CAPITOLO 45
La porta d'ingresso si spalancò all'improvviso. La luce del giorno inondò la stanza e Fabrizio si stagliò, in piedi rivolto verso di noi.
Aveva una pistola anche lui. Il braccio teso a puntarla contro Massimo. Il dito premuto contro il grilletto. Tenuta ben salda da entrambe le mani, pronto a sparare.
"Lasciala andare! Immediatamente!" gli intimò con voce decisa.
Il suo viso era contratto. Non tradiva emozioni. Massimo si girò a guardarlo, stranito. L'espressione momentaneamente vuota da ogni emozione.
"Metti subito giù la pistola!" continuò.
Massimo non mi mollò e mi costrinse a fargli da scudo col braccio ancora avvinghiato al mio collo. Non staccò la pistola dalla mia tempia.
Lentamente l'aria tornò a gonfiarmi il petto. La respirai a fondo. Mi dolevano i muscoli del collo, dello stomaco. La pelle bruciava ancora della sua forza.
Fissai Fabrizio spaventata, con il cuore in tumulto.
"L'ammazzo!" gridò Massimo in un raptus di follia, "Giuro che l'ammazzo!"
Fabrizio sgranò gli occhi e mi fissò agitato
"Lasciala andare!" provò ancora.
"Non sono affari tuoi!" ringhiò Massimo, a denti stretti, "Lei è mia moglie! E' mia!"
Sentii il braccio robusto di Massimo stringermi nuovamente di più il collo e a fatica tentai di nuovo di bloccarlo con le mani.
"Lei ama me!" sostenne ancora Massimo, rivolgendosi a lui convinto, "Non potrai mai averla"
Mi strinse maggiormente. Con vigore e, questa volta, sfinita mi sentii mancare del tutto.
In un impeto di sopravvivenza, tentai ancora di liberarmi da quella morsa, ma mi fu impossibile.
La dura e fredda canna della pistola premuta contro la tempia
Fabrizio mi fissò, poi spostò il suo sguardo su di lui che mi tratteneva, carico d'odio. Pareva combattuto, angosciato. Come se un'idea gli scombussolasse la mente e faticasse a respingerla.
Massimo mi cinse di più, inconsapevole di quel gesto e tossii roca, per recuperare un po' d'aria.
Un rantolio soffocato, strozzato...
Guardai Fabrizio, poi fissai la sua pistola, che teneva puntata su Massimo. Ero incapace di staccare gli occhi da questa.
Le mie palpebre si chiusero a più riprese. Mi mancavano le forze ormai...
Doveva farlo...
Guardai ancora a stento Fabrizio e lui parve sconvolto da quello che lesse nei miei occhi.
Finiscimi! Finiscimi tu!
"L'ammazzo!" urlò ancora Massimo. I suoi occhi rossi erano sempre più carichi di odio.
Chiusi gli occhi.
Sfinita.
Non c'era più tempo...
Una lacrima scivolò sulle mia guancia, lenta... come lento era il movimento dei miei polmoni in procinto di fermarsi.
Ti prego... implorai dentro di me...
Fallo!
Fabrizio puntò meglio la canna della pistola e tirò il grilletto prima di lui.
Fu allora che a sorpresa Massimo si spostò, tirandomi con lui.
Il colpo risuonò limpido nella stanza.
Fabrizio irrigidì i muscoli della mascella, ma il suo sguardo rimase fisso, puntato su Massimo, che si voltò a fissarmi sconvolto.
Lo sparo improvviso aveva rotto il silenzio che era calato tra di noi. Una sensazione di calore mi colse all'improvviso... un fuoco che mi incendiava il fianco. Una fitta di dolore, inaspettata.
La vista mi si annebbiò. Tutto intorno a me divenne distante... sempre più sfuocato e fui scossa da un brivido.
Una fitta acuta si propagò alla schiena. Un senso di vertigine mi obbligò ad accasciarmi all'indietro. Massimo allentò la presa, incapace di trattenermi.
La gamba destra cedette, portando con sé il resto del corpo e stramazzai a terra.
Supina, guardai il soffitto sopra di me. Immobile. E le mie palpebre tentarono di chiudersi.
Un senso di caldo umido sfiorò la mia pelle e una macchia di sangue si allargò sul pavimento, raccogliendosi in una pozza.
Fabrizio mi aveva sparato. Era finita... lui mi aveva salvato...
"Metti subito a terra la pistola e allontanati!" la voce di Fabrizio mi arrivava da lontano adesso. Quasi impercettibile.
Stavo perdendo i sensi.
"Brutto figlio di puttana! Che cosa le hai fatto?!" urlò Massimo disperato.
Puntò la pistola contro di lui, mantenendo la canna ferma come la voce, "Non ne avevi il diritto!" ammise sconsolato.
"Posa la pistola a terra, alza le mani e fai un passo indietro!" gli ordinò ancora Fabrizio, senza ribattere, continuando a tenerlo di mira.
"Non è così che doveva finire..."
"Posa la pistola a terra!"
"Non avrebbe dovuto lasciarmi..." bisbigliò, "Non avrebbe dovuto scappare..." la disperazione tornò a riempirgli la testa, "Torna a casa con me, Chiara... te ne prego... torna a casa..." supplicò di nuovo abbattuto parlando con me, come se mi avesse di fronte.
"Fai quello che ti ho detto! Subito!" gli intimò ancora Fabrizio.
A quelle parole Massimo si risvegliò, come da un sogno. Come se la sua mente avesse compiuto un salto temporale e si fosse ritrovato in quella stanza per la prima volta.
"Chi sei tu? Che cosa vuoi da lei? Eh? Lei è mia moglie! Perché l'hai portata qui?" inarcò le sopracciglia. Sembrava confuso.
"Conterò fino a tre... Poi metterai giù la pistola..."
"Perché l'hai convinta a seguirti? Tu non l'avrai... Mai!!" gli gridò di nuovo, furente di gelosia.
"Uno..."
"Eravamo felici! Tu non sai quanto... Lei era felice con me... E lo sarebbe ancora se non fossi arrivato tu!" ribadì ancora Massimo, piangendo isterico e convinto di quella falsità.
"Due..."
"Non volevo farle del male... E' colpa sua se l'ho fatto! Non mi ha lasciato scelta... E' solo colpa sua!" sbraitò di nuovo, incollerito, "Continuava a provocarmi... Tutti i santi giorni... Mi ci ha costretto! Se l'è meritato!" di nuovo la sua voce pareva quella di un altro. Nevrotica. La mascella serrata, il tono agitato.
"Non farlo! Metti giù la pistola!" gli comandò ancora Fabrizio.
"Lei è mia!" la sua voce era rotta dai singhiozzi, "Tu non sei nessuno... Lei non ti ama..." proseguì Massimo sempre più trafelato, "Mettitelo bene in testa. Lei ama me!"
Udii uno sparo. A cui ne seguì un altro ed un tonfo sordo di un corpo che crollava a terra.
Quel suono mi rianimò all'istante.
Faticai a respirare al pensiero che potesse essere Fabrizio il corpo che avevo udito cadere.
Non doveva essere lui...
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