Epilogo.
Due mesi dopo.
Mattia si alzò in piedi e agguantò le due stampelle di gomma e acciaio che lo stavano fissando, poggiate al lato della parete. Se le mise sotto alle braccia e zompettò davanti all'armadio. Le ante in legno di mogano erano spalancate e per terra c'era una distesa di giacche e completi eleganti.
Aveva passato tutto il pomeriggio nella sua stanza a cercare l'accostamento perfetto, ma qualsiasi cosa mettesse lo seccava. Provarsi vestiti stando in equilibrio su una sola gamba e inveendo ogniqualvolta il gesso strusciava contro la stoffa dei pantaloni era estenuante e dannatamente fastidioso. Gli faceva quasi venir voglia di afferrare il cellulare e rifiutare l'invito di Nadia di partecipare a quel maledetto ballo.
L'anno accademico era ormai volto al termine e la sessione estiva degli esami era scivolata via come gocce d'acqua sulla pelle bagnata. La L.U.S.I aveva già aperto i battenti alla nuova campagna d'iscrizioni universitarie, tappezzando ogni centimetro quadrato della città di volantini e pubblicità con frasi accattivanti.
Mattia era uscito dalla clinica da più di un mese. La sua ripresa era stata un continuo crescendo ma la risposta positiva alle terapie e ai farmici non era andata di pari passo con la discesa del dolore percepito. Quello, invece, era stato altalenante e a tratti quasi impossibile da sopportare. Le ferite che la lamiera dell'auto gli aveva provocato sul corpo si erano suturate nel giro di qualche settimana, lasciando soltanto dei pallidi segni biancastri che probabilmente si sarebbe portato come bagaglio personale per il resto della vita. Ma le cicatrici non facevano male. No... Erano le varie fratture scomposte a farlo svegliare durante la notte, madido di sudore e con l'assurda voglia di strapparsela via, quella gamba rotta. Di sfilarsi a una a una le costole incrinate e tornare a respirare a pieni polmoni, come se fosse ancora tutto intero. Come se quell'incidente non lo avesse spezzato in tanti frammenti di ossa e dolore.
Era quella la parte peggiore.
La fisioterapia occupava il secondo posto nelle attività più moleste: Carlotta, la dottoressa che lo seguiva, era giovane e prestante. Si era laureata da soli tre anni e già lavorava in una clinica riabilitativa privata. Era brava a fare il suo mestiere. Peccato che non riuscisse ancora a teletrasportare il dolore di ogni movimento che lo induceva a fare da qualche altra parte lontana nel mondo. Altrimenti sarebbe stata perfetta, con quel camice bianco a maniche corte e quel sorriso alla "dai, che ci penso io a rimetterti in sesto". In ogni caso, grazie alla sua infinita pazienza e anche a qualche sua sfuriata, Carlotta era riuscita a ridargli il dono respirare senza ansimare per il fastidio al costato e a camminare un passo alla volta. Le stampelle erano diventate le sue migliori amiche e lo accompagnavano durante tutte le giornate, nei brevi tratti di strada che era obbligato a percorrere per non incappare in una scongiurata atrofizzazione del muscolo quadricipite femorale.
Se avesse continuato a seguire in maniera costante la sua tabella di marcia, se ne sarebbe sbarazzato definitivamente nel giro di un altro mese e mezzo. Tempo lungo ma accettabile.
Stando a casa, aveva potuto recuperare un po' di parti della sua vita abitudinaria che negli ultimi tempi era andata persa: si era rimesso sotto con gli studi, macinando pagine di diritto ed economia, e aveva preso nuovamente contatti con gli organizzatori del corso extrauniversitario, che non avevano mai smesso di contattarlo via mail durante tutta la sua degenza. Le potenzialità di Mattia, secondo loro, erano troppo brillanti e di rilievo per lasciarsele sfuggire dalle mani, solo a causa di un piccolo ritardo nelle iscrizioni. Per questo avevano contattato i suoi genitori poco dopo le scadenze, inviando loro una proroga di qualche settimana e il diritto di seguire il corso per via telematica.
