Capitolo 39.
Anita rincasò più tardi del previsto quella mattina. Terminate le lezioni, aveva deciso di restare un altro po' nel campus, nell'attesa che le fosse venuto in mente qualcosa da fare. Così si era rintanata in biblioteca, dove la maggior parte degli studenti l'avevano guardata con curiosità e stupore. E come dar loro torto. Probabilmente quella era stata la prima volta in cui aveva messo piede in luogo così pieno di libri.
Ma alla fine aveva ceduto alle sue debolezze, e aveva preso il primo taxi fuori dal campus, diretta verso il centro commerciale, dove si era lasciata andare a un po' di sano shopping teraputico, prima di farsi condurre di nuovo a casa, pronta per il fatidico incontro con i suoi genitori.
Con un sospiro carico di ansia, di fronte alla propria abitazione, Anita mise la borsa in spalla e improvvisò lo sguardo più fiero di sé che avesse. Provò a sorridere diverse volte, mentre si specchiava nel riflesso della porta di casa, ma riuscì solo a ottenere una smorfia contratta e posticcia.
«Tanto non mi daranno nemmeno il tempo di aprire bocca», sbottò alla fine tra sé e sé. Pigiò il campanello di casa e attese. La porta si aprì dopo nemmeno dieci secondi.
«Bentornata, signorina.» Il maggiordomo si accostò alla parete dell'atrio e fece cenno ad Anita di entrare, rivolgendole il più caloroso dei sorrisi.
«Ciao, Gustavo.»
«Ha passato una buona giornata?» Gustavo le richiuse la porta alle spalle e le sfilò il trench blu dalle spalle, per poi appenderlo su una stampella nel porta abiti accanto a loro. Dopodiché le prese dalle mani le buste dello shopping.
Anita si sgranchì il collo, muovendolo da destra a sinistra, e gemette. «Decisamente no. Avrei così tanto bisogno di un massaggio rilassante.»
«Vuole che le prenoti una seduta alla Spa per questo pomeriggio?»
«No, lascia stare. Non sono in vena.» Anita lo fissò e si morse l'interno delle guance, nervosamente. «I miei genitori sono in casa?»
Lui annuì, assumendo di nuovo la postura impettita.
«Posso chiederti una cosa, Gustavo? Ma devi essere sincero.»
«Certo, signorina.»
«Sai per caso... hai per caso sentito discutere i miei genitori, oggi?» bisbigliò lei.
Gustavo trattenne il respiro e si schiarì la voce. «Temo di non poter rispondere alla domanda.»
«Andiamo, Gustavo. Non farmi diventare cattiva.»
«Mi dispiace, ma i signori De Longhi non vogliono che il personale della casa sia dia in chiacchiere.»
Anita sorrise e tolse qualche granello di polvere dalla giacca del maggiordomo. Poi gli appuntò bene al collo il papillon nero e decise che era arrivato il momento di cambiare strategia. «Sono buone quelle praline al cioccolato svizzero per cui mio padre stravede, vero, Gustavo? Quelle che puntualmente sgraffigni mentre non lui non è in casa. E il cognac invecchiato di mia madre, invece? Sai quanto costano, vero? Li fanno importare direttamente da altre nazioni, per arrivare fin dentro casa nostra.»
Gustavo deglutì, nervoso.
«Se risponderai alla mia domanda, terrò la bocca chiusa. Anzi, mi occuperò personalmente di farti avere una bottiglia di cognac e una scatola di praline al cioccolato al mese.»
Gustavo ci rifletté su, indeciso sul da farsi, ma poi decise di gettare la spugna. «I signori De Longhi hanno discusso a lungo, stamattina, dopo aver ricevuto una chiamata», le rivelò, teso. Infilò un dito tra il collo della camicia e il papillon e allentò la morsa che gli attanagliava la gola.
Anita trattenne il respiro. «E di cosa stavano parlando?»
Il ticchettio dell'orologio a pendolo scandì il passare di qualche manciata di secondi, che alla ragazza parvero ore.
«Di lei, signorina. Stavano parlando di lei.»
Anita lasciò andare di getto l'aria trattenuta e chiuse per un momento gli occhi. Allora ne erano venuti a conoscenza anche loro.
