Capitolo 53.
Anita era convinta di aver camminato per almeno un chilometro, lungo il viale alberato al di fuori della L.U.S.I.. Forse era il dolore lancinante sotto alla pianta del piede a farglielo realizzare, o forse era il respiro corto e affannato. Non ce la faceva più a seguire quell'andatura. Non se n'era nemmeno resa conto, ma per la maggior parte del tempo aveva quasi corso, scalfendo i tacchi laccati con il cemento e la polvere e sgualcendo il suo vestito di gran marca. I capelli si erano liberati dall'acconciatura ambiziosa e adesso le solleticavano le spalle, inumiditi dalla brezza notturna.
Non aveva idea di dove stesse andando. Aveva solo mosso le gambe in avanti e se n'era andata da quella festa infernale, la prima del tutto intollerabile. Aveva pianto, coprendosi il volto con le mani per non farsi riconoscere da nessuno, e aveva persino preso a calci un cestino dell'immondizia.
Adesso camminava ansimando, con la borsetta stretta nelle mani, gli occhi gonfi e lo sguardo vuoto.
Chiudendo le palpebre, riusciva ancora a sentire l'eco dello schiaffo che le aveva assestato Nadia in pieno volto. Continuava a sentirlo, come una maledizione destinata a durare per sempre. Di tutte le cattiverie che aveva fatto in vita sua, quella rinfacciata da Nadia non era opera sua. O meglio, non lo era completamente. Doveva essere successo qualcosa, nel mezzo, di cui non era stata avvertita. Ovviamente, quando aveva parlato con Mattia, aveva omesso dalle spiegazioni il nome di Cornelia Silvestre, le sue minacce e i suoi obiettivi, nonostante sapesse alla perfezione chi c'era dietro tutta quella storia.
Quello che non riusciva a capire, però, era come diavolo Mattia avesse ottenuto la sua registrazione, dal momento che era sicura al cento percento di non essere stata lei a inviarla. Cornelia era riuscita comunque a ottenere quello che desiderava, facendo separare il figlio da Nadia, ma lo aveva fatto mettendo in atto delle strategie diverse. L'aveva messa alle strette, conducendola in un vicolo cieco, e poi l'aveva fatta fuori. Come un topo in gabbia.
Ma se non era stata lei, allora chi c'era dietro? E, soprattutto, perché Cornelia avrebbe dovuto arruolare qualche altra inconsapevole persona, quando già aveva lei?
Tutte queste domande la facevano innervosire. Le innescavano quel tipo di rabbia in grado di provocare un continuo prurito su tutta la pelle. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di farla passare. Qualsiasi.
La luce di un'insegna luminosa in fondo alla via destò la sua attenzione, riportandola con i piedi per terra: si era allontanata parecchio dal campus e al solo pensiero di dover rifare tutta la strada al contrario le tremavano le gambe.
Chiuse per un attimo gli occhi e cancellò dalla testa quel pensiero: perché sarebbe dovuta tornare indietro? Forse per continuare a farsi deridere da tutti gli invitati? O magari per ricevere un terzo schiaffo da Nadia? No. Non sarebbe tornata di nuovo lì. Anche vagare da sola per la città era meglio di rimettere piede a quella maledetta festa.
Tirò fuori dalla borsa il cellulare e compose uno dei primi numeri in rubrica. Attese pazientemente, muovendosi avanti e indietro per marciapiedi. Quando dall'altra parte ripose una voce, sorrise e si passò una mano sulla fronte.
«Ehi, Penelope... Ti disturbo?»
L'amica mostrò un attimo di esitazione. «Anita?»
«Ecco, mi chiedevo se fossi libera, adesso. Sai, è stata una serata un po'...»
«Non posso. Ho da fare», replicò Penelope, bloccandola.
Anita si fermò, incredula, e aprì la bocca per modulare il tono di voce. «Che cosa? Non mi hai fatto nemmeno finire di parlare.»