A casa, nel frattempo, la situazione familiare era degenerata da quando Mattia aveva scoperto che diavolo avesse architettato sua madre per farlo lasciare con Nadia: la verità era venuta a galla e aveva portato in superficie tutto quello che di marcio c'era stato sotto, nascosto e in profondità. La puzza delle bugie gli era arrivata fin al naso, quel giorno, quando Cornelia era scoppiata a piangere nel salone. L'aveva spronata Giulio a parlare e c'era anche Nadia lì con loro, seduta rigidamente su una poltrona. L'avevano obbligata a raccontargli tutto, dall'inizio alla fine.
E così era venuto a sapere di Anita, di Diego e di Leonardo. Quel Leonardo che non aveva mai potuto sopportare. Quel Leonardo che non aveva mai smesso per un attimo di provarci con la sua ragazza e che le aveva portato risentimento per tutto quel tempo, minacciandola indirettamente di prendersi la sua rivincita, prima o poi.
E quella rivincita se l'era presa alla fine. Se la era sudata per bene, tramando in silenzio piani vendicativi insieme a sua madre.
Ma adesso era tutto finito, in un modo o nell'altro. Nadia gli aveva fatto promettere che sarebbe stato calmo, che avrebbe lasciato correre e che quella sarebbe stata l'ultima volta che qualcuno gli metteva i bastoni tra le ruote. Lo aveva convinto che se avesse preteso di fargliela pagare, allora quel gioco non avrebbe più avuto fine e che loro non avrebbero mai ottenuto un po' di tranquillità.
Così aveva maledetto Cornelia e l'aveva ricoperta di insulti, almeno fin quando non avesse sentito un lieve senso di appagamento personale. Lei aveva pianto a bassa voce, con gli occhi chini a terra e distanti da tutti. In quel momento era rimasta da sola, molto più di quanto non lo fosse stata in vita sua. Giulio le era lontano anni luce e Nadia la guardava con aria inespressiva. Non si sentiva più in colpa per lei, per quello che era riuscita a ottenere alla fine di tutto.
Quando perdi una battaglia, sopportarne le conseguenze è il minimo che tu possa fare.
Giulio aveva parlato molto con Mattia, durante quegli ultimi mesi: insieme avevano riscoperto la strana sensazione di essere padre e figlio e avevano capito che fosse persino divertente condividere parti della loro giornata. All'inizio era stato tutto un po' impacciato, come quando si fa una cosa per la prima volta. Ma poi si erano accorti di quanto tutto quello gli fosse mancato, anno dopo anno.
Giulio gli aveva rivelato che si era messo in contatto con un avvocato divorzista. Voleva iniziare le pratiche di separazione con Cornelia, perché quella lì non era più la stessa donna che aveva sposato ventinove anni prima. Ormai di lei ne era rimasto solo un riflesso sbiadito, cancellato da sei agghiaccianti parole, diagnosticate da centro di recupero psichiatrico: sindrome da burnout e disturbo borderline.
Era stata un'equipe di psicologi a comunicarlo alla sua famiglia. Cornelia era malata nella testa e lo era da parecchio tempo. Lei lo aveva sempre sublimato con alcool e repressioni, ma i disturbi c'erano sempre stati, rannicchiati nell'antro più profondo e oscuro del suo corpo.
"Che cos'è un disturbo borderline?" aveva chiesto Giulio preoccupato, il giorno in cui i test psichiatrici si erano conclusi.
"È un disturbo della personalità, signor Silvestre, con alla base rabbia e instabilità emozionale", gli aveva riferito la dottoressa. "Si manifesta con un'incapacità di portare avanti le relazioni e spesso è associata a disturbi affettivi, depressivi e dissociativi del pensiero. La storia familiare della paziente ha messo in evidenza uno stile relazionale caotico, trascurato e con una svalutazione di se stessa e degli altri".
"E come è potuto succedere? Insomma, Cornelia non ne ha mai fatto parola con nessuno..." Aveva ribattuto lui, completamente fuori di sé. Non poteva credere che sua moglie fosse malata e che non se ne fosse mai accorto durante tutto quel tempo.
