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Capitolo 9.



«Finalmente un po' d'aria!» Nadia aprì la bocca e inspirò a pieni polmoni la brezza serale. «Credo di essermi giocata qualche neurone, lì dentro. C'era una concentrazione di ossigeno quasi incompatibile con la vita.»

Ada si sedette sull'ultimo gradino del Club, proprio di fronte al prato. Aveva allungato le gambe di fronte a sé e si stava massaggiando i piedi indolenziti. Nel frattempo, rideva senza motivo. Le sue guance erano rosse quanto i capelli, e il bicchiere della birra era completamente vuoto. Il che non era un buon segno. Per niente. «Mi sto divertendo da matti!» urlò.

Nadia si accomodò accanto a lei e poggiò il bicchiere di plastica sul gradino superiore. «È anche una delle poche feste a cui abbiamo mai partecipato», precisò. «Ma, devo ammetterlo, non è male.» Si soffermò a guardare dei ragazzi che si stavano tirando una borsetta femminile a vicenda, mentre una tipa in shorts e canottiera, probabilmente la proprietaria, gli gridava a voce alta di restituirgliela.

«E poi hanno la birra più buona del mondo.» Ada terminò la frase con un breve singhiozzo, seguito dall'ennesima risata.

«Dio, e tu sei troppo allegra», rise Nadia, scuotendo la testa. Forse lasciarle bere da sola tutto quel bicchiere non era stato il massimo. Nemmeno lei era abituata a reggere molto l'alcool, ma quella birra non le aveva alterato i sensi. Stava bene, insomma.

«Sto benone, guarda.» Ada si alzò in piedi e fece un giro su se stessa, toccandosi il naso con il dito. Le riuscì solo la seconda cosa. Per il resto ci pensò l'amica, che l'afferrò per la mano e la costrinse a sedersi di nuovo.

«Complimenti, prima festa, prima sbornia. Hai fatto strike, stasera», scherzò Nadia. Era riuscita a convincerla a uscire in giardino con una scusa banale. Le aveva detto di sentirsi poco bene in quel caos, e di andare a prendere una boccata d'aria fuori. In realtà, la boccata d'aria serviva all'amica. Magari sarebbe rinsavita un po'.

Ada rabbrividì e si strinse nelle spalle. «Fa freddo. Perché non rientriamo?»

«Forse sarebbe meglio tornare a casa, non credi? Non sei in forma.»

L'amica scosse la testa e si concentrò ad assumere uno sguardo serio. «Non ci pensare nemmeno! Posso gestire la situazione.»

Il sopracciglio di Nadia si sollevò in modo sarcastico. «Davvero? Come quando hai fermato quella ragazza dicendole che i suoi capelli ricci assomigliavano al pelo di una pecora?»

Ada rise, sinceramente divertita. «Glielo avrei detto anche da sobria. E poi, avevo ragione. Erano veramente terribili.»

«Questo non migliora la tua condizione.» Nadia guardò l'orologio al polso e scosse la testa. «Avanti, torniamo dentro. Ma solo un'altra oretta. Giusto il tempo di riprenderti un po'.»

«Ai tuoi ordini, capo.» Ada si alzò in piedi e si aggiustò il top rosso.

Da un momento all'altro, le persone che fino a quel secondo erano rimaste a parlare e scherzare in giardino, si diressero all'interno del Club. Davanti alla porta d'ingresso si era formata di nuovo la fila per entrare.

«Cosa sta succedendo?» chiese Nadia, scrutando i ragazzi uno a uno.

Anche Ada la raggiunse. «Forse proiettano un film!»

«Non mi sembra il tipo di festa in cui proiettano film.»

«Magari è un film sull'alcool.»

«Ipotesi più plausibile, ma non credo. Andiamo a domandare a qualcuno» Nadia sorrise e afferrò Ada per un braccio, guidandola fino alla fine della coda, dove alcune ragazze stavano intavolando una conversazione fitta. «Ehi, scusate... È la nostra prima festa al Club. Sapete dirci come mai stanno rientrando tutti dentro?»

Le tre ragazze, dall'aria frivola ma poco altezzosa, risero in coro. «Cosa sta succedendo?» ripeté quella più alta e piazzata. «È arrivato il momento più clou della serata!»

«Già, e siamo anche in ritardo per occupare i posti in prima fila», brontolò l'altra con i capelli rosa e il piercing al naso. «Ogni sabato, a metà serata, la sala trofei ospita i giochi alcolici: il gioco della bottiglia, la dama alcolica, e soprattutto, il beer pong.»

