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Capitolo 50.



Quel pomeriggio il cielo era oscurato da un tappeto di nuvole plumbee e grigiastre. Le previsioni del tempo avevano annunciato dei possibili temporali verso l'imbrunire, ma se avesse continuato in quel modo, probabilmente di lì a poco si sarebbe scatenato un acquazzone coi fiocchi.

Nonostante il clima poco invitante, Nadia e Mattia stavano camminando fianco a fianco lungo il marciapiedi che costeggiava il perimetro esterno della L.U.S.I. Accanto a loro c'erano anche Bruno e Ada, intenti a ridacchiare come bambini in una gita al parco giochi. Lei si aggrappava al braccio del ragazzo e lui faceva finta di lamentarsi, sbuffando a ogni tentativo fallito di staccarsela di dosso. Si stavano divertendo e forse nemmeno si erano resi conto del vento tempestoso che si era alzato sulla città.

«Dai, cretino! Non farmi il solletico!» Ada strillò e saltellò su un piede, allontanandosi bruscamente da Bruno.

«E allora non attaccarti a me come un peso morto! Non sei un sacco di patate», replicò in tono burbero il ragazzo, con il cappuccio della felpa tirato su.

Ada mise su un'espressione imbronciata e incrociò le braccia al petto. «Che antipatico.»

«Non lo pensi veramente...»

«Quando ti ritroverai single da un giorno all'altro, ci crederai.» Lei sorrise beffarda e si legò i capelli ricci in una coda confusa. Il vento tirava forte e le dava parecchio fastidio.

Mattia sbuffò e trattenne una risata, con le mani in tasca e la coda dell'occhio appena rivolta verso la coppia in piena fase di battibecco amoroso. «Questa sì che è una minaccia... Avrei paura se fossi in te», sentenziò, guardando di profilo Bruno.

Nadia socchiuse gli occhi e si spostò una ciocca di capelli dietro all'orecchio, senza ottenere un risultato soddisfacente. Si voltò verso i tre e annuì. «Conosco Ada, e ti posso assicurare che lo farebbe. Sarebbe una scelta priva di logica e di riflessione, ma proprio per questo la prenderebbe.»

«È una mia impressione, o questa è diventata un'insurrezione nei miei confronti?» si lamentò Bruno, alzando gli occhi al cielo scherzosamente.

Nadia rise e scosse la testa. Quei due, insieme, erano la fine del mondo: spensierati come ragazzini, ma maturi come adulti. Un binomio perfetto.

«Credi che si uccideranno prima di un anno?» Mattia la raggiunse e le passò un braccio attorno alle spalle, attirandola a sé.

«Possibile, ma non probabile. Non rinuncerebbero l'una all'altro nemmeno sotto tortura», ridacchiò lei. Si accoccolò nella stretta del ragazzo e poggiò la testa sul suo petto, mentre continuavano a camminare lungo le vie della città, diretti verso la zona commerciale.

I lampioni avevano già cominciato ad accendersi, rischiarando una sera resa più oscura dalle nuvole nere e cariche di pioggia.

«E tu, invece? Rinunceresti a me?» le domandò Mattia, scrutandola dall'alto.

Lei gli strinse la mano, poggiata ancora sulla sua spalla, e sorrise con furbizia. «Ti ricordo che l'ho già fatto una volta.»

Un tuono squarciò a metà la risata di Mattia, e si portò dietro un odore di ozono e di terra umida. Presto sarebbe arrivata la pioggia.

Ada sussultò e si portò le mani sulla testa. «Sta per diluviare, ragazzi!»

«Già, dovremmo tornare indietro...» aggiunse Bruno, con gli occhi rivolti verso il cielo.

Nadia strinse le labbra e portò le braccia al petto. «Andiamo, è solo un temporale primaverile! Non ho voglia di tornarmene a casa.»

«E io non ho voglia di ammalarmi», replicò Ada, con un'alzata di spalle. «Inizia a fare anche freddo.»

«Tu cosa vuoi fare?» domandò Nadia a Mattia. Lo fissò con occhi imbonitori.

«Be', se proprio hai voglia di fare il bagno, posso farti compagnia. Un po' d'acqua piovana non ha mai ucciso nessuno», acconsentì lui. Mise le mani in tasca e studiò il cielo. «Però, andiamo a mangiare qualcosa. Non ci vedo più dalla fame.»

«Bene, ragazzi, direi che allora i nostri destini si separeranno. Noi torniamo alla moto. Non è il massimo viaggiare sotto un acquazzone», proferì Bruno, afferrando la mano della sua ragazza.

