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Capitolo 7.



Quello che Roberto e Pablo avevano detto era vero. La musica echeggiava lungo tutta la pineta che separava gli edifici dai campi sportivi. E il volume era talmente alto che le vibrazioni le attraversavano la gabbia toracica, come se avesse un piccolo terremoto interiore in atto. Davvero il rettore non ci trovava nulla di strano?, si chiese Nadia, mentre camminava insieme ad Ada lungo il sentiero di terriccio del giardino.

Dopo aver passato un'ora di fronte all'armadio della loro camera, ne erano uscite entrambe vittoriose. Ada aveva optato per una gonnellina di jeans e un top rosso, mentre lei aveva optato per un semplice vestito corto nero. Avevano persino osato a mettere un paio di scarpe con i tacchi, sperando di non pentirsene poche ore dopo. Adesso camminavano impacciate verso il Club sportivo, guardandosi attorno come se fossero delle ladre.

«Non dovremmo sentirci a disagio», commentò Ada a bassa voce. Avanti a loro c'era un'altra coppia di ragazze, anch'esse dirette verso la loro stessa direzione. «È pieno di gente vestita come noi.»

«Non pensavo che il sabato questo posto si trasformasse in una sorta di discoteca ambulante», replicò Nadia. Non sapeva se prendere quella presa di coscienza come un fattore positivo o negativo.

«Te l'avevo detto che era il paradiso!» si gongolò l'amica, provando a saltellare sui tacchi. Le riuscì una mossa impacciata, che le fece perdere l'equilibrio, costringendola a reggersi al gomito della compagna «Sono convinta che prima o poi ci faremo l'abitudine.»

«Alle feste o ai tacchi?»

«Entrambe. Ma soprattutto, alle feste. Prevedo che sarà un anno intenso, se ne organizzano una a settimana.»

«Cosa che ci interessa relativamente, visto che non parteciperemo a tutte», mise subito in chiaro Nadia, prendendo le redini della situazione.

In quel momento, le due studentesse avanti a loro scoppiarono a ridere a voce alta, emettendo dei gridolini acuti che attirarono l'attenzione delle ragazze, bloccando il loro discorso. «Stavolta è stato facile ottenere gli inviti», disse quella bassa con un caschetto moro. «Quindi vorrà dire che ci sarà davvero tanta gente...»

«Pensi che riusciremo a parlarci, stavolta?» le chiese la compagna, una bionda ossigenata in bilico su dei tacchi vertiginosi. «Anche la settimana scorsa avevi detto così.»

«E infatti c'era. Solo che non siamo state abbastanza fortunate. È sempre contornato da ragazze e amici.»

«Dimentichi la sua simpaticissima fidanzata», scherzò la bionda, alzando le spalle. «Gli fa da guardia come un mastino.»

«E pensare che lui è così scostante con tutti!» la mora sospirò, sognante. Poi accelerarono il passo e le superarono, ridendo.

«Wow, che discorso elevato», commentò Ada, che non era riuscita a ignorare quello stralcio di conversazione.

«Allora quei ragazzi non scherzavano quando ci hanno detto che sarebbero stati presenti i ragazzi più popolari della L.U.S.I», rifletté Nadia, quasi tra sé e sé. «La cosa non mi rincuora affatto.»

«Devono essere davvero fighi, se quelle due si sono messe così in tiro per farsi notare. Peccato che fossero brutte come manici di scopa.»

«Ada!» la zittì Nadia, soffocando una risata. Quella sua boccaccia le avrebbe sicuramente creato dei problemi.

«Che c'è? Non erano niente di che.»

Quando raggiunsero la zona dei campi sportivi, il clima cambiò precipitosamente. Dietro agli alberi iniziava il mondo degli sportivi: la distesa di fronte a loro era occupata in lungo e in largo da campi da basket, tennis e un grandissimo campo da calcio, contornato da una pista di atletica e da una serie di platee disposte lungo i due lati principali.

«Per la miseria!» tuonò Ada. «Non sapevo le prossime Olimpiadi si tenessero a Roma.»

«Credo che quello sia il Club.» Nadia indicò un edificio a due piani che si trovava accanto al campo da calcio. Identificarlo non era stato difficile. Il giardino di fronte era invaso da gente. Le finestre, che davano sulla facciata anteriore, erano tutte spalancate, e da esse trapelavano giochi di luci e colori, scanditi a ritmo di musica. «Hai preso gli inviti?»

Ada scrollò la testa, come se fosse incantata. «Come dimenticarli? Andiamo, dai.»

Sulla facciata dell'edificio era scolpita una targa a caratteri cubitali, che riportava "Club Sportivo L.U.S.I". Di fronte alla porta c'era un ragazzone alto e muscoloso, con il tipico fisico da giocatore di basket. A mano a mano che la gente si presentava davanti all'uscio, lui prendeva gli inviti e, a volte, si fermava a chiacchierare con i nuovi ospiti. In linea di massima, sembravano tutti conoscersi tra loro.

