CAPITOLO 31
Attesi con ansia il giorno dopo e puntuale uscii per tornare a casa. Stefania non si era fatta vedere al lavoro quel giorno e temevo di conoscerne il motivo. Ma non riuscii a pensarci più di tanto. Ero troppo affannata da altro.
Una volta a casa, cercai nell'armadio qualcosa di speciale da indossare. Non avevo nulla, per la verità. Nella fretta di scappare avevo gettato nella sacca, poche cose, neanche mie, ma di Silvie. Non immaginavo ne avrei sentito la necessità. Mi sarebbe bastato rifugiarmi nella solitudine... non avrei avuto bisogno di altro. Ma tutto era cambiato, quando meno me lo aspettavo. Non avrei mai creduto potesse accadere, ma era successo.
Mi aggiustai i capelli nervosa. Rovistai ancora tra gli indumenti e ne tirai fuori una paio di pantaloni scoloriti blu, logori sulle ginocchia, ma che sapevo aderivano perfettamente alla mia figura snella. Poi infilai un maglioncino grigio, corto, sistemandolo a lungo finché non ne fui soddisfatta. Quando fui pronta mi guardai allo specchio. Avevo ripreso colore, notai. Il mio viso appariva disteso, ora. Un altro...
Ebbi appena il tempo di indossare gli scarponcini da trekking comprati ultimamente, che arrivò la jeep.
Ero felice che fosse lì e lessi la stessa emozione nel suo sguardo, quando lo raggiunsi.
Ci dirigemmo ancora verso Cervinia e prendemmo, con la macchina, una larga strada sterrata, a fianco della funivia, infilandoci tra gli alberi. C'era neve, sui bordi, ma si riusciva a proseguire bene lo stesso. Più avanzavamo e più saliva, addentrandosi nella vegetazione. La strada talora era appena visibile, nascosta dalla neve, ma Fabrizio sapeva dove andare, dove voleva arrivare. Oltrepassammo una malga e in cima alla salita, pian piano Fabrizio rallentò ed infine si fermò. Aprì la portiera e mi invitò a scendere.
"E' meglio proseguire a piedi. Te la senti?" mi domandò premuroso.
"Sì. Va bene" annuii.
Tagliammo per un sentiero che risaliva a mezza costa la cresta e iniziai a respirare sempre più a fatica a causa dell'altezza che avevamo raggiunto. Fabrizio talvolta rallentava il passo per aspettarmi ed aiutarmi nei tratti più innevati, finché non raggiungemmo la meta.
"Vieni!" mi disse porgendomi la mano per aiutarmi a raggiungerlo.
Quando gli fui accanto, quasi mi mancò il fiato. Un'onda di emozioni mi investì.
Ai piedi dei monti si apriva un bellissimo lago. Vestiva le sue acque di un colore blu intenso, sulle quali si specchiavano il Cervino e le cime delle montagne che lo racchiudevano. Il sole, nascosto da dense nuvole quel giorno, si intravedeva appena. Si riusciva a coglierne il tiepido bagliore, ma non i suoi raggi che rimanevano nascosti.
Un falco si librò alto su di noi e al suo passaggio rivolsi lo sguardo in alto, verso il cielo che pareva più vicino.
Restammo così, fissi ad ammirare quelle cime incontaminate e i crinali suggestivi che ci facevano da cornice. Senza fiatare, senza trovare il coraggio di rompere quel sovrumano silenzio che avvolgeva i sensi.
Fabrizio mi prese per mano e mi portò più avanti, fino ad uno scoglio a strapiombo sul lago. Un senso di vertigine mi scosse e lui la strinse di più.
La neve colorava di bianco le vette che avevamo di fronte. Una bellezza infinita, inviolata, interrotta soltanto dal sibilo del vento.
"Sediamoci un minuto..." propose Fabrizio, accomodandosi sulla roccia.