«Ci vediamo a casa, Nadia.» Ada le schioccò un bacio sulla guancia e le fece l'occhiolino «Divertitevi a ballare Singin' in the rain

Nadia e Mattia videro i due amici allontanarsi a passi svelti, con il volto basso e i corpi appiccicati. Un altro tuono scoppiò nel cielo, sordo.

«Rimango sempre stupito dalle tue scelte. Nessuna ragazza aspetterebbe l'arrivo di un temporale per strada, senza nemmeno un ombrello», scherzò Mattia, una volta che rimasero soli. Per strada non circolava più nessuno, ormai, e il buio aveva cancellato le loro ombre.

«Adoro la pioggia.»

«Anche a me piace... quando posso vederla dalla finestra, seduto sul divano e con un film in televisione. Che sciocco, vero?»

«Andiamo, non è detto che diluvierà da un momento all'altro.»

Mattia alzò le braccia al cielo. «Certo, certo. Nel frattempo che ne dici di andarci a scegliere un bell'albero per ripararci? Insomma, magari adori anche rischiare la vita per un fulmine. La natura ci offre degli spettacoli davvero elettrizzanti, a volte.»

Nadia lo spintonò scherzosamente verso la strada. «Idiota. Andiamo a cercare la pizzeria al taglio di cui mi parlavi prima. Inizio ad avere fame anche io.»

Lui sorrise e si portò la mano sulla fronte. «Signorsì, signora. Per di qua», le indicò la direzione da seguire e si inoltrarono in una via della città, desolata e illuminata dal chiarore dei lampioni.

«Come va a casa?» gli chiese Nadia, mentre passeggiavano. «I tuoi genitori sono sempre d'accordo con la decisione che hai preso di frequentare quel corso?»

«Sì, e sono piuttosto stupito da loro. Stavolta non mi hanno tartassato con le loro lamentele. Anzi, hanno spinto affinché non perdessi questa occasione.»

«Be', è meraviglioso, no?»

«Certo, è... strano. Non ho visto mia madre così entusiasta di me da un sacco di tempo. Voleva pagarmi con i suoi soldi l'iscrizione, ma ho insistito», spiegò lui, con una scrollata di spalle. «Voglio dire, è stata una mia decisione. È la mia vita, e voglio pagarmi da solo le mie scelte, senza dipendere dal nome della famiglia.»

«Te lo ha concesso?»

Mattia la guardò di sbieco e annuì. «Sì, alla fine ha ceduto. Stamattina sono andato a prelevare i soldi in banca, e domani li andrò a consegnare. Ho tempo fino al pomeriggio, prima che chiudano le iscrizioni.»

«Ti riduci sempre all'ultimo, eh?» domandò Nadia, scettica. «E dove li tieni, adesso?»

Lui le indicò il giacchetto. «Mi sono dimenticato di lasciarli in macchina, prima. Devo solo ricordarmi che li ho nella tasca.»

Nadia rise. «Saresti la persona più sbadata del mondo. Ma non preoccuparti, adesso che lo so, staremo attenti in due.»

Lui annuì e sorrise. Continuarono a camminare in silenzio, mano nella mano.

La pizzeria si trovava all'angolo tra due strade. Aveva l'insegna che penzolava nell'aria, mossa dal vento sempre più insistente, e le luci del locale rischiaravano la vetrina che si affacciava proprio sul marciapiedi. Anche se l'ora di cena era già passata da un po', sulla porta era ancora affissa la targa con su scritto "Aperti".

Mattia spinse la porta di vetro ed entrò, seguito da uno scampanellio. La sala non era vuota: il pizzaiolo, un uomo panzuto con una canottiera bianca, stava dietro al bancone, intento a mangiare una porzione di patatine fritte. In uno dei tavoli, stavano seduti due signori adulti, con un pezzo di pizza di fronte agli occhi e un mazzo di carte davanti a loro. Stavano ridendo come bambini.

«Buonasera. È tardi per mangiare?» chiese, rivolto al titolare del locale.

L'uomo scoppiò in una risata allegra e gli fece cenno di accomodarsi in uno dei tavoli liberi. «Qui non è mai tardi per mangiare, ragazzi.»

Nadia sorrise e scelse un tavolo. Dopo averli osservati brevemente, optò per quello vicino alla parete in vetro: anche se fuori non passava nessuno, amava perdersi nei dettagli dell'esterno.

«Cosa vi porto da mangiare?»

Mattia ordinò vari tipi di pizza. L'uomo scrisse tutto sul taccuino e tornò nella cucina, promettendogli di tornare nel giro di qualche minuto. E così fu, in effetti.

«È stato davvero veloce», si complimentò Nadia, lanciando un'occhiata fugace al vassoio fumante di pizza.

