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Cattivo



Cattivo, cattivo sei
sei cattivo perchè lo vuoi
cattivo, cattivo sei
non strillare, che mi fai male


Sei debole e sei cattivo
e non crederti migliore di me e di nessun altro
e adesso mi fumo la mia sigaretta
e ti butto il fumo nel cuoricino
perchè sei cattivo, sei cattivo tu
sei cattivo sì
sei cattivo sempre
sei cattivo

-Bebe-



Con la mente incollata al sorriso dello sconosciuto di nome Hoseok, Haeun raddrizzò una piccola piega del suo vestito verde acqua.

Era circa dieci minuti che si trovava in piedi davanti allo specchio accanto al suo armadio, ma mai una volta, in quel lasso di tempo, i suoi occhi stanchi si erano posati sul suo stesso viso.

Si era limitata ad osservare come il suo corpicino esile, scolpito da anni atletica leggera e diete autoimposte, veniva abbracciato da quell'abito di pizzo e seta, mostrando ogni curva acerba.

Se fosse stato per lei, non sarebbe mai più uscita dalla comodissima tuta di pile a scacchi rossi e neri che tanto le portava conforto e la nascondeva, ma era anche consapevole che nessun membro della sua famiglia avrebbe approvato la sua scelta stilistica.

Quindi, con la pesante consapevolezza di doversi rassegnare ad un vestiario meno confortevole, aveva aperto il suo armadio dalle ante di rovere chiaro e aveva fatto vagare il suo sguardo sul contenuto del mobile.

Lì, tra un pesante giaccone di panno turchese e una camicetta a fiori dalle maniche a sbuffo, il vestito color acquamarina aveva fatto la sua timida comparsa, portando con sè la pesante coltre di un brutto ricordo.

Solitamente la vista di tale vestito le avrebbe causato una sensazioni di nausea e probabilmente un attacco di panico, ma chissà per quale motivo, quel pomeriggio, presa da uno strano stato di trance, aveva afferrato con forza il tessuto morbido e lucido della gonna e se l'era trascinato in bagno.

Nella mezzora successiva, mentre le lacrime scivolavano silenziose sulle sue guance fredde, si  era spogliata e aveva fatto una lunga doccia calda.

Meticolosa e glaciale come un assassino davanti alla sua vittima, si era pulita a fondo, per poi asciugarsi con lentezza e prepararsi come solo l'Haeun di un tempo avrebbe potuto fare.

"L'Haeun felice, non quella malata" si era detta mentre, seduta sul bordo della vasca, si piastrava i lunghi capelli neri.

Ma ora, con le gote arrossate da un fard color pesca e le palpebre dipinte da un' ombretto color perla, davanti allo specchio a figura intera accanto al suo armadio, Haeun aveva stampato in mente il bel sorriso del ragazzo che, tutte le mattine, la faceva sorridere ed emozionare.

Da quando aveva scoperto il suo nome, quella mattina, la ragazza lo aveva ripetuto ad alta voce e sussurrato a fior di labbra un centinaio di volte, al punto che quella parola tanto bella per il suo cuore, aveva perso significato per la sua lingua. 

Chissà cosa avrebbe pensato Hoseok, se l'avesse vista in quel vestito dal colore tanto femminile, invece che nella sua solita veste da casa.

Sarebbe stato in grado di vedere solo l'aspetto esteriore di Kang Haeun, o avrebbe visto tutte le brutte cose che il suo corpo e la sua anima avevano dovuto subire?

Chissà se vedendo il nero del suo peccato avrebbe comunque continuato a sorriderle con tanta dolcezza.

Senza rendersene conto, i suoi occhi si scontrarono con il vuoto riflesso delle sue iridi, dietro tutto quel trucco costoso, intravidero la diga strapiena di emozioni che a stento resisteva dallo sbriciolarsi in tanti minuscoli coriandoli.

Gli occhi neri e vuoti della Haeun nello specchio le ricordarono la vita che era costretta ad abitare ogni giorno della sua esistenza e, per poco, nuove lacrime amare non le rovinarono il viso che si era creata con fondotinta e mascara.

Inspirando forte, infilò le scarpe nere con il tacco a spillo che l'aspettavano accanto alla porta della stanza e, gettato un altro sguardo alla sua immagine riflessa, finse un falso sorriso cordiale, che la ferì più di una pugnalata.

Varcata la soglia del salotto, venne accolta dallo sguardo stupito di sua madre che, per la prima volta in anni, sei per la precisione, aveva visto sua figlia minore fare qualcosa di sua spontanea volontà.

