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CAPITOLO 16

La mattina seguente mi svegliai riposata come mai mi era successo prima. Non andai al lavoro quel lunedì, era il giorno di riposo e ne approfittai per fare qualche spesa. Teresa mi aveva pagato in anticipo, intuendo potesse farmi piacere e aveva deciso di assumermi a lavorare da loro fino a quando fossi rimasta da quelle parti. Che era sicura, sarebbe stato più di quello che avevo deciso.

"La montagna sa guarire molte ferite!", mi diceva quando le sembravo più pensierosa del solito.

E forse aveva ragione, perché tra quelle vette, iniziavo a sentirmi meglio.

Tutta la mia vita era andata storta. Avevo avuto la certezza che non sarebbe cambiata. Ma ora... mi sentivo quasi capace di farcela, certa che ne sarei uscita...

Oltrepassata la chiesina, al centro di Cervinia, imboccai la via pedonale, addentrandomi tra i negozietti e i bar che si aprivano ai lati. Il sole di quella mattina irradiava i suoi raggi sui ciottoli di cui era lastricata, risvegliando i fiori che spiccavano nei tronchi, che fungevano da portavasi. In fondo si stagliava ancora il Cervino, imponente, maestoso e fiero.

Respirai profondamente guardandomi attorno. La gente si muoveva, incurante della mia presenza, passandomi accanto.

A metà della via, vicino ad uno dei bar, mi sedetti su una delle panche di legno e rivolsi il viso al sole, chiudendo gli occhi e lasciandomi scaldare. Il suo tepore mi avvolse piacevolmente, a poco a poco. Nessuno sospettava chi fossi. Ero una qualunque, come tutti gli altri. Potevo muovermi indifferente, scivolando sugli sguardi dei passanti.

Così, in quel rilassante e confortevole riposo mi parve persino di veder realizzate le speranze che covavo nel cuore adesso: avere una seconda possibilità... con Fabrizio.

Come rincorrendo i miei pensieri l'occasione si materializzò.

"Allora cominciamo dai rifugi più vicini..." una voce conosciuta mi ravvivò all'improvviso.

Mi voltai e me lo trovai a passare alle spalle. Indossava la divisa da lavoro e sfogliava concentrato alcuni fogli, discutendo con Aldo l'andamento della giornata.

Una vampata di calore inaspettata, si irradiò dentro di me.

"Ciao!" esclamai scattando in piedi e cercando di attirare la sua attenzione con la mano.

Si voltò a guardarmi. Indifferente. Salutandomi soltanto con un cenno del capo e continuò a parlare con Aldo, apparentemente incurante della mia presenza; continuando a camminare lungo il marciapiede. A prima vista concentrato su altro.

Lo studiai con ansia, assorto sulle sue faccende, impassibile.

"Fabrizio!" lo richiamai, andandogli incontro nel tentativo di bloccarlo.

Si girò indietro a fissarmi, quasi non mi avesse notato prima. Restando in attesa, senza mostrare alcun coinvolgimento. Impiegai qualche minuto prima di parlare, cercando nella testa le parole più adatte da dire.

Mi aggiustai una ciocca di capelli dietro l'orecchio e mi convinsi a guardarlo dritto in viso. Cercando di calmarmi.

"Posso parlarti?" gli chiesi quasi implorante.

Non cambiò espressione.

"Ho da fare" precisò asciutto.

Il suo sguardo vagò di nuovo sui fogli, con aria seria.

"Non ti ruberò troppo tempo" provai ancora, "Ho bisogno di dirti una cosa"

Aldo spostò lo sguardo su di me, per posarlo di nuovo su di lui, indeciso.

"Senti" si intromise rivolgendosi a Fabrizio, "Tu resta... Vado io a prendere la macchina" esordì.

"Non ce n'è bisogno"

"Insisto" issò una mano per fermarlo dal continuare, "Fa pure con comodo... Ti aspetto davanti alla chiesa" proseguì, "Non c'è fretta"

Intuiva che c'era qualcosa di stonato tra di noi, ma non ne sembrava al corrente e preferì non immischiarsi.

Mi salutò imbarazzato e, notato il mio disagio, si allontanò e ci lasciò soli. Faccia a faccia.

Fu allora che Fabrizio mi fissò irritato.

"Che cosa c'è?" mi chiese.

Fu solo un attimo; pareva incapace di reggere il mio sguardo e cominciò a tracciare con una penna, spunte sui fogli, come preso da altri pensieri, senza badare troppo a me.

"Avevi ragione tu..." dissi, dopo aver ripreso fiato.

"Ragione su cosa?" alzò il viso e mi guardò duro, sprezzante...

"Sì... insomma... Avrei dovuto dire solo Grazie... Per le catene, intendo" mi sentivo turbata per il suo sguardo freddo posato su di me, "Scusa..." proseguii nel tentativo di suscitare in lui una reazione differente, "... sono stata scortese..." ammisi con un timido sorriso, "E' solo che io..."