«La pizza al taglio non deve mai mancare, qui dentro. La preparo sempre qualche ora prima, perché di solito a quest'ora c'è il pienone. Ma oggi il tempo ha deciso di mettersi contro, e il locale è vuoto.» Lui lanciò uno sguardo fuori dalla vetrata e scosse la testa. «Credo che tra poco si scatenerà l'inferno. Siete stati fortunati, ragazzi. In ogni caso, cosa vi porto da bere?»

Dieci minuti dopo, Nadia e Mattia avevano già finito l'intero vassoio di pizza. Avevano ordinato due birre piccole ghiacciate e adesso si stavano godendo la pace post-abbuffata con soddisfazione. Il pizzaiolo gli aveva domandato se volessero ordinare altro, ma loro avevano dissentito, e lui era tornato nel retro del locale a lavare le teglie. I due signori seduti al tavolo davanti al loro se n'erano andati non appena avevano visto le prime gocce di pioggia riflettersi sulla vetrina del negozio.

«Forse sarà meglio andare, adesso che ancora pioviggina.» Mattia osservò distrattamente la strada e bevve l'ultimo sorso di birra nel bicchiere. «La macchina è parcheggiata ad almeno due chilometri da qui.»

Nadia annuì e si alzò in piedi. «Direi di sì. E poi ho bisogno di sgranchirmi le gambe.»

Il ragazzo si avvicinò alla cassa e pagò la cena al pizzaiolo, che gli fece un piccolo sconto per la simpatia e incassò i soldi nel registratore. Alzò gli occhi sull'esterno del locale e storse la bocca. «Accidenti, inizia a piovere sul serio... Non ho nemmeno un ombrello da prestarvi, ragazzi.»

«Non si preoccupi. Alla ragazza piace passeggiare sotto alla pioggia», scherzò Mattia, con una risata. «Buonanotte, e grazie ancora per il servizio!»

Dopo averlo salutato, si avviarono verso l'uscita. Non appena aprirono la porta, vennero colpiti da una spruzzata d'acqua sottile, trascinata dal vento. Nadia si strinse le braccia sul petto e saltellò sul marciapiedi, in fermento. Alzò il volto verso il cielo e sentì le prime goccioline caderle sulla fronte, sulle guance e sulle labbra.

«Non vorrei interrompere la tua fusione mistica con la natura, ma queste lacrime di pioggia presto si trasformeranno in sassi. Dovremmo sbrigarci, se non vogliamo correre sotto al temporale.» Mattia le poggiò una mano sulla schiena e la spronò a darsi una mossa.

Nadia si lasciò guidare con disattenzione. Tutto il suo interesse era rivolto in alto. Vedeva brillare la pioggia come delle piccole monete traslucide. Cadevano dal cielo e la raggiungevano, fondendosi sulla sua pelle ancora calda.

Nel giro di pochi minuti, la premonizione di Mattia si avverò: presto le monetine si ingrandirono, fino a diventare grossi dobloni pesanti. L'asfalto grigio iniziò a riempirsi di chiazze scure, che in una manciata di secondi ricoprirono l'intera carreggiata, modificandone completamente il colore. Il rumore della pioggia divenne più intenso e le prime gocce, pesanti e fredde, atterrarono sui loro corpi. Bastarono pochi minuti a renderli bagnati fradici, dalla punta dei capelli alla suola delle scarpe.

«Sta piovendo!» gridò Nadia, alzando le braccia al cielo. Aveva il volto completamente grondante di acqua, ma rideva come una matta. «Piove!»

Mattia si portò le mani sulla testa per proteggersi. Tentativo fallito in partenza, visto che i capelli erano già una matassa scura fradicia. «Che intuizione geniale! Davvero, come te ne sei accorta?» stillò, per superare il rumore dell'acquazzone.

«Perché ti copri? Sei già zuppo dalla testa ai piedi, Mattia», lo prese in giro lei. Si fermò sul marciapiedi, inondato dall'acqua, e scansò le mani del ragazzo da sopra i suoi capelli, abbassandogliele sui fianchi. Rimase a osservarlo, sotto lo scroscio intenso del temporale, e sorrise: anche lui si era fermato, e in quel momento la stava fissando con la sua stessa espressione. Sembravano l'uno il riflesso dell'altra. Due idioti, nel bel mezzo del finimondo.

«L'avevo detto che sarebbe scoppiato il temporale», disse con semplicità.

«E io ti avevo detto che adoravo la pioggia. Non ti piace questa sensazione? L'acqua che ti scorre sulla pelle... il senso di rinascita. Non lo percepisci anche tu?»

Mattia rimase a osservarla in silenzio, mentre apriva le braccia e chiudeva gli occhi, con il viso rivolto di nuovo verso il cielo.