"Signor Silvestre, spesso i problemi interpersonali giocano in una buona parte della colpa nei disturbi psichiatrici... Sa', i pazienti borderline rivelano spesso gravi disagi familiari, provocati per lo più da sindromi inespresse dell'abbandono e dalla paura dell'insoddisfazione di se stessi e dell'immagine che si propone di fronte agli altri. Probabilmente Cornelia ne ha sofferto molto durante l'infanzia, e da adulta ha manifestato la patologia grazie anche a un accumulo di stress lavorativo da burnout", gli aveva risposto la dottoressa. "Le servirà del tempo, del lavoro. Dovrà essere inserita in programmi di recupero, dove lavorerà per ritrovare la fiducia in se stessa e mettere a freno i tentativi di boicottaggio nei confronti di tutto ciò che non può controllare intenzionalmente. Sarà un percorso lungo e non privo di ostacoli, ma ne uscirà".
Così avevano messo a nudo tutte le debolezze di Cornelia Silvestre. L'avevano affidata alla Rescue Clinique, al centro di Roma, e l'andavano a trovare due volte a settimana. Tre, nelle occasioni di festa. Nonostante Giulio fosse dell'idea di mettere un punto al loro matrimonio tormentato, quando l'andavano a trovare nella sua camera bianca e pulita, s'impegnavano a essere ancora una famiglia. O forse s'impegnavano per la prima volta a esserlo.
Il telefono di Mattia prese a squillare sopra al comodino e lui sospirò. Si mosse con dei brevi passi lungo la stanza e rispose alla chiamata.
«Sei pronto? Guarda che arriviamo in ritardo, eh! E io non voglio fare venti minuti di fila per scattare una dannatissima foto all'ingresso della sala convegni!» brontolò Nadia dall'altra parte del cellulare. Aveva una voce isterica e nervosa. Forse non sapeva nemmeno lei cosa indossare.
Lui sorrise e scosse la testa. Raggiunse di nuovo l'armadio e tirò fuori il primo completo che gli capitò a tiro: era blu ed elegante. Perfetto per il ballo.
«Sono pronto, sono pronto... Devo solo trovare il modo per infilarmi i pantaloni senza strapparli con il gesso e poi parto. L'autista sta già aspettando sotto casa», la rassicurò. «Tanto sono sicuro che farò comunque prima io di te. Succede sempre così... Sei maledettamente ritardataria, Nadia. Hai scelto almeno cosa mettere?»
Lei rimase in silenzio per troppi secondi. «Sì... Certo.»
«Gesù, non sai ancora cosa metterti!» sbottò Mattia, roteando gli occhi. Incastrò il cellulare tra la guancia e la spalla e si annodò la cravatta blu notte al collo, facendola scivolare sulla camicia bianca e ben stirata. «Ancora non so per quale assurdo motivo abbia acconsentito di venire a quella festa.»
«Perché è l'ultima festa dell'anno. E tu hai sempre partecipato alle feste della L.U.S.I.»
«Ci ho sempre partecipato con due gambe intatte e due braccia di ferro di meno», rettificò lui, mentre si passava una mano tra i capelli castani e disordinati.
«Non dovremo per forza ballare, lo sai... Possiamo anche restarcene seduti a fare due chiacchiere. Sarà fantastico, vedrai. Io non vedo l'ora!»
Mattia sospirò e lasciò cadere il discorso. «Lo faccio soltanto perché è il tuo primo ballo di gala al Campus. Ma sappi che mi devi un favore. E anche bello grosso.»
Nadia rise e lo scimmiottò a bassa voce. «Adesso devo andare. Ada mi sta mettendo soqquadro l'armadio. Non riesce a trovare il vestito nero... E se non lo trova, non mi fa uscire di casa.»
«D'accordo. Parto tra dieci minuti da casa, quindi tra meno di mezzora starò sotto alla residenza. Cerca di non farmi aspettare per qualche decade, altrimenti mi daranno anche una sedia a rotelle per trascorrere in tranquillità gli ultimi anni della mia vecchiaia», scherzò, prima di mandarle un breve saluto e chiudere la conversazione.
Sapeva già che si sarebbe fatta attendere più del dovuto.
***
«Ada, non puoi far scoppiare una molotov in camera mia e poi lamentarti che di non riuscirci a trovare più niente! Porca miseria, c'è un casino che farebbe uscire di testa persino la donna delle pulizie più placida del mondo!» gridò Nadia alla sua amica, portandosi le mani sulla fronte. Stava osservando l'uragano che si era riversato sopra al suo letto, mettendole alla rinfusa dagli abiti alle scarpe.