«Okay...» Sorrise, senza mascherare un profondo strato d'ansia. «Grazie. Ho sempre pensato che fossi il miglior maggiordomo in circolazione. Adesso devo andare... Credo che i miei genitori mi vogliano parlare.»
«Aspetti, signorina!» L'uomo la bloccò prima che potesse uscire dall'atrio.
«Sì, Gustavo... Terrò il tuo segreto al sicuro.» Sbuffò lei, alzando gli occhi al cielo.
«Io... io volevo solo augurarle buona fortuna con i suoi genitori.»
Anita fissò il maggiordomo con le labbra dischiuse, stupita dalla sua affermazione. Così gli sorrise timidamente. «Grazie», spostò lo sguardo sulla porta che la divideva dai suoi genitori. «Ne avrò davvero bisogno.»
***
Aurelio ed Emma De Longhi la stavano aspettando nella sala da tè. Nel momento in cui stavano parlottando tra loro, a bassa voce e in maniera complice, Anita li interruppe, ruotando il pomello della porta e varcando la soglia. Si schiarì la voce e rimase impalata sul posto. «Mi stavate cercando?»
I genitori si guardarono prima negli occhi e si lanciarono un breve cenno d'intesa. Poi Aurelio le indicò l'unica poltroncina libera, proprio di fronte a quella dove avevano preso posto loro.
«Siediti.»
Anita annuì e raggiunse l'angolo della sala in silenzio e con la testa china. L'unico rumore percepibile era quello dei suoi tacchi.
«Mamma, papà... prima che iniziate a parlare, vorrei soltanto dirvi-»
«Sta' zitta, Anita», la interruppe Emma, portandosi una mano sugli occhi. «Per l'amor del cielo, sta' zitta una buona volta, e ascolta quello che deve dirti tuo padre.»
Anita tacque e spostò meccanicamente lo sguardo su Aurelio. L'uomo teneva le mani incrociate sul grembo e tamburellava il piede sul parquet, seguendo un ritmo quasi snervante.
«Ci ha chiamati Cornelia stamattina. Lo ha fatto quando eri già uscita di casa; altrimenti avremmo evitato di farti andare al campus, a renderti ancora più ridicola di quanto tu non abbia già fatto.»
Anita sospirò piano e cercò di trovare una posizione più comoda sulla poltrona. Ma in quel momento le sembrava che lo schienale fosse imbottito di spuntoni.
«Adesso, a scanso di equivoci, io e tua madre vorremmo che ci confermassi quanto detto da lei. È di fondamentale importanza che tu lo faccia, Anita.» Aurelio si sporse in avanti con il busto e poggiò gli avambracci sulle ginocchia, mentre la scrutava attentamente. «Sono vere le voci?»
«Papà, io posso-»
«Anita, rispondi a tuo padre», s'intromise Emma, con il solito tono che grondava austerità.
«Sì. Sì, sono vere», si lasciò andare lei, abbandonandosi sullo schienale della poltrona. Adesso poco le importava degli spuntoni che le trafiggevano la schiena. Di lì a poco avrebbe iniziato a provare un dolore ben peggiore: la delusione dei suoi genitori.
Emma e Aurelio si scambiarono di nuovo un'occhiata complice ed eloquente, e scossero insieme la testa. «Com'è potuto succedere?» sbottò la madre, incredula.
«È successo e basta, mamma.»
«Quello che è successo è molto grave. E non parlo solo per via della nostra reputazione, ma anche per le trattative con la famiglia Silvestre! Tutto questo ci si ritorcerà contro, se non riusciremo a risolvere la situazione.»
«Non c'è molto di cui parlare. Mattia si è stancato di me.»
«Mattia si è stancato... Si è stancato», ripeté incredula Emma.
Anita sollevò un sopracciglio e sorrise alla madre. «Sì, mamma, perché insieme eravamo finti. E ognuno di voi lo sapeva.»
«Mi sembra che questa situazione andasse a genio a entrambi fino a poco tempo fa. Cosa diamine è successo che ha mandato alla deriva la vostra storia?»
