Capitolo 2
Dopo un'ora di funzioni logaritmiche, mi sembrava che il cervello si fosse ridotto ad una poltiglia.
Avevo un disperato bisogno di un cappuccino caldo con poco zucchero, proprio come piaceva a me.
Pregustavo già il sapore della caffeina, mentre infilavo le monetine nell'apposita bocchetta.
Digitai il tasto due e barcollai di lato.
<Ahi...> protestai quando mi arrivò una seconda spinta, stavolta più debole della precedente.
<La smetti di ignorarmi!> esclamò Rosa, piantando le mani sui fianchi.
<Ti riferisci ai venti messaggi che mi hai mandato nell'ultima mezz'ora?> replicai, notando come il suo viso passava da un rosa tenue ad uno acceso.
Trattenni la risata in gola.
<Allora li hai visualizzati!>.
Gli occhi le si rimpicciolirono e la voce divenne sempre più strozzata, come se rischiasse di rantolare da un momento all'altro.
<No! Ho dovuto cancellarli, mi riempivi la memoria del telefono> mentii, per infastidirla ancor di più.
Tanto non avrebbe scoperto che li avevo letti, uno ad uno, senza far apparire le doppie spunte blu. Ma non ce la feci oltre, a mantenere il punto.
<Comunque devi darti una calmata! Whatsapp dovrebbe bannarti per quanti messaggi riesci a scrivere al secondo!>, aggiunsi divertita.
La sua espressione si distese, e il sorriso tirato sparì del tutto.
Era tornato il sereno tra noi, almeno per il momento.
Spinse il numero tre e la macchinetta si mise all'opera. <Se non ti sbrigavi, ti mangiava i soldi!>.
<Se non mi spingevi, magari non mi distraevo!> ribattei con tanto di linguaccia.
Sbuffò come a darmi ragione e poi mi abbracciò da dietro.
<Hai un calo di zuccheri, oggi?> imitai la sua voce nasale, di quando mi rimproverava perché a detta sua, io, ero fin troppo espansiva negli abbracci.
<È il mio modo di farmi perdonare!> aggiunse, con un' insolenza tipica di chi voleva farla franca.
<Ci vorrà ben altro per farti perdonare!>.
Sciolse l'abbraccio e mi guardò pensierosa.
Chissà quale idea malsana stesse macchinando.
<Un passaggio in macchina!> esultò, soddisfatta.
La guardai torva.
Se pensava davvero che mi sarei fatta scorrazzare fino a casa da Ludovico, le avrei staccato la testa.
Più che una ricompensa, era una tortura.
<Preferisco prendere l'autobus, guarda!>.
Sollevò gli occhi al cielo, <Solo tu preferisci farti più di venti minuti di curve!>.
<Già è tanto se mi faccio accompagnare dentro il parcheggio della scuola, da
quell' antipatico di Ludovico!>.
<Chi ha parlato di Ludovico?>
<Ah, no?> mi accigliai dubbiosa.
Allora forse si poteva ragionare, pensai tra me e me, rilassando le spalle.
<Da Riccardo, ovvio!>.
Per poco non mi venne un colpo, perché il mio cuore aveva appena fatto un doppio salto mortale nella cassa toracica.
Solo quelle otto lettere e tre sillabe avevano il potere di ridurmi così.
Le mie orecchie avevano sentito male, sicuramente.
Anche se una vocina di allarme, iniziò a rimbombarmi dentro come una sveglia.
Oddio.
Avevo avuto una specie di sogno premonitore questa mattina?
Cominciai ad agitarmi sul posto, mordicchiandomi convulsamente la guancia interna.
Dovevo solo non pensare, a quello che era successo l'ultima volta che lo avevo visto.
Non dovevo pensarci.
Non dovevo permettere alla mia testa di tornare a quel ricordo. Facile, no?
Il danno era fatto.
Più mi imponevo di non pensarci e più ci ripensavo.