«Ascolta, Anita. Parliamo chiaramente», sospirò l'amica. «La tua posizione al campus è cambiata. La gente inizia a ridere di te. E sta continuando a farlo. Ti ricordi cosa dicevi delle persone che perdevano il loro influsso sociale sulla massa? Di lasciarle perdere, altrimenti avrebbero fatto annegare anche te.»
«Ma... io ho bisogno di voi.»
«Dai, tesoro, non fare così. Vedrai che troverai altre amiche, prima o poi... Gente del tuo livello.» Penelope ridacchiò.
Anita sbatté le palpebre e scosse la testa. «E cosa mi dici di tutti questi anni trascorsi insieme? Delle serate in discoteca, dello shopping sfrenato e dei segreti che ci rivelavamo a vicenda?»
«Ci siamo divertite, è vero, ma poi le cose cambiano. Le persone cambiano. Avresti dovuto mantenere intatta la tua popolarità. Invece, ti sei indebolita e adesso la gente ride di te. Questo vuol dire che non possiamo più uscire insieme.»
«Ma cosa stai dicendo, Penelope? Io sono sempre la stessa Anita! Non potete... Non potete gettarmi alle spalle!»
«E io sono Penelope Russo, e ho appena ottenuto un appuntamento con Roberto Landrin, il difensore delle Aquile. È super gettonato, lo sai? Mentre tu cosa hai fatto, invece? Oltre a farti lasciare come una stupida da Mattia Silvestre e a farti schiaffeggiare dalla sua ragazza in pubblico», replicò prontamente Penelope. «Anzi, le persone vociferano che tu abbia lasciato la festa in lacrime. In lacrime, Anita. Questo è davvero troppo per la tua reputazione.»
Lei rise, per la prima volta divertita. «Reputazione? Stai davvero parlando di reputazione, tu, che non ne hai mai avuta? Per anni hai vissuto dietro alla mia ombra, imitando ogni mia mossa... sperando di essere come me, in tutto e per tutto. Sei stata una mia brutta copia, e ora mi dici che non vado più bene?»
«Anita, non rendiamo le cose difficili. Te l'ho detto, i tempi del Machiavelli sono passati. Adesso inizia la vita vera. E, mi dispiace, ma tu non ne fai più parte. Ci vediamo in giro, okay? Cerca di riprenderti.» E, detto ciò, la linea cadde.
Anita rimase con il telefono sull'orecchio, immobile. Alla fine, lasciò andare l'aria dai polmoni e ripose il cellulare nella borsa. «Che stronza», mormorò a bassa voce. «Ma non ho bisogno di lei. Non ho bisogno di nessuno. So cavarmela benissimo da sola.»
Con un sospiro, si avvicinò all'insegna affissa alla porta, illuminata da un neon quasi fulminato: bar Joker, c'era scritto. Senza pensarci troppo su, spinse il piccolo portoncino in avanti ed entrò.
All'interno, il locale era illuminato da una luca giallastra soffusa e da una leggera foschia di fumo. C'erano diversi tavoli occupati, ma la maggior parte della stanza restava vuota. Dalle casse attaccate agli angoli del bancone proveniva una musica incalzante ad alto volume. Ma nessuno stava ballando. Erano tutti seduti ai tavoli a bere e a ridere.
Per un attimo, Anita si sentì nuda, in quel posto. Lì dentro, nulla era al suo livello. Non c'erano camerieri pronti a farla accomodare al suo tavolo riservato, né tantomeno portantini disposti a toglierle la borsa e la giacca. Rimase ferma davanti alla porta, con gli occhi che guizzavano sul locale, confusi e spauriti.
«Che vuoi, una riverenza? Guarda che non ti mangiamo mica», esclamò una voce fuori dal campo, altisonante e scherzosa. A parlare era un anziano barista, nascosto dietro a una pila di bicchieri.
Anita spostò lo sguardo su di lui e sorrise debolmente. «Salve. Ecco, io... sono capitata qui per caso. Non so nemmeno perché sia entrata, in realtà...»