"E' meraviglioso qui!" commentai sbalordita, lasciando che la mia vista cogliesse ogni particolare, per imprigionarlo nella mente e non lasciarlo più andare.
"Già... Probabilmente è il mio posto preferito. Ci tenevo a fartelo vedere" aveva le ginocchia raccolte, trattenute dalle braccia e un velo di amarezza negli occhi.
"Ti ringrazio. E' bellissimo"
"Non ci vengo più da tanto tempo... forse troppo" confessò, guardando lontano.
Sedeva di fronte a me, la mente distante, triste. Sospettavo il perché di quella amarezza ed ora intuivo perché avesse voluto portarmi lì: voleva raccontarmi di lui...
"Venivi qui con lei?" gli domandai seria riferendomi alla moglie.
"Sì..." ammise cupo, "Sara l'adorava"
Abbassò lo sguardo e un nodo visibile gli serrò la gola al pensiero.
Doveva avergli voluto molto bene...
"Che tipo era?"
Sorrise al pensiero.
"Ti assomigliava: era un'incosciente" ruotai gli occhi al cielo quando mi fissò cercando di apparire sereno, "Guidava sempre senza catene, convinta che non le servissero; erano lì nel garage..." enfatizzò a gesti, "Ma lei si ostinava a non volerle mettere; C'è tempo, diceva, c'è ancora tempo. E poi si ritrovava a chiamarmi sorpresa, perché era rimasta bloccata nelle neve. Domandandosi perché mai fosse nevicato così presto" rise insieme a me.
Il nostro riso si spense presto, però. Non era spensierato ciò di cui parlavamo...
"Già... c'è ancora tempo, diceva..." si scurì nel dirlo e tornò a guardare avanti, quasi a lasciare che i ricordi continuassero a riempirgli la mente.
"Eravate sposati da tanto?" tentai di distrarlo.
Si voltò a guardarmi.
"Non da molto, anche se stavamo insieme da sempre. Martina è arrivata all'improvviso e abbiamo deciso di darle una famiglia vera. È stata lei il motivo del nostro matrimonio... Eravamo giovani..."
Sapevo cosa voleva dire con quell'eravamo "giovani quando ci siamo sposati"...
"La cosa che più mi opprime..." fece una pausa. Gli costava ammetterlo, "E' che non ho potuto fare niente per lei. Non ne sono stato capace..." .
Faticò a ingoiare la saliva e fece un profondo respiro.
Lo lasciai proseguire. Sapevo lo avrebbe fatto.
"Se n'è andata in una frazione di secondo. Senza preavviso... così... senza dir niente. Stavamo facendo colazione insieme ridendo e... e un attimo dopo... lei... non c'era più" il suo tono era quasi arrabbiato, "Non mi ha lasciato nemmeno il tempo di decidere che cosa fare, o di salutarla, o di dirle che non ce l'avevo con lei perchè mi lasciava sempre la macchina in riserva, o ancora una volta che le volevo bene, capisci? Se n'è andata..." mi fissò, "Per sempre!"
Chiuse gli occhi per cacciare indietro le lacrime che gli annebbiavano la vista.
Potevo solo a immaginare il suo dolore. Non riuscivo a parlare. La gola stretta in una morsa.
Non volevo crollare, non dovevo farlo...
Fabrizio raccolse un'ultima volta le forze e svelò ogni particolare...
"Avevamo lasciato Martina dai miei quel giorno. Mi aveva convinto a dedicarci una giornata tutta per noi. Avevamo deciso di andare a sciare. Era perfetto: una giornata fantastica: sole caldo, neve eccezionale... non mancava niente" sul suo viso comparve un'espressione assorta, "Tra lavoro e pannolini ormai ne avevamo poco di tempo: ci è sembrato giusto" si interruppe, i ricordi seguirono le sue parole.
Sentivo era arrivato alla parte più penosa del suo racconto.
"Lei non sapeva sciare bene... avrei dovuto ricordarmelo invece" confessò.
