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Capitolo 31.


«Il ballo di primavera è uno degli eventi più attesi dell'anno, come tutti sapete», spiegò Anita agli altri membri del comitato studentesco. Guardò le loro facce una a una, seduta sopra la cattedra con le gambe accavallate e un sorriso lezioso. «Ma durante le ultime edizioni ha subito un calo schifosamente notevole, date le persone che gestivano la faccenda. Comunque quest'anno avevo in mente di mettere su qualcosa di più moderno.»

«Sai che il rettore dovrà dare la sua approvazione, non è vero?» s'intromise una ragazzina bassa e occhialuta, con una cartellina in mano e una penna tra le dita.

Anita roteò gli occhi. «Certo che lo so, Angelica. Il rettore sarà d'accordo. Lui è il primo a voler togliere questo strato di classicismo che copre la L.U.S.I, quindi non boccerà mai la mia proposta.» Scese dalla cattedra con un saltello e raggiunse la lavagna. Sopra ci una parola in stampatello: propaganda.

«Propaganda?» chiese un ragazzo, dal fondo della stanza.

«Il nuovo anno accademico è alle porte, e a breve inizieranno i vari open day nelle università di Roma. Questo evento sarà l'occasione per far parlare di noi in positivo. Chi sarà interessato, anche se non iscritto alla L.U.S.I, potrà partecipare alla nostra festa come spettatore. Faremo in modo di riempire la sala convegni di stand e addetti al volantinaggio. Ci saranno professori disposti a spiegare i loro programmi didattici agli interessati, e sarà tutto assolutamente-»

«Noioso», concluse lo stesso ragazzo, ridendo tra sé e sé e arricciando le labbra. «Questa festa non sarà divertente.»

Anita lasciò cadere il gesso a terra e si voltò, con le spalle contratte nervosamente e un sorriso infastidito. «Forse non hai ben capito di cosa stiamo parlando, Edoardo. Non stiamo organizzando una festa per i tuoi amichetti tossici. E se pensi che sia disposta a mettere uno stand per la vendita di spinelli, puoi anche alzarti e andartene», lo zittì. «Musica e dj set saranno comunque i protagonisti della serata. Ognuno sarà libero di fare quello che più gli piace. Ho già contattato alcune band della città, e sono in attesa che una di queste ci dia una conferma. Il cibo sarà in vendita, e il ricavato sarà devoluto alle casse della tesoreria per organizzare eventi futuri. Per l'alcool, credo non ci sia niente da fare. Il rettore esige delle feste sobrie.»

«Ma tutti vogliono bere, alle feste. Se non c'è l'alcool, verrà fuori uno schifo», replicò stavolta il ragazzo seduto accanto a Edoardo.

Anita sbuffò, scocciata. «Forse non ve ne siete accorti, ma siamo nell'età moderna e ci sono centinaia di modi per bere senza farsi scoprire. Al ballo di primavera non si dovrà vedere nemmeno mezza lattina di birra, ma, fuori dalla sala convegni, potrete fare quello che vi pare. Purché non creiate disagi.»

«Ci proveremo», ridacchiò Edoardo, puntellandosi il tappo di una penna sopra il labbro.

«La copisteria ha già mandato in stampa le locandine della festa e alcune di queste stanno già girando per il campus. Durante la settimana esigo la vostra massima collaborazione. Venerdì sera dovrà essere tutto impeccabile.»

I ragazzi annuirono in silenzio, assoggettati al clima despotico di Anita.

«Per oggi abbiamo finito. Mercoledì avremo la prossima riunione, e invito tutti a non mancare.» La ragazza afferrò la borsetta di pelle e raggiunse l'uscita, defilandosi dalla stanza con un sorriso entusiasta stampato sul volto.

Adorava quando le cose andavano come voleva.