Anita sentì la rabbia fluirle nelle vene e darle una forza di spirito che mai prima d'ora aveva avuto. Di solito durante i litigi con i suoi genitori rimaneva sempre in silenzio, a subire. Ma non adesso. Adesso era arrivato il momento di reagire. Strinse le mani attorno ai braccioli della poltrona e sentì le unghie conficcarsi nella stoffa.
«Vuoi sapere cos'è successo, mamma? Vuoi davvero saperlo?» sbottò, alzando di qualche ottava la voce. «Eravamo stanchi di fingere che fossimo la coppia perfetta che tutti voi vedevate! Noi non eravamo perfetti. Noi eravamo solo schifosamente forzati! E ve ne sareste potuti rendere conto, se solo per un secondo, per un maledettissimo secondo, vi foste fermati a parlarci da genitori, e non da consulenti finanziari! Non siamo delle vostre proprietà, mamma! Quando riuscirete a capirlo? Siamo anche noi dei figli, e... ci piacerebbe essere trattati da tali, a volte. Senza oneri e responsabilità. Senza multinazionali sulle spalle e contratti nelle mani. Solo da figli», concluse, quasi senza fiato e con gli occhi lucidi. Il cuore le trottava nel petto a un ritmo vorticoso.
I genitori la fissarono allibiti. Anita non si era mai rivolta così a loro, prima d'ora. Era sempre stata una ragazza composta. Ma adesso sembrava in preda a una crisi isterica.
Emma scosse la testa e prese un fazzolettino dalla tasca per soffiarsi il naso. «Sei sempre stata una buona a nulla, Anita. Tutti gli sforzi che io e tuo padre abbiamo fatto per te... tutti i sacrifici per darti uno stile di vita all'altezza delle tue aspettative... tutto questo per niente! Sei solo un'ingrata.»
Aurelio poggiò una mano sulla coscia della madre, guardandola con preoccupazione. «Emma, non dire cose-»
«No, lasciami parlare», lo zittì lei, scansando bruscamente la mano del marito. «Durante tutti questi anni non ti abbiamo mai fatto mancare nulla. Hai sempre avuto qualsiasi cosa.»
Anita trattenne un singhiozzo e si alzò in piedi, interrompendo il discorso della madre. Prese la pochette firmata e gliela scagliò addosso con cattiveria. Poi si tolse il coprispalle, i bracciali e gli anelli, e fece la stessa cosa. «Riprendeteli, allora!» gridò, con la voce distorta dai tremiti. «Riprendetevi tutto! Toglietemi i soldi, le chiavi della macchina, qualsiasi cosa... Ma lasciatemi in pace! Lasciatemi vivere serenamente!»
Emma scansò la borsetta della figlia dal grembo e la lasciò cadere a terra con nonchalance. «Avresti dovuto fare solo una cosa, Anita: tenerti stretto Mattia. Invece non sei stata in grado di farlo. Sei riuscita a fallire nel tuo unico compito. Perché non dovrei dirti quello che sei? Qui dentro, tutti lo pensiamo: sei una delusione.»
Anita strizzò gli occhi e sentì scendere le prime lacrime sulle guance. Tirò su con il naso e le asciugò con il dorso della mano, sbavando il trucco, fino a quel momento perfetto. Guardò il padre come se fosse la sua unica ancora di salvezza. Il suo ultimo appiglio prima di affogare in un mare di amarezza. «Non dirmi che lo pensi anche tu.»
Aurelio tentennò di fronte alla debolezza disarmante della figlia, e cercò di celare quel suo strato emotivo. «La situazione è molto complessa, Anita. Quello che è successo è davvero grave, e sicuramente dovremo mettere il caso nelle mani di qualche bravo avvocato, per uscirne illesi. La famiglia Silvestre non è mai stata molto diplomatica e temo che, in un modo o nell'altro, cercheranno di mandarci a fondo, se questo implicherà salvare se stessi.»
Anita annuì, in un mare di lacrime. «Perderemo tutto?»
Emma si alzò in piedi, scuotendo pesantemente la testa. Raggiunse la porta della sala da tè e se ne andò, senza aggiungere una parola.