Il senso di colpa di nuovo prese in sopravvento.
"Dovevo impedirglielo..." la sua voce si incrinò, "Se non avesse fatto quella dannata curva. Se non avessimo preso la pista rossa.. lei..." il dolore si raccolse in una lacrima che gli rigò le gote.
I suoi occhi trovarono i miei, quasi a cercare in essi l'assoluzione per quella mancanza che mancanza non era.
"Sono io il solo responsabile... e non potrò mai perdonarmelo"
"Non dire così, non è stata colpa tua... E' stata solo una fatalità. Soltanto questo" volevo sollevarlo, ma non ne ero capace.
Non servì a nulla: si coprì il viso con le mani e scoppiò a piangere.
Un incidente... anche lei se l'era portata via una disgrazia.
Posai la mia mano sul suo braccio per fargli sentire che gli ero vicina, ma non ce la feci a parlare ancora.
Era diventato vedovo troppo velocemente. Odiava quell'idea e tutto ciò che significava: solitudine, mancanza, rimorso... e odiava se stesso convinto di esserne stato la causa.
Ora capivo perché evitava di pronunciare quella parola con la gente: dire che era vedovo accendeva un castigo troppo grande per lui... una condanna pericolosa perché ogni volta che ne parlava, moriva anche lui.
Restò a lungo così e lasciai che si sfogasse. Non c'era altro da fare. Solo condividere quella pena.
Quando si riprese respirò profondamente, buttando rumorosamente fuori l'aria e si passò una mano tra i capelli cercando di ricomporsi.
"Che bella compagnia che sono oggi" considerò provando a sorridere.
I suoi occhi erano ancora gonfi e rossi.
"Tu sei sempre una bella compagnia" cercai di rincuorarlo.
"Sai, all'inizio evitavo tutti i posti in cui eravamo stati insieme..." intrecciò le dita delle mani e la sua voce trovò il coraggio per proseguire ancora, "Non volevo ricordarmela, non potevo pensarci... Ce l'avevo con lei perché se n'era andata. Mi aveva lasciato solo, a ventiquattro anni, con una bambina..." la stessa età che avevo io in quel momento..., "Con una bambina piccola... Martina aveva due anni, quando è successo..." ripensò a quei momenti con evidente sofferenza, "C'era lei, dovevo soltanto pensare a lei e andare avanti. Dovevo voltare pagina. Cancellare tutti i ricordi che mi legavano a Sara. Che ci voleva in fondo? Bastava ripetermi che la vita continua, che non serviva insistere a piangere, o passare le notti ad ubriacarmi. Bastava impormi di non pensarci... C'era Martina... Solo lei... " il suo sguardo si perse un'altra volta nel vuoto.
Sospirò avvilito.
"Pensavo di farcela, ma non ha funzionato..." scosse la testa quasi responsabile, "Alla fine non ce l'ho fatta..."
La sofferenza con cui pronunciò quelle parole mi lacerò l'anima. Avrei voluto abbracciarlo per risollevarlo da quel peso.
"Poi ho pensato che non era giusto che la dimenticassi..." continuò, "Sara era una persona meravigliosa! Non lo meritava... Se l'avessi fatto, come avrebbe potuto ricordarla Martina? Voglio che lei la conosca. Che sappia che le ha voluto bene. Un bene incondizionato... Voglio che non accada più quello che è successo ieri... Per lei è difficile, lo so... Sta diventando solo un pensiero. Non ha avuto il tempo per conoscerla come avrebbe dovuto..."
Abbassò gli occhi, come perso in un passato che era ancora presente e che non trovava la forza di lasciar andare. Mi stava regalando il pezzo più amaro della sua vita... A me, che non ero nessuno per lui... Non avrei potuto fare lo stesso io... Gli avrei fatto di nuovo del male e non volevo...
"A volte ho l'impressione di non essere un buon padre. Che non lo sarò mai" commentò.
