalla prima volta che si erano conosciuti, erano cresciuti e maturati, eppure ogni volta che Jace guardava Clary si sentiva come fosse la prima volta.
Ed ogni volta era una prima volta.
Pensò che non avrebbe mai smesso di amarla.
Ormai faceva parte di lui, era il tassello più bello della sua felicità.
-Jace, dobbiamo andare in perlustrazione! È per questo che siamo usciti!- disse di nuovo Clary, scostandosi dalla fronte i capelli zuppi.
Jace sospirò, decidendo che sarebbe bastato così, dopodiché si lanciò dall'albero e atterrò con grazia, come se avesse semplicemente sceso in gradino.
Sollevò lo sguardo e incontrò subito gli occhi verdi di Clary puntati su di lui.
Aveva le labbra curvate verso l'alto, e stava chiaramente trattenendo un sorriso.
Jace si avvicinò a lei e le circondò le spalle con un braccio muscoloso.
-Dai, non tenermi il broncio.- la stuzzicò.
Lei lo osservò per pochi istanti con sguardo immobile, poi voltò il capo per nascondere il sorriso che tuttavia Jace intravide.
Farla sorridere era, ogni volta, una conquista.
-Andiamo a fare questa maledetta ronda.- decise la rossa, guardando la strada buia di New York senza esitazione.
C'era stato un tempo in cui si sarebbe spaventata, in cui sarebbe stata esitante, ma ora non più.
Ora guardava in faccia ciò contro cui stava andando; e poi quella era New York, la sua città, la sua casa.
Jace e Clary cominciarono a camminare fianco a fianco, rilassati, senza sentire nemmeno il bisogno di parlare.
Sì guardavano attorno, alla ricerca di qualche demone da stanare, ma sembrava che la pioggia li avesse messi in fuga, e nemmeno loro avessero voglia di uscire.
-Forse è meglio tornare all'Istituto.- constatò Jace dopo qualche ora di puro nulla.
Clary fece spallucce e convenne con lui. Ripercorsero i propri passi.
Ad un tratto Jace si immobilizzò e si irrigidì.
Clary si guardò attorno, circospetta, perché non c'era mai da star tranquilli quando Jace percepiva qualcosa.
-Cosa c'è?- chiese, lo sguardo che saettava per ogni angolo della via deserta.
-Mi sembrava di aver visto...- esitò il biondo, confuso.
Scosse la testa, come per scacciare un qualche pensiero.
-Visto cosa?- insistette Clary.
-Me.- concluse semplicemente Jace, spostando lo sguardo su Clary.
La ragazza si rilassò e gli si avvicinò, bagnata e confusa quanto lui.
-In che senso?- domandò.
-Era come guardarsi allo specchio: ho visto me stesso, ma non ero io, era qualcun'altro. Ci stava osservando, da laggiù.- e indicò l'imbocco di un vicolo, lì dove le ombre si addensavano per formare un muro compatto di nero assoluto.
-Forse... forse era la pioggia. Insomma, non è possibile che ci siano due te.- replicò Clary, appigliandosi alla più improbabile delle ipotesi.
Tuttavia, sempre meno improbabile di ciò che aveva visto Jace.
-Sì, forse... e d'altronde, io sono unico e inimitabile!- concordò il biondo, alleggerendo la situazione con una battuta decisamente da Jace, che accompagnò la frase con una strizzatina d'occhio.
Clary alzò gli occhi al cielo, il sorriso sul viso, scuotendo lentamente la testa, divertita.
Poi, si alzò in punta di piedi e schioccò un sonoro bacio sulla mascella di Jace.
Però, quando fece per scostarsi, lui le afferrò il polso e posò le sue labbra su quelle di lei.
Baciare Clary, per Jace, era sempre qualcosa di importante.
Non c'era stata una volta che l'avesse fatto con distrazione, senza dargli importanza.
Per molti anni Jace non aveva avuto altri che sé stesso.
Poi, gli era stato donato il mondo.
E lui aveva saputo come prendersene cura.
Nonostante fossero passati anni, Clary restava sempre più bassa di lui, più piccola, sembrava quasi fragile.
Non che Jace l'avesse mai considerata tale: l'aveva sempre baciata come se potesse annientarla in sé stesso, l'aveva sempre stretta come se fosse l'unica corda che lo teneva appeso sopra i picchi dei palazzi aguzzi.
Perché Clary era forte, e chi se non lui avrebbe potuto saperlo meglio?
Le gocce di pioggia scivolavano sui loro visi come se fossero lacrime, facendo aderire i vestiti ai loro corpi febbricitanti.
Era come se il cielo stesse piangendo per quei due ragazzi che ancora una volta sarebbero stati sottoposti a una prova più grande di loro, come se il cielo sapesse che stavolta avrebbero perso.
Come se il cielo sapesse che quel principe dorato e quella principessa delle rune non sarebbero usciti insieme da quello che stava per arrivare.
Il cielo quella notte pianse le lacrime che loro piansero più tardi.
Perché mentre il cielo piangeva, loro si tenevano stretti la felicità e l'amore che avevano tra le mani, pensando che sarebbero stati immortali.
Mentre il cielo piangeva, loro ridevano.
E mentre il cielo piangeva e loro ridevano, nel vicolo dove le ombre diventavano vive, Janus chiudeva le mani a pugno, furente e ferito, osservando quella felicità a lui strappata, e contando i giorni che lo separavano dalla sua conquista.
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