«Oh, ragazzina, non sono le persone che trovano il Joker, ma è il Joker a trovare le persone. Hai bisogno di bere, vero?»
Lei sorrise e si sfilò la giacca, reggendola tra le mani. «Avrei bisogno di tante cose.»
«E l'alcool ti aiuterà a far fuori molte di quelle che vorresti, ma di cui in realtà non ne hai bisogno. Quando siamo sobri ci riempiamo la testa di inutili stronzate. Vai a sederti a un tavolo. Ti porto qualcosa da bere che farà sicuramente al caso tuo.»
«Posso avere un Margarita con ghiaccio?»
L'uomo barbuto rise di gusto. «Bambina, qui non serviamo alcolici da femminucce. Sei vuoi bere al Joker, dovrai farlo da donna. Se vuoi un succo di frutta, puoi andarlo a prendere al discount aperto ventiquattrore su ventiquattro alla fine della strada. Deciditi.»
Anita annuì, stranamente non infastidita dalle parole mordaci dell'anziano, e raggiunse uno dei tavoli liberi. La superficie di legno era appiccicosa e in alcuni punti unta. Trattenne una faccia schifata e si appoggiò allo schienale della sedia. Ripose giacca e borsa nel posto libero accanto a lei e rimase in attesa.
Nello stesso momento, la porta del locale si aprì nuovamente ed entrarono un gruppetto di ragazzi, intenti a conversare. A differenza sua, loro si mossero con autonomia nel locale, scherzando con il barista e salutando qualche altro gruppetto nella stanza. Uno di questi fece vagare lo sguardo sugli altri tavolini e alzò le sopracciglia, come stupito. Si scusò con i compagni e raggiunse la ragazza, seduta da sola.
«Anita De Longhi?» mormorò, ridendo. «Che diavolo ci fai tu qui, in questa bettola di locale?»
Anita alzò lo sguardo su di lui e impostò un sorriso freddo. «Diego Neri... Da quanto tempo. Potrei farti la stessa domanda.»
«Scherzi?» Lui scansò una sedia libera dal tavolo e prese posto accanto a lei. «Io quasi ci vivo, qui. È il mio bar di fiducia. Ma sono sicuro che non sia lo stesso per te.»
«Sono capitata qui per caso.»
«Nessuno capita per caso al Joker, perché non sono le persone a sceglierlo, ma...»
«È il Joker a scegliere le persone, lo so» concluse lei, accennando un sorrisetto.
«Ah, vedo che hai già avuto l'onore di conoscere quel vecchiaccio sdentato.»
Anita annuì e tornò a chiudersi nel suo silenzio. Diego non era mai stato un suo amico. Anzi, ai tempi del liceo, tra loro non correva affatto buon sangue. Lui era trasandato, un benestante mascherato da poveraccio, e frequentava sempre luoghi e compagnie sbagliate.
Diego le schioccò le dita di fronte agli occhi. «Insomma, non mi hai detto cosa ci fa una regina come te in mezzo alla servitù. Che c'è, i sudditi ti hanno abbandonata?»
Lei lo fulminò con lo sguardo e lo ignorò. Ma quanto ci metteva il barista con il suo drink?
«Lo sai che è davvero scortese far finta che non esista? Stai spezzando il mio cuoricino di plastica, De Longhi», la prese in giro lui, con un sorriso sfacciato dipinto in volto. Poggiò i gomiti sul tavolino e distese la schiena sulla sedia, in una posizione scomposta ma apparentemente comoda.
«Sono venuta qui per stare da sola», replicò lei, esasperata.
«In realtà, sei sempre stata sola, tu. Solo che non te ne sai mai accorta davvero», le rivelò lui a bassa voce. «Dove sono le tue ancelle personali? Aspetta, non dirmelo: se ne sono andate, come del resto anche tutta la tua sudditanza. Qualcuno è insorto contro di te e hai perso il tuo seguito di seguaci.»