«Come fai a non sentirlo? È una sensazione bellissima», gli ripeté con un sospiro.

«Tu sei bellissima.»

Nadia aprì di scatto gli occhi e sorrise. Tornò a guardare il ragazzo come se fosse l'unico appiglio al quale sorreggersi. L'unica ancora per non affondare in quel mare di acqua. Sospirò e gli gettò le braccia al collo. I loro corpi aderirono perfettamente, e la stoffa bagnata delle loro magliette cozzò, l'una contro l'altra. «Ti amo», gli sussurrò sulle labbra, fredde e violacee.

Mattia la strinse di più a sé e ricambiò il bacio. Le scansò i capelli fradici dalla fronte e sorrise. «Mi hai salvato la vita, Nadia. Continui a farlo ogni giorno. Come potrei non amarti per questo?»

Rimasero abbracciati per diversi minuti, senza sentire il bisogno di allontanarsi. Ormai erano diventati un tutt'uno con il temporale.

«Non possiamo tornare in macchina conciati così», disse a un certo punto lui, dopo aver visto l'ennesimo fulmine illuminare la notte. «Dovremmo ripararci da qualche parte. Quei lampi non mi piacciono.»

«Non ho voglia di tornare a casa, Mattia. Voglio restare ancora qui con te.»

Lui annuì, con un breve cenno della testa. Rimase a riflettere tra sé e sé, poi le afferrò la mano. «Ti fidi di me?»

«Non vedo perché non-»

Ma Mattia non le diede nemmeno il tempo di terminare la frase. Strinse la presa sulla sua mano e iniziò a correre in mezzo alla strada, nel pieno del temporale. Corse come se qualcuno li stesse inseguendo da dietro, e rise. Rise come un bambino che affonda i piedi nelle pozzanghere per la prima volta. Anche Nadia lo imitò, lasciandosi trascinare da lui, con il fiatone e i capelli appicciati sulla schiena.

«Dove stiamo andando?» gli urlò senza fermarsi.

«Al riparo! Devi asciugarti, o rischierai di ammalarti, così!» rispose lui. Svoltò l'angolo di una strada, apparentemente anonima per Nadia, e si trovarono di fronte a un palazzo enorme, dall'ingresso pomposo e altisonante. C'erano delle colonne ai lati di una porta scorrevole, e un tappeto rosso in velluto arrivava fino a metà del marciapiedi.

«Cos'è questo posto?»

Mattia la spinse sotto il porticato. «L'Ètoile. È l'hotel della nostra famiglia. Ti fidi a entrare?»

Lei lo guardò con un'espressione preoccupata sul volto. «E se faranno storie?»

«Nadia, questo è anche il mio Hotel. Decido io chi portarci. Forza, andiamo, o ci resteremo secchi sotto questa pioggia.»

Mattia si mise sotto il sensore della porta scorrevole e attese che questa si aprisse, poi varcò la soglia, poggiando le scarpe gocciolanti sul tappeto costoso della hall. Il corridoio era perfuso da una luce in sottofondo rilassante. Tutto era calmo e l'unica fonte di disturbo proveniva dal bancone della reception, dove sedeva una signorina in divisa, davanti a una serie di schermi del pc e una radio accesa. Quando sentì il rumore della porta di vetro aprirsi, la ragazza si sporse con la testa fuori dal bancone, con un'espressione confusa.

«Chi c'è?», domandò, in allerta. Poi spostò lo sguardo su uno degli schermi con la telecamera puntata sull'ingresso e li vide. Si alzò in piedi e raggiunse velocemente l'ingresso. «Mi dispiace, signori, ma siamo il completo. E, in ogni caso, il check in avviene solo dalle undici e trenta del mattino alle quattordici e trenta del pomeriggio.

Mattia si passò una mano sui capelli bagnati e si tolse la giacca. Prese anche quella di Nadia e le andò a poggiare nel guardaroba privato dell'Hotel, proprio come se fosse a casa sua.

«Credo che si stia sbagliando. Io non sono un cliente di questo Hotel», replicò, senza nemmeno guardarla. «Io sono il proprietario.»

La ragazza strabuzzò gli occhi e si portò una mano sulla bocca, per coprire l'espressione di stupore. Impiegò diversi secondi per realizzarlo. «Signor... Signor Silvestre? Che cosa le è successo?»

Lui sorrise scrollò le spalle. «Fuori piove e noi non abbiamo un posto in cui ripararci. Posso avere la chiave della mia Suite?»

«La chiave della Suite, certo...» balbettò lei, tornando in un attimo dietro al bancone. Iniziò a trafficare con un cassetto, in cerca di una card magnetica. «Quella con vista interna o esterna?»

«Esterna.»

«Eccola. Immagino che non serve che l'accompagni», scherzò lei, accennando un sorriso nervoso. Guardò Nadia e si schiarì la voce. «Volete qualcosa per asciugarvi?»

«Non si scomodi. In camera c'è già tutto l'occorrente.» Mattia fece dissentì con sicurezza, poi guardò lo schermo del computer e aggrottò la fronte. «Solo una cosa, però... Non segni sul registro che sono stato qui, stanotte. La camera dovrà risultare vuota, okay? Non ho voglia di litigare con mia madre.»

La ragazza annuì forzatamente. «Questo non mi creerà problemi sul lavoro, vero?»

«Le assicuro di no. È stata fin troppo gentile. Buonanotte.» Lui prese per mano Nadia, che per tutto il tempo era rimasta a gocciolare tra i brividi del freddo e il silenzio, e la condusse all'ascensore. La segretaria si accomodò di nuovo dietro alla reception e tornò ad ascoltare la musica.

«Abbiamo combinato un disastro... Guardaci!» Esclamò Nadia, una volta dentro l'ascensore. Indicò i loro riflessi nello specchio illuminato. «Noi siamo un disastro! Abbiamo... Abbiamo allagato l'albergo dei tuoi genitori. Siamo irrotti nell'albergo dei tuoi genitori nel pieno della notte, e abbiamo spaventato la receptionist... Saremo nei guai fino al collo!»

«È il mio albergo, Nadia. Non abbiamo combinato un bel niente», rettificò Mattia. Le prese tra le mani i capelli e glieli strizzò, per togliere l'acqua in eccesso. «E poi, ammettilo: è stato divertente.»

Nadia si portò le mani sugli occhi e rise. «Mio Dio, è stato più che divertente... è stato folle! Non avevo mai fatto nulla di simile! Non ero nemmeno mai entrata in un Hotel di lusso come questo!»

La porta dell'ascensore si aprì, preceduta da un suono di un campanello, e i due si avviarono lungo il corridoio dell'ottavo piano. Mattia andò avanti per primo, fino a fermarsi di fronte all'ultima porta sulla sinistra. Aveva una targhetta dorata affissa sopra che diceva "Stanza privata".

«Ti sei fatto costruire una camera solo per te?» domandò Nadia, esterrefatta.

Mattia inserì la card nel lettore ottico e aspettò il clic della porta. «È una sorta di seconda casa. Quando la situazione a casa diventa ingestibile, vengo qui. In realtà, chiamarla camera è un eufemismo... il termine più adatto sarebbe dependance.»

«Wow», mormorò Nadia, mentre varcava la soglia di quel piccolo angolo di paradiso. Agli occhi non le sembrava vero. Tutto, lì dentro, trasudava lusso. Ma non quel tipo di lusso ostentato e pacchiano... no, quello era un lusso più elegante, adattato alla perfezione ai canoni di Mattia. Quella camera avrebbe potuto essere scambiata facilmente anche per lo studio di un avvocato legale, per quanto fosse sobria ed equilibrata. Ogni oggetto era nel proprio posto, e l'aria profumava di legno d'acero e mughetto. Affisse alle pareti, c'erano diverse foto che ritraevano Mattia con gli amici. In una c'era persino lui con i suoi genitori: era di parecchi anni prima, quando era ancora un bambino, ma tutti e tre sorridevano, apparentemente felici come una famiglia qualunque. «È davvero stupenda...» Con una mano tratteggiò il contorno di ogni cornice, con un sorriso dipinto sul volto.

«Sì, ho voluto renderla più personale. Sai, le camere degli alberghi sono tutte anonime. Ti mettono addosso disagio e tristezza.» Mattia si avviò verso il bagno, che si trovava in una piccola stanza di fronte all'enorme parete di vetri. Questa occupava l'intero lato della Suite e rendeva tutto più luminoso, nonostante le tende nere pesanti tirate. «Tieni, asciugati.»

Nadia prese al volo l'asciugamano blu e se lo rigirò tra le mani. «M.S.? Sul serio?» Scosse la testa, ridendo, e iniziò a frizionarsi i capelli.

«Mia madre ha insistito per far ricamare le mie iniziali su tutta la biancheria. Insomma, tanto per rendermi diverso dal resto dei clienti che popolano questo albergo», rispose lui con tranquillità. Si passò l'asciugamano sul volto e sulle braccia e poi lo gettò su una poltrona.

«I tuoi genitori hanno davvero pensato a tutto, per il tuo futuro», rifletté lei, continuandosi ad asciugare distrattamente. Anche se aveva già tolto la sensazione di bagnato sulla pelle, percepiva ancora i brividi di freddo incastrati sotto, nel profondo.