Ada sta ancora frugando in mezzo alla pila di vestiti, alla stregua di un cane da tartufo nel mezzo della macchia. Aveva appena indossato un tubino nero che le metteva in risalto la chioma riccia e rossa, e stava cercando disperatamente una borsa da abbinare. Quel giorno era il compleanno di Bruno e i suoi genitori l'avevano invitata a cena fuori, motivo per cui aveva i nervi a fior di pelle e l'isterismo facile.
«Non c'è! Non c'è!» strepitò, alzando le braccia per aria. «D'accordo, io andrò senza borsa e tu andrai senza vestito. Che problemi ci sono!»
«Ada...» Nadia sorrise e scosse la testa. «Siediti. Ci penso io.»
L'amica si lasciò cadere sul materasso e si coprì gli occhi. «Non posso uscire senza borsa, Nadia. Dove metterò il portafogli? E le caramelle al sambuco? E lo spray al peperoncino?»
«Lo spray al peperoncino?» Lei rise e tirò fuori una pochette nera dalla pila di magliette e pantaloni. «Ma esci con Bruno o con un molestatore seriale?»
«Non si può mai sapere chi incontri per strada. Lo dice sempre anche mio padre.»
«È questa la borsa che cercavi?» Nadia gliela sventolò sotto il naso e sorrise.
Ada si alzò in piedi e sbatté le palpebre, sgranando gli occhi. «Ma cosa sei, un segugio di borse? Fino a qualche minuto fa non c'era!»
«Basta solo saper cercare.»
«Oh, sei fantastica! Adesso mi vado a cambiare. E dovresti farlo anche tu, sai? Scommetto che Mattia starà già per strada.»
Nadia annuì e afferrò il suo vestito dalla stampella. Per fortuna si era già lavata e truccata, altrimenti non avrebbe mai fatto in tempo in dieci minuti. Entrò in bagno e si mise di fronte allo specchio, sfilandosi la maglietta sportiva e i pantaloni della tuta. Aprì la zip del vestito nero e lo indossò facendo attenzione a non rovinare le cuciture: l'abito aveva uno scollo rotondo davanti e lasciava la schiena completamente nuda, per poi proseguire con una gonnellina ricamata lunga fino a metà della coscia. Ai piedi indossò un paio di decolté argentate, alle quali abbinò una borsa dello stesso colore. I capelli li lasciò sciolti sulla schiena. Li aveva un po' accorciati e adesso le arrivavano all'altezza delle scapole, lisci e dorati dal sole estivo. Prima di uscire dal bagno si passò sulle labbra un velo di lipgloss rosso e sorrise. Si sentiva così raggiante.
Entrò di nuovo in camera e salutò con bacio sulla guancia la sua migliore amica, facendole l'occhiolino e complimentandosi per la scelta del trucco, che la faceva sembrare decisamente più grande e più matura. Le disse di stare attenta e di mandare un messaggio quando sarebbe tornata a casa, per farla stare più tranquilla. Da quando Mattia aveva avuto quell'incidente, era diventata molto più paranoica, ma probabilmente era una reazione più che normale.
Non appena aprì la porta di casa per uscire, assicurandosi che avesse preso tutto, sentì subito una strana sensazione accanto a sé... come se ci fosse qualcosa di fuori posto o di diverso. Aggrottò le sopracciglia e si voltò lentamente sulla sua destra, nel pianerottolo dell'appartamento di Leonardo e Carlo.
Non aveva più visto i suoi vicini di casa dal momento in cui Leonardo si era presentato alla clinica, con una blanda scatola di cioccolatini e delle scuse preconfezionate. Si erano semplicemente volatilizzati, così come anche la sua voglia di vederli.
Davanti al loro appartamento c'erano due scatoloni di cartone, uno accatastato sull'altro. Non c'era più il solito zerbino con la scritta "Benvenuto" e mancava anche la pianta grassa che spesso se ne stava abbandonata accanto alla ringhiera.
Nadia prese un attimo il telefono tra le mani e verificò l'ora: erano le nove di sera passate, ma stranamente non era ancora in ritardo. Riposò il cellulare nella borsa e, spinta da chissà quale motivo, andò a bussare alla porta dei vicini di casa, attendendo con impazienza.
