CAPITOLO 40
Presi il cellulare e telefonai a Silvie. Mi era consentito chiamarla e non si sarebbe irritato. Lei mi avrebbe aiutato... chiamando l'amica di cui ti ho parlato prima, per me.
L'avevo conosciuta per caso: bazzicava spesso nella mia zona, ma non ci eravamo mai parlate. Fu lei a farlo per prima una mattina...
Parlava francese per lo più, ma non era un problema per me. Conoscevo perfettamente quella lingua.
Viveva sola. In realtà non mi aveva mai svelato molto della sua famiglia. Sospettavo addirittura non ne avesse più. Ad ogni modo cercava lavoro, si sarebbe adattata a tutto e presto entrammo in confidenza, tanto che le avevo confidato della mia vita coniugale.
Ne era rimasta sconvolta: anche lei, più volte, mi aveva spinto a lasciarlo, ma non ero ancora pronta per farlo allora, fino a quella sera.
Una cosa mi aveva colpito di lei: per uno strano scherzo della natura, ci assomigliavamo tantissimo. Io ero bionda coi capelli lunghi e lei castana coi capelli sopra alle spalle. Ma il taglio degli occhi, le sopracciglia, l'ovale del viso... erano simili, così come la nostra altezza.
Aveva un non so che di familiare e per questo le avevo chiesto spesso di coprirmi per qualche ora sostituendomi sul lavoro. Non parlavo molto con gli altri colleghi; il suo accento francese non mi avrebbe tradito. Con la cuffia bianca in testa ci confondevamo.
Si chiamava Adele. Lo aveva fatto già altre volte. Soprattutto durante il terzo turno, quando lavorava meno gente. Lasciavo sempre il mio badge di lavoro nello stipetto e lei aveva un doppione della chiave per poterlo aprire. Poteva timbrare per me.
Le davo dieci euro in nero all'ora e a lei bastavano. Come lei serviva a me per poter essere sempre presente e non farmi licenziare.
Questo era quello che Massimo auspicava: che potessero trovarmi in difetto in qualche modo e fossero costretti a farlo. E così, spesso, trovava un modo per intralciarmi o faceva in modo che non arrivassi puntuale... almeno così credeva...
Anche quella sera, comunque mi avrebbe coperto...
Prima di uscire mi gettai sotto la doccia. Dovevo togliermelo di dosso. Cancellare ogni traccia di lui sulla mia pelle...
Poi mi rivestii, presi di corsa la borsa e il marsupio ed uscii.
C'era più traffico del previsto per la strada quella sera e impiegai più tempo del solito ad attraversare la città.
Il mio cellulare squillò puntuale nella mia tasca. Guardai allarmata al di là del finestrino dell'autobus, su cui ero ancora. La fermata era vicina. Dovevo scendere per rispondere! Prenotai velocemente e tornai a scrutare fuori.
Andavamo al rallentatore...
Massimo non voleva prendessi l'autobus. Era terribilmente geloso. Potevo servirmi solo della navetta. Se se ne fosse accorto, sarebbe stato un guaio per me.
L'autobus procedette lentamente, accennando a fermarsi.
"Coraggio! Avanti, apri le porte..." supplicai tra i denti.
Il telefono continuava a squillare ed ogni volta mi si accendeva una fitta in petto.
L'autista procedeva con calma. Scrupoloso. Attento a rientrare dentro i margini gialli riservati alla fermata prima di aprire le porte...
Ancora uno squillo...
Non appena mi si aprì un varco davanti, saltai giù. Lo stridore dei freni del pullman mi seguì. Schermai il cellulare con una mano per impedirgli di riconoscere il rumore delle auto, che sfrecciavano sulla strada e risposi.
"Pronto..."
"Santo Dio! Che cosa stai facendo? Ci hai messo un secolo a rispondere!" fece scontroso, "Lo sai che non mi piace!"
"Scusa... Non ti ho sentito... Deve essere per il rumore dei macchinari" mi giustificai.