«Perché non fai silenzio? Tornatene dai tuoi amichetti.»
Lui si voltò un attimo a guardare il gruppo di amici, accerchiati davanti al bancone, e scrollò le spalle. «Loro se la cavano bene anche senza di me. Ma tu, invece?»
«Grazie per l'interessamento. Sto alla grande.»
Il barista arrivò al loro tavolo e poggiò un piccolo bicchiere di vetro di fronte ad Anita, poi salutò con pacca dietro al collo Diego, che gli inveì contro. «Sempre a importunare le ragazze, tu. Ma non trovi mai niente di meglio da fare?»
Lui rise. «È una conoscente, Dimitri.»
«Sicuramente non alla tua altezza. La signorina viene dai quartieri alti... Goditi la tua bevuta, bambina», l'uomo fece l'occhiolino ad Anita e si pulì le mani incallite sul grembiule.
«Ehi, vecchio, portane uno anche a me! Lo stesso», lo richiamò Diego, prima che l'anziano si allontanasse dal tavolo.
«Hai anche tu dei pensieri da cui liberarti, ragazzaccio?»
«Sono sempre una fonte di brutti pensieri, lo sai.»
Dimitri annuì, ridacchiando tra sé e sé, e si defilò dal loro tavolo.
Diego fissò con un sorrisetto enigmatico il bicchiere di vetro opaco di fronte ad Anita e lo indicò con un cenno del mento. «Chi sta "alla grande" non ordina uno Spirito Nero», le fece notare.
«Non l'ho ordinato io.» Lei fissò il liquido trasparente con aria disgustata.
«Oh, ci credo. Nessuna persona saggia lo ordinerebbe.»
«Ma tu l'hai ordinato.»
Diego le fece l'occhiolino e allungò il braccio per prendere la sua ordinazione. «Ti sembro una persona saggia, io?»
Anita seguì con lo sguardo il barista andar via di nuovo e incrociò le braccia al petto. «No. Decisamente no.»
«Insomma, Silvestre ti ha voltato le spalle, le tue amiche anche... Chi è rimasto ad adularti, ora?»
«Ti ho già detto che non affronterò questo discorso con te, Diego.»
Lui scrollò le spalle con menefreghismo. «Allora, bevi. Le parole usciranno da sole dopo, vedrai.»
«Solo se bevi anche tu.» Anita lo scrutò, attenta a ogni mossa del ragazzo.
Diego fece cenno di sì e alzò il suo bicchiere. «Brindiamo alla nostra?»
Anita alzò gli occhi al cielo e sbuffò. «Oh, ma sta' zitto...» E scolò d'un sorso il liquido trasparente. Il secondo dopo, aveva la gola in fiamme e gli occhi lucidi per il bruciore. Avrebbe voluto gridare, ma l'incendio che le aveva preso vita in bocca aveva arso tutte le sue parole. Rimase in silenzio, mentre le lacrimavano gli occhi. Poi, inaspettatamente, scoppiò a ridere.
Diego bevve il suo shot e strizzò gli occhi, contenendo ogni tipo di reazione. «Complimenti per il coraggio», le disse, non appena si fu calmata un po'.
«Mio Dio», esclamò, con la fronte sudata. Raccolse i capelli in una coda disordinata, del tutto fuori dai suoi canoni. «È stato... È stato fantastico! Avevo la gola in... Ma è legale bere roba del genere?»
«Qui dentro è legale qualsiasi cosa.»
«Già mi gira la testa. Non avevo mai bevuto nulla di così forte.»
«Spero che tu abbia qualcuno che ti riaccompagni a casa. Non credo che sarai in grado di guidare, dopo questo.»
Anita s'incupì, sorpresa da quella affermazione. In realtà, non aveva nessuno. «Non ho voglia di tornare a casa.»
«Wow, allora è più serio di quanto immaginassi. Nemmeno io ho voglia di tornare a casa. Ho litigato con mio padre e sto cercando di tenermi alla larga da lì.»
