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Capitolo 56.



L'attesa era sempre la parte più straziante di quelle giornate infinite.

Ogni volta che Nadia arrivava nella clinica, le sembrava di entrare nello stesso girone dell'inferno: uno stretto, angusto e dal cattivo odore di malattia. Non poteva fare niente, e aspettare in silenzio, seduta su una scomoda sedia in plastica, la distruggeva dentro. L'unica cosa che le era concessa era restarsene con le braccia conserte a pensare. Aveva pensato tantissimo, negli ultimi quattro giorni. Aveva pensato a tutto quello era passato e che stava passando, lento e inesorabile. Aveva pensato agli errori che aveva commesso e alle sue parole dette con leggerezza, agli ultimi momenti trascorsi con Mattia e a quel suo sorriso pieno di promesse disattese.

Adesso lui era in coma. Non poteva aprire gli occhi, non poteva parlare, non poteva mangiare da solo. Erano dei tubicini trasparenti che gli entravano dentro a farlo al posto suo. Lo tenevano in vita quanto bastava per permettere al suo cuore di battere ancora. Certe volte, vedendolo sdraiato da quella grande finestra di vetro, immobile e inerte, le veniva da pensare che fosse in vita solo per quei tubicini. E probabilmente se non ci fosse stato l'elettrocardiogramma accanto a scandire i battiti del cuore, lo avrebbe potuto dare per morto senza difficoltà, dato che il suo corpo non era scosso nemmeno da un gesto riflesso.

I medici non parlavano molto con lei; in realtà aveva quasi il dubbio che si fossero davvero accorti di una persona che sostava nella corsia della Terapia Intensiva da quattro giorni, dalla mattina alla sera. Tornava a casa solo quando era Ada a trascinarla via, per portarla a mangiare, per lavarla, per obbligarla a piangere e a sfogarsi. Ma lei aveva scoperto che in alcuni casi il dolore era troppo forte persino per uscire fuori. Se ne restava intrappolato all'interno delle ossa, nascosto da ogni certezza e ti appesantiva il respiro. Non riusciva più a gridare, a prendersela con qualcuno o qualcosa, a farsi uscire le lacrime. Quelle, le aveva finite da un pezzo. Adesso le restavano solo un paio di occhi secchi, così come la sua anima e il suo corpo.

Non sentiva niente. E forse era meglio così.

Per quanto si ostinasse a pensare di potercela fare da sola, di non avere bisogno di niente, doveva ammettere che Ada si fosse rivelata preziosa, durante quelle lunghe giornate, sia in vece di amica, sia come infermiera della clinica. Grazie a lei, infatti, era riuscita a farsi accettare dall'equipe medica nel reparto e aveva acquisito una serie di informazioni sulla salute di Mattia che i genitori avevano chiesto di mantenere segrete.

Il suo ragazzo era in coma, con un elettrocardiogramma stabile e un'attività cerebrale persistente. L'incidente gli aveva causato molte lesioni in tutto il corpo: escoriazioni e abrasioni diffuse, rottura del legamento crociato anteriore sinistro, fratturazione di tre coste, perforazione del polmone destro e un'emorragia intracranica, dovuta al trauma per l'impatto. Questo riportava il referto clinico.

Il coma era subentrato in un secondo momento, decisione stabilita dai medici d'urgenza e dagli anestesisti del pronto soccorso. Gli avevano indotto un coma farmacologico, per ridurgli la sensibilità al dolore e per limitare lo stress del suo corpo. Da incosciente avrebbe potuto rispondere meglio ai farmaci e ai trattamenti invasivi, ma non c'era nulla di sicuro.

L'unica cosa certa era che Mattia stesse combattendo una battaglia silenziosa tra la sopravvivenza e la morte. E lo stava facendo da solo.

Non c'era molto che potesse fare, lì dentro. Ogni volta che provava ad avvicinarsi alla porta della sua stanza veniva cacciata gentilmente dagli infermieri, che la invitavano senza sosta a sedersi. Che cosa ne sapevano loro dello strazio che stava subendo? Rimanere seduta a guardare fisso di fronte a sé la stava annientando. Perché non le permettevano di entrare in quella stanza, di oltrepassare quel muro stinto che li teneva distanti? Perché non le concedevano la possibilità di trascinare una sedia accanto a lui e di aspettare? Perché solo quello poteva fare: aspettare. E lo avrebbe fatto per molto tempo ancora, almeno fin quando ci fosse stata speranza. Se i medici lo tenevano in quelle condizioni, attaccato a quelle macchine che vivano per lui, forse era perché sapevano che prima o poi sarebbe potuto tornare a farlo da sé.