Ma...magari, questo era un altro stupido scherzetto di Rosa?
Incrociai le dita, appigliandomi all'ultima briciola di speranza.
Ma non avrebbe avuto senso, perché Rosa non aveva la minima idea di quello che era successo tra me e suo fratello.
Quello che non era successo, mi urlai in testa.
I denti affondarono sul mio labbro inferiore, in un moto nervoso di stizza.
Smettila di pensarci!
<Non te l'ho detto? È tornato dall'Erasmus e resterà in città fino all'inizio del nuovo semestre>, sorrise a trentadue denti.
Nella mia testa, l'ansia stava gonfiando un intero set di palloncini da festa di compleanno.
<Quanto resterà, di preciso?> chiesi, impaurita dalla risposta.
<Tutta l'estate! Ilaria sarà grandioso! Non pensi a tutte le feste a cui andremo, ai passaggi garantiti e agli inviti che fioccheranno ora che mio fratello è qui! Sarà la migliore estate di sempre!>.
Il palloncino della mia ansia si gonfiò fino a scoppiare.
<Tutta l'estate>, ripetei.
Già la sola presenza di Riccardo mi sconvolgeva abbastanza, da non avere le forze per pensare alle innumerevoli feste in cui avrei dovuto fare da babysitter alla mia migliore amica e alle sue sbronze fino a tarda notte.
<Ora vado, che probabilmente oggi mi tocca l'interrogazione di italiano!>.
<Dici? Dopo tre settimane consecutive di assenze strategiche!> dissi, cercando di non far trapelare nessuna emozione nella voce.
<Ci vuole arte per queste cose!> ammiccò e sparì nella sua classe.
Strinsi tra le mani la bevanda calda, ci soffiai sopra, poi sorseggiai.
Bleah! Per poco non risputai tutto nel bicchiere. Quanto zucchero ci era finito dentro! Ero stata troppo distratta a pensare ad altro!
Questo altro aveva un nome e un cognome, che cercavo di non evocare. Ma era troppo tardi.
Ric-car-do.
Scandì subdola la mia coscienza.
Buttai tutto nel cestino, tanto ormai la mia pausa caffè era stata rovinata.
Non potevo comportarmi così ogni volta che usciva fuori il suo nome, anche solo per sbaglio, in uno stupido discorso.
Per lo meno il fatto che si trovasse in un altro paese, aiutava.
Ma questa volta, dovevo conviverci, perché durante quest'estate me lo sarei trovato davanti, che lo volessi o meno.
Era passato uno stramaledetto anno.
Un anno e un mese esatto.
Dovevo metterci una pietra sopra.
Perché non era successo nulla alla fine. Quasi. Qualcosa era successo.
Era il fratello della mia migliore amica. Non eravamo mai stati amici.
Non ci eravamo mai scambiati più di qualche parola.
Ma quella sera, di un anno e un mese fa, aveva scombinato tutte le carte.
Ed era dura ammetterlo, ma io ero rimasta bloccata ancora a quel momento.
Il rumore persistente della macchinetta mi riportò con i piedi per terra.
Il corridoio era vuoto, in realtà, non completamente vuoto.
A due passi da me, un ragazzo mi stava puntando gli occhi addosso.
Era alto, con dei lunghi capelli castani che aveva cercato di contenere dietro le orecchie. Un viso che sembrava disegnato con cura, dagli zigomi scavati, occhi grigi e un piercing al sopracciglio che incorniciava il tutto.
Era il tipico ragazzo per cui ogni ragazza si sarebbe girata per strada dopo averlo incontrato.
Il tutto condito da un'aurea di mistero, dato il suo abbigliamento da rock star con tanto di chitarra in spalla.
<Sei tornata fra noi?> disse, con un timbro profondo, che si addiceva perfettamente alla sua persona.
Sorrise divertito. Anche i denti erano perfetti.
La mia faccia, con tanto di espressione confusa, le rispose al posto della voce che si era andata a nascondere da qualche parte.