"No, no, no, no..." mi interruppe subito, "La colpa è mia" sostenne con gli occhi gelidi, "Avrei dovuto chiedertelo prima di farlo. Ho sbagliato io..."

"Non hai sbagliato. Sono io che... che ho reagito in malo modo, ecco, e non avrei dovuto..."

"Non preoccuparti... Non succederà più. Te l'assicuro..."

Nella profondità dei suoi occhi non c'era nulla che contraddicesse ciò che mi aveva appena detto e provai dispiacere.

Il suo viso pareva lontano da ogni emozione. Imperturbabile, distante.

Non dissi altro. Non ne fui capace, ma dentro si accese una fitta acuta, con l'intenzione di non volersene andare.

"Se non c'è altro, devo andare... "

Per un istante i suoi occhi di ghiaccio parvero cedere, cercando i miei, forse per l'espressione abbattuta che avevo disegnata sul viso, o forse per una mia impressione. Ma fu solo un istante, poi tornò freddo.

"Sì. Certo..." feci cercando di deglutire, "Volevo solo che lo sapessi..." sussurrai con un filo di voce.

"Ok" fu il suo commento.

Rimasi ferma, senza dire altro. Quel silenzio divenne imbarazzante. Entrambi non avevamo il coraggio di aggiungere altro, così come pareva non lo avessimo per congedarci veramente.

Fu lui il primo a decidersi: si voltò, con fare risoluto, e riprese il suo camino verso Aldo.

Mi sentivo sottosopra. L'aria leggera sfiorò i miei capelli, scuotendomi. Non era certo quella la reazione che speravo da lui... Ma del resto come potevo pretendere che fosse diversa, che accettasse le mie scuse col sorriso sulle labbra...

Eppure mi importava...

La sua indifferenza mi aveva fatto male, come se non la potessi accettare.

Lentamente svanì alla mia vista, inghiottito dalla distanza che a poco a poco ci separò, ma non scomparve il pensiero di lui. Il rincrescimento per come lo avevo trattato io, per prima.

Quel giorno pensai a lui, ogni istante. Mi sentivo in colpa, terribilmente in colpa. Avevo bisogno di amici, o comunque di gente che mi potesse aiutare, nel caso ne avessi avuto bisogno, non di nemici.

Quello lo avevo già... e sapevo bene cosa significava.

E invece cosa avevo fatto? Mi ero conquistata un altro avversario, un altro che non gli avrebbe fatto resistenza e magari lo avrebbe assecondato, se si fosse trovato a scegliere tra lui e me... credendo a lui e non a me, come era successo sempre...

Ben mi stava! Avevo agito d'impulso, senza ragionare, senza valutare le conseguenze... Era una cosa che non potevo permettermi. Me l'ero detta tante volte.

Sarebbe stato impossibile rimediare. Non ci sarebbe stata una seconda possibilità, come auspicava Teresa. Adesso ne ero certa.

La serata finì allo stesso modo: con l'immagine di Fabrizio a rosicchiare la mia mente, come un tarlo. E quella notte, nel sonno tornai a tormentarmi... di nuovo...

Stesa a terra, non respirava più...

Gli occhi sbarrati, i capelli biondi, raccolti dietro la nuca...

La cuffia bianca per metà ancora sul capo...

Le tastai il collo: nessun battito.

Una voce continuava a vorticarmi per la testa: è la tua occasione... non sprecarla... diceva.

Dovevo decidere. E in fretta...

D'istinto provai ad alzare un poco la trave di ferro che le schiacciava il petto: era pesante, terribilmente faticoso farlo. Feci forza sulle gambe, sulle ginocchia piegate...

Un ringhio acuto mi uscì dalla gola per lo sforzo che feci nel liberarle le braccia, stese lungo il corpo inerme.

Ripresi fiato, tacendo per un attimo i pensieri più cupi.

Le mie mani frugarono nelle tasche della sua giacca... dei suoi pantaloni... ansiose, agitate...

Lacrime roventi mi rigarono le guance, quando ripensai al motivo per cui lei era lì...

Le asciugai con una manica, cercando di non lasciare che quell'idea mi impedisse di andare fino in fondo.

Avrei vissuto ogni istante che mi restava ancora da vivere con quel rimorso... lei...

Ma ormai non potevo tornare indietro... non dovevo!

Dovevo continuare...

Spalancai gli occhi e fissai il vuoto, avvolto dal buio. Cercando di scrollarmi di dosso le immagini di quel sogno. Il dolore si raccolse nello stomaco che subito si contorse su se stesso.

Quel sentimento era più forte di ciò che provavo per Fabrizio. Non c'era paragone... Eppure sembravano entrambi bruciarmi dentro con la stessa intensità.

Non avrei avuto la possibilità di riscattarmi con lei, così come non l'avevo avuta con Fabrizio.

Ma con lei... non ci sarebbe stata più... davvero mai più...

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