Dopo qualche secondo le si parò di fronte una ragazza mingherlina, probabilmente più piccola di lei. Aveva due grandi occhioni castani e i capelli scuri raccolti in una coda di cavallo. Le sorrise educatamente e le guardò dietro alle spalle. «Ehm, ciao. Posso esserti d'aiuto?»
Nadia rimase per un momento spiazzata. Chi era quella ragazza?
«Ciao... Io mi chiamo Nadia. Sono la vicina di appartamento», si presentò, improvvisando un discorso piuttosto privo di argomentazioni. «Ecco... Non ti avevo mai vista qui. Stavo cercando Leonardo e Carlo.»
La ragazza tossicchiò in imbarazzo e sollevò le sopracciglia. «Leonardo e Carlo? Parli di quei due ragazzi un po' strambi?»
«Credo di sì. Sei una loro amica?»
«No, non li conosco neppure, io. Ma, da quello che so, hanno lasciato entrambi il campus. La segreteria mi ha contattata per avvertirmi di un posto vacante negli appartamenti per gli studenti e io non mi sono lasciata sfuggire l'occasione. Li conoscevi bene?»
Nadia rimase decisamente spiazzata da quella notizia. E così Carlo e Leonardo avevano abbandonato il Campus... Forse i loro sensi di colpa erano troppo pesanti da sopportare, per permettergli di correre il rischio di vedere tutte le mattine la faccia di Nadia proprio di fronte alla porta del loro appartamento.
«Quindi se ne sono andati...» ripeté. Non sapeva proprio come reagire di fronte a quella novità.
«Eh, sì. Sai, magari hanno capito che lo studio non faceva per loro...» azzardò la ragazza, tamburellando le dita sul legno della porta. «Comunque mi chiamo Marta. Sono iscritta al primo anno di chimica. Ti assicuro che non sono una vicina di casa chiassosa e strampalata, se è questo che ti turba... E non faccio nemmeno strani esperimenti da pazzoide. Non ancora, almeno.»
Nadia arrossì, convinta di aver fatto una gaffe bella e buona. Le tese la mano e gliela strinse. «No, figurati. È solo che ho passato molto tempo con quei due ragazzi e... niente, probabilmente sono solo stupita del fatto che se ne siano andati via senza fare il minimo rumore. Ma non fa niente. È meglio così. È davvero meglio così.»
«Be', fantastico allora. Adesso torno a vedere Titanic, se non ti serve altro. Adoro piangere di fronte ai film drammatici. Mi fanno ricordare la mia vita sociale completamente calata a picco.» Marta ridacchiò e le indicò il salotto, adesso arredato in maniera completamente diversa dall'ultima volta che ci era entrata. «Passa a trovarmi quando vuoi, Nadia. E... bel vestito!»
Lei la ringraziò. «Sto andando alla festa della L.U.S.I.»
«Sono convita che ruberai molti cuori, vestita così.» La ragazza le fece l'occhiolino e la salutò con la mano. «Buon divertimento!»
Nadia ricambiò il saluto e sorrise. Rimase impalata di fronte alla porta dell'appartamento per qualche minuto buono, senza saper bene come giostrare le emozioni di quel momento: si sentiva turbata, allegra, rasserenata e incredula. Percepiva ognuno di quegli stati d'animo fondersi dentro di lei, ma alla fine arrivò alla giusta conclusione... Si sentiva divinamente. Era arrivata ad avere la piena padronanza di se stessa... Si vedeva sicura in ogni sua sfaccettatura e la cosa la faceva sentire viva e libera.
Leonardo e Carlo se n'erano andati via. Non c'era più nessuno a metterle i bastoni tra le ruote.
Loro non c'erano più e andava tutto meravigliosamente bene.
***
«Che codardi», disse Mattia a denti stretti, arrancando sulle stampelle. «Se ne sono andati perché non avevano il coraggio di guardare con i loro occhi il macello che avevano creato. Che codardi...»
Nadia lo aiutò a scendere dalla macchina e lo prese sottobraccio, mentre lo indirizzava verso il marciapiedi di cemento liscio. «È meglio così. Non so come avrei reagito a vedere ogni mattina le loro facce da doppiogiochisti.»