Ma lo stupore durò qualche istante, prima che un sorriso compiaciuto si facesse strada sul volto perfetto della donna, che, dopo aver osservato le gambe lunghe e bianche della figlia, disse: "I Lee stanno salendo".

Una semplice frase che congelò il sangue nelle vene di Haeun, come se un improvviso inverno si fosse insinuato nelle sue ossa.

Le mani tremolarono leggermente, mentre la sua mente vagava tra i ricordi della sua immagine riflessa nello specchio di camera sua.

Si domandò per quale stupido motivo avesse deciso di mettersi quel vestito tanto corto e sbarazzino, e per quale assurdo percorso mentale  avesse deciso di truccarsi in maniera tanto carina, mentre un conato di vomito risaliva con violenza la sua trachea.

L'aria nella stanza divenne più calda e una goccia di sudore le scivolò lungo la nuca, quando sua madre, con un gran sorriso sulle labbra, apriva la porta di casa al suo peggior incubo.

La prima a varcare l'uscio del suo rifugio sicuro fu la moglie di Seok-Joon, con indosso un vestito leopardato che mostrava le lunghe gambe tornite e con le braccia spalancate, per abbracciare la figura esile di sua madre.

Alle sue spalle, alto e vestito di nero, comparve Seung-ho, che le rivolse uno sguardo di sufficienza, prima di donare un mazzo di fiori alla sua genitrice con un sorriso falso stampato in viso.

Nessuna ombra della sua sorellina cozza, che solitamente lo seguiva come un cagnolino il proprio padrone.

"Tanto meglio" pensò acida Haeun, che respirava per la prima volta da quando la porta era stata aperta.

Proprio mentre sua madre, con voce stridula e falsa gioia, abbracciava e baciava il giovane ragazzo, dalla porta comparve l'uomo nero dei suoi incubi.

Con la camicia bianca aperta leggermente e i pantaloni gessati neri, Seok-Joon aveva l'aspetto di un lavoratore appena uscito dal proprio ufficio dopo un' intensa giornata di lavoro, mentre il suo cipiglio severo veniva sottolineato dalla sua mascella contratta.

"Oh caro Seok-Joon!" esclamò sua madre, lasciando Seung-ho e dirigendosi verso il suo aggressore, che l'accolse con un sorriso.

"Mio marito sta tornando dall'ufficio e dovrebbe arrivare a casa tra poco" concluse quindi sorridendo melensa, lasciando un bacio sulla guancia dell'uomo, proprio accanto al neo disgustoso che gli adornava la faccia.

Proprio mentre l'uomo era piegato per raggiungere l'altezza della donna, i suoi occhi neri come la notte e privi di emozione trovarono la figura di Haeun accanto alla parete dell'ingresso e un sorriso sadico si aprì sul suo viso pallido.

"Haeun" disse quindi, falsamente cordiale, mentre la ragazza desiderava di riuscire a sparire inghiottita dalla terra.

"Che bello vederti".

Il suo tono falsamente conciliante e il sorriso sporco, che si allargava sul viso che tormentava i suoi sogni, fecero tremare le gambe esili della giovane, che appoggiò una mano al muro, mormorando un saluto poco convinto.

Fu quando Seok-Joon l'avvolse in un abbraccio leggero, che il suo istinto di fuga si accese con violenza, implorandola di fuggire dal predatore che aveva lentamente accostato la bocca al suo orecchio.

"Il vestito della nostra prima volta... che carina che sei Haeun-ie" le sibilò tra i capelli, lasciando che il suo fiato immondo si infrangesse sulla nuca della giovane, che in quel momento stava respirando con affanno la colonia pungente che impregnava la sua pelle.

Sporca.

Haeun si sentì così sporca da desiderare di potersi strappare la pelle di dosso a morsi, pur di cancellare il tocco di quell'essere che la tormentava da sei anni.

Perchè, perchè, perchè aveva deciso di mettersi quello stramaledetto vestito, che ancora profumava della sua fanciullezza rubata?

Perchè aveva deciso di dare alla bestia un ulteriore motivo per tormentarla?

Presa dalla confusione e dalle domande che affollavano la sua mente stanca, si trovò seduta al tavolo di mogano in sala da pranzo senza nemmeno accorgersene, osservando gli altri commensali nella stanza discutere tra di loro in maniera amichevole, chi assaggiando gli antipasti e chi sorseggiando del vino rosso.