Doveva continuare ad avere fede. Certe volte la fede è l'unico appiglio al quale puoi aggrapparti. L'ultima speranza prima di un profondo abisso d'incertezze.

«Sono stanca di aspettare! Sono quattro giorni che aspetto in questo squallido posto da poveracci!» sbraitò una voce, risvegliando Nadia da un torpore che spesso associava alla noia, o alla stanchezza. «Voi dovete fare qualcosa! Svegliatelo!»

«Signora Silvestre, la situazione è più complessa di come la dipinge lei», replicò pazientemente un uomo, probabilmente il medico che stava seguendo Mattia. «Il ragazzo è in uno stato psicosomatico molto delicato.»

Nadia scattò in piedi e si avvicinò alla parete che la separava dall'altro corridoio: Cornelia Silvestre era di nuovo arrivata nella clinica assieme a suo marito, portandosi dietro tutta la sua presuntuosità, e stava discutendo con il medico del reparto.

Durante quegli ultimi giorni Nadia non l'aveva ancora incontrata dal vivo. Faceva delle brevi visite e perlopiù si chiudeva dentro lo studio del dottore per parlare più nel dettaglio delle condizioni di suo figlio.

Da quando Mattia aveva avuto l'incidente si era fermata a riflettere su quanto fossero vanesi i litigi con Cornelia, arrivando persino a contemplare l'ipotesi di poterci passare sopra, se solo lui si fosse svegliato. Ma non appena sentì la sua voce stridere nel corridoio le si accapponò la pelle per il fastidio. Quella donna continuava a repellerla.

«Non m'interessa dei suoi termini scientifici da quattro soldi, dottor... Bastiani. Lei mi aveva promesso che avrebbe fatto del suo meglio per svegliare mio figlio. Sono passati quattro giorni e sta esattamente come prima», continuò la donna, senza abbassare il tono di voce. «Avrei dovuto immaginare che questa clinica non fosse adatta per mio figlio. Voglio che mi prepariate le pratiche di trasferimento. Ho intenzione di portare Mattia nell'ospedale di famiglia.»

Il medico tossicchiò per coprire un verso di sorpresa. «Signora... Signora Silvestre, la prego di calmarsi e riflettere. Il paziente non è ancora nelle condizioni di subire un trasferimento in ambulanza. Sarebbe un rischio su cui le chiedo di riflettere ponderatamente. Non appena aprirà gli occhi e si sarà stabilizzato, potrà decidere quello che vuole.»

«Io non ho intenzione di sottostare alle decisioni di un medico di dubbie competenze, mi ha capito?» ribadì Cornelia, con gli occhi spiritati. «Se solo volessi, potrei denunciare ognuno di voi!»

Il dottor Bastiani rise. «E per cosa? Per aver salvato la vita di suo figlio? Signora Silvestre, questo è un reparto delicato, quindi la prego davvero di tornare quando si sarà calmata. Sorvolerò sulle sue parole ingiuriose... Capisco cosa voglia dire per una madre dover sopportare tutto questo.»

«Lei non sa un bel niente, dottore! Voglio solo quella maledetta pratica! Al resto ci penseremo noi.»

Lui sospirò. «Signor Silvestre, spero che lei mostri un po' più diplomazia di sua moglie. So che siete scossi, ma da medico ho bisogno che vostro figlio resti qui. Quale genitore metterebbe a rischio in modo così incosciente una vita?»

Nadia si sporse un po' più avanti per inquadrare il padre di Mattia, che se ne stava lì, da un lato. Aveva la faccia cinerea e sembrava dimagrito di qualche chilo. Tra i due, lui era il solo ad aver apparentemente risentito dell'incidente del figlio. Cornelia lo affiancava, con la solita espressione austera e accigliata. Sembrava la padrona della clinica.