«Già. Sono il loro investimento umano. Tutte le loro ambizioni sono riposte nelle mie mani...» Mattia si sfilò la maglietta umida e la tirò accanto all'asciugamano. «Vuoi qualcosa per cambiarti? Sei ancora fradicia addosso.»

Nadia rimase immobile davanti al letto, a riflettere in silenzio sulle parole del ragazzo. Alla fine, il suo sguardò si rabbuiò, come se avesse appena consapevolizzato la realtà, e abbassò gli occhi sul pavimento scuro e lucido.

«Qualcosa non va?» le chiese lui, osservandola dalla cassettiera. L'aveva appena aperta per tirar fuori una sua t-shirt e un paio di pantaloncini puliti.

Lei non rispose e si voltò di nuovo verso la parete, a osservare i quadri pieni di spezzoni di vita del suo ragazzo. «Le nostre realtà sono così diverse...» mormorò, più a se stessa che a lui.

«Ma che stai dicendo, Nadia?» ribatté lui, posando di nuovo i vestiti e avvicinandosi alla ragazza.

«Questo Hotel, la tua vita, i progetti che hanno fatto nascere i tuoi genitori per te... io non c'entro niente, Mattia. Sono l'unica cosa che stona dentro questa stanza. Lo sanno tutti. Lo sa Anita, lo sa Diego, lo sa tua madre.»

«È vero. Tu non c'entri niente, perché sei qualcosa che ha cambiato la mia vita in positivo. L'unica vera incognita non calcolata da nessuno... L'unica persona scelta da me.»

«Ma perché proprio io, Mattia? Perché non qualcuno di più simile? Qualcuno che perlomeno avesse messo piede più di una volta in un Hotel a cinque stelle? Avresti potuto scegliere chiunque altro, e invece ti sei accontentato... Hai scelto me.» Nadia si strofinò la fronte con la mano, in un moto di nervosismo.

Mattia le prese il polso e le allontanò il braccio dal viso, abbassandoglielo lungo i fianchi. Le strinse il mento tra le dita e la osservò bene negli occhi. «Io non mi accontento. Mai. Non sei stata il mio ripiego, Nadia. E se adesso stiamo qui, insieme, nonostante tutto e nonostante tutti, c'è un motivo.»

«E se più in là te ne pentirai? Se capirai di aver solo perso tempo con me?»

«Ascoltami-»

«Se inizierai a pensarla come tua madre?»

«Nadia, io ti amo», la interruppe lui, con lo sguardo carico d'intensità. «A me non interessa nulla di quello che pensa la gente, o mia madre, o Roma intera. Per me possono fottersi tutte le convenzioni sociali, tutti i preconcetti della società moderna. Sono solo puttanate, lo capisci? La mia famiglia potrà avere tutti milioni che desidera, ma deve lasciarmi vivere in pace. Deve lasciarmi amare chi voglio in pace.»

«E se ti sbagliassi su di me? Se poi ti accorgessi che non sono davvero quella che pensavi?» sussurrò lei, con un filo di voce.

Mattia le accarezzò le guance con i polpastrelli del pollice. «Tu sei tutto quello di cui ho bisogno, Nadia. È per questo che mi sono innamorato di te.»

Lei sorrise e annuì, con gli occhi lucidi. Gli gettò le braccia al collo e lo baciò con tanta foga da farlo indietreggiare, con tutto il suo peso addossato.

Mattia ricambiò il bacio e le allacciò le mani dietro alla schiena, stringendola come se da un momento all'altro le potesse scivolarle via. Continuò a baciarla, con la consapevolezza che se avesse smesso di farlo, il mondo sarebbe esploso per un sovraccarico elettrico. Indietreggiò ancora, con le sue braccia aggrappate dietro al collo, e iniziò a tastare alla cieca quello che aveva intorno. Sbatté prima con la schiena contro il muro, poi camminò a tentoni, toccando i mobili come un uomo cieco senza il suo bastone a fargli da guida. Alla fine, con la mano trovò il comodino. Tastò il telefono con urgenza, ma gli rimase il filo incastrato tra le dita. Tirò uno scossone, che lo fece liberare in un attimo. L'apparecchio cadde a terra con un tonfo rumoroso.

«Che stai combinando?» gli chiese Nadia, con il viso appicciato al suo e il fiatone sul collo.

«Il telefono. È caduto», le spiegò lui con tre parole, prima di tornarsi a occupare delle sue labbra. Con il piede ancorò la gamba del letto e ci si gettò sopra, trascinando con sé Nadia. Lei gli tolse le braccia dal collo solo per mettersi più comoda, poi tornò a baciarlo e abbracciarlo insieme. In quel momento si sentiva su di giri, completa come il punto alla fine di una frase. Si trovava lì, in un mondo che non le apparteneva, ma con l'unica persona che davvero riteneva sua. E stava bene. Dio, se stava bene.