Accanto a lei, appoggiato con i gomiti al tavolo e sfoggiando una disinvoltura disarmante, Seok-Joon stava amabilmente chiacchierando con suo padre, che era rincasato da qualche minuto.

L'uomo sembrava non essere interessato alla figlia del suo socio d'affari e teneva le mani bene in vista, schioccando le nocche e gesticolando animatamente, nonostante fosse fuori dalle sue abitudini.

Ma Haeun aveva riconosciuto il suo gioco e quando la domestica annunciò l'arrivo della prima portata, il suo stomaco si chiuse con una forte contrazione, anticipando le sensazioni che sarebbero seguite di lì a poco.

Immediatamente, le mani del socio di suo padre scomparvero al di sotto della tovaglia di lino rosa antico, che ancora profumava di ammorbidente alla lavanda.

La voglia di correre in bagno a vomitare iniziò a scalpitare nel petto di Haeun nel momento stesso in cui l'uomo appoggiò le dita gelide sulla pelle della sua coscia, stringendo con forza la carne tenera nella sua morsa.

"Non mangi tesoro?" chiese sua madre, con la voce sgocciolante di miele e falsità, come se davvero le interessasse il benessere di sua figlia.

Deglutendo a vuoto, la ragazza strinse tra le dita il bordo della tovaglia rosa e poi si scusò sottovoce, alzando la forchetta per cominciare a mangiare.

Ma proprio mentre si apprestava a portare la prima forchettata di cibo alla bocca, la moglie di Seok-Joon, con un gesto maldestro, colpì con la mano il proprio bicchiere, il cui contenuto si rovesciò senza pietà sul vestito di seta della ragazza, tingendolo di rosso cremisi.

"Ommioddio! Tesoro, mi dispiace molto! Che disgrazia, il tuo bel vestito rovinato" esclamò con voce acuta la donna, mentre si portava una mano ingioiellata alle labbra, in un gesto di stupore.

Nel silenzio in cui era piombata la stanza a causa della mancata risposta di Haeun, la ragazza fece scivolare con rumore la sedia all'indietro e si alzò in piedi, mostranzo a tutti l'estensione del danno che il vino aveva impresso sul tessuto del vestito acquamarina.

"Se volete scusarmi vado ad asciugarmi e a cambiarmi" disse con voce tremolante e, senza aspettare la risposta degli altri commensali, si incamminò verso la sua camera con le gambe ancora tremanti.

La parte cinica del suo cervello era scoppiata a ridere non appena il liquido rosso aveva cominciato a lasciare traccia sulla seta verde acqua, gioendo in maniera incontrollata del fatto che quel vestito maledetto avesse finalmente incontrato il suo destino.

Ma il resto della mente di Haeun era ancora inesorabilmente imbrigliato in una camicia di forza fatta di panico, che le comprimeva lo sterno con ferocia e le riproponeva in maniera scoordinata immagini sparpagliate di violenza e dolore.

"Silenzio, Haeun, silenzio" si ripetè sedendosi con le spalle contro l'armadio, mentre il freddo del pavimento le penetrava la pelle delle gambe come tanti piccoli spilli acuminati. 

Silenzio. Quell'essere strano che, come un buco nero, era in grado di assorbire ed annientare ogni pensiero negativo e di paura che affollava la sua mente stanca.

Si premette le dita sulle orecchie fino a quando un dolore sordo non si propagò quasi fino alla mascella, immaginando che quelle dita fossero in grado di raggiungere quel piccolo tasto nel cervello, che regolava il panico dentro e fuori il suo piccolo mondo.

A farla uscire di colpo dal suo universo di paura e tensione, fu un'immagine catturata dalla sua visione periferica.

Lì, sulla porta del suo santuario azzurro, Seok-Joon la guardava con un sorriso malefico, tranquillamente appoggiato allo stipite della porta.

Come se avesse gettato un secchio di vernice nera sul pavimento, la sua piccola cameretta divenne all'improvviso ancora più buia e stretta, perdendo quel calore speciale che la faceva sentire protetta e al sicuro.

"Quindi è qui che ti nascondevi, topolino" sussurrò con cattiveria lui, accovacciandosi sul pavimento e inclinando la testa verso destra, come se cercasse di guardarle nell'anima.

"Stai l-lontano da m-me" rispose lei, scivolando verso l'angolo della sua camera.

Seok-Joon rimase in silenzio ad osservarla, come un predatore osserva la sua preda agitarsi sotto le sue grinfie, combattendo per la libertà.