«Avanti, Giulio, diglielo anche tu», lo rimbeccò. «Digli di preparare quelle maledette pratiche.»

«Cornelia, forse dovremmo ascoltare-»

«Oh, no. Anche tu no!» esclamò lei, su di giri. «Infermiera! Mi mandi qualche dottore competente. Mio figlio sta morendo in un letto di una clinica di incompetenti e non ho intenzione di attendere non un minuto di più!» disse, rivolta a una donna in camice che stava attraversando il corridoio.

«Cornelia, ti prego, abbassa la voce o ci cacceranno. Per favore, cara...» la pregò ancora il marito, con voce spenta e priva di ogni vitalità.

«Signor Silvestre, se sua moglie non comincerà ad avere un atteggiamento più diplomatico, temo di doverla far allontanare dal reparto», l'avvertì il dottore.

«Mi dispiace. Mi dispiace davvero. Mia moglie non sta bene... lei ha sempre sofferto di crisi depressive, e non sa come reagire a questo shock. Nessuno di noi sa come reagire.»

<Giulio, chiudi quella bocca», lo intimò la donna.

Il dottore sospirò e alzò il braccio, richiamando l'attenzione di un infermiere. «Per favore, Marco, accompagna la signora fuori. Dalle un calmante, se necessario.»

L'uomo si avvicinò a Cornelia e le tese il braccio. «Andiamo a fare una passeggiata, signora. Un po' d'aria fresca le calmerà i nervi.»

Lei provò a dimenarsi dalla stretta dell'infermiere senza alcun risultato e iniziò a inveirgli contro, trascinandosi l'eco delle sue parole lungo tutto il corridoio. «Mi lasci! Io la denuncio! Farò chiudere questa struttura! Vi farò licenziare tutti... posso farlo!»

Quando le sue lamentele cessarono, lontane dalla terapia intensiva il dottor Bastiani sospirò e al seguito anche Giulio.

«Mi dispiace per mia moglie», si scusò. «Non so più come gestirla.»

«Ha pensato a una seduta da qualche psicologo? Non vorrei sembrare indiscreto, signor Silvestre, ma da quello che ho potuto notare, mi sembra che ci sia un'atmosfera tesa nella vostra famiglia.»

«No. No, non ce n'è bisogno, mi creda. Cornelia... Lei deve solo rilassarsi.»

«Signor Silvestre...»

«Giulio, la prego.»

«Giulio, d'accordo», acconsentì lui. «Due giorni fa sua moglie si è presentata ubriaca in reparto. Ha litigato con l'intera equipe medica e ha cercato di aggredire una donna delle pulizie. Io credo che abbiate bisogno di un aiuto esterno per uscirne. In queste brutte situazioni, avere il supporto di una famiglia compatta è la cura migliore.»

Nadia si coprì la bocca con una mano. Cornelia era arrivata nella clinica ubriaca?

«Mio Dio... Io... io non ne sapevo niente...» balbettò Giulio, paonazzo per la vergogna. «Di solito... di solito non lo fa mai in pubblico.»

«Può essere una risposta allo stress, e questo lo capisco. Ma pensavo di avvertirla, in modo che potesse trovare delle soluzioni adatte.»

«Lo farò. Lo farò senz'altro, dottore.»

«Bene. Vuole ancora che le prepari le liberatorie per il trasferimento di Mattia?»

Giulio scosse la testa. «No. Mia moglie non era in sé e credo che non lo sia già da un bel po'. Provvederò a risarcirvi personalmente i danni morali contro la vostra struttura e il personale che ci lavora all'interno. Ci tengo che mi figlio sia seguito durante tutto il percorso ospedaliero, nella speranza che possa tornare ad aprire gli occhi.»

Il dottore sorrise. «È una scelta saggia», gli disse. «E, a proposito di suo figlio... La cura farmacologica sta avendo effetto: l'emorragia intracranica si sta riassorbendo e, grazie alla manovra che abbiamo eseguito, abbiamo eliminato l'aria dal polmone collassato. Per le altre lesioni e rotture ci sarà da aspettare. Per quelle, i tempi di recupero possono essere lunghi e dolorosi.»

Nadia rimase con il fiato sospeso mentre sentiva il dottore parlare.

«Quindi... mi sta dicendo che mio figlio è fuori pericolo adesso?» chiese Giulio, in un misto tra euforia e incredulità.

«È ancora in coma farmacologico indotto. Vogliamo monitorare bene la situazione cerebrale, prima di abbassare le dosi di Propofol e morfina e svegliarlo. Sono convinto che farlo prematuramente allungherebbe solo la sua agonia e i tempi di recupero.»

«Ma tornerà come prima, vero?»

«Suo figlio è stato molto fortunato, Giulio. Ho visto molte emorragie cerebrali, mentre lavoravo in pronto soccorso. Alcune fatidiche, altre che hanno lasciato segni permanenti. La cintura di sicurezza e l'airbag della sua auto hanno ridotto la superficie d'impatto e l'urto ha comportato la rottura di una piccola arteriola localizzata. Con l'aiuto di farmaci antipertensivi e antitrombotici abbiamo scongiurato la formazione di un ematoma. Quindi, sì, adesso è fuori pericolo.»

Nadia si appoggiò con le spalle al muro e si lasciò scivolare a terra. Aveva il cuore in gola e le mani le sudavano freddo. Stava tremando come una foglia e avrebbe voluto piangere, se non fosse che scoppiò a ridere, trattenendo dei singhiozzi di felicità.

Anche Giulio, dall'altra parte del corridoio, emise un sospiro di sollievo. «Grazie... Oh, grazie mille, dottore. Grazie per tutto quello che ha fatto e che sta facendo per Mattia!»

«È un mio dovere farlo», lo fermò il dottore. «Cerchi solo di far riprendere sua moglie. Mattia avrà bisogno del supporto di tutta la famiglia, quando si sarà svegliato. Lo aspetta un percorso di degenza molto lungo. La sua ripresa non sarà né facile, né tranquilla. Probabilmente sentirà parecchi dolori, e con la gamba ingessata e le coste fratturate dovrà passare un periodo di assoluto riposo. Ma con il vostro aiuto, sono sicuro che ce la farà.»

«Ma certo. Gli staremo vicini. È nostro figlio», ribadì lui, entusiasta della notizia ricevuta.

«Tra qualche giorno, quando l'emergenza sarà cessata, lo trasferiremo nel reparto di riabilitazione. Lì potrà ricevere visite a orari prestabiliti dal resto della famiglia e dagli amici», gli comunicò il dottor Bastiani. «Glielo dica anche a quella ragazza...»

«Quale ragazza?» domandò Giulio, aggrottando le sopracciglia.

Nadia impallidì, ancora seduta sul pavimento celeste. Stavano parlando di lei?

«Credo che sia la sua fidanzata, o comunque un'amica stretta... Sono giorni che fa la ronda di fronte alla camera di suo figlio. Ha fatto amicizia con tutte le infermiere, sperando di spillargli fuori qualche informazione sulla sua salute. Purtroppo non abbiamo potuto dirle nulla per via della prognosi riservata», gli spiegò lui. «Ma, nonostante ciò, è rimasta sempre qui. Credo che sia ancora nei paraggi, sa?»

«Nadia... La sua ragazza, ma certo», mormorò Giulio. «Cornelia mi aveva detto che si fossero lasciati, ma a quanto pare deve essersi sbagliata.»

«Be', in ogni caso, auguro a suo figlio di tenersela stretta, una così», ridacchiò il dottore. «Se non è vero amore questo... Adesso devo continuare il giro di visite, signor Silvestre. Per qualsiasi necessità non aspetti a chiamare. E vada a riposarsi, che ne ha bisogno. Vi terremo informati su ogni novità.»

«Grazie ancora!» Giulio salutò il medico con un cenno della mano e si passò le mani sulla fronte e tra i capelli. Bisbigliò qualche parola tra sé e sé, a mo' di preghiera, poi iniziò a camminare lungo il corridoio.

Nadia si alzò in piedi e si resse alla parete. Mise in ordine gli abiti spiegazzati e cercò di ridarsi un tono. Fece un passo avanti e uscì allo scoperto. «Signor Silvestre!» lo chiamò, senza alzare troppo il tono di voce.

L'uomo si voltò di scatto e mise a fuoco l'immagine della ragazza. Poi sorrise e tornò indietro, raggiungendo la ragazza. «Eri davvero tu, allora.»

«È proprio vero che Mattia starà bene?»

Lui sorrise e annuì. «Non dovrebbero esserci complicazioni, secondo il dottore. È fuori pericolo.»

«Oddio, grazie al cielo. Avevo paura... avevo paura di aver sentito male. Ho origliato la vostra conversazione. Lo so, non avrei dovuto farlo, ma non potevo continuare a ignorare la realtà... Avevo bisogno di sapere e-»

«Nadia, è tutto okay. Non devi darmi delle spiegazioni.»

Lei trattenne un singhiozzo e si portò una mano sul viso. «Io... mi sento così in colpa. Ci eravamo visti, quella sera, prima dell'incidente. Avevamo litigato, ma lui... lui era intenzionato a chiarire tutta la situazione. Se n'era andato promettendomi di scoprire la verità. Ma sa che le dico? Adesso non m'interessa più la verità... Voglio solo che lui stia bene», balbettò, tradita da una crisi di nervi.

Giulio fece un passo avanti e la strinse tra le braccia in modo rigido e professionale. «Mattia è sempre stato forte. Starà bene», la rassicurò. «So che Cornelia non apprezza la tua vicinanza accanto a lui, ma voglio dirti di stare tranquilla. Lei... inizio a pensare che lei non stia bene.»

Nadia si allontanò e provò a controllare di nuovo il respiro. «Mattia... Mattia mi aveva detto dei suoi problemi con l'alcool, signor Silvestre. E mi aveva anche parlato dei loro litigi frequenti.»

«A quanto pare l'unico che non s'è reso conto sono proprio io...» sbottò lui, reprimendo un moto di stizza. «Mi occuperò di questa situazione personalmente. Non voglio più che qualcuno ci rimetta a causa sua. E tu sei una di quelle persone che ha subito fin troppo, Nadia. Mi dispiace.»

Lei accennò un sorriso. «Avremo tempo per i chiarimenti. Adesso ho bisogno di stare un po' da sola. Devo... devo chiamare mio padre e la mia amica per informarli delle novità. È stato molto gentile con me, signor Silvestre.»

«Giulio. E, ti prego, dammi del tu. Sei la ragazza di mio figlio. Al diavolo le formalità.»

«Lo apprezzo davvero.» Lei lo guardò negli occhi scuri e stanchi e raccattò la sua borsa e la giacca dalla sedia. «A presto.»

***

«Avanti, Diego, dai un po' più di gas a questa ferraglia! Il tipo sulla bicicletta accanto a noi andava più veloce di te!» gli urlò nell'orecchio Anita, scalciando dal sedile posteriore della moto.

Lui inchiodò al semaforo ed evitò di guardarla. Strinse la mano sull'acceleratore della moto e rimase in attesa. «Questa ferraglia vale un sacco di soldi. Non ho intenzione di rovinarla per portare a spasso una regina come te, completamente ignorante del mondo motociclistico. Sai almeno qual è il limite di velocità su questa strada?»

Anita roteò gli occhi. «Credi davvero che m'interessi qualcosa?»

«Dovresti farlo invece, visto che stiamo andando a trovare in ospedale una persona che è appena scampata da un incidente stradale», le fece presente Diego, con tono di voce annoiato. Avevano passato la notte insieme e quando la voce dell'incidente di Mattia si era sparsa per il campus, Anita era andata in escandescenze. Lo aveva buttato giù dal letto e convinto ad accompagnarla alla clinica. A quel punto le aveva chiesto il motivo di così tanta fretta, ma lei era rimasta sul vago, bypassando la questione con un semplice "Non sono affari tuoi". Probabilmente per quella risposta avrebbe dovuto lasciarla come minimo a piedi ma, in fondo, era interessato anche lui a sapere che diavolo avesse combinato quell'idiota di Silvestre. Non si andavano a genio l'un l'altro, era vero, ma non così tanto da augurarsi tragedie a vicenda.

«Dai, accelera», tagliò corto lei, ficcandogli le unghie nelle spalle.

