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CAPITOLO 39

 "Avrei fatto il terzo turno al colorificio, quel giorno: dalle otto alle quattro" continuai, "Lui era più nervoso del solito quella mattina. Gli sarebbe toccato il secondo turno... fino alle dieci di sera e avrei potuto andare al colorificio. Lo sapeva... e non voleva...

Pensavo di non vederlo fino all'uscita dal lavoro e invece alle sette...

Mi stavo preparando per uscire, che me lo trovai alle spalle.

Non lo avevo sentito entrare, come succedeva sempre.

"Sei già pronta?" mi chiese calmo.

Mi voltai. Era sorridente. Appoggiato al battente della porta della camera da letto e mi guardava, con sguardo assente, pensando ad altro.

Indossava la divisa, come era giusto che fosse, visto che avrebbe dovuto essere al lavoro.

"Quasi..." risposi, contraccambiando il suo sorriso forzatamente.

Misi la maglia e aggiustai il colletto, che Massimo fece un passo verso di me. Appoggiò il berretto sul comò e puntò lo sguardo su di me.

Era diverso da prima.

"Perché vuoi continuare a lavorare?" il suo atteggiamento stava cambiando. Ormai lo conoscevo bene.

"Ne abbiamo già parlato. Non sarà ancora per molto. Lasciami finire quest'anno, poi mi fermerò..." cercai di apparire tranquilla, ma temevo sarebbe finita come sempre.

Mi diressi verso la porta e lui anticipò le mie mosse, impedendomi di uscire. Mi afferrò stretta per un braccio e mi colpì veloce con un violento schiaffo. Il mio labbro cominciò a sanguinare, ma non piansi e non dissi nulla.

Immobile.

Si sarebbe arrabbiato di più se lo avessi fatto.

Strinse con forza le mie guance, facendomi arricciare la bocca. Lo sguardo pieno d'odio.

"C'è un uomo di mezzo, eh?! E' per questo, vero?! Confessalo! Sei una sgualdrina!" c'era furia nella sua voce e i suoi occhi erano spiritati, "Una sporca sgualdrina!" mi urlò contro.

"Non c'è nessuno. Lo sai..." feci con voce tremante, strattonandomi e cercando ancora di uscire dalla camera. Ma lui mi afferrò di nuovo alle spalle per i capelli e mi gettò sul letto.

"Non ho ancora finito con te!" mi diede un altro schiaffo, questa volta più brutale, "Perché mi costringi sempre a chiederti scusa? Perché lo vuoi?" mi inveì contro.

Si gettò su di me e mi sferzò un pugno fortissimo sotto lo sterno. Le sue ginocchia puntate sulle mie gambe mi impedivano di voltarmi per poter scansare i colpi che mi diede sulle orecchie. Poi in un impeto di follia afferrò il cuscino e me lo sbatté sulla faccia.

Schiacciandolo sul mio viso. Impedendomi di respirare.

Venni assalita da una vertigine. Il dolore che provavo allo stomaco mi trafiggeva come una lama e il respiro mi era impedito. Con le mani annaspavo nel vuoto cercando di resistere, ma le forze mi mancavano. Mi stavano abbandonando. Sarei svenuta. Forse sarei morta. Non mi importava più. Tutto purché non dovessi più vivere neanche un solo secondo in quello stato...

Lui, inaspettatamente, lasciò la presa. Staccò il cuscino dal mio viso e l'aria tornò a riempirmi i polmoni. Respirai con foga all'inizio, poi più lentamente. Vagai lo sguardo intorno, spaventata. Sicura che fosse ancora lì. Ma di lui non c'era traccia. Un senso di nausea mi impedì di rialzarmi subito. Le guance mi si rigarono di lacrime.

Lo sentii armeggiare con i bicchieri e capii che si trovava in salotto.

Provai a stento a sedermi sul letto, con una fitta atroce al costato, che si faceva sentire ad ogni respiro.

Quella era l'ultima volta che mi picchiava. Non glielo avrei permesso più!

Con una mano sullo stomaco, barcollai tremando fino al bagno e vomitai, piangendo.

Dovevo andarmene: la prossima volta mi avrebbe ucciso.

Tastai sotto il lavabo e ne tirai fuori un sacchetto trasparente. Attenta a non fare troppo rumore lo spiegai e contai i soldi che ero riuscita a mettere insieme: trecento euro quasi.

Pochi, ma mi dovevano bastare... almeno per subito....

Aguzzi l'udito, attenta ai rumori che venivano da fuori...

Silenzio.

C'era una borsa sotto il tappeto sul pavimento. Ero riuscita a crearmi una specie di vano segreto sotto le piastrelle. Erano grandi; me ne erano bastate due. Non ero riuscita a metterci molti indumenti, ma potevano bastare.

Pazienza.

Misi dentro i soldi nascondendoli in una maglia e mi apprestai ad uscire.