Mattia le tracciò il collo con una scia di baci, mentre le accarezzava i capelli che profumavano di pioggia e di lei. Con le dita le disegnò il contorno delle clavicole, fino a scendere alla pancia, umida e cosparsa di brividi. Nadia aumentò la stretta sul suo collo, fino a lasciargli il segno delle dita sulla pelle. Lui sorrise e le accarezzò le labbra rosse. Si staccò solo per sfilarsi la maglietta e per toglierla anche a lei. Le gettò ai piedi del letto e tornò a guardarla, come se fosse la cosa più preziosa che avesse mai avuto davanti agli occhi. Nadia gli baciò il petto. Tremava.

«Hai freddo?» le chiese Mattia, in un sospiro. Passò le dita su ogni suo brivido e ci posò sopra le labbra.

«No...»

Lui si fermò per un momento e tornò a guardarla negli occhi. «Nadia, se non te la senti, posso-»

«No, non ci pensare neppure», lo bloccò lei, scuotendo la testa. «Non immagini nemmeno quanto lo voglia.»

Mattia prese la sua confessione come segno di assenso e le sorrise, baciandola con ancora più intensità di prima. Ogni volta che le sfiorava il volto, ogni volta che toccava la sua pelle, mentre le labbra premevano sulle sue, si sentiva più vivo, quasi febbricitante. La sensazione di freddo che aveva provato fino a quel momento, fu sostituita dal calore. Sembrava come se una fiamma gli si stesse arrampicando lungo la spina dorsale. Bruciava, ma non faceva male.

Qualche minuto dopo, non avevano più nulla addosso. Respiravano l'uno sopra all'altra, pelle contro pelle. Condividevano ogni lacrima di sudore e di desiderio. Mattia la fissò ancora una volta, con il petto che si alzava e abbassava ritmicamente. Le baciò la fronte, poi la bocca. «Sei davvero sicura?»

Nadia annuì una sola volta, senza togliergli gli occhi di dosso. «Come non lo sono mai stata.»

Il resto si susseguì rapidamente, dettato perlopiù da pensieri veloci e dal desiderio del momento. Ogni loro gesto era affrettato, come se il tempo gli fosse alle calcagna. Avevano atteso per così tanto, e adesso non ce la facevano più a temporeggiare.

Mattia tirò fuori dal cassetto del comodino una bustina argentata e tornò da Nadia. Lei lo osservò ma non disse nulla.

«Vuoi sapere perché li avevo già?» le chiese lui, come se glielo avesse letto nella mente.

«Posso immaginarlo. Insomma, tu e Anita siete stati insieme per parecchio tempo quando non c'ero. Non posso pretendere nulla.»

Mattia annuì. «Con lei non ha significato niente. Non c'è stato mai un sentimento vero dietro. A volte, era solo uno... sfogo. Per entrambi.»

«Mattia, non devi giustificarti con me. È la tua vita.»

«E tu, invece?» Lui s'inumidì le labbra, come se le sentisse improvvisamente secche. «Mi sono perso qualcosa, in questi ultimi due anni?»

Lei dissentì con la testa. «Io non... Insomma, non mi sono mai sentita sicura di iniziare qualcosa di nuovo con altri ragazzi. Alcuni di loro ci hanno provato, hanno spinto per conoscermi. Mi trovavano diversa, in un certo senso più matura, rispetto alla ragazzina che avevano lasciato tempo prima. Ma io non ce l'ho fatta. Ti avevo ancora nella testa. Ti odiavo, ma non riuscivo a cancellarti. Volevo andare avanti, ma in fondo sentivo che fossi tu la persona con la quale avrei dovuto affrontare questo passo.»

Mattia espirò in un soffio e si rese conto solo il quel momento che aveva trattenuto il respiro per tutta la sua confessione. Sorrise, sollevato, e la baciò. «Non hai idea di quanto questo mi renda felice.»

«Egoista», lo prese in giro lei, con la bocca incollata sulla sua.

«Hai ragione. Ma non avrei preso affatto bene l'idea che qualcuno ti avesse toccato o baciato come sto facendo io adesso.»

«Io, invece, non ce l'ho la tua esclusiva. Come dovrei reagire, allora?»

«Ti sbagli. Hai sempre avuto l'esclusiva su di me, tu», replicò lui. «Ti ho aperto il cuore e ho lasciato che mi innamorassi di te. Non lo avevo concesso a nessuna, prima.»