«Perderemo molto», rispose Aurelio, mentre fissava la porta richiudersi in un tonfo.
«Papà, io davvero non avrei voluto che succedesse. Devi credermi almeno tu, ti prego!» lo implorò, tirandosi su dalla poltrona e mettendosi di fronte a lui. Si piegò sulle ginocchia e gli strinse la mano. Cercò di trattenerlo, anche se già lo sentiva troppo distante da sé. «Mi dispiace di aver messo la nostra famiglia in difficoltà, ma la storia tra me e Mattia era arrivata al limite. Si può comandare tutto, ma non i sentimenti. Dovresti saperlo anche tu, papà! Lui... lui è innamorato di un'altra persona, e io non posso farci nulla.»
Aurelio chiuse gli occhi e sospirò. Le rughe sulla sua fronte si accentuarono, invecchiandolo di qualche anno. «È una situazione molto complessa, Anita», ripeté, atono.
«Più complessa di una figlia che sta implorando comprensione in lacrime?»
Ma lui sfilò la mano dalla stretta e si sporse sul tavolinetto di fronte alla poltrona per afferrare un plico di fogli. Poi si alzò in piedi, lasciando la ragazza immobile e senza parole.
«Adesso devo andare. Ci sono molte faccende da mettere a posto.»
Anita si tirò in piedi sui tacchi di scatto, traballando per il movimento repentino. Corse dietro al padre, diretto verso il suo studio e lo tirò per la manica. Lo pregò in silenzio di restare con lei, di comprenderla e accettarla per quello che era e per gli sbagli che aveva fatto.
«Mi avete dato tutto finora, è vero», gli mormorò, quasi senza più forze. «Ogni oggetto che si potesse comprare con i soldi è arrivato nelle mie mani. Mi avete messo tra le dita qualsiasi arma che mi facesse essere superiore al resto dei miei compagni di scuola... E questo perché io dovevo primeggiare. Te le ricordi queste parole, papà? Me le dicesti un pomeriggio, in camera mia, quando mi portasti quella bambola di ceramica. Era un pezzo unico; veniva dalla collezione di un imperatore cinese. Te lo ricordi, vero?»
Aurelio rimase in silenzio.
«Il giorno dopo dovevamo invitare a casa delle altre bambine, tutte figlie di vostri amici, ovviamente. Dovevamo fare quei giochi stupidi con le bambole... dar loro da mangiare e far finta che andassero a scuola. Ma a te e alla mamma non andava giù che io giocassi con le stesse bambole delle altre bambine. E così mi regalaste Polly. Sta ancora sulla mensola della mia camera, sai? L'ho tenuta in bella vista, a testimoniare la prima lezione che mi impartiste.» Anita sorrise con freddezza e scosse la testa. «Fare della mia vita una gara ed essere superiore a tutto e a tutti.»
«Mi sembra che tu ci sia riuscita», replicò lui, a disagio.
«Ci sono riuscita, sì, ma al punto da rimanere da sola. Ho superato chiunque minasse alla mia posizione, ho buttato giù ogni persona che mi ostacolasse. E tutto questo per restare... sola. Siete contenti del mostro che avete creato, adesso?»
Aurelio si schiarì la voce e allentò il nodo della cravatta. «Hai classe e buona nomina. Puoi ottenere tutto quello che vuoi dalla vita.»
Anita fissò negli occhi il padre e lo lasciò andare dalla sua presa. Fece un passo indietro e incrociò le braccia al petto. Improvvisamente si sentiva gelida. «Il problema, papà, è che quello di cui avrei davvero bisogno non lo posso ottenere con i soldi, né con le vostre inutili lezioni di vita. Quello di cui avrei bisogno, è quello che mi manca da quando ero una bambina: il vostro affetto», abbassò timidamente lo sguardo a terra e prese un respiro. «Ma non è troppo tardi per rimediare... Possiamo ancora provare a essere una famiglia normale.»
Aurelio la osservò con un cipiglio confuso, senza capire appieno le parole della figlia. Si grattò la testa e spostò il plico di fogli da un braccio all'altro. «Ma noi siamo una famiglia normale.»
Al sentire quelle parole, Anita socchiuse le palpebre. Ormai non c'erano più speranze. I suoi genitori erano stati talmente inglobati da quell'assurda società da smettere di pensare a lei come figlia e iniziare a vederla soltanto come un mero affare di soldi. Era solo un movimento bancario. Anzi, dopo gli ultimi eventi, probabilmente era diventata anche meno di quello.
«Hai ragione», asserì, annuendo. «Siamo una famiglia normale. Io sto bene, la mia vita è perfetta e noi siamo una famiglia normale.»
Aurelio sospirò spazientito e tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il suo portafogli. Da lì estrasse due banconote da cento e le mise all'interno delle mani della figlia.
«Ascolta, Anita. Non ho tempo per pensare alle tue crisi post adolescenziali. Devo lavorare e risolvere i problemi che tu e Silvestre avete creato. Prendi questi soldi, da brava... Perché non vai da qualche parte a rilassarti? Non lo so, al cinema, a fare shopping, o magari una bella manicure. Esci da qui, forza, e ritorna quando ti sarai calmata», le diede un buffetto sulla guancia e le sorrise. «Poi non dire che non ti voglio bene.»
Anita sbatté le palpebre più volte, incredula. Lo fece fin quando le parole del padre non assunsero un senso diverso da quello che avevano realmente. Indietreggiò con lentezza, senza smettere di fissare accigliata il padre, e strinse nella mano destra le due banconote. Poi si voltò, e senza dire una parola di più lasciò la sala da tè.
Quando si richiuse la porta alle spalle sentì tutta la stanchezza di quel dialogo scivolarle addosso e oscurarla, rinchiudendola in una sfera dove a regnare era il nulla. Strizzò gli occhi e lasciò che le lacrime le bagnassero ancora una volta le guance. Non avrebbe mai smesso di farlo. Aveva la sensazione che potesse continuare per giorni, forse settimane. Raggiunse la porta d'ingresso tra un singhiozzo e l'altro, e con un dito provò a cancellare i segni del trucco sciolto e sbavato da sotto gli occhi.
Gustavo era ancora nell'atrio, in attesa di nuovi ordini da parte dei suoi padroni. Quando la vide ridotta in quello stato sollevò entrambe le sopracciglia, ma Anita agì prima di farlo parlare: aprì il palmo della sua mano e gli infilò dentro le due banconote che le aveva dato il padre.
«Prendile e non dire una parola», balbettò. «Consideralo un mio regalo. Sei l'unica persona dentro questa casa che merita ancora qualcosa.»
Gustavo guardò il contenuto nella sua mano e impallidì. «Mio Dio, signorina, ma si sente bene?»
Anita si lasciò sfuggire un singhiozzo ad alta voce e scosse la testa, disperata. Aprì la porta di casa e si affrettò a uscire di lì. Non sapeva dove sarebbe andata, né quando sarebbe tornata. Ma solo di una cosa era certa: non si sentiva affatto bene.
Angolo dell'autrice.
Sono riuscita ad aggiornare la storia, finalmente! No, non sono scomparsa dal mondo, ma sto preparando una serie di esami universitari, e questo implica logicamente che la scrittura passi un po' in secondo piano. Ma non mi scordo di voi, tranquilli :P
Questo capitolo è stato molto difficile da scrivere, soprattutto perché mi sono immedesimata tantissimo in Anita, nella sua condizione familiare complessa, simile ma diversa da quella di Mattia. Questi due ragazzi, come avete notato, si trovano a condividere delle situazioni spiacevoli con i genitori, dettate dal fatto che entrambi possiedono grandi patrimoni e ricchezze. Quello su cui vorrei far leva, è che notiate come questi due personaggi rispondano diversamente alle pressioni delle famiglie: Mattia è un ragazzo forte e indipendente; Anita, in apparenza, pure... ma sotto sotto, cela uno strato di fragilità immenso. Spero che in questo libro inizierete ad apprezzarla di più, perché, accidenti, una seconda chance non si nega a nessuno! (Speriamo di non pentircene, però :P).
Il prossimo capitolo sarà narrato dal punto di vista di Nadia, e... prestate attenzione: sarà importante per un piccolo dettaglio ^^
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro