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CAPITOLO 37

Lavorai instancabile tutta la mattina, senza perdermi troppo nei discorsi. Davide ci raggiunse nelle prime ore del pomeriggio e si unì anche il signor Brunod per quell'occasione. Io mi occupavo della decorazione dell'albero all'entrata, per non dover stare troppo con loro e della porta principale.

Quel giorno proprio non mi andava. Avevo troppi pensieri in testa... troppi tormenti...

Era una fredda giornata d'inverno ormai: un morbido manto di neve ricopriva ogni cosa, nascondendola alla vista.

Con quel freddo tutto era diventato lento; si era assopito. Anche gli alberi, che avevo intorno, parevano dormire, coi rami rivolti verso il cielo: appuntiti, scuri, ma non per questo tristi come invece mi sentivo io.

Anche l'odore dell'aria era cambiato. Il modo di alitare penetrante del vento, o lo scorrere pacato dell'acqua nei rivi... tutto pareva più malinconico, come in attesa di qualcosa...

Stavo appendendo una ghirlanda all'esterno della porta d'ingresso, quando udii inaspettatamente una voce che mi chiamava alle spalle...

"Chiara?!"

Mi voltai immediatamente a quel richiamo e subito mi impietrii: il suo viso era scuro, in attesa...

Un brivido mi percorse da capo a piedi.

Fabrizio in piedi davanti a me, mi guardava stranito. Attonito e allo stesso tempo riluttante a crederlo vero. Tenendo un foglio tra le mani. Stringendolo con forza, quasi a sfogare con quel gesto una tensione che tratteneva a fatica.

Deglutii a stento e il mio sguardo sfuggì, nervosamente, il suo. Improvvisamente senza fiato. Infilzata da quel nome, che mi squarciava dentro.

Non volevo credere lo avesse pronunciato. Non era vero!

Ma sul suo volto non c'era traccia di indecisione o di sbagli, solo incredulità.

Non risposi.

"Che sta succedendo? Cos'è uno scherzo?" continuò fingendo un sorriso. Fece una pausa prima di continuare, "Vuoi dirmelo per favore..."

Restai in silenzio. Che cosa avrei potuto dire ormai? La verità stava venendo a galla...

"Cos'è questo?" mi domandò avvicinandosi e facendo svolazzare quel pezzo di carta davanti a me.

Sussultai al suono forte della sua voce, evitando di prestarvi attenzione. In un ultimo, inutile tentativo di negare il mio passato.

Deglutii.

"Non ne ho idea" tentai.

Non sapevo che cosa aveva visto in quel foglio, ma sicuramente era qualcosa che mi riguardava. Ormai non avevo dubbi..

"Non ne hai idea, eh?!" me lo pose sotto gli occhi, costringendomi a fissarlo.

"Chi cazzo è Chiara Villo"

Trasalii ancora.

"Non lo so..." riuscii a dire con un filo di voce.

Mi morsi il labbro inferiore per non mettermi a piangere.

Ormai non avrei avuto più il tempo per confessare la verità, ma soltanto quello per tentare di giustificarmi perché non lo avevo fatto. E forse non sarebbe servito... I suoi occhi erano scuri, risentiti... per qualcosa che era venuto a sapere e che ormai non potevo più nascondere..

"Non lo sai, eh?!" esplose alzando di più la voce.

Sobbalzai di nuovo.

"C'è un uomo per Cevinia: sta cercando Chiara Villo. Dice che è sospettata di omicidio colposo plurimo. Che è il marito e che vuole convincerla a costituirsi prima che l'arrestino"

Il marito! - ripetei inorridita nella mente, concentrandomi soltanto su quella frase.

Il mio cuore perse un battito.

Dio, no! Ti prego!

"Sta mostrando in giro queste foto..." continuò, "Una donna... coi capelli biondi, lunghi, la stessa con i capelli corti neri e una esattamente come li porti tu..."

Il foglio era diviso in tre parti infatti: in ciascuna esattamente le immagini che mi aveva appena descritto.

Restò invano in attesa di una mia replica che non arrivò.

"Guardala, Cristo!" me l'avvicinò di più sotto il naso, "Sei tu!!!"urlò.

Rimasi in silenzio, cercando di riprendermi. La mia voce era strozzata. Non riuscivo a parlare. Mandare giù il nodo che la serrava era quasi impossibile.

"Che cosa hai fatto, dannazione?! Dimmelo!" strillò arrabbiato.

"Non è come credi..." feci trattenendo le lacrime a stento, "Davvero Fabrizio..."

Mi voltò le spalle con le mani ai fianchi. Incapace di stare fermo in un posto. Quasi stesse seguendo un pensiero preciso nella sua testa e non ci fosse modo di sviarlo.

Si passò una mano tra i capelli e si voltò di nuovo a fissarmi. Con collera. Con rancore.

"E che cosa dovrei credere, eh? Dimmelo tu cosa!" mi inchiodò con sdegno, "Alle bugie che mi hai raccontato in tutto questo tempo? Dovrei credere a quelle?"

Pareva incapace di dire altro nella disperata ricerca di una verità che non fosse tale.