"Tu sei un ottimo padre, Fabrizio. E Martina ti vuole molto bene. Sei una figura importante e indispensabile per lei e questo lo sarai sempre"
"Non lo so... Tu fai sembrare sempre le cose così semplici... Non sono così eccezionale come mi vedi... Non sono così indispensabile..." ammise sconsolato.
Un silenzio prolungato si mise tra di noi. Un silenzio che gli dava il tempo di risistemare le emozioni.
"E' tutto così difficile da allora. A volte penso che non mi riprenderò mai del tutto"
"Credo che dovresti cercare di perdonarti o non sarà mai facile..." lui mi guardò sbigottito a quelle parole, "Non ti sentirai mai meglio, se non lo farai..." quello era il motivo che più l'affliggeva. Lo sapevo.
Sollevò lentamente gli occhi e li legò ai miei. Non commentò, ma la sua espressione mi confermò che avevo colto nel segno. Restò a fissarmi fino a che la sua voce calma e calda mi confuse.
"Sto imparando a farlo in parte... Da quando sei arrivata tu è diverso..." c'era intensità nel suo sguardo, "Per la prima volta, dopo tanto, ho voglia di ricominciare sul serio... Tu mi stai cambiando..."
"Non sono io, Fabrizio. È solo il tempo; guarisce tutte le ferite prima o poi"
"Non è solo quello... è diverso... Sono tornato a sorridere e non lo avevo creduto possibile fino a che non ti ho incontrata..."
Si concentrò su di me.
"Non lo so quello che mi sta succedendo... è che adesso ho di nuovo voglia di innamorarmi" fece una pausa, prima di continuare. "E credo di aver trovato la persona giusta per farlo"
Ciò che disse mi mise in apprensione. Non sapevo che cosa rispondere, colpita da quelle parole.
All'improvviso provai di nuovo angoscia.
Se avesse un giorno scoperto la verità su di me?
L'idea che il mio passato potesse piombarmi addosso all'improvviso mi tormentava. Avrebbe potuto arrivare senza preavviso e in maniera devastante.
Quel pensiero mi irrigidì e distolsi lo sguardo da lui. Combattuta.
"E' un posto magnifico..." commentai di nuovo, guardandomi intorno indifferente. Cercai di distrarlo e non lo lasciai continuare, "Davvero!"
Lui sorrise soltanto, ma restò assorto come se volesse ancora dirmi qualcosa, ma poi ci ripensò. Rimanemmo lì ancora un po'. Persi ciascuno nei propri pensieri. Poi Fabrizio guardò il ghiacciaio e il suo viso si fece pensieroso.
Il cielo a poco a poco era diventato bianco. Il bagliore del sole era scomparso del tutto.
"E' meglio rientrare" suggerì aiutandomi a rialzarmi,"E' capace di nevicare... Il ghiacciaio ha cambiato colore. Forza, andiamo"
Nuvole bianco-grigie coprivano ora le vette, allargandosi sempre di più. L'aria pareva come sospesa. Anche il freddo sembrava attutito così come il vento.
Riprendemmo il percorso dell'andata e presto ci ritrovammo sulla strada asfaltata. La neve aveva cominciato a cadere. Lieve. Lembi di ghiaccio che cadevano dal cielo. Irreali, senza peso. All'improvviso tutto si fece più scuro e si alzò un vento burrascoso. Il paesaggio intorno era già diventato tutto bianco.
Mi voltai a guardarlo. Taciturno, assente con la mente. Quanto avrei voluto accarezzargli i capelli! Avvicinarmi a lui, libera di poterlo fare davvero. Quanto avrei voluto trovare un modo per tornare indietro... per non dover fingere più e soprattutto per non dover più provare paura...
Fabrizio incontrò il mio sguardo, parve indeciso, ma non parlò. Fece un profondo respiro e tornò a seguire la strada.
Intuiva che qualcosa mi tormentava. Se n'era accorto dal modo in cui mi ero irrigidita, ma non voleva insistere, sicuro com'era che prima o poi avrei trovato la forza per svelarglielo.