Quando si posizionarono anche loro in fila davanti all'ingresso, il tipo le squadrò con il sopracciglio alzato, come a capire cosa ci fosse di diverso in loro. La sua espressione cambiò quando Ada gli porse i due biglietti. «Se te lo stai chiedendo, sì, siamo nuove», lo precedette, sventolandogli in faccia i cartoncini, «ma abbiamo gli inviti.»

«Nuove studentesse a metà anno?» chiese il ragazzo, con un sorriso sfacciato. «Interessante.»

Nadia sospirò. «Sì, problemi?»

Il tipo rimase spiazzato, per poi riprendersi tranquillamente. «Nemmeno uno. Più siamo, meglio è. Conoscete le regole della festa?»

«Pablo e Roberto ci hanno spiegato ogni cosa», rispose la ragazza bionda, con un sorriso.

Allora il ragazzo alzò le mani in segno di scusa. «Oh, non sapevo che foste state invitate da loro.» Indicò l'interno della casa, già strapieno di gente «Se li state cercando, dovrebbero stare al bancone dei drink. Ma non vi assicuro niente. Ci sono così tante ragazze, che potreste trovarli a provarci persino con le loro ombre. Buon divertimento, ragazze!» Rise e scosse la testa, lasciandole passare.

Ada e Nadia ricambiarono il saluto, poi si scambiarono uno sguardo incuriosito ed entrarono nel Club.

Dentro, il frastuono regnava sovrano. La musica era a volume quasi illegale e i quadri appesi alle pareti tremavano, minacciando di staccarsi. Davanti a loro c'era un piccolo ingresso, che ospitava una rampa di scale verso il piano superiore. Alla loro destra, invece, il corridoio portava al salotto, una grande stanza con divani e poltrone distribuite intorno a un piccolo caminetto. A sinistra c'era la cucina, totalmente invasa da cibo e bicchieri. C'era una tale confusione che la festa sembrava essere iniziata da più di un'ora. La gente spintonava per farsi spazio e passare, ed era tutta più che allegra. I tre quarti degli invitati erano già ubriachi.

Un tipo con il cappello della squadra di calcio si avvicinò a loro, porgendo il palmo della mano. «Le chiavi della macchina, prego», ordinò, come se fosse la cosa più scontata da dire.

Nadia e Ada si lanciarono uno sguardo confuso. «Come, scusa?» chiese Nadia.

«Siete appena arrivate, vi ho visto. Datemi le chiavi della vostra macchina. Le metterò nella scatola magica delle chiavi, insieme a tutte le altre. Forza.»

«Scatola magica?»

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo. «Non vi lascerò andare nella sala dei trofei, senza prima avervi tolto le chiavi», spiegò. «Ci sono litri di alcool qui dentro, e non possiamo permetterci che vi andiate a sfracellare addosso a un albero della L.U.S.I. Quindi, chiavi, forza!»

Ada rise e gli abbassò la mano. «Guarda che siamo già venute a piedi. Abitiamo negli appartamenti appena fuori dal campus, quindi niente macchina. Vai a ispezionare qualcun altro.»

Il tipo corrugò la fronte e rimase in silenzio, indeciso sul da fare. «Oh, be', in tal caso, andate pure. Ero abbastanza sicuro che foste delle forestiere.»

Ada alzò le spalle in modo disinteressato e trascinò via Nadia dal ragazzo guardia, portandola fino alla cosiddetta sala dei trofei. Il motivo di quel nome le fu chiaro subito. La stanza era tappezzata da teche di vetro e mensole con sopra esposti i più svariati trofei di competizioni e tornei. Inoltre, sulle pareti in legno erano appese maglie di calcio, medaglie e foto sportive di gruppo.

«Carino come posto», urlò Ada all'orecchio dell'amica. Stando vicino alle casse, dovevano letteralmente gridare per sentirsi.

Nadia annuì. Nonostante fosse contornata da individui sconosciuti, non si sentiva a disagio. Anzi, era piuttosto allegra. Forse era l'ambiente carico di energia a darle quell'euforia. «Guarda, là in fondo c'è il tavolo delle bevande. C'è un po' di ressa, ma stando a quanto ha detto il tipo all'ingresso, i due ragazzi dell'invito dovrebbero stare lì. Andiamo a scoprirlo?»

Ada rispose con un sorrisone e batté le mani, felice. «Ovviamente!»

Davanti al bancone c'erano due file di persone, intente a chiacchierare e aspettare i loro drink. Nadia si mise sulle punte, nel tentativo di scorgere il punto di arrivo. Nonostante i tacchi, il risultato non fu soddisfacente. Quando rimise la pianta dei piedi a terra, perse per un attimo l'equilibro e si sporse in avanti, urtando la schiena di una ragazza dai riccioli castani. Questa si voltò, con uno sguardo truce. Appena Nadia la vide in faccia, rimase a bocca aperta e sbarrò gli occhi.

No, non poteva essere lei. Non poteva essere una di loro. Scosse la testa, sperando con tutta se stessa che fosse un sogno, ma quando tornò a fissarla, lei c'era ancora.

Penelope la stava incenerendo.

«Ehi, vuoi stare attenta?» le gridò, dopo qualche istante.

Nadia trattenne il respiro. Davvero non l'aveva riconosciuta? Okay, in due anni era cambiata, ma non così tanto da sembrare un'altra persona. La comparsa di Penelope si era manifestata come la materializzazione di tutti i suoi incubi: se lei era a quella festa, voleva dire che frequentava la L.U.S.I. E se la frequentava lei, allora potevano frequentarla anche tutti gli altri compagni del vecchio liceo. In un attimo, le sue speranze di non doverli vedere mai più le svanirono dalla testa, riportandola con i piedi a terra.

Senza rendersene conto, la fila era scorsa in avanti e adesso avevano soltanto tre persone prima di loro. Scosse la testa e rabbrividì, captando il cattivo presagio angustiare su di lei. Ada non si era accorta di nulla, e, ovviamente, non era a conoscenza di chi fosse Penelope. Così optò per la scelta più saggia. Se quell'arpia non si ricordava di lei, le avrebbe riservato lo stesso trattamento. «Scusami, non l'ho fatto a posta», rispose, cercando di evitare il suo sguardo.

Penelope continuò a squadrarla in maniera equivoca, poi schioccò la lingua. «Vorrei vedere. Idiota», mormorò, prima di voltarsi di nuovo verso il bancone.

Nadia tirò un sospiro di sollievo.

«Ehi, siamo arrivate! Eccoli, Nadia!» la chiamò Ada, che finalmente era riuscita a sbucare di fronte al bar improvvisato. «Sono loro.» Indicò i due ragazzi, che si destreggiavano tra le taniche di birra e le bottiglie di alcolici.

Fu Pablo a servirle, e subito le riconobbe, sfoggiando un bel sorriso. Aveva i capelli pettinati all'indietro e tenuti fermi dalla gelatina, cosa che lo faceva sembrare molto più signorile. Indosso però non portava più la felpa della squadra, bensì dei comunissimi abiti. Roberto invece calzava il suo solito cappellino, con la visiera all'indietro.

«Ehi, siete venute, alla fine!» esclamò Pablo, sporgendosi dal tavolo. Sembrava felice di vederle, e dietro a quel sorriso non si intravedeva un filo di scherno. «State benissimo», si complimentò, indicando con un dito i loro vestiti.

Ada sorrise. «Bella festa.»

«Cosa vi avevamo detto? Le nostre feste spaccano sempre», si vantò, mentre intanto afferrava due bicchieri di plastica. «Avete già fatto conoscenza con qualcuno? Vi avverto: anche se cerchiamo di fare la selezione all'ingresso, qualche guastafeste riesce sempre a imbucarsi. Quindi sempre occhi aperti.»

Nadia trattenne una risata ironica. Per quanto le riguardava, aveva già riconosciuto qualcuno. E avrebbe tanto desiderato non farlo.

«Comunque avete mantenuto la parola... I primi due drink li offre la casa. Cosa vi preparo?» Pablo fissò le due ragazze, che rimasero in silenzio. Allora scosse la mano e rise. «Okay, ho capito l'antifona. Siete novelline anche in questo.» Agguantò i bicchieri e si spostò verso la tanica di birra. Li riempì fino all'orlo e tornò alla sua postazione, porgendoglieli.

Le ragazze presero i bicchieri con sospetto.

«È solo birra, e non ci ho messo la droga dentro», scherzò Pablo, osservando divertito le loro facce. «Adesso, ragazze, ho un sacco di gente da servire. Ci vediamo in giro. Fate le brave, mi raccomando.» Fece loro l'occhiolino e tornò a dedicarsi alle persone in fila dopo di loro.

Dopo qualche secondo, Ada e Nadia si trovarono catapultate in mezzo alla stanza a forza di spintoni. Miracolosamente, la birra era ancora al suo posto.

Nadia si guardò attorno, adesso guardinga. Penelope si era defilata come nulla fosse, ma adesso temeva di poter incontrare chiunque a quella festa. E il pensiero non la rendeva affatto tranquilla. Scosse la testa, convincendosi di rilassarsi e di non pensarci.

Se c'era una cosa che la città le aveva insegnato, era che l'alcool aiutava a risolvere i problemi. O meglio, a non pensarci troppo. Guardò il bicchiere che aveva tra le dita e si accorse di avere la soluzione in mano. Fissò Ada con uno sguardo promettente e brindò con lei. «A questo nuovo inizio», disse. «Che possa essere pieno di sorprese.»

E, di sicuro, quelle non sarebbero mancate di certo. 

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