Non una parola uscì dalla mia bocca. Sarebbe stato inutile: lui aveva già deciso tutto. Non sarebbe servito più a niente...

Mi fissò incollerito, poi chiuse gli occhi e strinse le labbra.

La mascella serrata a trattenere la rabbia.

"Stupido!" si disse, "Sono stato solo uno stupido! Uno..."

"Non ho fatto niente, Fabrizio" provai interrompendolo.

Non mi considerò.

"Come ho fatto a fidarmi di te? A lasciare che tu..."

"Lasciami spiegare, ti prego! Non ti ho mentito. Ascoltami... volevo dirtelo. L'avrei fatto. ma..."

Non mi permise di continuare.

"Dimmi solo una cosa: ti chiami Chiara Villo?" mi domandò a bruciapelo, quasi sperando ancora che non fosse vero.

Annuii soltanto.

Non serviva spiegare: non mi avrebbe ascoltato. Era questa la cosa che avevo sempre temuto: che non mi discolpasse. Che anche lui mi condannasse, senza se e senza ma... solo perché me lo meritavo... senza una ragione... come era accaduto continuamente.

Grosse e pesanti lacrime mi rigarono il viso.

"Chiara..." ripeté tra i denti, passandosi di nuovo una mano tra i capelli.

Un nodo nitido gli serrava la gola. Una maschera di disperazione disegnata dalle pieghe del suo viso...

"Lasciami spiegare, ti prego" implorai ancora piangendo, in un ultimo tentativo.

Mi bloccò puntandomi una mano.

"Io mi fidavo di te! Ti ho lasciato entrare nella mia vita! Mia figlia! Martina si è fidata di te! Si è affezionata a te! Come hai potuto farle questo? Perchè?" sbraitò infuriato, senza darmi ascolto, "Che dovrei dirle adesso? Eh?"

Si passò ancora una mano tra i capelli, sempre più furioso. Come a cercare di sfogare la rabbia che aveva dentro in quel modo.

"Che mi sono messa con un uomo sbagliato... dal quale ho voluto scappare, credendo di avere ancora una possibilità di tornare a vivere..." dissi con tutta la voce che avevo ancora, "Ho fatto soltanto questo, Fabrizio... solo questo"

Mi puntò gli occhi, lucidi di delusione.

"Perché dovrei pensare che mi stai dicendo la verità adesso? Tu mi hai mentito! Sempre!" fece aspramente.

"Mi picchiava, Fabrizio! Tutti i giorni! Sono solo scappata... Io non ho ucciso nessuno... Te lo giuro!" lo implorai ad ascoltarmi.

"Come posso crederti..." disse ancora, scrollando la testa, "Non so neanche il tuo nome... Non so nemmeno chi sei!" il disprezzo sul suo volto mi ferì più di quello che avevo già subito.

Tutto quello che avevo tentato di ricostruire crollava inesorabilmente.

"Mi dispiace, Fabrizio. Mi dispiace non avertelo detto prima. Lo avrei fatto, te lo giuro... Non volevo far del male a nessuno..."

Chiuse ancora gli occhi per non dovermi guardare, quasi con quel gesto non mi volesse neppure ascoltare. Alzò le mani e indietreggiò di un passo.

"Te ne devi andare!" esclamò interrompendomi. I muscoli della sua mandibola si contrassero ancora visibilmente.

"... soprattutto a te" continuai affranta.

Si rifiutò di ascoltarmi. Non voleva lasciarsi commuovere da quelle parole... io non valevo più il suo perdono... non valevo il perdono di nessuno...

"Vattene!" aprì gli occhi e mi guardò truce, "Prima che lo sappiano tutti" gettò la foto a terra, con sprezzo. Quasi provasse schifo persino a tenerla tra le mani.

Si voltò e con le mani strette in un pugno si allontanò, senza dire altro.

La raccolsi con mani tremanti e la fissai tra le lacrime, incapace di reagire: mi aveva trovata. Era finita...

Un'altra volta mi aveva distrutto la vita. Non avrei trovato mai modo di fuggire da lui. Mi avrebbe sempre tenuto in trappola. Calpestando la mia dignità... ciò che ero ed avevo il diritto di essere.

Non riuscivo a pensare ad altro.

NO!

Non sarei tornata sua! Questa volta no!- mi dissi convinta.

Non contava più niente. Io non contavo più per nessuno... per Fabrizio. Lui non c'era più per me... e forse non c'era mai stato. L'avevo soltanto sperato, desiderato... sognato.

Ma contavo per me! Per me stessa!

Mi dovevo concentrare soltanto su questa verità, nonostante tutto. Fare un ultimo tentativo...

Il mio respiro si affannò ancora.

Tentai di ritrovare la lucidità dentro di me e decidere in fretta.

Forse avevo ancora un po' di tempo... non sapeva dove trovarmi esattamente.

Dovevo tornare alla baita, radunare le mie cose e andarmene in fretta. Non c'era più tempo da perdere.

Fabrizio stesso me lo aveva chiesto.

Era giunto il momento di farlo... e subito!

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