«Il beer pong?» ripeté Nadia.

La fila nel frattempo avanzò e la ragazza riprese la parola. «Il beer pong è un gioco di squadra. Servono un tavolo, dei bicchieri, una pallina da ping pong, e tanta, tanta birra», spiegò risoluta. «Due sfidanti si posizionano ai lati opposti del tavolo e il loro scopo è fare centro con la pallina nei bicchieri dell'altro.»

«Sembra figo», commentò Ada, adesso interessata.

«In pratica, ogni volta che un concorrente fa centro nel bicchiere dello sfidante, quest'ultimo dovrà berlo. Vince chi riesce a mandare la pallina dentro a tutti i bicchieri.»

«Ma è quasi impossibile!» Nadia corrucciò le sopracciglia.

«Ed è questo che lo rende divertente. È raro che ci sia un vincitore. Di solito, i partecipanti finiscono per ubriacarsi prima della fine della partita», convenne la tipa dai capelli rosa.

«Ok, rettifico: è davvero figo.» Adesso gli occhi di Ada brillavano, proprio come quando Pablo e Roberto le avevano dato l'invito per la festa. «Voglio partecipare. Come si fa?»

Le tre ragazze risero, come se Ada l'avesse sparata grossa. «Tesoro, non stiamo facendo tutta questa fila per vedere giocare te», le spiegò la mora. «Non siamo noi a decidere chi partecipa. Sono loro a farlo.»

«Loro chi?» chiese Nadia. Tutto quel mistero la infastidiva e incuriosiva allo stesso tempo.

«I ragazzi del Club. Scelgono loro con chi giocare. Per questo, tutte le studentesse del campus vogliono stare in prima fila.»

«Perché volete essere scelte da questi tipi?» domandò Ada. Le sfuggiva il fulcro del discorso, probabilmente.

La coda giunse al termine con loro, e il trio si preparò a entrare nella casa. «Tutte, qui dentro, lo vogliono. Quasi tutti quelli del Club sono popolari e benestanti. Essere scelte da loro significherebbe sbancare», rispose la mora, che entrò per ultima. «Quando metterete piede nella sala dei trofei e li vedrete con i propri occhi, capirete cosa intendo. Adesso scappiamo. Andiamo a cercare un posticino davanti», le salutò con la mano e si disperse nella folla insieme alle amiche.

Nadia le guardò sgusciare in mezzo alle altre persone, poi si voltò verso Ada con uno sguardo di disdetta. «Mi pare di capire che assisteremo anche noi allo spettacolo», sospirò, spostandosi i capelli da una parte.

L'amica annuì su di giri. «Ormai sono curiosa di vedere chi sono questi Mister Popolarità del Campus. Quindi, muoviamoci. Non siamo così alte da poterci permettere di stare in ultima fila.» Prese sottobraccio Nadia e la guidò fino all'ingresso della sala dei trofei.

Lì dentro il chiasso era alle stelle e l'aria era satura. Le persone spingevano per avanzare, mentre il centro della stanza era vuoto. All'interno dell'area ovale libera era posizionato un grosso tavolo di legno lungo più di due metri. Vicino al camino c'erano invece i fusti di birra, gelosamente custoditi dai ragazzi dell'associazione.

Dopo spintoni e gomitate varie, le due ragazze riuscirono a ottenere una postazione in seconda fila. La visuale non era perfetta, ma a grandi linee si riusciva a capire il gioco.

«Quando cominciano?» Si lamentò Nadia. Era compattata in uno spazio di pochi centimetri quadrati, e non poteva nemmeno allungare le braccia. Attorno a lei aveva una barriera di ragazze in fermento.

«Ora dovrebbero uscire le Aquile», le rispose una tizia sconosciuta accanto. «Sono convinta che stavolta mi sceglierà. Me lo sento.»

Nadia la guardò di sottecchi ma non le disse nulla. C'era troppo poco ossigeno vitale per sprecarlo in inutili conversazioni. Però la ragazza non aveva torto. Di lì a poco una serie di gridolini da un angolo della sala si espansero ovunque fino a diventare una vera e propria gara di urla e braccia in aria. La tipa accanto a lei spense i freni inibitori e cominciò a spingere in avanti senza pudore, aprendo un varco nella prima fila. Per non perdere di vista l'amica, Nadia le afferrò la mano e si lasciò spingere avanti dalla corrente umana, fino a trovarsi a poco meno di un metro dal tavolo di gioco.