Stavo varcando la porta, quando Massimo tornò con un bicchiere mezzo pieno di vodka in mano.

Sobbalzai impercettibilmente alla sua vista.

Non avrebbe dovuto bere. Era in servizio. Ma lui faceva quello che voleva anche lì...

"Vai a lavorare, allora?" mi chiese, vuotandolo in un solo sorso. Non notò neanche la borsa che avevo a tracolla. Era troppo preso da altro. Di nuovo sembrava tranquillo. E soprattutto pareva che me lo chiedesse per la prima volta.

Gettai un'occhiata all'orologio che avevo al polso e mi aggiustai la sacca sulla spalla.

"E' tardi... Sì... Devo andare..." replicai come se non fosse successo niente, cercando di fermare il tremito della voce e delle mani.

Mi bruciavano le orecchie, per i colpi che avevo subito e il petto mi doleva ad ogni respiro, che cercavo di trattenere...

Se mi fossi mostrata dolorante o risentita si sarebbe arrabbiato di nuovo. Lo sapevo...

"Ti sta bene la maglia! E' nuova? Non te l'ho mai vista indosso" mi parlava come se stessimo conversando amabilmente del più e del meno. Con serenità.

"No... c'è l'ho da tanto. Però è vero, la metto poco" cercai di assecondarlo, fingendo indifferenza.

Lo odiavo con tutta me stessa. Dentro di me la rabbia urlava insieme al dolore fisico, ma non volevo se ne accorgesse o non avrei potuto seguire i miei piani...

Era un pazzo! Non c'era altra giustificazione al suo comportamento. Mi avrebbe ucciso prima o poi... Lo sentivo..." commentai a Davide, prima di riprendere il mio racconto.

"Mi avviai verso l'ingresso, intenzionata a prendere la giacca per uscire. Mi mancava poco ormai...

Massimo mi seguì e mi fece voltare stringendomi a sé.

La borsa che avevo a tracolla cadde a terra.

Deglutii a stento.

Non potevo mostrarmi nervosa: si sarebbe insospettito

"Non hai ancora un po' di tempo per me?" mi domandò amorevolmente.

"Pensavo dovessi tornare al lavoro" gli sorrisi assecondando la sua stretta, "Non finisci il turno alle dieci?" cercai di distrarlo, ma intuivo dove voleva arrivare.

Succedeva sempre alla fine della sua furia contro di me. Come una specie di rituale, una sorta di comportamento fisso di cui aveva bisogno per tornare alla normalità.

"Posso fare una pausa..." sussurrò al mio orecchio, "Che ne dici?"

Le sue labbra umide si incollarono alle mie. Sentivo la puzza dell'alcool uscire dalle sue narici insieme al fiato. Una botta di nausea mi colse nuovamente, ma non per il male questa volta. La ricacciai indietro.

"Ti amo, Chiara... Tu non sai quanto..." mi bisbigliò.

"Lo so..." riuscii a dirgli, baciandolo sulla guancia, per non farlo irritare.

La sua mano scivolò sul mio fondoschiena e lo palpeggiò avvicinandosi di più. Si strusciò contro di me, eccitato.

"Ti piace, eh?" mi chiese accalorato.

I suoi occhi indemoniati brillavano di lussuria.

Sentivo il suo tanfo ripugnante dappertutto. Avrei voluto scappare, urlare, difendermi...

Ma non feci niente di tutto questo.

Lui si tolse la giacca e il cinturone con lo spallaccio e lo lasciò cadere a terra. Allentò la cravatta e tornò a toccarmi.

Si passò il dorso della mano sulle labbra e mi guardò in maniera vogliosa...

Quella fu l'ultima volta che approfittò di me...

Tutto il tempo che lo ebbi addosso, mi costrinsi a fingere, vivendo ogni istante come se non ci fossi io trattenuta in quello schifo. Come se io fossi un'altra... Non volevo sentire le sue mani oscene che mi toccavano... il suo puzzo rivoltante... il suo corpo..." grosse lacrime mi segnarono il viso, ma non mi interruppi, né lo fece Davide.

"Ci vediamo alle quattro, principessa... Vengo a prenderti... Cerca di essere puntuale, per una volta" fece strizzandomi un occhio sulla porta di casa.

"Non vedo l'ora..." esclamai, trattenendo il fiato.

Uscì.

Solo allora i miei polmoni si vuotarono dell'aria che avevo trattenuto.

Le quattro... E poi la mia vita sarebbe tornata un incubo se fossi rimasta...

Tornai a guardare l'ora: non ce l'avrei fatta ad andare a lavorare in orario. Ormai avevo perso la navetta, che mi avrebbe portato proprio lì davanti e ora ci avrei messo quasi un'ora. Avrei dovuto cambiare due autobus e percorrere un pezzo di strada a piedi, allungando i tempi...

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