«Io ho deluso tutti», si lasciò scappare lei. Per un attimo, rimase stupita dalla facilità con cui aveva liberato quelle parole, ma poi si rilassò. Perché si sarebbe dovuta trattenere? «I miei genitori avevano puntato molto su di me. Mattia si fidava ciecamente, così come la sua famiglia. Invece ho sbagliato tutto. Li ho persi uno dopo l'altro. Persino le mie amiche hanno preferito allontanarsi.
«Una stella caduta in disgrazia», ridacchiò Diego.
Anita sorrise, prendendo alla leggera quella considerazione. «Sto toccando il fondo, Diego.»
«Ehi, io ci sto da una vita, nel fondo. Non è poi così male. Ti fa capire che tutti i problemi che avevi prima erano solo delle immense stronzate senza senso. Ti fa vivere meglio, senza troppe aspettative. Ti fa essere più te stesso. Nel fondo, non c'è nessuno a guardarti, o a giudicarti. Ci sei solo tu.»
«C'ero solo io anche quando stavo sulla vetta. Ma almeno, da lassù, la vista era migliore», sospirò lei.
Diego lasciò roteare il bicchiere vuoto tra le dita. «È davvero così appagante stare sempre sotto ai riflettori, vista e giudicata da ogni persona che capita a tiro? Perché a me non sembra.»
Lei rifletté in silenzio. La testa le vorticava come una trottola. «No, in effetti, detta così, non lo è. Forse hai ragione.»
«Qui puoi fare tutto quello che vuoi. Puoi sbagliare quanto vuoi.»
«Immagino che tu sia maestro, in questo.»
«Oh, non immagini quanto. È da una vita che sbaglio e ancora non mi sono stancato di farlo», confermò lui. «Vuoi ancora da bere? Offro io.»
Anita annuì, con i sensi appannati ma la mente ancora sveglia. «Perché no?»
Un'ora dopo, erano entrambi ubriachi marci. Erano usciti fuori dal Joker per prendere una boccata d'aria, con la speranza di rinsavire un po', ma probabilmente quella sarebbe destinata a restare una speranza vana.
«Quindi la tua vita fa schifo!» esclamò Anita, puntandogli un dito sul petto. «Sei ancora innamorato di quella Toledo, dopo tutti questi anni! Eppure, la trattavi da schifo, al liceo», rise.
«Ho imparato a essere un testa di cazzo fin da piccolo», le diede man forte lui, ondeggiando l'ennesimo bicchiere di birra in mano. «E sai qual è la cosa peggiore? Ho capito di provare qualcosa per Gabriella quando non c'era più! E lei non lo saprà mai!» Scoppiò in una risata scomposta e singhiozzante.
«Davvero un idiota... Sicuramente, ti odierà ancora», aggiunse Anita, senza smettere di sghignazzare.
«E la colpa è tutta di quella stronza di mia madre...» Diego si avvicinò ad Anita e la guardò seriamente «È solo colpa sua, se io sono diventato così. Mi ha messo al mondo, ma non è mai stata mia madre. Io la odio ancora oggi.»
Lei sospirò e appoggiò la schiena al muro, l'unico appiglio ancora stabile. «I miei genitori pensano che io sia una buona a nulla», ammise. «Mia madre mi ha cresciuta come se fossi un'azione finanziaria da vendere al migliore acquirente, mentre mio padre ha sempre creduto che bastasse riempirmi di stupide bambole di ceramica, per rendermi felice. Non hanno mai capito un cazzo, loro.»
«Chi ha i soldi, perde l'umanità, Anita. Le nostre famiglie sono spezzate. Noi siamo rotti.» Diego sospirò e sorseggiò l'ultimo goccio di birra rimasto nel bicchiere. «È per questo che mi comporto come se non avessi un patrimonio in banca. I vestiti, le auto di lusso, i locali d'élite... non contano niente. Non riempiono nessun vuoto.»
«Ma l'alcool sì che lo riempie. Adesso mi sento bene veramente. Fanculo i problemi!» strillò lei, rivolta alla strada vuota.
«Eri innamorata di Silvestre?» le chiese all'improvviso Diego, come se quella domanda le fosse frullata in testa in quel preciso momento.
Lei non si scompose. «E tu sei innamorato sul serio di Toledo?»
«Te l'ho domandato prima io.»
«Non lo so. Forse un po' lo ero, quando ha iniziato a vedere oltre tutti i miei strati di superficialità. Ma non saremmo mai potuti stare insieme, io e lui. Eravamo troppo diversi, e poi lui ama un'altra persona. Mentre non ha mai amato me... Sai, non ci ho mai capito niente dell'amore.»
«Nemmeno io», convenne Diego. «Però so di provare qualcosa per Gabriella. È una sensazione strana, quasi asfissiante... Ti rimane aggrappata alla gola e certe volte non ti lascia nemmeno pensare, dormire, respirare. Vorrei che smettesse.»
«L'amore è terribile.»
«Su questo sono d'accordo. L'amore fa schifo. Per questo beviamo.»
Anita rise e appoggiò il bicchiere vuoto a terra. — Vorrei solo dimenticare... dimenticare tutto.
Anche Diego poggiò sull'asfalto il suo bicchiere. Si fece un po' più avanti e la guardò spudoratamente. «Posso farti dimenticare di tutto, se vuoi. Solo per poco. Solo per stasera.»
«Guarda che non sono Gabriella Toledo, io.»
«Lo perfettamente. Ma ho imparato ad accontentarmi di surrogati, pur di cancellarla dalla mia testa. E anche tu devi cancellare un po' di pensieri dalla tua. Potrebbe rivelarsi utile a entrambi.» Diego le alzò il mento con un dito e resse il suo sguardo, titubante e annebbiato.
Lei si morse il labbro, in combutta con se stessa. «Solo per una notte?»
«Solo per una notte», le confermò lui. «Tranquilla, De Longhi. Se c'è una cosa che ho imparato a fare bene, in questi anni, è cacciare via le ragazze la mattina dopo. Tu non avresti un trattamento diverso.»
«Sei solo uno stronzo.»
Diego le passò un dito sulle labbra. «Io sono solo uno stronzo. Ma tu sei una stronza sola. Secondo te, chi dei due ha più bisogno dell'altro, adesso?» sorrise, già sapendo di aver vinto, e la baciò, schiudendole poco alla volta la bocca.
Lei non si tirò indietro e probabilmente anche se avesse voluto, non avrebbe avuto le forze per farlo. Era troppo stordita dall'alcool e dalle delusioni della serata. E poi, Diego le aveva solo garantito una serata senza pregiudizi e pensieri. Da quanto tempo non le capitava un'occasione simile?
Si staccò per un attimo dalle sue labbra, per riprendere fiato, e lo fissò negli occhi. «Rimarrà tra noi, vero?»
«Sarò una tomba» aggiunse lui, prima di chinarsi per baciarle il collo.
Anita gli gettò le braccia al collo, lasciandosi andare. «Questo è un terribile sbaglio, Diego... Davvero un terribile, terribile sbaglio», ansimò.
«Ma noi siamo nati per sbagliare, non è così?»
Angolo dell'autrice.
Ho scritto questo capitolo quanto prima potessi e spero che lo apprezziate, nonostante i protagonisti poco amati :P Siccome io adoro sia Anita che Diego, ho deciso di regalargli un po' di spazio. Questa storia è anche un po' la loro... Cosa ne pensate di questa coppia non coppia? P.S. non viaggiate troppo con la mente, con loro due ;)
Domanda seria: siamo quasi giunti alla fine di Indomabile e i personaggi sono cambiati, nel corso delle due storie. Quale di loro, a vostro avviso, ha fatto il più grande cambiamento? Quello che vi ha stupiti di più? Quello che vi ha delusi, invece?
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