Eravamo ormai alla baita e i suoi occhi imprigionarono i miei. Il suo viso cambiò espressione e divenne serio.
"Non mi va che continui a stare qui da sola" disse con aria di rimprovero.
"Va tutto bene. Sono io che voglio stare qui. Mi piace... Sta' tranquillo" sarei stata bene in qualunque posto, purché non fosse più stato quello da cui ero venuta.
Sospirò rassegnato.
"Mangio dai miei stasera. Vado a prendere Martina" si scusò.
"Buona serata, allora" risposi sforzandomi di apparire sincera.
Nevicava forte adesso ed il vento si era intensificato, facendo diventare quella nevicata un'autentica bufera.
"Chiamami se hai bisogno... Promettimelo!" fece con fermezza. Si vedeva da come contrasse la mascella che era combattuto al pensiero di lasciarmi lì da sola. Ma doveva andare...
Lo fissai sconsolata, "Starò bene. Non preoccuparti... Pensa a Martina. Lei ne ha più bisogno..."
La sua mano si posò lieve sulla mia e il suo sguardo si posò su di me. Non riuscì a dire niente, ma non staccò gli occhi dai miei. Era così vicino, che avrei potuto baciarlo, che avrei potuto stringerlo forte... Per un minuto fui sul punto di farlo, ma poi cambiai idea e mi voltai a guardare fuori.
"Sarà meglio che vada" mormorai, sforzandomi di sorridere.
Dovevo andare... Lo dovevo fare...
Lo struggimento che avevo nel cuore mi si leggeva sul volto, così come nel suo.
"Adele..." abbassò lo sguardo, faticando a proseguire, "Non sono molto bravo con certe cose..." sorrise timido, poi alzò di nuovo gli occhi a guardarmi, "C'è una cosa che cercavo di dirti prima... Non me ne sono mai reso conto, ma in tutto questo tempo, in tutti questi anni... mi stavo negando una cosa, senza sapere cosa fosse... l'ho scoperto soltanto dopo che ho incontrato te. Sara mi resterà sempre nel cuore, una parte di lei sarà sempre presente in me, ma... è giusto che io viva ancora..." ti prego non lo dire, implorai...
Faticò a proseguire, cercando di radunare le parole più adatte.
"Fabrizio..." provai a interromperlo.
"Aspetta! Lasciami parlare..." prese fiato, "Francamente non pensavo di esserne più capace, ma ho bisogno di dirtelo... " sorrise teso, schiarì la voce e mi bloccò con gli occhi, "Quello che stavo cercando di dirti è che vorrei che provassimo a..." avevo intuito subito che cosa stava per dichiarare e non potevo più tergiversare. Dovevo fermarlo!
D'istinto alzai una mano.
"Per favore... Non lo dire..." lo supplicai, "Lasciamo le cose così... Ti prego..."
Fabrizio esitò, ma non replicò.
"Non mi chiedere il perché. Solo... lasciamo le cose così" ripetei, "Non sarebbe giusto... non posso"
Sapevo che quel momento poteva non tornare mai più, ma ero legata al mio passato più di quanto immaginava. Non era onesto... non sarebbe stato comunque leale...
Non chiese altro.
"Come vuoi..."
Strinse le labbra in un accenno di sorriso e mi lasciò scendere celere dall'auto.
Restò a guardarmi correre verso la veranda, per sfuggire la neve e sfuggire lui. E solo quando fui in casa, si allontanò.
Dalla finestra della cucina lo seguii riprendere la strada con un groppo in gola e un peso sul cuore.
Non riuscivo a non pensare al modo in cui mi aveva parlato, al modo in cui mi aveva guardato...
Desideravo un cambiamento, eppure non ero riuscita a coglierlo quando si era presentato.
Di colpo mi resi conto del perché: ci tenevo troppo a lui e sapevo di non doverglielo fare...
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