Nadia gli accarezzò i capelli e sorrise, più leggera. «Ti amo. Ti amo, ti-»

Mattia la zittì con un bacio, e poi con un altro ancora. Tornò a tracciarle con le labbra i segni di tutti i baci precedenti, provocandole brividi più intensi. Si mosse sopra di lei in modo sicuro, come se la conoscesse da sempre.

Quella notte sugellò ogni loro sospiro, ogni bacio, ogni sentimento. Si unirono tutti assieme e gli penetrarono dentro, più a fondo della pelle e di ogni organo.

Quella notte si innamorarono di nuovo. Ancora, e più forte di prima.

***

Parcheggiò la macchina proprio di fronte all'ingresso dell'Ètoile. Spense il motore e uscì fuori, chiudendo lo sportello senza fare troppo rumore. La via era avvolta in uno strato pesante di oscurità, talmente opprimente da rendere quasi irrespirabile l'aria.

Li aveva seguiti per tutta la sera da lontano. Aveva camminato sui loro passi di nascosto, senza che loro se ne fossero accorti. Aveva atteso con pazienza, consapevole che il momento più adatto sarebbe presto arrivato. Avrebbero commesso un errore, prima o poi. E alla fine, così era stato. Si erano rintanati nel loro covo, come due amanti complici. Avevano indossato per una notte le vesti di Giulietta e Romeo. Lo aveva sempre pensato che quei due condividessero la loro stessa, triste storia.

Ma adesso non importava più. Aveva smesso di sentirsi in colpa da un po' di tempo.

"A mali estremi, estremi rimedi". E in quella situazione, ormai tutto era diventato estremo. Non aveva mai voluto deludere qualcuno, prima di quel momento. Non era mai stato nei suoi piani. La sua vita era perfetta, puntuale, calcolata. Ma poi, era arrivata lei... era arrivata lei e aveva rovinato tutto.

Non avrebbe voluto fargliela pagare. Per un attimo, aveva smesso di provare sentimenti vendicativi nei suoi confronti. Ma alla fine aveva cambiato idea. Era stato quasi un obbligo, a dire la verità, ma in quel momento non contava più niente. Quello che davvero era importante, era vincere e mostrarsi forte. Gliel'avrebbe fatta pagare.

Raggiunse la porta dell'Hotel e aspettò che si aprisse con un leggero fruscio. L'orologio affisso al muro segnava le quattro del mattino. Tutto, lì dentro, taceva.

Si mosse con sicurezza sul tappeto dell'ingresso. I suoi passi erano silenziosi e il respiro ridotto a un alito. Si affacciò con furtività verso la reception e vide la ragazza china sulla scrivania in legno, con la testa poggiata sulle braccia: stava dormendo. La radio era accesa e trasmetteva musica anni cinquanta.

Con un sorriso, tornò indietro e raggiunse il guardaroba. Non fu difficile riconoscere i loro giacchetti: erano gli unici che gocciolavano ancora. Infilò la mano nella tasca interna della giacca di Mattia e tirò fuori il suo portafogli. Lo fece con sicurezza, perché prima, quando erano usciti insieme dalla pizzeria, lo aveva visto con i suoi stessi occhi riporlo lì. Lo aprì e spiluccò tra le varie carte, finché non arrivò al compartimento delle banconote. Come previsto, trovò un mazzetto di contanti. Tutti quelli che aveva prelevato quella mattina in banca per il pagamento del suo corso. Così era scritto nel messaggio che aveva ricevuto nel primo pomeriggio, all'interno del quale erano contenute le indicazioni su come avrebbe dovuto muoversi. Non li contò neppure. Sapeva già quanti fossero. Li sfilò con due dita e richiuse il portafogli, per poi riporlo al proprio posto nella tasca.

Sorrise di nuovo. Ce l'aveva quasi fatta. Agguantò il giacchetto di Nadia e lo tastò, alla ricerca di qualcosa che non trovò. Evidentemente si era portata la borsa con gli effetti personali in camera. Mise la mano nella tasca sinistra e la tirò fuori. Si aiutò con le chiavi della macchina e con le unghie per fare un foro, che allargò poi con le dita. Quando fu abbastanza grande, ci infilò dentro il mazzetto di soldi e rimise tutto in ordine. Proprio come era stato lasciato.

Si asciugò le mani sudate sulla stoffa della maglietta ed esultò in silenzio. Tornò di nuovo nella Hall e si strinse nel giacchetto, prima di tornare a fondersi con il freddo della notte.

Presto sarebbe scoppiata una nuova bufera. 


Angolo dell'autrice.

Fatemi sapere tutte tutte tutte le vostre reazioni, anche sull'ultima parte del capitolo :P 

Mancano circa 10 capitoli alla fine di Indomabile! StayStrong! Un bacio e buone vacanze per chi oggi o domani finirà la scuola <3



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