CAPITOLO 4
Raggiungere il posto non fu difficile. Le indicazioni che mi aveva dato quello sconosciuto, erano esatte. Passato il tunnel, mi ero trovata di fronte alle luci del centro di Cervinia. I negozi e i bar che trovai lungo la strada erano già chiusi. Era tardi. Solo gli alberghi continuavano a rimanere aperti.
Un istante dopo mi ritrovai all'altro capo del paese. Accostai accanto alla chiesina che c'era in fondo e mi fermai. Mentre riflettevo, un fremito mi scosse. Faceva troppo freddo per tentare di dormire in macchina, nonostante all'inizio ci avessi pensato. Sospirai e ricontai gli spiccioli che avevo con me. Avrei speso ancora quei soldi. Poi davvero basta. Magari all'inizio del centro c'era qualcosa di economico per passare la notte.
Rassegnata tornai indietro e cercai un albergo. Il giorno dopo mi sarei occupata di trovare una sistemazione più stabile e un lavoro che mi aiutasse a mantenerla.
Una volta in camera feci una doccia calda e sprofondai nel letto. Ero stremata. Avevo guidato tutto il giorno, con un'agitazione addosso indicibile. E ora avevo bisogno di riposare un po', di riprendermi, di risistemare la mente.
Di lì a poco, senza nemmeno accorgermene, le mie palpebre si chiusero e mi abbandonai al sonno. Ma nemmeno in quel caso trovai la quiete: immagini penose riemersero dal mio inconscio confondendosi l'una nell'altra e tormentandomi l'anima, ancora una volta...
Dovevo correre... sbrigarmi... non c'era più tempo...
Contemplai il soffitto tossendo, senza quasi riuscire a riprendere fiato, cercando invano di allontanare il fumo dagli occhi. Lingue di fuoco si stavano diffondendo ovunque, con continue piccole esplosioni.
Presto sarebbe crollato tutto!
Mi guardai intorno in preda al panico. I bidoni di solvente tremolavano dietro le fiamme. Sarebbero esplosi di lì a poco. Sentivo gli occhi bruciare per il fumo, completamente stravolta. Li strizzai un paio di volte cercando di farmi largo tra i rottami e uno scoppio più forte mi fece trasalire.
I primi fusti di vernice erano saltati. Urla lontane mi rimbombarono nelle orecchie ed il cuore cominciò a battermi all'impazzata nel petto.
Un altro colpo di tosse mi bruciò la gola e il fumo mi riempì i polmoni quando tentai di riprendere il respiro. Una puzza soffocante e pungente di plastica e vernice, che andavano a fuoco, mi spinse a tapparmi il naso con un lembo della maglia.
Dovevo trovarla! Fosse stata l'ultima cosa che facevo!
Esitai a proseguire. Non sembrava sicuro farlo. Ma dovevo rischiare... Lo dovevo fare! Tossii ancora e la gola fu di nuovo invasa dal fumo acre.
Pezzi di legno piovevano dal soffitto, cadendo come schegge davanti a me e pezzi di carta in fiamme, fluttuavano nell'aria. Barcollai zoppicando, tentando di avanzare ancora.
Un rumore, come il rombo di un tuono metallico, mi fece immediatamente alzare gli occhi. Le travi, inghiottite dalle fiamme, si staccarono dal tetto, scricchiolando. Le fissai mentre cadevano, terrorizzata...
D'improvviso mi svegliai in preda al terrore... Mi alzai di scatto a sedere sul letto, cercando di rallentare il respiro e i battiti del mio cuore. Mi passai una mano sulla fronte sudata e chiusi gli occhi, cercando di cacciare quelle immagini strazianti.
Gli occhi mi si riempirono di lacrime.
Non dovevo piangere! Non dovevo!
Quando fossi riuscita a lasciare l'Italia avrei dimenticato; sarebbe stato tutto più facile... sì... più facile...
Avevo solo bisogno di tempo. Soltanto di quello.
Controllai con la vista appannata l'orologio che avevo posato sul comodino. Le sei e mezza. Dalla finestra filtrava appena il delicato chiarore dell'alba. Spostai le coperte e mi alzai posando i piedi sul pavimento di parquet, con l'intenzione di avvicinarmici e guardare fuori. Era sopportabile nonostante i miei piedi fossero nudi, ma l'aria della camera era gelata, troppo ghiacciata. Sfilai il piumone dal materasso e me lo posai sulle spalle, stringendolo attorno al collo. Il mio fiato appannò i vetri, quando sbircia fuori, sfocando la visuale che avevo sulla strada. La mia macchina era posteggiata proprio sotto la camera, vicino all'ingresso ancora illuminato.
Una corriera argentata con una appariscente scritta sulla fiancata ruppe il silenzio, sfrecciando veloce con un roboante frastuono.
Avevo bisogno di pantaloni e qualche maglione, pensai distratta. Silvie mi aveva dato il necessario, ma se intendevo fermarmi lì un po', non sarebbe bastato.
Pensai a lei... la mia unica zia rimasta.
"Va' lontano! Più lontano che puoi! Non pensare a me!" mi aveva detto con le lacrime agli occhi. "Non voltarti indietro per nessun motivo! Io starò bene...".
Lei sapeva la verità. L'avrebbe custodita con la sua stessa vita. Una stretta mi compresse il cuore al pensiero. Sperai ardentemente non dovesse mai pentirsene. Non avrei mai voluto le capitasse qualcosa a causa mia.
Voci appena sussurrate cominciarono a farsi sentire fuori, nel corridoio. Gli ospiti più mattinieri si stavano preparando per la colazione. Mi vestii anch'io e scesi al pian terreno per raggiungere il bar. Il mio stomaco brontolava da un po', dato il digiuno della sera prima. Non facevo un pasto decente ormai da due giorni e dovevo assolutamente mangiare qualcosa prima di mettermi in movimento.
C'erano già un paio di clienti al bar quando arrivai. Sembravano scalatori. I loro grossi zaini, posati a terra, parevano pesanti. Vi erano appesi ramponi, corde, racchette da neve e avevano un sacco a pelo arrotolato sotto. Stavano discutendo un'arrampicata, almeno così mi sembrò da alcune parole inglesi che colsi nei loro discorsi. Li oltrepassai lanciandogli una rapida occhiata e mi appoggiai anch'io al bancone, per fare la mia ordinazione.
Dovevo industriarmi a cercare casa, pensai, mentre sorseggiavo il mio cappuccino. Una sistemazione economica comunque. Non mi rimaneva ancora molto da poter spendere, non senza un lavoro.
"Senta, scusi..." dissi al ragazzo intento a preparare i caffè, richiamando la sua attenzione.
"Mi dica, signorina..." si avvicinò con un sorriso gentile.
I suoi occhi azzurri fissarono i miei. Aveva i capelli lisci, castani, ciuffi più chiari, sbiaditi dal sole li rischiaravano qua e là. La sua pelle era abbronzata, ma non arrossata come quando si trascorre una giornata al mare, era solo brunita con un cerchio marcato, ovale, più chiaro sopra il naso. Uno sciatore, probabilmente, a giudicare dal suo fisico asciutto. Del resto non sarebbe stato poi così insolito, visto il posto.
"Sto cercando un alloggio nei dintorni per qualche tempo, non è che per caso conosce qualcuno che affitta case? Mi accontento anche di un capanno, purché sia indipendente ed economico..." gli dissi, fingendo un sorriso.
D'istinto mi aggiustai i capelli dietro le orecchie, per poi posarle sulla tazza calda cercando di scaldarmele e lo guardai speranzosa. Lui appoggiò i gomiti al bancone, sospendendo il suo lavoro e parve concentrarsi a pensare per un istante.
"Beh... io conosco Brunod che ha delle case vuote nei dintorni. Non sono in centro però. Può chiedere a lui se le interessa" mi disse alzando le spalle.
Fuori dal centro... sarebbe stato perfetto, pensai. Intanto perché sarei rimasta nascosta e poi senz'altro sarebbero state più modeste, economicamente, rispetto a Cervinia. E questa era un'altra delle cose che mi interessava.
"E dove posso trovarlo?" gli chiesi fiduciosa.
"Ha un ristorante in fondo a Cervinia. Appena sopra il centro... La Maison... Ci sono le indicazioni in paese, non si può sbagliare se le segue" precisò, "E' un tipo disponibile. Le verrà incontro, se può. Può dirgli che la mando io... Mi chiamo Davide..." così dicendo mi porse la mano in attesa della mia e mi fissò amichevolmente.
"Grazie, Davide" gli risposi stringendola, senza presentarmi .
Le sue dita energiche si intrecciarono alle mie con decisione, mentre mi guardava incerto. Le sfilai velocemente. Non volevo avere contatti con nessuno.
"Proverò..." continuai senza scompormi
I suoi occhi si soffermarono sui miei, costringendomi ad abbassarli.
Pagai il conto ed uscii per prendere la macchina e cercare La Maison.
Il freddo di quella mattina era pungente sulla faccia, nonostante nel cielo azzurro, brillasse un sole già abbagliante. Mi strinsi nella giacca di panno nera, rabbrividendo. I jeans che avvolgevano le mie gambe, erano ghiacciati a contatto con la mia pelle e gli stivaletti che avevo ai piedi non bastavano a scaldarli. Eppure, nonostante tutto, quell'aria fresca e pulita, che mi riempì i polmoni quando respirai, mi diede un senso di pace inaspettata. Era come se non avessi mai respirato davvero fino ad allora, come se lo avessi fatto per la prima volta solo in quell'istante. Chiusi le palpebre e mi lasciai travolgere da quella sensazione. L'aria mi ripulì l'anima, soffiando leggera sulla mia pelle accarezzata dal sole.
Mi guardai intorno ed alzai lo sguardo verso le montagne. Una piramide perfetta, con le sue basi massicce e la cima innevata, slanciata verso il cielo, mi riempì gli occhi. Il Cervino, il più nobile ed elegante scoglio d'Italia mi guardava dall'alto della sua imponenza, spiccando le sue forme maestose contro il blu. Cascatelle si intravedevano scendere lungo i suoi fianchi e quelli delle montagne più basse accanto. Un grosso ghiacciaio cristallino incanalato tra le rocce offriva uno tra gli spettacoli più impressionanti e suggestivi. A quella vista ogni timore rimase sospeso, ogni rimorso sopito. Niente mi aveva mai emozionato tanto. Rimasi così, senza fiatare per un interminabile istante.
Quel luogo mi attirava a sé. Per un insolito motivo lo stava facendo. Pareva infondermi un coraggio che non sospettavo di avere e mi avrebbe ridato le forze per andare avanti. Forze che il tempo mi aveva tolto, ma che ora sapevo di avere ancora, in fondo a me stessa...
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro