La notte che ho lasciato andare ~Parte 2
La notte che ho lasciato andare ~Parte 2 (Capitolo 10)
What a time~ Julia Michaels 🎵
Sentii un brontolio provenire dal suo stomaco.
<Tu non sei umano!> gridai, cercando di soffocare il suo addome con un cuscino.
<Quel barattolo di nutella era la mia cena. E ho anche dovuto dividerlo con te!>.
Strinse le labbra in una linea stretta.
Cercava di essere minaccioso, ma sembrava solamente imbronciato. Ma era un imbronciato adorabile.
Non riuscivo a sostenere il suo sguardo quando si imbronciava, tantomeno a questa distanza ravvicinata.
Spostai il cuscino in mezzo a noi, sperando che attutisse i rumori del mio battito impazzito. Dovevo solamente pensare ad altro. Ma la tentazione era troppo forte.
Mi girai di nuovo ad osservarlo.
Questa volta non c'era traccia di arrabbiatura sul suo volto e io l'avevo appena beccato di nuovo ad osservarmi.
E non intendevo che sì, mi guardava perché eravamo soli nella stanza, no lui mi stava guardando, come quando lo faceva di nascosto, quando sembrava volermi sussurrare chissà cosa all'orecchio.
Avrebbe pure potuto dirmi qualsiasi stupidaggine e io lo avrei ascoltato per ore, camuffando il mio respiro affannoso con una finta risata.
Distolse lo sguardo, allontanando quella scintilla di calore dal mio viso.
Il rossore risalì fino alle guance e mi odiai perché il corpo non rispondeva ai comandi, ma mi tradiva visibilmente.
Puntai lo sguardo in avanti e cercai di appassionarmi a qualunque cosa la tv stesse trasmettendo.
Una ragazza stava scappando da qualcuno che la inseguiva, poi...
Riccardo cambiò canale.
Espirai silenziosamente.
Ok, ora un tipo doppiato male aveva appena ritrovato una specie di moneta dal valore inestimabile e... Riccardo cambiò di nuovo canale.
Mi girai di scatto e gli strappai il telecomando dalle mani.
<Hai intenzione di deciderti? Cosa vuoi vedere?>.
Il mio braccio rimase sospeso a metà, senza godere del morbido cuscino nel mezzo, perché era stato appena scaraventato a terra, e la gamba di Riccardo aveva occupato lo spazio vuoto, a contatto con la mia pelle, che si stava surriscaldando.
In quell'attimo d'incertezza lasciai che il telecomando mi sfuggisse di mano. Riccardo lo acciuffò e spense la tv.
Fissai lo schermo nero, con ansiosa preoccupazione.
Una campana d'allarme risuonò nella mia testa, scandendo a gran voce:<Dirigersi alle uscite d'emergenza! Ora!>.
Potevo fingere un colpo di sonno improvviso, talmente improvviso, da poter sembrare un colpo apoplettico.
O forse, potevo fuggire al bagno?
Un bisogno impellente non mi sembrava una grande idea. Cominciai a rigirarmi una ciocca di capelli tra le dita, in un gesto nervoso, che ripetevo sempre per allentare la tensione nel corpo.
Se solo Rosa avesse avuto il dono della telepatia, a questa ora avrebbe sentito le urla nella mia testa e si sarebbe fiondata in salotto proprio nel momento propizio, interrompendoci sul più bello.
Ma ahimè, questa non era la realtà.
Tutto purché non affrontare questo istante, che mi terrorizzava.
La realtà mi metteva soggezione.
Sognavo e idealizzavo questo momento da fin troppo tempo e invece di godermelo, avevo paura che si rovinasse e che ogni mia stupida speranza di un me e Riccardo assieme, si vaporizzasse in un solo istante di ripensamento futuro.
D'altronde ero solo la piccola e goffa Ilaria, che lui aveva imparato a conoscere da tempo. Come potevo anche solo piacergli in quel senso? Ero come una sorellina per lui, una sorellina con una cotta impossibile da nascondere.
Un sospiro frustato, mi riportò sulla terra. Con la coda dell'occhio, notai che Riccardo aveva rimesso il cuscino in mezzo a noi. Il rumore di fondo della televisione, che si rianimò poco dopo, fu una frustata in pieno petto.
Ecco fatto.
Proprio quello che temevo di più, si era realizzato.