<Sei rimasta imbambolata per cinque minuti>
<Cinque minuti?> gridai questa volta, con la lingua che ora si era improvvisamente sciolta.
La ricreazione era finita.
Ed io ero stata ben cinque minuti, rintontita come una scema nel bel mezzo dell' atrio della scuola. Per fortuna che nessuno mi aveva notata.
Beh, tranne lui.
Lo fissai di nuovo, in imbarazzo.
<Mi distraggo facilmente>risposi debolmente e accennai un sorriso.
<Ti servirebbe un po' di caffeina>.
Non capii altro, visto che Alessio sbracciava come un pazzo dalla porta della mia classe. Mi voltai di nuovo.
<Scusami devo and...>, ma stavo parlando da sola.
Il ragazzo con la chitarra era sparito.
Forse era stata un' allucinazione.
Tranne per il fatto che c'era un bicchiere di cappuccino fumante all'interno della macchinetta.
Il rumore del motore si arrestò.
Mi guardai ancora una volta attorno, ma di lui non c'era traccia, mentre mi portavo il latte caldo con spruzzi di caffè alla bocca.
Perfetto. Con poco zucchero.
<Ilaria! Muoviti! Vieni qui!> urlò alle mie spalle Alessio, dando segni evidenti di incontenibile follia.
<Che vuoi?>
<Sei impazzita per caso?>.
Mandai la testa indietro, non ero pronta ad un'altra sua scena madre.
<Che hai combinato questa volta?> gli chiesi spazientita.
<Io? Tu, piuttosto?> aggiunse incredulo.
Io ero l'incredula tra i due, che cosa avevo fatto adesso?
<Ma hai idea di chi fosse quello? Hai capito con chi stavi parlando?>.
Feci cenno di no, strabuzzando gli occhi.
<Ilaria, ma dove vivi?> allargò le braccia, scandalizzato.
Mi trascinò lontano, verso lo sgabuzzino.
<Non eri venuto a chiamarmi per farmi rientrare a lezione?>.
<Prima che venissi a sapere che Daniel Bertoldi ti offre la colazione!>.
<Chi?>
Non emise parola, ma capii dai suoi gesti che mi riteneva una sciocca. Ma io non avevo idea di chi fosse questo Daniel Bertoldi.
Mai sentito prima.
<Il ragazzo più figo della scuola!> spiegò, teatralmente. Alessio aveva un'innata vena melodrammatica, sarebbe stato perfetto nella parte di Amleto, allo spettacolo che riproponevano ogni anno alla festa d'Istituto.
Feci spallucce.
<Il ragazzo che si è buttato dal terrazzo alla festa dell'anno scorso nella piscina dei Prato, ti dice niente?>.
Ora ricordavo, vagamente.
Feci spallucce di nuovo.
Il video era diventato virale in tutta la scuola e in gran parte della città. Questo ragazzo che dal balcone si era buttato da parecchi metri d'altezza per tuffarsi nella piscina dei Prato. Questi Prato non avevano idea che ci fosse una festa in atto in casa propria, organizzata dallo stesso figlio maggiore.
Il video non era niente di sconvolgente, niente di nuovo. Ma solo per il fatto, che era un bel ragazzo era stato cliccato più di cinquantamila volte.
Buona parte del successo era dovuto agli addominali esposti.
L'occhio d'altronde voleva la sua parte. Quella sequenza di appena trenta secondi era diventata uno dei video più visualizzati e chiacchierati della passata stagione.
Non che mi fosse mai importato qualcosa, anche perché per me il ragazzo più figo della scuola era sempre stato un altro e da due anni se ne era andato.
<Ilaria! Ti mancano proprio le basi!> concluse Alessio, guardandomi come fossi una causa persa.
Ritornammo in classe e io mi sedei al banco. Ma non riuscii ad ascoltare nemmeno una parola per il resto della giornata.
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