***

«La poesia, l'estro, possono esprimersi sotto qualsivoglia forma, ragazzi. I sentimenti, che siano d'amore, di rabbia o di rassegnazione, riescono a trapelare dalle parole degli autori con artifici retorici differenti gli uni dagli altri, provocando delle reazioni diverse in ognuno di noi. Non esiste la bellezza oggettiva in un componimento, perché non possiamo catalogare in maniera assolutistica il senso che quelle parole, leggendole, hanno assunto in noi. Non so se mi sono spiegato bene...» Il professore di letteratura camminò lungo l'aula, gesticolando e fissando di tanto in tanto fuori dalla finestra. «Il concetto è questo, ridotto in parole spicciole: l'arte, la musica, la scrittura, sono in grado di entrarci dentro come nient'altro è capace di fare. Loro riescono a denudarci da tutte le nostre paure, dai condizionamenti della realtà, dalle apparenze... possono condurci direttamente al fulcro dei nostri sentimenti. L'arte è bellezza. Che sia un sonetto, una melodia, o un olio su tela. Il nostro compito, signori, è quello di creare il bello.»

Nadia ascoltò le parole del professor Castrucci con un'assorta attenzione, appuntando frasi e parole sul taccuino che aveva di fronte a sé. Aveva adorato le sue lezioni fin dalla prima volta che le aveva frequentate, arrivando a iscriversi a ogni corso extra tenuto da lui.

Leonardo, seduto accanto a lei, sorrise, fissandola di sbieco. «Credo che tu sia l'unica persona a emozionarsi con le parole di questo vecchio lupo solitario», bisbigliò.

Nadia arricciò il naso e posò la penna sul banco, incrociando le braccia sopra il quaderno. «Ama il suo mestiere e riesce a farlo amare. Lo considero il mio mentore», gli rispose a bassa voce. Il professore, nel frattempo, continuò a spiegare la sua filosofia dell'arte, recitando strofe di poesie e commentandole.

«Se lo dici tu. A me sembra solo uno degli ultimi romantici utopisti», replicò lui, chinando la testa su un foglio stampato a colori, infilato all'interno del quaderno per gli appunti. Cominciò a disegnarci su delle cornicette con la biro, restando però concentrato sulla lezione.

Nadia puntò gli occhi sul pezzo di carta plastificata con cui stava giocando l'amico, e aggrottò le sopracciglia. «Quello cos'è?»

«La locandina della festa di primavera. Carta sprecata.»

«Dove l'hai trovato?»

«Nel mio armadietto. Probabilmente quelli del comitato studentesco hanno già cominciato la propaganda», spiegò lui, scrollando le spalle. «Ma hanno iniziato dalla persona sbagliata.»

«Perché?» chiese lei in un sussurro. Fortunatamente il loro vociferio non arrivava fino in prima fila, perciò il professore continuò la lezione in maniera indisturbata.

«La mia accompagnatrice è gelosa. Non vuole che prenda parte a queste feste... mondane.» Il ragazzo scosse la testa e sorrise, beffardo.

Adesso Nadia si voltò del tutto verso il compagno con occhi sgranati. «Hai un'accompagnatrice?»

«Sì, Nadia, quella bella da paura, simpatica, e immaginaria. Hai presente?»

«Oh», esclamò lei, «credo di non aver colto il tuo sarcasmo.»

«Già, lo credo anche io. Ma non è un problema. Insomma, non ho mai partecipato a un ballo prima d'ora. Non vedo perché dovrei cominciare a farlo adesso.»

Nadia distolse lo sguardo, sentendosi avvolta da uno strano senso di colpa. «Forse dovresti provare a invitare qualche ragazza e vedere cosa succede. Non focalizzarti solo su di una.»

Leonardo fissò la ragazza per qualche attimo, prima di annuire e sospirare, confuso. «E tu invece ci andrai?»

«L'idea di partecipare a un'altra festa della L.U.S.I non mi entusiasma molto, a dire la verità. E poi, nemmeno io saprei con chi andare.» Nadia prese la penna e la fece girare tra le dita, fantasticando su un ipotetico accompagnatore. Il suo primo pensiero virò a Mattia, ma si sforzò di cacciarlo via dalla testa, rimproverandosi mentalmente per le idiozie che ogni tanto pensava.

Leonardo si schiarì la voce, prima di sedersi con la schiena eretta sulla sedia. «D'accordo, ascoltami. So che tra me e te le cose sono diventate strane... ma sono davvero, davvero, intenzionato a giocarmi il tutto per tutto con te. E so anche che nella tua testa starai sicuramente pensando a qualcun altro, ma non mi farò frenare da delle stupide fisime.» Alzò di poco il tono di voce, facendolo sembrare più convinto e sicuro, poi trascinò con la mano la locandina del ballo verso la compagna, che lo fissò atterrita. «Non m'interessa se dirai di no, o se inventerai una scusa per restare a casa. Io ci provo lo stesso. Insomma, ormai mi sono esposto... non avrebbe senso vivere una vita di rimpianti. Quindi, ci verresti al ballo di primavera con me?»

Nadia aprì la bocca per rispondere, ma si accorse di non avere parole in gola. La richiuse di scatto, per poi arrossire dalla punta dei capelli a quella dei piedi. «Non hai idea di quanto mi mettano in imbarazzo queste tue... dichiarazioni. Io, Dio, io non lo so!» sussurrò, quasi arrabbiata, scansando il foglio da una parte. «Sono in un periodo piuttosto confuso, e questo potrebbe solo peggiorare le cose.»

Leonardo annuì. Il suo volto si trasformò in una maschera di triste accettazione. «Se... se ti dicessi che l'invito è in forma amichevole, cambierebbe qualcosa?»

Nadia ricambiò lo sguardo teso. «E dovrei crederci sul serio?»

«Tengo troppo a te per rovinare la nostra amicizia. Anche se non dovessi mai ricambiare quello che sento nei tuoi confronti, sarei comunque disposto a starti accanto, da amico.»

«Leo, non voglio che pensi che mi stia prendendo gioco di te.»

Leonardo sorrise, senza metterci troppo entusiasmo. «Andiamo, se lo pensassi davvero, non starei qui a chiederti di accompagnarmi come amica al ballo. Sai che adoro la tua compagnia.»

La ragazza annuì, sollevando i lati delle labbra in un sorriso spontaneo. Le persone intorno a loro iniziarono ad alzarsi dalle loro postazioni, segno che la lezione era volta al termine.

«Ci penserò, d'accordo? Voglio riflettere se ho davvero voglia di partecipare a questa festa.»

Leonardo impilò i quaderni uno sopra all'altro e si alzò dalla sedia. Passò accanto a Nadia, ancora seduta e le diede un buffetto sulla guancia. «Certo. Aspetterò tue notizie. E, ti prego, riflettici bene, prima di dirmi di no. Sai, potrebbe uscirne fuori una serata... divertente», rise tra sé e sé e scese le scale dell'aula a forma di semicerchio.

Nadia lo seguì con lo sguardo finché non uscì dalla porta, poi sospirò pesantemente e batté la testa sul banco. «Perché, perché, sono così stupida? Non riesco mai a dirgli di no!» brontolò a bassa voce, raccattando i suoi effetti personali e afferrando la borsa di stoffa, poggiata sul pavimento. Scese le scale di corsa e passò accanto alla cattedra, dove il professore era intento a leggere una pila di testi da correggere.

Quando gli fu vicina, rallentò il passo e alzò la mano timidamente. «Ehm, arrivederci. Le auguro buona giornata!» lo salutò, schiarendosi la voce.

L'uomo, un anziano canuto, alzò appena lo sguardo da un foglio e sorrise. «Signorina Savini, è sempre così educata. Credo sia l'unica, in quasi trent'anni di insegnamento, che saluta i professori quando entra e quando esce dall'aula.

Nadia si scansò i capelli dal volto e strinse i libri tra le braccia. «Mio padre tiene all'educazione. Comunque, adoro le sue lezioni. Forse non si ricorderà di me, ma la seguo in tutti i corsi extra della facoltà.»

Il professor Castrucci abbassò finalmente il foglio e la squadrò. «Signorina, non sono ancora così tanto rimbambito. Anzi, le dirò di più», sollevò l'indice per farle segno di attendere, mentre con l'altra mano frugò all'interno del cassetto della scrivania. «Venga qui. Senza timore... non la mordo mica. Cosa vede?»

Nadia affiancò il professore e fissò la pila di fogli che aveva poggiato sulla cattedra. Alcuni erano battuti al computer, mentre altri scritti a mano, ma tutti erano accomunati dalla stessa firma, in alto a destra: Nadia Savini.

«Questi... sono i miei scritti, i miei articoli di giornale...» mormorò, rigirandosi qualche plico tra le mani. Notò subito che le correzioni in rosso erano rare e di poca rilevanza. «Perché conserva i miei esercizi di scrittura, professore?» gli chiese a quel punto, abbassando i fogli.

«In realtà avevo già in mente di convocarti per una riunione, Savini. Ho visto il tuo curriculum e le tue presenze ai vari corsi obbligatori. So che sei interessata alla branca della scrittura, in particolar modo a quella del giornalismo, e credo che tu abbia la stoffa adatta per raggiungere l'obiettivo.»

Nadia rimase in silenzio, stentando a credere a quelle parole.

«Sono convinto che lei possa migliorare le sue qualità di scrittura», continuò il professore. «Mi creda, signorina, davanti ai miei occhi sono passati centinaia di studenti convinti di saper scrivere, o di poter imparare a farlo. Molti con il tempo si sono resi conto di non avere la stoffa adatta, ma altri, attraverso i miei consigli, hanno ottenuto dei risultati lodevoli, dal punto di vista lavorativo. Se mi darà ascolto, le assicuro che lei rientrerà tra questi.»

«Io... davvero, sono senza parole. Dire che sia lusingata è un eufemismo e...» balbettò Nadia. Ancora adesso non ci credeva. Quella conversazione non poteva essere vera. Probabilmente aveva battuto la testa mentre scendeva i gradini dell'aula e adesso era finita in una sorta di paradiso letterario.

«Risparmi le parole per quando le dovrà trascrivere su un foglio. Non sprechi il suo potenziale con queste banali frasi di circostanza», brontolò Castrucci, con un gesto elusivo della mano. «Se lei accetterà, da domani potrà considerare suo il posto vacante nel giornalino della L.U.S.I. So che non è nulla di particolarmente importante, ma è una buona base per iniziare. Inoltre, venerdì si terrà il ballo di primavera. Il giornalino avrà uno stand insieme al club della letteratura. Io sarò presente come tutor per le future matricole. Se parteciperà all'evento potrebbe fare un salto da noi. I nostri studenti dovrebbero vedere quali sono i frutti che questo campus è in grado di far maturare.»

Nadia annuì convulsivamente, senza ponderare appieno le parole. «Senz'altro. Non mancherò!» Si passò una mano sul volto, incredula. «Non sa quanto mi ha reso felice con questa notizia, professore.»

L'uomo riprese a correggere le bozze davanti a lui. «Savini, tenga per sé questo entusiasmo giovanile e vada a saltellare da un'altra parte. Queste aborri di articoli di giornale non si correggeranno da soli, per quanto speri in una reazione di autocombustione.» Accartocciò un plico battuto al computer e lo lanciò a terra. «Un bambino scriverebbe meglio. Adesso vada.»

Nadia mise in spalla la borsa e strinse la mano del professore, sorridendogli caldamente. «La ringrazio ancora, e le auguro una buona giornata.» Poi uscì dall'aula con i piedi quasi a mezzo metro da terra. Chiuse la porta dietro di sé e poggiò la schiena sulla superficie metallica, esalando un sospiro carico di emozioni. Strinse gli occhi e scosse forte la testa, prima di fissare il soffitto.

«Non posso crederci...» sospirò ancora e si passò le mani sul volto, sprizzando gioia da ogni poro.

«Sei felice, per caso?» Una voce accanto a lei la fece sobbalzare, e, d'impatto, abbassò la mano sul petto. La sensazione di estrema felicità che aveva provato fino all'attimo prima si paralizzò, congelandola come un cubetto di ghiaccio. Con un lento movimento del collo, girò la testa verso la direzione da cui era provenuto il suono, e rimase con il fiato sospeso fino al momento in cui vide il suo volto.

CONTINUA...

Angolo dell'autrice.

Perdonate il capitolo spezzato il due, ma era troppo lungo da pubblicare in una sola parte, e sulla seconda ci sto ancora lavorando un po'. Ma vi assicuro che non vi pentirete dell'attesa... il prossimo, sarà un capitolo davvero BOOM per solo una delle due Ship! Chi pensate che ci sia accanto alla porta? Sono aperti i sondaggi ^^

Votate e commentate il capitolo! A presto :)

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