Avevo rovinato il momento. <Contenta, ora?>. Il tarlo nella mia testa non smetteva di rimproverarmi.
La mia ciocca si arrotolò ancor di più intorno all'indice.
Dovevo assolutamente fare qualcosa. Come potevo rimediare?
Mi alzai di scatto.
Afferrai la felpa e cominciai ad armeggiare con la zip.
Presi coraggio e buttai fuori, allungando la mano nella sua direzione: <Andiamo>.
Riccardo mi fissò, come se temesse che fuggissi da un momento all'altro.
Mi costrinsi a mordere la guancia per non ridacchiare, di fronte a quello sguardo incerto.
<Dobbiamo smaltire tutto quello che abbiamo mangiato>. Allargai le braccia e imitai una palla ambulante, che barcollava a destra e sinistra.
Riccardo rise e si alzò, seguendomi.
Ci chiudemmo la porta alle spalle e una leggera brezza fresca ci investì, costringendoci a camminare l'uno di fianco all'altro.
Era il momento in cui la notte cedeva il passo al nuovo giorno. Già qualche raggio spuntava all'orizzonte, inondando di una fioca illuminazione un tratto di cielo.
Mi concentrai sul gioco di luce proiettato lungo il cammino, avvertendo costantemente un silenzio carico di aspettative, quando la sua mano cercò di sfiorare la mia.
<Dove stiamo andando?> chiese, in un sussurro nel mio orecchio. <Mi stai accompagnando a casa> risposi neutra, per metterlo alla prova.
Un barlume di delusione gli attraversò i lineamenti. Allora gli strinsi la mano, intrecciando le dita alle sue e infine lo strattonai, ridendo.
<Ti porto nel mio posto preferito> ammisi col sorriso sulle labbra, aggiungendo in un lieve soffio: <Nel momento del giorno che preferisco>.
Appoggiai l'indice sulle labbra, piegate all'insù: <Ora, però basta domande>.
Corsi col sole alle calcagna, cercando di rifugiarmi ancora per qualche istante nella notte, strascinando con me il ragazzo, di cui ero innamorata da sempre, per condurlo nel mio nascondiglio, che nessuno o quasi ricordava più.
Attraversammo il parco lungo la strada principale, bloccandoci davanti alla grande quercia, che aggirammo fino a spostarci davanti alla siepe laterale.
Tastai le foglie finché non trovai la maniglia di ferro. Scostai i rami più grossi e spinsi con gran parte del peso il piccolo cancello nascosto, ma i cardini sembravano non collaborare.
Era normale, visto che non ero più tornata qui da mesi.
<So che hai detto niente domande ma...> esitò Riccardo, parlando alle mie spalle.
<Fidati di me> dissi, concentrata nello sforzo di manomettere anche la serratura.
La sua presa ferrea sul mio gomito mi fece indietreggiare e voltare completamente verso di lui.
<Non è che vuoi farci introdurre in un posto, dove non dovremmo entrare?> chiese, sollevando il sopracciglio, sospetto.
Incrociai le braccia al petto, appoggiandomi al cancello.
<Se vuoi tirarti indietro, puoi anche tornare a casa> lo sfidai, con un sorrisetto impertinente.
<Non sono io che mi tiro sempre indietro> rispose, avvicinandosi e stringendo la mano a pugno, intorno all'inferriata, proprio all'altezza della mia testa.
Touché, pensai, deglutendo.
La sua provocazione mi colpì nel vivo e non riuscii ad evitare di lanciargli un'involontaria occhiata tagliente.
<Devo essere sicuro che tu non mi stia portando in un posto strano, intrappolarmi là dentro, e poi tornartene a casa mia per saccheggiare il resto della dispensa>.
Il suo tono era irriverente e leggero, ma i suoi occhi mi comunicavano tutt'altro.
Finì per avvicinarsi ancora di un altro passo.
Una fossetta si fece largo sulla sua guancia, provocandomi una fitta di fastidio misto a gelosia. Perché quella smorfia l'avevo vista più volte sfoggiare davanti alle tante altre ragazze che gli andavano dietro.
E adesso quel sorriso, inaspettatamente, era solo per me.
<Ottima idea. Però mi assicurerò di saccheggiare la tua dispensa...> farfugliai, ma qualsiasi cosa avessi pensato nella mia testa, nel percorso tra questa e la lingua, si perse lasciando la frase a metà e quando il mio sguardo si posò sulle sue labbra ad un soffio dalle mie, dimenticai tutto il resto del mondo.
Con l'altra mano mi sfiorò un fianco e io finii schiacciata ancora più contro il cancello nascosto fra la siepe.
Con le sue dita che indugiavano sul mio fianco, a contatto con la pelle lasciata scoperta dalla felpa, che si era leggermente alzata, cominciai a respirare affannosamente.
Il suo sguardo torreggiò sul mio volto, alla ricerca di una mia minima reazione.
Fiatai appena, in quell'attesa straziante, e sentii il mio cuore contorcersi e battere, incessantemente.
Anche il mio sguardo sembrava vagare dappertutto e proprio quando si mosse, feci trapelare un accenno d'esitazione.
<Tu mi spaventi. Quello che provo mi spaventa> bisbigliai, con voce tremante.
Tornò all'altezza del mio viso, sollevando un lato delle labbra in una smorfia tenera.
<Anch'io ho paura>.
Spostò la mano dal fianco e mi prese la mano, posandosela sul torace, sopra il suo cuore.
Mi fissò dritto negli occhi.
<Lo senti, non è vero?>, la sua voce esitante quanto la mia.
Potevo sentire il battito del suo cuore impazzito cercare di schizzare fuori dalla gabbia toracica. Ero lo stesso effetto che lui provocava a me. Provavamo lo stesso.
L'aria era carica di tensione e nessuno dei due sembrava voler emettere neanche più un sospiro.
<Che cosa devo fare con te?> sembrò confidarmi il suo sguardo, prima che ogni tipo di contatto fisico venisse meno fra noi. Barcollai all'indietro quando il sostegno del cancello sparì di colpo.
Il cigolio metallico dei cardini risuonò nel parco e fu così che piombammo all'interno del mio posto segreto.
La presa salda di Riccardo sul mio polso mi evitò di ruzzolare a terra. Sciolse la stretta con un colpo di tosse, e rendendomi conto che quel breve momento fra noi era passato, impiegai un attimo più del dovuto per darmi una risistemata. Mi allisciai la felpa, riacquistando sempre più lucidità.
Riccardo sollevò la testa, passando in rassegna l'area attorno.
Gli alberi, disposti a raggiera, schermavano il piccolo spiazzo, abbandonato del parco ad occhi indiscreti, dall'esterno.
Accatastati uno sopra l'altro, un insieme di pezzi arrugginiti, avevano perso il loro colore originale, e tavole di legno erano state abbandonate senza tante cerimonie dall'altro lato.
Il telone, che avrebbe dovuto ricoprire i cumuli lasciati lì da tempo, era stato scaraventato dal vento ed era rimasto appeso, irremovibilmente danneggiato, su un ramo di un albero della piccola radura.
<Che posto è?> chiese, senza staccare gli occhi dalla costruzione in legno, che si stagliava al centro dello spazio, sorretta da dei pali e costruita attorno al tronco di una quercia secolare.
Ad un primo sguardo, la costruzione poteva sembrare una banalissima casetta, costruita appositamente per i bambini, ma avvicinandosi si notavano così tanti materiali differenti con cui era stata rimessa a posto, che assomigliava più ad una catapecchia che aveva visto passare diversi inverni.
Ma nonostante tutto, era ancora stabile.
Avevo intuito dal giorno della mia scoperta, che questo posto non era altro che uno spiazzo dove avevano accatastato i vecchi giochi del parco, prima dei restauri e dei rimpiazzi con le nuove attrazioni per bambini.
A distanza di un anno potevo dire che non era cambiata nemmeno una virgola all'interno e questo significava che non c'era più tornato nessuno.
<E' il deposito del parco> gli risposi, afferrando la scaletta in legno che era adagiata contro il tronco.
<Qualcun altro deve averlo scoperto, molto prima di me, e penso abbia ricostruito con tutti gli scarti a disposizione, questa bellezza>. Battei un pugno sulla parete in legno della casetta, prima di adagiare la scala sotto l'unico varco aperto della struttura.
<Sei sicura che non ci crolli il tetto, là sopra?> ammise, titubante.
<Ho testato questa casetta, personalmente, un'infinità di volte>. Accompagnai le parole con i fatti, salendo i pioli con sicurezza.
Con entrambi i piedi ben saldi, ad un passo dall'entrata, mi voltai per rassicurarlo.
<Andiamo, Fifone. E' più resistente di quello che sembra>. Ridacchiai, focalizzando la sua espressione perplessa. In verità, potevo comprenderlo, perché la struttura non ispirava molta fiducia di primo acchito.
Due delle quattro pareti erano interamente rimaneggiate con materiali differenti dall'originale e parte del vetro di una finestrella laterale era stato sostituito da un telo plastificato, attaccato lungo gli infissi.
Dentro scansai qualche pigna dal pavimento, mi sedetti a gambe incrociate con la schiena appoggiata ad uno dei pannelli.
Riccardo mi raggiunse, poco dopo. Si piegò per non sbattere la testa contro il tetto basso e solo in quel istante notai quanto l'ambiente fosse piccolo, per contenerci entrambi.
Mi imitò nei movimenti, si sedette proprio di fianco a me, cercando una posizione il più comoda possibile, anche se per lui doveva essere parecchio arduo vista l'altezza.
Mi concentrai sugli spazi vuoti e più distanziati tra le travi, caratteristici nella parete ad est, mentre il sole stava sorgendo.
<Credo che quel qualcuno l'abbia ricostruita apposta, così>, dissi indicando le assi con lo sguardo.
Cominciò a mancarmi il respiro.
Non mi sarei mai abituata a questo.
La luce penetrò attraverso le fenditure, creando uno specchio riflesso sulle altre tre pareti integre dell'interno.
Riccardo e io fummo invasi da bande di luce, come se un caleidoscopio di colore bianco ci avesse inghiottito per intero.
Ci guardammo, sorridendo.
Le strisce di luce si proiettarono sui nostri corpi, giocando con le ombre della notte, che erano pronte a ritirarsi.
<Come hai scoperto questo posto?> chiese con leggerezza.
La domanda mi colpì più di quanto non mi aspettassi. Indugiai un secondo, negandogli il mio volto.
Quel dolore era sempre lì, se ne stava indisturbato, finché qualcosa non lo faceva riemergere in superficie.
Cercai di scacciarlo via, seppure qualche ricordo cominciò a riaffiorare, contro la mia volontà.
Fui attraversata da una leggera scossa, come se ricevessi una carezza, e l'immagine di un fazzoletto di stoffa si impresse nella mia mente.
Mi strinsi le ginocchia al petto e vagai con lo sguardo all'esterno.
All'improvviso anche solo parlare mi risultava difficile.
Aspettai che quel momento di stordimento passasse.
Avvertii il suo sguardo su di me. Più intensamente del solito, irrigidendomi.
<È successo il contrario. È stato questo posto a trovare me> sospirai, <Volevo solo nascondermi dal mondo e questo luogo mi è comparso davanti. La prima volta, quando lo scoprii, passai l'intera notte qui>.
Più parlavo e più il dolore lottava per paralizzarmi.
<Finché la luce non mi ha risvegliata>. Alzai la mano, giocherellando ancora con le luci dell'alba.
Lasciai che le mie parole si espandessero nell'aria, perché non riuscivo più a pensare al passato. Volevo liberare la mente da quei pensieri, con una qualsiasi distrazione.
Non avevo bisogno di fissarlo per percepire le sue intenzioni, visto il calore del suo corpo, così vicino al mio, soltanto che se mi fossi girata, avrei visto le mille domande che si aggiravano nei suoi occhi.
Perché avevo avuto bisogno di un rifugio, per allontanarmi dalla realtà?
E perché mai glielo stavo raccontando? Perché gli stavo mostrando il mio lato più vulnerabile?
Le ultime due erano le più facili a cui rispondere.
Il suo respiro viaggiò lungo la mia spalla, fino a giungere sul mio collo.
<Ho sempre pensato a questa casetta, come a un posto sicuro fuori dal tempo, a metà tra il giorno e la notte>. Finalmente sostenni il suo sguardo.
<Dove poter finalmente essere sinceri, una volta per tutte>.
Smisi di parlare, facendo parlare solo le mie emozioni.
Ridussi ogni tipo di distanza e lo baciai. Riccardo ricambiò, stringendomi a sé.
In quel preciso istante la notte se ne era appena andata.
💕Spazio Autrice💕 Scusate per l'attesa, spero che il nuovo capitolo vi sia piaciuto. Se vi va lasciate un commento per farmi sapere cosa ne pensate 💕💕
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