«Be', spero che non facciano più ritorno alla L.U.S.I, o credo che mi rimangerò volentieri la parola che ti ho dato. Mi prudono ancora le mani e ho la voglia terribile di prendere a calci quel...»
«Mattia, per favore.» Nadia lo guardò male e gli disse silenziosamente di tagliare corto. «Se te l'ho raccontato è solo per metterti al corrente. Ma non ho intenzione di passare la serata a rimuginare sulle scelte opinabili di vita dei miei vecchi vicini di casa. Ti ho chiesto di venire al ballo con me perché ci tengo davvero. È la nostra serata... la prima dopo un lungo periodo di buio. Godiamocela», gli sorrise e strinse la sua mano.
Mattia annuì e sospirò, allontanando da sé ogni vibrazione di tensione e nervosismo. Anche lui voleva che la serata andasse bene. Lo voleva per se stesso e lo voleva per Nadia. Se la meritavano, dopotutto. Il sole stava sorgendo anche per loro ed era arrivato il momento di mettersi seduti e contemplare insieme il panorama.
La festa era gremita di studenti in eleganti abiti da sera: c'erano ragazze accompagnate dai loro fidanzati, gruppi di amici alla ricerca di una serata intensa e divertente e persino qualche professore in borghese, accerchiato dalle proprie mogli o compagne. La musica vibrava alta nella Sala dei Convegni e tutta la stanza era stata addobbata alla perfezione dai membri del Comitato Studentesco, capitanato dalla ragazza più gettonata delal L.U.S.I: Anita De Longhi.
«Andiamo a farci la foto!» esclamò Nadia, battendo entusiasta le mani. Indicò a Mattia la fila di persone in coda per uno scatto davanti a uno sfondo con una foto dal Campus e lo prese sottobraccio, senza nemmeno attendere una sua reazione.
Mattia sospirò e la seguì a malincuore. Alcuni ragazzi li fecero passare avanti, sia perché quello era il capocannoniere delle tanto acclamate Aquile, sia perché aveva due stampelle tutt'altro che comode a sorreggerlo. Lui salutò tutti i suoi compagni di studi e di calcio e li tranquillizzò sul suo stato di salute: era mancato per due mesi, ma al campus nessuno si era dimenticato di Mattia Silvestre. Come avrebbero potuto farlo?
Quando arrivarono di fronte al fotografo, un uomo rasato con dei baffi attorcigliati all'insù e una bombetta nera sulla testa, lui gli fece cenno di posizionarsi di fronte allo sfondo e prese in mano la macchinetta fotografica professionale.
«Très adorable!» squittì, in un marcato accento francese. «State insieme, voi due?»
Mattia inarcò un sopracciglio e cercò di capire se quell'uomo stesse davvero facendo sul serio. «No, mi è appena piovuta addosso dal cielo...» borbottò a bassa voce.
Nadia gli diede un leggero pizzicotto sul braccio e lo incenerì con lo sguardo.
«Oh, ma oui, ma oui... Siete bellissimi, sapete? Mi ricordate un po' Romeo e Giulietta... Ah, che storia d'amore, la loro!»
«Solo che noi siamo ancora vivi», ribadì ancora Mattia. Aveva sentito troppe volte la loro storia paragonata a quella di Romeo e Giulietta e nessuna di quelle era stata menzionata con la volontà di far loro un complimento spassionato.
Nadia avvampò per la vergogna e distolse lo sguardo da quella scenetta impietosa.
Il fotografo corrugò le sopracciglia e si strinse nelle spalle, posizionando la macchinetta di fronte agli occhi. «Be', miei giovani piccioncini, guardate l'obiettivo e sorridete! Questa foto resterà impressa per sempre nella vostra mente e nei prossimi annali del Campus.
Nadia sorrise e si strinse al fianco di Mattia, coprendo da un lato la sua stampella. Gli poggiò la testa sulla spalla e lui le cinse la vita con l'altro braccio, avvicinandola di più a sé. Da quella distanza potevano sentire ognuno dei loro respiri corti e pieni di vita.
La macchina fotografica emise un flash accecante e scattò la foto. L'uomo sorrise soddisfatto e diede loro il suo biglietto da visita, per andare a ritirare la fotografia nello studio in città. Assestò una leggera pacca sulla spalla a Mattia e baciò la mano di Nadia, guardando prima uno e poi l'altra.