"P-perfavore" lo pregò quindi lei, conscia del fatto che un comportamento aggressivo non sarebbe servito a nient'altro se non ad istigare ulteriore violenza.

"Oh, no, no, topolino, non puoi scappare da me. Io sono l'unica cosa che hai il permesso di pensare, vedere o sentire" rispose quindi lui alla sua supplica.

Con passo lento e calcolato le si avvicinò, accovacciandosi nuovamente quando Haeun, presa dal panico sbattè la testa contro il muro alle sue spalle, nel vano tentativo di rifugiarsi ancora più in profondità nella sua stanza.

Intrappolata e indifesa, la ragazza sentì le mani dell'uomo percorrerle le gambe nude, fino ad arrivare all'orlo del vestito, che venne afferrato e sollevato sopra la sua testa, lasciandola seminuda sul pavimento di marmo ghiacciato.

"Tic, toc, il tuo tempo è scaduto topolino" le sussurrò lui sul viso, imbrattandole la pelle con il suo alito che sapeva di vino.

Ma quelle parole non fecero nemmeno in tempo a sfiorarle la coscienza che le labbra secche e ruvide dell'uomo di impossessarono delle sue, forzandola in un contatto scomodo ed umido, che le generò un conato di vomito.

Fu in quel momento, con la lingua di quell'essere immondo che le sfiorava il palato e le sue grosse mani da uomo maturo che le afferravano l'intimo di cotone nero, che Haeun trovò il coraggio per ribellarsi alla violenza che stava subendo.

Con tutta la forza che ancora le restava in corpo, la ragazza morse con forza la lingua di Seok-Joon, per poi sferrargli un calcio alla massima potenza consentita dalle sue gambe.

Mentre il sapore metallico del sangue del mostro si propagava lentamente da una papilla gustativa all'altra, correndo si diresse alla scrivania ed afferrò la tuta da casa ed una felpa pesante che abitava la sedia da qualche settimana.

Si vestì in fretta e furia, lanciando i tacchi contro l'uomo a terra, quando questi cercò di rialzarsi in preda al dolore.

Lui gemette lievemente, ma Haeun nemmeno lo udì, perchè stava già volando verso la porta di casa, con una giacca tra le mani e il desiderio prorompente di correre fino ai confini del mondo.

In lontananza sentì la voce di sua madre urlare franticamente il suo nome, ma nulla sarebbe stato in grado di fermare quella necessità primitiva di correre lontano,  che le scalpitava nell'anima.

Quindi Haeun corse.

Corse finchè i polmoni non dolorarono per l'aria fredda che stavano incamerando.

Corse finchè le gambe non la supplicarono di fermarsi a farle riposare, completamente dimentica che, prima di uscire, forse avrebbe dovuto indossare un paio di scarpe.

Corse finchè, girato l'angolo di un palazzo a qualche isolato da casa sua, non sbattè con un uomo che si dirigeva a casa dopo una lunga giornata di lavoro.

Presa alla sprovvista finì per rotolare a terra per qualche metro, sbattendo violentemente la testa contro il marciapiede.

Lo sconosciuto nemmeno l'aiutò, ma si limitò a sparire dietro l'angolo da cui era venuta, urlandole contro parole irripetibili, mentre Haeun, finalmente esausta e stanca di fuggire, si raggomitolava sull'asfalto gelido e piangeva lacrime di frustrazione e paura.

Non seppe mai quanto tempo passò abbandonata in quell'angolo sperduto di Seoul, ma ad un certo punto, quando le dita dei piedi cominciarono a perdere sensibilità per il freddo, una mano le scosse leggermente la spalla.

Haeun reagì di scatto, come se quel semplice tocco le avesse bruciato la pelle.

Si sedette di colpo e alzò il viso mentre strisciava lontano dall'individuo che l'aveva appena approcciata.

L'individuo dai lunghi capelli castani mossi e con una grossa borsa colorata che gli pendeva dalla spalla.

L'individuo che la stava osservando con la preoccupazione dipinta nei suoi grandi occhi scuri.

All'improvviso il cervello della giovane sembrò trovare un attimo di pace al ricordo di un bel viso sorridente e un calore confortante le scaldò il petto ancora scosso dai singhiozzi.

All'improvviso la paura venne risucchiata in un vortice di sole e gioia, donandole quella pace per cui tanto aveva pregato in tutti quegli anni.

L'individuo alzò le mani verso l'alto, come ad indicare la benevolenza delle sue intenzioni.











"H-hoseok?"



























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