Una voce squillante e allegra iniziò a risuonare nella sala, invitando tutti a fare meno rumore.

«Ehi, quello è Roberto!» Ada le tirò la manica del vestito per farla sporgere dalla sua parte, dove si apriva uno scorcio diretto sul ragazzo, in piedi sopra una poltrona. Da come ondeggiava, non sembrava molto sobrio.

Nadia fece per rispondere, ma Roberto batté il palmo della mano sul muro dietro di lui. «Ciao a tutti, ragazzi e, soprattutto, ragazze. Vi diamo il benvenuto alla nostra serata di giochi alcolici. Come ogni settimana, il protagonista del divertimento sarà il mio amato Beer Pong. E visto che conoscete già questo gioco, non perdo a spiegarvi le regole.»

«Vogliamo le Aquile!» Strillò con voce stridula una ragazza al centro della stanza. Le componenti femminile della L.U.S.I le diedero manforte, e in poco tempo iniziarono a battere le mani.

Roberto rise e scese con un salto atletico dalla poltrona. Era incredibile come si trovasse a proprio agio in mezzo alla folla. Un oratore nato. «Ragazzi, perché non uscite fuori?» Si voltò verso il bar dei drink, dove si trovavano tutti i suoi compagni. «È arrivato il momento di formare le squadre.»

Nadia cercò di sbirciare oltre le spalle delle persone avanti a lei, ma con scarsi risultati. Erano tutte più alte di loro, e le coprivano tre quarti della visuale. Quando i giocatori si misero intorno al tavolo, infatti, riuscì solo a vederli di sfuggita.

Roberto si schiarì la voce e riprese a parlare. «La settimana scorsa abbiamo chiuso i giochi con la vittoria della squadra di calcio contro quella di basket per uno a zero. Oggi ci è stata chiesta la rivincita», spiegò. «Alex, il motivatore dei cestiti, ha lanciato la sfida di nuovo a lui, il nostro bomber dai piedi d'oro.» Con cenno della mano fece avanzare uno dei due ragazzi accanto al tavolo. «Capitano, perché non vieni avanti e scegli la tua partner di gioco? Alex ha già scelto la sua, e, mi dispiace, ragazze, ma è anche stavolta la sua fidanzata.»

Il pubblico femminile inneggiò un "Buu" ad alta voce, che fece stranire la ragazza slanciata e dal bel fisico che spalleggiava il giocatore di basket.

«Non male», sussurrò Ada, rapita dall'aspetto di Alex.

Nadia sbuffò, in punta di piedi. «Non vedo niente.»

Adesso le ragazze iniziarono a fare dei cori di incitazione rivolti verso il capitano della squadra di calcio, per il momento ancora in silenzio.

«Be', per uno scontro alla pari, potresti scegliere anche tu la tua ragazza», tentò Roberto, andando incontro all'amico. «Sarebbe un match focoso

Il ragazzo lo ignorò. «Se volessi perdere, lo farei», rispose, gelido come una lastra di ghiaccio. «Ma, visto che voglio fare il culo ad Alex, credo che sceglierò qualcuna dal pubblico.»

Nadia sussultò, e il suo cuore inciampò addosso a un ostacolo invisibile, causandole un ritardo nel battito. Strizzò gli occhi, totalmente allibita.

Quella voce. Anche se era passato tanto tempo, l'avrebbe riconosciuta ovunque. Sembrava più tagliente e fredda, ma era pronta a scommettere che fosse la sua.

Il cuore iniziò a pomparle il sangue nelle vene troppo velocemente. Per un momento si sentì confusa e con la testa ovattata. Improvvisamente sentì caldo lì dentro, come se non riuscisse a respirare.

No, non poteva essere davvero lui. Forse si stava sbagliando. Magari era la confusione a farle quell'effetto. Non era la prima volta che associava voci a persone diverse, quindi si trattava sicuramente di un errore. Già, doveva essere per forza così. Per quanto fosse maledettamente simile, quella voce non poteva appartenere alla stessa persona di due anni prima.

Il capitano della squadra di calcio iniziò a camminare di fronte alle ragazze in prima fila, con una calma mortale e uno sguardo vigile e derisorio. Le guardava una ad una, dalla testa ai piedi.

«Scegli me!» lo pregò una.

Lui si fermò e le rise in faccia, snobbandola.

Nadia trattenne il respiro. Doveva calmarsi e respirare piano, proprio come faceva i primi tempi per placare gli attacchi di panico. Anche adesso non stava per niente bene, e sentiva che da un momento all'altro sarebbe potuta svenire. Aveva le mani sudate e fredde, mentre il volto era un lenzuolo bianco. Il suo pallore aumentò quando vide l'ombra del ragazzo avanzare verso di lei, passo dopo passo. Deglutì e chiuse gli occhi, sperando vivamente di essersi sbagliata.

Il capitano delle Aquile si fermò di nuovo e si mise di fronte alla ragazza che aveva aperto il varco in prima fila. Questa sorrise, ma prima che potesse dire A, lui scosse la testa. «Piuttosto che scegliere te, preferirei dargliela vinta a tavolino.»

La tipa trattenne il respiro e divenne paonazza in volto. In meno di un attimo, un'amica la trascinò fuori dalla sala dei trofei.

Qualcuno iniziò a borbottare contrariato e Roberto raggiunse l'amico vicino al tavolo da gioco. Sembrava imbarazzato e al contempo stupito dall'atteggiamento del compagno. «Ehm, amico, forse sarebbe il caso che ne scegliessi almeno una. È soltanto...»

Il ragazzo lo zittì con una mano e corrucciò lo sguardo. Non lo stava ascoltando. Aveva appena visto qualcosa di interessante tra la prima e la seconda fila. Senza dire una parola, si avvicinò al cantuccio dove si era rintanata Nadia. La ragazza di fronte a lei la copriva a malapena, e non poté fare nulla quando lui le si piazzò di fronte. E quando alzò lo sguardo - uno sguardo avvilito e conscio - il fantasma del suo passato tornò a infestarle il presente. Mattia la stava fissando, con la bocca socchiusa e un'occhiata che virava dalla rabbia al più totale e cieco sconcerto. Non credeva a quello che aveva davanti, e lo stupore gli fece mancare le parole di bocca.

Nadia si morse il labbro inferiore. Non si sarebbe aspettata di vederlo lì. Non si sarebbe aspettata di vederlo così, in quel contesto. Strinse i pugni e non abbassò lo sguardo, anche se quello che avrebbe voluto fare era andarsene di lì e togliersi dalla testa quell'immagine che tanto aveva rinnegato.

Mattia sbatté le palpebre e scosse impercettibilmente il capo, come a destarsi da un brutto sogno. Ma il suo incubo personale era ancora davanti a lui, immobile e altrettanto sbigottito. «Nadia?» sussurrò a bassissima voce, con tono piatto. Una moltitudine di emozioni gli trapassarono il petto, facendo iniziare una battaglia intestina tra lo stupore e l'ira. Ma la rabbia era troppo più forte, per lasciar vincere altri stati d'animo. Puntò il dito contro di lei, inasprendo lo sguardo «Tu?»

Roberto batté le mani, tirando un sospiro di sollievo. «Lei!» gridò al pubblico. «Abbiamo trovato la partner del capitano!» Prese per un braccio Nadia e la invitò a farsi avanti. La ragazza si fece trascinare senza togliere gli occhi di dosso da Mattia. Non avrebbe retto a lungo quello scontro. «Ci incontriamo di nuovo, bellezza... Vedo che oggi è davvero la tua giornata fortunata!» la salutò Roberto.

Nadia scosse la testa e rinsavì tutto assieme. Cosa accidenti stava combinando? Abbassò lo sguardo e lo spostò su Roberto. «Non voglio partecipare a questo stupido gioco.»

«Ehi, cosa? Aspetta, Nadia!» provò a fermarla lui, stupito dalla sua reazione.

Ma la ragazza sgusciò alla sua presa e si immerse di nuovo nel pubblico. Dopo aver individuato Ada, che era impallidita quasi quanto lei, la trascinò via dal Club senza lasciarle il tempo di spiccicare mezza parola.

Roberto si portò le mani alla testa, sconvolto. «Amico, la tua scelta è appena scappata via

Gli invitati iniziarono a rumoreggiare nella stanza.

Mattia rimase in silenzio, ancora troppo sconvolto per poter formulare una frase di senso compiuto. Ecco a chi apparteneva la voce di prima. Era la sua. Strinse i pugni finché le unghie non gli premettero sulla pelle e le nocche gli divennero bianche. «Lasciala andare», rispose a denti stretti. «Le è sempre piaciuto fuggire.» E con uno spintone allontanò Roberto e lasciò anche lui la stanza, con una nuvola di rabbia nera al suo seguito.

Era assurdo. Era tutto fottutamente assurdo. Ma non c'erano altre spiegazioni possibili.

Nadia era tornata a Roma.

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