«Anita, il semaforo è rosso. So che le donne non hanno uno spiccato senso della guida, ma il codice stradale-»

«Fanculo il codice stradale!», sbottò lei. «Parti, ora!»

«Mi farai prendere un'altra multa.»

«Te la pagherò io.»

Diego guardò l'incrocio trafficato davanti a sé e trattenne uno sbuffo. «È davvero un azzardo, lo sai?» constatò. «Potremmo rimetterci le penne... E la mia patente.»

«Andiamo, ti sono sempre piaciuti gli azzardi...» gli ricordò lei a bassa voce.

Diego sorrise e scosse la testa. Buttò un'ultima occhiata al semaforo, ancora rosso, poi diede di colpo gas. La moto schizzò in avanti quasi impennando e Anita si resse alla vita del ragazzo, chinandosi dietro alla sua schiena. Si gettarono nel traffico della strada opposta seguiti da uno strombazzare di clacson impazziti e insulti diretti contro di loro. Diego dovette deviare più volte la traiettoria della moto, per evitare di schiantarsi in un frontale con altre automobile, ma alla fine riuscì nell'impresa titanica di non morire sotto consiglio della pazza schizzata che stava scarrozzando.

Quando il pericolo fu passato, la moto tornò ad avere un'andatura rettilinea, sfrecciando nel traffico mattutino di Roma. Diego lasciò andare un sospiro teso e alzò la visiera del casco. «Bell'idea del cazzo, Anita. Complimenti.»

«Siamo vivi e vegeti. Dovresti ringraziarmi per averti fatto evitare un nodo congestionato di Corso Francia», gli rinfacciò lei, con tono superiore.

«Dovresti ringraziarmi per il fatto di essere ancora viva», la corresse Diego. Mise la freccia e svoltò in una strada secondaria. Non si trovavano molto distanti dal loro campus universitario.

«Oh, andiamo. Non ti avrei mai fatto morire, lo sai», sbottò Anita, alzando il tono di voce per superare il rumore del vento e del motore acceso della moto. «Ho ancora bisogno di te vivo. Chi mi riporterà a casa altrimenti?»

Lui sollevò le sopracciglia da sotto il casco e sorrise. «Sei sempre la solita stronza, egocentrica e arrivista.»

«Sì, d'accordo, finirai di stilare la lista delle mie caratteristiche più tardi, quando avremo trovato un parcheggio in questo buco di clinica», lo bloccò Anita, indicandogli il grande cancello aperto di fronte a loro.

Diego varcò l'ingresso senza fermarsi di fronte al posto di blocco e imboccò una stradina asfaltata che portava dritta all'entrata principale della clinica. Quando arrivò di fronte alle porte scorrevoli, spense il motore e mise il cavalletto al suo bolide nero, dopo aver fatto scendere Anita.

«Non puoi parcheggiare qui. È un posteggio per le biciclette», gli fece presente lei, con le braccia conserte e lo sguardo altezzoso.

Diego si tolse il caso e lo rimise nel vano portaoggetti sotto al sedile. Si aggiustò con le mani i capelli e scrollò le spalle. «Credi davvero che m'interessi qualcosa?» le rinfacciò, ripetendo la stessa frase che gli aveva detto prima lei.

Anita non riuscì a trattenere un'espressione stupita e infastidita. «Prenderai un'altra multa», replicò, senza cedere di un passo al suo stesso, stupido gioco.

«Vorrà dire che me le la pagherai tu.» Lui le fece l'occhiolino e fissò l'insegna della clinica. «Vogliamo entrare?»

«Idiota, montato e opportunista...» disse a bassa voce, seguendolo verso l'ingresso.

«Hai detto qualcosa?»

«Stavo dicendo che sei davvero una persona altruista», gli sorrise e lo spinse in avanti. «Entriamo, su. So già dove andare.»

Angolo dell'autrice.

Aggiornamento super in anticipo. Vogliatemi bene adesso ^^ 

Ci sono delle buone notizie in vista... Mattia dovrebbe essere fuori pericolo, dopo vari giorni di estrema emergenza clinica. Adesso posate armi e picconi, che non ho intenzione di farvi ammutinare contro di me!

Attenzione, però... Anita e Diego stanno arrivando in clinica. Molto molto presto tutti i nodi verranno al pettine ;) 

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