"Mmm... Sei già al colorificio quindi? Sei riuscita a prendere la navetta?" si informò.
"Sì... ce l'ho fatta. Appena in tempo" risposi, cercando di controllare l'agitazione, "Ora sono qui..."
Il semaforo scattò il rosso e il traffico miracolosamente si fermò. L'autobus era ancora fermo al mio fianco. In cuor mio pregai che non ripartisse, con il suo roboante frastuono o avrebbe capito che quella non era la verità.
"Temevo l'avessi persa per colpa della nostra... voglia improvvisa" ridacchiò .
Bastardo! Ecco quello che era... un pazzo bastardo! Dentro di me sperai che un giorno dovesse soffrire quanto stava facendo soffrire me. Non di più... Mi bastava allo stesso modo.
"Non l'ho persa. Te l'ho già detto" risposi disgustata.
"Ti sento strana..." il suo tono era sospettoso.
"Magari è disturbato, qui dove mi trovo... Ci sono i macchinari accesi. Anzi, puoi chiamarmi tra un quarto d'ora? Così mi allontano" gli suggerii.
Il semaforo per i pedoni diventò giallo. Alcune persone attraversarono di corsa.
"Va bene" sbuffò irritato,"Ti chiamo dopo"
"Grazie" replicai.
"Ma vedi di non farmi aspettare questa volta. Non lo sopporto!"
"Sta tranquillo. Non succederà" dovevo sembrare remissiva per convincerlo.
Riagganciò appena in tempo che l'autobus si mise in movimento, accelerando. Seguito dal rombo delle macchine e delle moto.
Non avevo più tempo da perdere.
Ripresi la strada a piedi, per essere più svelta. Il colorificio si trovava in una zona industriale, appena fuori dal centro. Ma ormai ero vicina. Dovevo recarmici in fretta. Temevo avesse dei dubbi e mi raggiungesse, come aveva già fatto altre volte.
Le gambe mi formicolavano per la corsa che intrapresi e la milza mi doleva per lo sforzo, così come il costato, ma per le botte subite.
Man mano che mi avvicinavo però, c'era qualcosa che non andava. C'era uno strano bagliore rossastro in cielo. E nell'aria si sentiva uno strano odore di bruciato. Cominciai a fissarlo e corsi più veloce. Non c'erano molti edifici in quella zona e cominciai ad avere uno strano presentimento.
Quando mi trovai il colorificio davanti, ne ebbi la conferma.
Stava andando a fuoco.
Il mio primo pensiero fu Adele.
Mi precipitai all'ingresso, ma l'entrata era bloccata. Guardai dentro attraverso le finestre del piano terra: fiamme alte si stavano diffondendo, contorcendosi, dappertutto. Cercai un altro passo ed entrai lo stesso. Il fumo mi investì all'istante non appena fui dentro, impedendomi il respiro normale. Non incontrai nessuno, ma udii delle grida in lontananza.
La cercai, disperata, urlando il suo nome. Lei era lì per colpa mia! Ma di lei non c'era traccia.
Dovevo correre... sbrigarmi...
Contemplai il soffitto, tossendo, senza quasi riuscire a riprendere fiato, cercando invano di allontanare il fumo dagli occhi. Lingue di fuoco si stavano propagando ovunque, con continue piccole esplosioni.
Presto sarebbe crollato tutto.
Mi guardai intorno in preda al panico. I bidoni di solvente tremolavano dietro le fiamme. Sarebbero esplosi di lì a poco. Sentivo gli occhi bruciare per il fumo, completamente stravolta. Li strizzai un paio di volte cercando di farmi largo tra i rottami e uno scoppio più forte mi fece trasalire.
Arrancai, scossa dai colpi di tosse. I primi fusti di vernice saltarono. Urla lontane mi rimbombarono nelle orecchie ed il cuore cominciò a battermi all'impazzata nel petto.
Un altro colpo di tosse mi bruciò la gola e il fumo mi riempì i polmoni quando tentai di riprendere il respiro. Una puzza soffocante e pungente di plastica e vernice che andavano a fuoco, mi spinse a tapparmi il naso con un lembo della maglia.
Dovevo trovarla! Fosse stata l'ultima cosa che facevo!
Esitai a proseguire. Non sembrava sicuro farlo. Ma dovevo rischiare... lo dovevo fare!
Tossii ancora e la gola fu di nuovo invasa dal fumo acre.
Pezzi di legno piovevano dal soffitto, cadendo come schegge davanti a me e pezzi di carta, in fiamme, fluttuavano nell'aria. Barcollai, zoppicando tentando di avanzare ancora.
Un rumore, come il rombo di un tuono metallico, mi fece immediatamente alzare gli occhi. Le travi, inghiottite dalle fiamme, si staccarono dal tetto, scricchiolando. Le fissai mentre cadevano, terrorizzata.
Riuscii ad evitare l'impatto per un pelo.
Fu allora che la scorsi a terra"
M'interruppi ancora, restia a ricordare ciò che era successo e quando ripresi a parlare, avevo la voce arocchita.
"La raggiunsi spingendo contro la coltre grigia di fumo e mi accasciai a terra su di lei. La fissai e capii quello che era accaduto.
Non un alito di vita c'era ormai in lei. Un grosso pilastro di cemento, le era piombato addosso, fermandole il cuore. Guardai la sua faccia sporca di fuliggine e i suoi occhi ancora sgranati. Un rivolo di sangue gli solcava il viso, uscendo dal naso e sentii gli occhi pizzicarmi.
Non avrei dovuto chiederglielo... Era morta al posto mio.
Eppure, nonostante quel dolore di cui avrei avuto rimorso per sempre, la sua morte, all'improvviso mi si offriva come un'occasione. L'occasione perfetta di vivere di nuovo... di sperare veramente... Quella necessità di fuggire che nutrivo in cuore, sperando solo che non mi seguisse, diventava certezza che non l'avrebbe fatto, se mi fossi mossa bene. Quella era l'opportunità che cercavo.
Forse sarei bruciata all'inferno un giorno, per averlo ragionato... ma quella notte sarei morta anch'io, come doveva essere. Avevo un disperato bisogno di farlo. Adesso sapevo di doverlo fare. Non avrei più vissuto nemmeno un altro istante della mia squallida vita. Non avrei più versato una sola lacrima... Non più... perché la morte mi avrebbe nascosto.
Sapeva che ero al lavoro... Nessuno immaginava ci fosse un'altra al mio posto. Tanto meno lui.
Adele aveva timbrato il mio cartellino. Io ero lì da sempre...
Sarei deceduta anch'io quella notte...
Lo desideravo con tutta me stessa e così avrei fatto!
Frugai nelle tasche della sua giacca... dei suoi pantaloni... ansiosa, agitata... finché non li trovai. Presi i suoi documenti e me li misi in tasca. Trovai le chiavi della sua macchina, una vecchia 600 rossa e feci lo stesso. Mi sarebbe servita, per scappare!
Quindi lasciai cadere i miei a terra. Mi sfilai dal dito la fede e feci lo stesso. Tastai il marsupio e afferrato il cellulare, lo gettai lontano.
Poi mi rialzai tossendo per il fumo... Mi guardai intorno rapidamente, valutando la direzione più sicura da prendere.
Scossi la testa guardandola per l'ultima volta e mi allontanai.
Potevo sperare solo nel perdono di Dio, adesso. Ma non nel mio... quello non sarebbe arrivato mai...
Lacrime roventi continuarono a scendere, incontenibili, dai miei occhi, quando ripensai al motivo per cui lei era lì. Riuscii a salvarmi, passando miracolosamente da una finestra, negli spogliatoi, dileguandomi nel buio tra le sirene dei pompieri e delle ambulanze.
Avrei vissuto ogni istante che mi restava ancora da vivere con quel rimorso... lei..."
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