«Avete gli occhi di due combattenti, voi due, ma lo sguardo fiero di chi ha vinto tutte le battaglie», mormorò a bassa voce, come se stesse rivelando un segreto di stato. «Vous êtes un beau couple... Buona serata, ragazzi. Passate a trovarmi nello studio. Vi farò incorniciare la foto!»
Nadia gli sorrise e lo salutò con la mano, lasciando la postazione ai due ragazzi dopo di loro. Prese Mattia per mano e lo aiutò a salire i gradini che portavano nel vivo della festa.
«Quell'uomo era davvero strano...» borbottò Mattia, mentre si guardava attorno.
«Ha detto che siamo una bella coppia.»
«Secondo me lo dirà anche tutte le altre coppie in fila dopo di noi. Dovrà pur venderle a qualcuno, quelle foto.»
Nadia lo ammonì con lo sguardo e scosse la testa. «Ma devi sempre rovinare il romanticismo in tutte le cose, tu?»
Lui sorrise e le baciò la fronte, lascivo. «Ci provo, ma non è così facile...» le sussurrò all'orecchio. «Comunque sei bellissima stasera.»
«Stai provando a farti perdonare per il tuo carattere scontroso?»
Mattia le baciò la guancia e poi scese fino alle labbra. Ci sorrise sopra e le sfiorò appena. «Solo se mi dici che sta funzionando.»
Nadia sospirò e chiuse gli occhi. Ogni parola sussurrata di Mattia le provocava dei brividi bollenti sulla pelle e nel cuore. La facevano traballare come una funambola sospesa nel mezzo di una tempesta di emozioni. E sarebbe caduta per lui. Lo vedeva riflesso nei suoi occhi castani che ci sarebbe caduta, in quel precipizio profondo. Ci sarebbe caduta ma non avrebbe avuto più paura di farsi del male. Quel momento era passato. Lei aveva combattuto, loro avevano combattuto, e alla fine si erano portati a casa il premio più importante: la meritata felicità.
«Se te lo dicessi, poi smetteresti di essere così dolce e carino», gli mormorò a bassa voce lei. Con una mano gli intrecciò le mani dietro al collo e sorrise divertita. Mi ci perdo nei tuoi occhi, lo sai?
Lui le scansò una ciocca di capelli dal volto e le accarezzò una guancia. Lo fece lentamente, assaporando ogni più lieve tocco. «Non sai quanto ti sbagli... Tu non sai proprio l'effetto che mi fai quando mi guardi in quel modo, Nadia. Mi fai vacillare il mondo sotto ai piedi. Ci sei sempre riuscita, anche nei momenti in cui non facevo altro che tenerti lontana da me.»
Nadia arrossì e lo spintonò indietro con una leggera pressione sul petto, trattenendo a stento un sorriso sornione. «Stai cercando di sedurmi o cosa, Mattia Silvestre?»
«Sto cercando di dirti che ti amo, Nadia Savini», rispose lui. «Ti amavo anche quando non eri qui e quando avevamo il mondo intero contro. Ti amavo anche quando mi convincevo di odiarti e quando provavo a convincere te a farlo. E ti amo anche adesso, che non ce lo abbiamo più, il mondo contro, e che siamo arrivati qui, nonostante tutto. Nonostante tutti.»
Nadia si morse il labbro per mascherare un tremolio sempre più crescente. Non voleva piangere di nuovo. Non voleva più mostrarsi vulnerabile di fronte a Mattia. No, adesso voleva solo essere indomabile.
«Balliamo», gli disse all'improvviso, con una strana luce negli occhi.
Lui sbatté le palpebre e si rese conto in quel momento di come l'atmosfera nella stanza fosse calata: adesso la pista si era riempita di coppie sorridenti e la musica aveva assunto le note lente e melodiose di una canzone romantica. «Sul serio, Nadia? E con chi vuoi ballare? Con la stampella sinistra o quella destra?»
«Concedimi una canzone. Ce la meritiamo, dopotutto. Voglio solo abbracciarti e far finta di ballare con te, anche se non siamo dei ballerini. Anche se tu fai ridere, impalato con quelle stampelle», ridacchiò lei, trascinandolo in mezzo alla pista. «Voglio provare a rendere eterni dei minuti contati, e voglio farlo sulle note di questa canzone.»
Le luci si abbassarono improvvisamente e la stanza si accese di respiri soffusi e sorrisi brillanti. Nadia socchiuse gli occhi e poggiò la fronte sul petto di Mattia. Si muovevano appena, rispetto al resto dei ragazzi accanto a loro. Ondeggiavano solo qua e là, ma in realtà stavano attraversando continenti interi, loro due.
«Nadia?» La voce di Mattia vibrò profonda sopra le note della canzone.
«Sì?»
«Andrà tutto bene, ormai. Me lo sento», le rivelò lui all'orecchio. Le parole tremarono, dense di emozioni. La mano di Mattia salì lenta su e giù per la sua schiena, mentre lei avrebbe voluto urlargli in faccia tutto quello che di bello le passava per la testa. Tutto quello che la canzone stava già rivelando pubblicamente, come una poesia destinata a loro e recitata di fronte al mondo intero.
Lei annuì e tirò su il volto per guardarlo negli occhi, che vibravano di una luce viva e piena di pensieri non rivelati ad alta voce. Quei pensieri così profondi, che avrebbero perso valore anche solo a provarci, a tirarli fuori dall'anima. Quei pensieri destinati a restare intrappolati negli sguardi, come stelle incastonate in un cielo blu notte senza fine, imperiture, brillanti. Perfette.
«Me lo prometti?»
Mattia smise all'improvviso di ondeggiare e fermò anche Nadia. Liberò una mano dalla stampella e la incastrò dietro alla sua nuca. Poi si chinò su di lei e la baciò come se non ci fosse più nessuno accanto a loro. Le musica si abbassò fino a rasentare delle note appena percepibili, le persone scomparvero una a una e persino il tempo smise di battere, lento e inesorabile. Erano riusciti a fermarlo. Erano riusciti a bloccare tutto, anche per un solo attimo, dove c'erano loro due, da soli, insieme. Avevano reso eterna la loro canzone, assaporandone verso per verso. Assaporandosi, sguardo contro sguardo.
«Te lo prometto», rispose, non appena si allontanò dalle sue labbra rosse e morbide.
Nadia sorrise e lo fissò intensamente negli occhi. Quell'immagine le sarebbe rimasta impressa dentro per sempre, ne era sicura.
«Ti amo anche io, Mattia.»
Lui ricambiò lo sguardo e le baciò la fronte, convinto che la loro permanenza a quella festa sarebbe durata pochissimo. L'avrebbe convinta ad andarsene via nel giro di dieci minuti. Venti, al massimo. Poi sarebbero corsi a casa sua, dove avrebbero reso eterna anche quella notte.
«Più di ieri?» le domandò, serio.
«Lo farò sempre più di ieri.»
Angolo dell'autrice.
Eccoci, ci siamo. Siamo arrivati alla fine. E' così brutto scrivere "fine" in fondo al capitolo, ma chi scrive e chi legge deve un po' abituarsi a questa parola da brivido. Nadia e Mattia hanno finalmente avuto il loro happy ending e sono felice di aver regalato loro una gioia, destinata a durare parecchio :) Soddisfatti del finale? Impressioni a caldo? Impressioni a freddo?
Avete riconosciuto la canzone citata nell'ultimo paragrafo, quella del ballo? E' Perfect, di Ed Sheeran. L'ho messa perché credevo fosse perfetta per Mattia e Nadia. L'ho ascoltata e, oltre a essere tremendamente dolce, ricalca alla perfezione la loro storia d'amore. Vi consiglio di aprire youtube e rileggere la scena del ballo con questa canzone di sottofondo... trust me. :3
Ebbene, ragazze/i, la storia è completata al 99%... perché non al 100%? Questo è l'ultimo capitolo, è vero, ma è l'ultimo capitolo di Nadia e Mattia. Ma manca ancora qualcosina... un piccolissimo capitolo extra che arriverà in questi giorni, magari stasera, magari domani :) Sarà una piccola anticipazione di quello che succederà dopo e di cui vi parlerò . Seguitemi sul profilo alessia_stories per essere aggiornati!
GRAZIE A TUTTI VOI. SIETE IL MIO CUORE E LE MIE EMOZIONI PIU' GRANDI. RICORDATELO SEMPRE ❤❤
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